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Autore: Alexiel Mihawk    23/02/2016    1 recensioni
«E tu sei felice?» domandò il bambino «Perché Havamama dice sempre che la villa sulla collina è una grossa gabbia e tu sei come un uccellino».
«Ma quella è casa mia» gli fece notare Hina con ovvietà.

Hina è l’unica figlia di una famiglia nobile, cresce in una grande villa su una collina, e viene educata come un’aristocratica, quindi è molto colta ed estremamente intelligente e diligente; il suo problema è che cresce sola e non ha amici. Quando ancora è una bambina conosce Smoker, un ragazzino con qualche anno più di lei, cresciuto in mezzo a una strada e praticamente adottato da metà delle persone della città. Inizia a frequentarlo e a seguirlo nelle sue scorribande, fino a diventare inseparabili; in seguito ad alcuni avvenimenti decidono di arruolarsi ed entrano in marina, dove inizia il lento percorso che li porterà ad essere i personaggi che conosciamo.
[Smoker/Hina]
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hina, Smoker
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: Kintsukuroi, riparare con l'oro. L'atto di riparare le ceramiche con dello smalto d'oro o d'argento e di capire che i suddetti oggetti sono ancora più belli di prima proprio perché si sono rotti.
Ricordo che tutti i personaggi della storia sono stati creati da Oda – anche Cancer, Stainless e qualunque marine – l'unico personaggio da me inventato è la madre di Bonney perché mi serviva una vittima sacrificale da far sposare ad Akainu.
Il capitolo è leggermente nsfw, ma niente di spinto.
PRECISAZIONE: in quasi tutte le mie storie gli headcanon si mantengono uguali, ovvero con Hina cugina di Bonney, e Bonney figlia di Akainu.
Doppio aggiornamento a distanza di 24H perché settimana scorsa mi sono dimenticata di postare e anche perché 'sta storia è finita da mesi e odio portarmi pesi morti dietro, visto che poi mi dimentico di aggiornare.


4. Kintsukuroi

La donna che si ritrovò di fronte era completamente diversa dalla ragazza che era partita un anno e mezzo prima. Stretta in un sobrio completo borgogna, Hina rimase ferma sulla passerella della nave a fissarlo; non lo aveva notato subito, era impegnata a ridere di qualcosa che le era stato detto dal compagno in piedi dietro di lei, gli occhiali da sole avevano riflesso per un istante il bagliore di un raggio troppo diretto, quindi erano stati tolti e riposti in una tasca della giacca, la sigaretta penzolava mollemente dalle labbra, e solo quando un soffio di vento le aveva scompigliato malamente i corti capelli rosa, tagliati in un sobrio caschetto, si era finalmente voltata verso di lui.
Si era girata e di fronte a lei, in fondo alla passatoia in legno, c’era Smoker.
Hina aprì leggermente la bocca, lasciando cadere a terra la sigaretta che ancora fumava, e, senza pensare (né a come si erano lasciati, né a tutto il tempo durante il quale non si erano visti o sentiti), si precipitò verso di lui, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo con affetto.
«Sei pesante» borbottò l’uomo passandole un braccio lungo la vita e stringendola leggermente a sé.
Lei sorrise appena, il viso nascosto oltre la spalla dell’uomo, con la consapevolezza che per quanto tempo fosse trascorso Smoker era sempre lo stesso.
«Mi sei mancato anche tu, Klutz» mormorò a mezza voce.
L’uomo sorrise appoggiandole una mano sul capo e scostandosi leggermente, lasciò che la ragazza lo fissasse per un po’, cercando di individuare ogni cambiamento avvenuto durante quell’anno e mezzo.
«Sei diventato più grosso».
«E tu hai tagliato i capelli» notò l’uomo «Stanno bene, anche se forse li preferivo lunghi».
«Perché non li hai visti quando erano davvero corti…» celiò Hina, scoppiando a ridere «Sembravo un ragazzino. Tu piuttosto, cos’è quel coso?»
Smoker seguì il suo sguardo e scostò il grosso bastone grigio da dietro la schiena.
«Intendi questo? È un jitte, non lo vedi?»
«Mi sembra un po’ fuori scala come jitte» fece notare Hina, prendendolo in mano e soppesandolo «Sono più di due metri!»
«Il boshin più lungo permette il combattimento a distanza e il sentan è fatto di agalmatolite, non sai mai chi ti trovi davanti».
«Oh, e funziona?» domandò la ragazza incuriosita «Aspetta, fammi provare. Drake! Vieni qui!»
A seguito di quel richiamo quasi urlato, lo stesso giovane che si trovava dietro di lei poco prima, sul ponte della nave, scese correndo e si fermo a pochi centimetri da loro.
«Eccomi!»
«Smoker questo è Drake Barrels, l’abbiamo cattato su qualche tempo fa all’isola di Minion. Drake questo è Smoker, l’amico di cui ti ho parlato. Ora, vorresti dirgli che frutto del diavolo hai mangiato?»
Il giovane li fissò per qualche istante senza capire del tutto il perché della domanda, allungò la mano per stringere quella dell’uomo che gli stava di fronte e, sorridendo con titubanza, esordì: «In realtà Hina ne fa una questione più grande di quella che è, si tratta di uno Zoo Zoo Ancestrale, il Thero Thero modello Rex».
«In pratica diventa un tirannosauro» sbottò Hina interrompendolo e tirandogli il jitte dritto in pancia.
Drake si piegò su sé stesso, accusando il colpo che di sicuro non era stato dato con gentilezza, e si accasciò a terra del tutto privo di forze.
«Ma cosa -»
«Funziona! Eccezionale!» esclamò la ragazza ritraendo l’arma e osservandola con ammirazione «È stata una tua idea?»
Smoker annuì riprendendosi il bastone e sistemandolo dietro la schiena; lanciò a Drake una breve occhiata quindi decise di ignorarlo e riprese a parlare.
«Ascolta, stasera i ragazzi hanno pensato di organizzarti una festa di bentornato, ma se non ti va posso dire loro di rimandare».
«No, no, a Hina fa piacere. Drake vuoi venire?»
Il ragazzo emise un gemito sconsolato, maledicendo velatamente il momento stesso in cui aveva pensato che entrare in marina fosse una buona idea.
«Portalo pure, sarà al rifugio dopo le nove. Mi raccomando, non fare commenti sul tatuaggio di Verygood e non chiedere a Stainless dei suoi baffi».
«Perché cos’è successo ai baffi di Stainless?»
«A quanto pare glieli ha tagliati un pirata durante uno scontro e si è finalmente deciso a rasarsi. Sembra che abbia di nuovo quindici anni».
«Affascinante» commentò Hina, disinteressandosi quasi del tutto «Vado a salutare mia zia e a fare rapporto, poi devo passare a presentare Drake ai piani alti, quindi ci vedremo direttamente stasera».
Smoker annuì, sorridendole appena nell’allontanarsi, dopotutto aveva aspettato un anno e mezzo per vederla e parlarle, attendere ancora qualche ora non lo avrebbe ucciso.
Anne accolse Hina come una figlia, aveva preparato per lei un pranzo fatto in casa, e aveva ferma intenzione di sfruttare quel momento per farsi raccontare tutto quello che aveva visto e fatto in quei mesi. Drake, al suo seguito, fu preso d’assalto dalle domande, mentre Bonney passava dalla cugina al giovane sconosciuto con aria interessata. Nell’ultimo anno e mezzo la bambina era cresciuta più di quanto Hina non si aspettasse e, anche se il fisico non si era ancora sviluppato, si riusciva a intravedere la donna che sarebbe potuta diventare.
«Se non la pianti di mangiare come un maiale nessuno ti vorrà mai» sbottò Anne togliendo una fetta di pizza dalle mani di sua figlia e sedendosi a tavola.
«E allora?» domandò Bonney allungando il braccio ad afferrare un cosciotto di arrosto «Io tanto non ci credo mica nel matrimonio».
Hina trattene una risata sarcastica e osservò sua zia sollevare gli occhi al cielo, rassegnata.
«Diventerai obesa!»
«Hina mi vorrà bene lo stesso».
«Hina avrà di meglio da fare e stai dando spettacolo di fronte al nostro ospite!»
Bonney si bloccò fissando il giovane sconosciuto, la sua curiosa cicatrice a forma di X sul mento e i suoi insoliti capelli ramati.
«Non si preoccupi signora, sono abituato a peggio e poi è soltanto una bambina».
«Scusa cosa?» la piccola storse il naso in una smorfia di disappunto e appoggiò nel piatto il cibo che stava mangiando.
«Bonney, basta così» Hina allungò la mano verso la bottiglia del vino e sospirò leggermente, odiava interpretare il ruolo della cattiva, ma era meglio che sua cugina non parlasse troppo «Hina è irritata, stai seduta composta».
Anne la ringraziò con uno sguardo, oramai incapace di prendere sua figlia per il verso giusto, e iniziò a domandare alla nipote di raccontare dei suoi viaggi.
Il resto del pomeriggio fu ancora più sfiancante e il colloquio con Akainu si protrasse per un’intera ora; quello che però le parve strano, più di ogni altra cosa, fu la richiesta di Sengoku stesso di incontrare la nuova recluta.
Quando finalmente riuscì a liberarsi, dopo avere spiegato a un Drake piuttosto disorientato come raggiungerla, emise un sospiro di sollievo, sentendo di essere finalmente libera da qualsiasi impegno. Marineford l’accolse come una casa, ogni angolo e ogni strada le erano familiari, e, mentre percorreva l’acciottolato che conduceva verso gli alloggi dei marine, le sembrò di rivedere i giorni dell’addestramento. Si bloccò di fronte alla pesante porta di legno che dava sulle camerate, la tinta verde acqua andava sbiadendo, staccandosi dall’asse in più punti; la sua mano rimase sulla maniglia per qualche istante, mentre alle sue orecchie giungeva un sommesso brusio dall’interno, alla fine si decise e sorridendo, aprì l’uscio.
«Hina!»
Un coro di bentornata e di gente che la salutava l’accolsero non appena varcò la soglia della sala comune e si ritrovò ben presto avvolta nell’abbraccio invadente, ma affezionato dei suoi compagni di addestramento.
«Guarda, guarda, la principessa torna a casa» Cancer appoggiò il bicchiere di birra sul tavolo e agitò la mano in segno di saluto, facendole senno di raggiungere il loro tavolo.
Hina non sorrise, ma si avvicinò: Stainless, in giacca e cravatta sedeva a fianco dell’amico, e la ragazza dovette trattenersi non poco per non scoppiare a ridergli in faccia nel vederlo senza baffi. Si sedette accanto a Smoker, piantando involontariamente lo sguardo sul mento di Verygood e sul tatuaggio che vi spiccava sopra.
«Avevi paura che ti mandassero in missione sotto copertura?» domandò divertita all’amico.
Verygood la fissò per qualche secondo senza capire, quindi arrossì leggermente coprendosi il mento con la mano.
«Mi piaceva la scritta “Marine”» borbottò infine.
«Ti sta bene».
«Sai cos’altro sta bene?» domandò Cancer sarcastico «Noi. Grazie per averlo chiesto».
«Stai zitto, demente» Smoker gli soffiò il fumo del sigaro in faccia beccandosi in risposta un dito medio.
«Hina lo vede che state bene» disse accettando il boccale di birra che le veniva porto «Non mi piacciono le domande inutili. Piuttosto, dov’è Bradnew?»
«Non lo sai? È diventato sottotenente di vascello, ha una riunione fino a stasera» sbuffò Cancer «Mica come noi, ancora qui a fare i pezzenti con i nostri gradi da sergente maggiore».
«Hina è ammirata, e lei è ancora solo caporale».
«Non mi dire, come se fosse facile scalare la gerarchia. Stavamo pensandoci qualche tempo fa ed è proprio vero che solo chi è davvero in grado di padroneggiare l’haki e chi ha ingerito un frutto del diavolo può pensare anche solo di riuscire ad ottenere un grado decente» sbottò Stainless trattenendosi all’ultimo minuto dall’accarezzarsi i baffi che non aveva più.
«Stronzate» Smoker sbuffò un soffio di fumo «Sai quanti viceammiragli non possiedono nessun frutto? Si tratta di ambizione e impegno e forza fisica. Hai mai sentito da Zephyr che sia necessario per un marine mangiare un frutto del diavolo per essere un buon marine?»
«Impara a utilizzare l’haki, intanto. Poi ne potrai riparlare, cazzone. E anche tu mi sembra che in ogni caso sia ancora al grado di caporale, o sbaglio?»
Smoker fece una smorfia e per tutta risposta sollevò il dito medio, lasciandosi andare contro lo schienale della panca e lanciando un’occhiata in tralice a Hina, impegnata ad accendersi una sigaretta.
«Da quanto fumi?»
«Qui tutti fumano, ma non mi sembra di fare il terzo grado a nessuno» rispose la ragazza ignorando la domanda «In ogni caso parlate come se fosse facile procurarseli i frutti del diavolo…»
Stainless sollevò un sopracciglio.
«Non mi dire, ora sei un’esperta in materia».
Hina si chinò leggermente verso il centro del tavolo, facendo cenno agli altri di imitarla, quindi riprese a parlare abbassando leggermente la voce.
«Lo sapete che il governo era disposto a pagare cinque miliardi di beli per l’Ope ope no mi?»
Cancer cadde dalla sedia, Smoker quasi si strozzò con il fumo del suo sigaro, mentre la ragazza annuiva con aria seria.
«Stai scherzando, spero» sibilò Stainless strabuzzando gli occhi.
«Hina è serissima. C’ero, la nostra nave era di supporto a quella del Vice ammiraglio Tsuru, doveva occuparsi lei dello scambio».
«Ma?» chiese Smoker «Sento che c’è un ma».
«Donquijote Doflamingo».
«Intendi il pirata?»
«Ah-ah».
«Merda!» esclamò Cancer, portandosi il bicchiere alla bocca «Puoi essere un po’ più specifica, di grazia?»
«No, non qui. In ogni caso costa procurarsi i frutti del diavolo e la marina non è certo qui a distribuirli a destra e a manca».
«Sì, ma pensavo si parlasse di qualche centinaio di milioni o poco più!»
«Questo perché sei un coglione, Cancer. Quanto pensi che sarebbe disposto a pagare il governo per il frutto di Barbabianca o quanto pensi abbia speso Sengoku per il suo?» frecciò Smoker.
«Hina non crede che Sengoku se lo sia comprato il frutto del diavolo».
«Non è quello il punto, scema. Il punto è che a seconda del frutto e delle sue potenzialità cambia il prezzo, esistono interi cataloghi di frutti del diavolo e vengono fatte vere e proprie spedizioni di ricerca per trovarli».
La ragazza roteò gli occhi verso l’alto e sospirò, come se non lo sapesse, avevano seguito intere lezioni sulla storia di quei benedetti frutti quando ancora erano a Tatemae.
«Non mi dire, genio» celiò sarcastica «Noia. Hina è annoiata, vado a cercare Drake, credo si sia perso».
«Chi? Il tuo nuovo spasimante?» chiese Cancer evitando, con l’abilità di chi ci ha preso la mano con gli anni, un calcio negli stinchi.
«Una recluta, deficiente, e un amico».
«Si può sapere dove hai tirato su una recluta? Non sei mai stata esattamente Hina dal cuore d’oro che si prende cura degli sbandati» continuò Stainless al posto dell’amico.
La giovane sbuffò, sistemandosi con una mano il ciuffo di capelli che le cadeva davanti al viso, accavallò le gambe e riprese in mano il boccale di birra che aveva appena abbandonato.
«Avete mai sentito parlare di Diez Barrels?»
«Non era commodoro?» domandò Verygood cadendo dalle nuvole.
«Sì, è quel commodoro che qualche anno fa lasciò la marina per darsi alla pirateria» continuò Stainless per lui.
«Ecco, era suo padre» esordì Hina, ricevendo per tutta risposta un fischio ammirato.
«Era?» chiese Smoker.
«È morto. Doflamingo ha ucciso tutta la sua ciurma, ma non credo avessero un bel rapporto, di sicuro non da quando Barrels si è dato alla pirateria. Drake ha sempre voluto fare il marine, ma ha visto suo padre, che ammirava, tradire tutto quello in cui credeva, come credi si sia sentito?»
«Non lo so e non mi importa» sbottò Cancer «Quindi lo avete cattato su dove?»
«All’isola di Minion, dopo la faccenda dell’Opi opi no mi».
«Interessante, e quando dico interessante intendo “non mi interessa assolutamente”» celiò Cancer, continuando sull’onda del sarcasmo «Quindi sei diventata una balia e ora vai a cercare il bambino smarrito, in pratica».
«Ma stasera lo porti?» domandò invece Verygood.
«Hina non porta nessuno da nessuna parte, se vuole venire viene. Ti sembro un servizio di posta?»
«Io spero che venga, voglio essere amico dei tuoi amici» continuò Verygood, senza mai togliere la mano dal mento e strappando un sorriso ad Hina, che si ritrovò ad ammettere che aveva in parte sentito la sua mancanza, la mancanza di tutti loro.
«Cercherò di convincerlo».

«Vuoi stare calmo?»
«Come faccio a stare calmo? Sono tutte persone di cui mi hai parlato così tanto e ho sinceramente paura di fare una brutta prima impressione».
«Drake, sii uomo. Hina detesta quando perdete tutti la testa, siete dei rammolliti! Sei un marine e loro non ti mangeranno mica».
«Sì, ma -»
«Niente ma, basterà che tu gli faccia vedere i poteri del tuo frutto. Dirai a Cancer che ti piacciono i suoi capelli, a Verygood che il suo tatuaggio è interessante, a Stainless che sta bene anche senza baffi e ti troverai già inserito nella loro combriccola di deficienti».
«E Smoker?»
«A Smoker non piacciono le persone che cercano di piacere a tutti i costi, in realtà a Smoker non piacciono le persone, ma non importa. In ogni caso non fare niente, se diventerete amici meglio, altrimenti qualcosa mi dice che sopravvivrai lo stesso».
La vecchia palestra non era cambiata, anzi, a suo modo era rimasta la stessa, nonostante i tentativi che avevano compiuto, nel corso degli anni, di darle un aspetto pulito e rispettabile. Era rimasto il loro rifugio, e Cancer non si faceva alcuno scrupolo a cacciare in malo modo le reclute che ogni tanto andavano a nascondervisi, sostenendo che loro avevano diritto di anzianità e che quello era il loro antro. Hina aveva sempre detestato quella parola, ma in fondo al cuore sentiva di concordare, c’era qualcosa di nostalgico in quella vecchia palestra abbandonata che dava sul mare; con un solo sguardo si riusciva a vagare verso l’orizzonte e non ci voleva mai molto perché si perdesse a fissare le stelle o le navi che lentamente andavano e venivano, mentre rimaneva ad ascoltare i discorsi senza senso dei suoi amici.
Fissò le travi malmesse del pavimento e sorrise leggermente, entrando a grandi falcate e salutando tutti con un gesto della mano, alle sue spalle un Drake più titubante, quasi imbarazzato la seguì a ruota, facendo un cenno impacciato a quei volti sconosciuti.
«Questo è Drake» disse solo Hina, prima di andare ad appoggiarsi contro lo stipite del balconcino, leggermente in disparte, in una posizione dalla quale potesse vedere fuori.
Quello era il suo posto speciale, e, quando si sedeva lì, raramente gli altri venivano a disturbarla, era come se dicesse “ecco, sono qui e partecipo, chiacchiero con voi e sono parte del gruppo, ma lasciatemi mantenere la giusta distanza”.
Osservò con aria distratta Smoker entrare dalla porta e lanciare un’occhiata al nuovo venuto, impegnato a mostrare agli altri gli effetti del suo frutto.
«Come se non avessero mai visto uno Zoo Zoo» mormorò a mezza voce sedendosi a fianco alla ragazza, con la consapevolezza che, se c’era qualcuno che poteva farlo, quello era lui.
Hina sollevò le spalle, giocherellando distrattamente con un pacchetto ancora chiuso di sigarette, non fece resistenza quando Smoker glielo sfilò piano dalle mani studiandolo con aria di chi si trova per la prima volta a osservare qualcosa di nuovo.
«Pensavo non ti piacesse il fumo».
«Hina ha scoperto che è un ottimo modo per scaricare lo stress».
Il giovane aprì il pacchetto ed estrasse con attenzione una delle sigarette sottili, se la portò alla bocca e l’accese, aspirando con fare incuriosito.
«Sta roba fa schifo» sbottò passandogliela senza tanti complimenti.
«Non più dei tuoi sigari disgustosi» ribatte Hina, accettando la sigaretta e fermandola tra le labbra.
Per qualche istante rimasero in silenzio, ad ascoltare le chiacchiere del resto del gruppo, a cui Drake andava raccontando la sua storia.
«È fuggito dalla gabbia per uccelli di Doflamingo?» chiese Smoker a bassa voce, in modo che non lo potesse sentisse nessuno al di fuori di Hina.
«No, si è semplicemente ritrovato all’esterno nel momento in cui è stata lanciata. È stata fortuna».
«E come diavolo lo avete trovato?»
«È scappato, era spaventato, Smoker. Hina non ha mai visto qualcuno correre così, nemmeno noi. E non ti so dire se scappasse da Doflamingo o da suo padre…»
«Diez Barrels era un buon marine».
«Ma non un brav’uomo» mormorò piano Hina portandosi le ginocchia al petto e appoggiandovi sopra il viso, lanciando un’occhiata veloce al ragazzo che stava parlando animatamente con gli altri membri del gruppo «Lo abbiamo preso a bordo e il medico ha voluto assicurarsi che stesse bene… Smoker io ho visto i suoi lividi e non erano dovuti a una caduta nella fretta della corsa. Suo padre era un animale».
L’uomo piegò il viso in una smorfia di disprezzo e le accarezzò con delicatezza il capo.
«Per la serie non giudicare un libro dalla copertina, vero?»
Hina annuì.
«E non è nemmeno la cosa più strana che sia successa. Quel pomeriggio Vergo venne a fare rapporto a Tsuru, era a capo della base dell’isola e non so cosa le disse, ma so per certo che il Vice Ammiraglio si allontanò di fretta con un gruppo fidato di donne e quando tornò portava con sé un cadavere. Non ho idea di chi fosse, era nascosto sotto il telo per cadaveri della marina, quindi immagino fosse un marine».
«E quindi? Immagino ci sia stato uno scontro, i morti ci saranno stati da entrambe le parti».
«Sì» sussurrò Hina, a voce così bassa che Smoker rischiò quasi di non sentirla «Ma dicono che Tsuru piangesse quando lo ha riportato sulla nave. Non sappiamo nemmeno il suo nome».
L’uomo rimase in silenzio per qualche istante.
«Gossip. Non ti ricordi cosa dice tua madre? Non credere a tutto quello che ti viene detto».
«Natsuki non è la voce della verità, Smoker».
«Una volta lo era, anche per te» le ricordò l’amico sollevando un sopracciglio.
«Sì, lo era. E mi sbagliavo» rispose la giovane, senza fissare niente di preciso «Hai sentito i miei genitori in questi anni, per caso?»
«Non particolarmente» ammise «Anche se tua madre ha chiamato un paio di volte per salutarmi. Stronzate tipo feste di natale, compleanno, promozioni».
«Capisco…»
«Ma stanno bene, no? Non mi pare che sia successo niente di grave».
Hina girò il viso verso l’esterno, gettando il mozzicone di sigaretta oltre il parapetto del portico e rimase a fissare il cielo stellato.
«Stanno divorziando. Natsuki ha scoperto alcuni traffici di mio padre non proprio leciti, sostiene che stia trasformandosi in un’altra persona e che non sia più l’uomo che ha sposato. Ha deciso di lasciarlo».
«Mi dispiace».
«Non è vero. Smoker ha sempre detestato mio padre e non ne ha mai fatto mistero. Stai pensando che è una decisione che avrebbe dovuto prendere molto tempo fa… E credo che tu abbia ragione».
Il giovane sbuffò, espirando una nuvola di fumo grigio, allungò un braccio e lo passò dietro la schiena di Hina, attirandola più vicina a sé.
«Non mi potrebbe interessare di meno di tuo padre, né mi dispiace per lui. Mi dispiace che tu ci stia male, scema».
La ragazza si scostò, scrollandoselo di dosso con un gesto infastidito, e lasciandolo profondamente interdetto.
«Hina non vuole la tua pietà» sibilò irritata.
«Scusa? Pietà?» Smoker strabuzzò gli occhi, sinceramente sorpreso che la sua migliore amica avesse davvero potuto interpretare le sue parole a quel modo, sì, erano anni che non si vedevano, ma non voleva credere che le cose fossero cambiate a tal punto. Nemmeno si accorsero dello sguardo preoccupato che lanciò loro Drake, né di come Cancer lo fermò scuotendo la testa e Stainless fece segno a tutti di uscire: si erano resi conto, forse anche prima che loro stessi lo realizzassero, di quanto quei due avessero bisogno di parlare, dopo essersi lasciati senza una parola per quasi due anni.
Hina non rispose, rifiutandosi di girarsi verso di lui.
«Quella non è pietà, Hina» sibilò Smoker «E lo sai bene. Mi dispiace perché mi preoccupo per te, è così difficile da capire?»
«Non ti ho chiesto io di preoccuparti per me!» esclamò lei, con tono freddo, senza mai alzare la voce più di quanto non avrebbe fatto in una normale conversazione «Pensavo fosse così che funzionava tra noi, non eri tu ad averlo detto?»
Smoker si zittì improvvisamente, reprimendo con forza l’istinto di saltare in piedi e mettersi a urlare, consapevole che con Hina avrebbe ottenuto solo l’effetto opposto e che per tutta risposta probabilmente se ne sarebbe andata mollandolo lì, senza una parola.
«Sai che non pensavo davvero quello che ho detto due anni fa».
«No, non lo so».
«E invece sì. Sono stato impulsivo e sono stato stronzo, ma sai che non pensavo niente di quello che ho detto, lo sai perché sei la persona che mi conosce meglio in assoluto a questo mondo».
Hina gli lanciò uno sguardo carico di rabbia, non necessariamente rivolta verso di lui.
«Forse Hina lo sa, ma non per questo è stato meno doloroso sentirselo dire».
«È per questo che sei andata via?» chiese Smoker girandosi completamente verso di lei e costringendola a voltarsi verso di lui.
Hina rimase qualche istante immobile, ferma in mezzo alle gambe divaricate di Smoker, seduto a sua volta di fronte a lei.
«Sì» ammette infine, distogliendo lo sguardo «Cioè no, anche. È stato uno dei motivi, ma non l’unico».
«Due anni. Hai preso e, senza dire niente a nessuno, sei sparita per due interi anni, non una parola, non una telefonata, non una lettera. Sapevo che eri viva solo grazie a tua zia e sapevo dove fossi solo grazie ad Aokiji» sbottò Smoker perdendo la pazienza «Mi vuoi dire perché? E non arrampicarti sugli specchi».
«È morboso» disse Hina piano, sollevando lentamente lo sguardo «Era morboso; non eravamo in grado di stare distanti per più di due ore, figurati due anni. Non abbiamo mai imparato a vivere separati e stava diventando una situazione intossicante, così sono andata via. Pensavo e sono convinta ancora adesso, che sarebbe stato d’aiuto, che ci avrebbe insegnato a respirare. Anche quando era lontana Hina sapeva che quando vi foste rivisti, le cose sarebbero tornate a posto».
«E come faceva Hina a saperlo se ha pensato bene di non parlarmi per due anni?»
«Ho fiducia in te» rispose la ragazza, arrossendo leggermente «Ti conosco abbastanza da sapere cosa ti passi per la testa».
«No, non lo sai» sbottò Smoker alzando la voce «Non mi hai lasciato nemmeno la possibilità di chiederti scusa, lo capisci? Sei sparita e mi hai chiuso in faccia tutte le porte, e non c’era niente che potessi fare perché non mi hai lasciato alcuno spazio di manovra!»
«No, non l’ho fatto perché sapevo fin troppo bene che se allora avessi sentito le parole di cui avevo bisogno sarei tornata indietro, subito».
Smoker bestemmiò, spostandosi leggermente e tornando ad appoggiarsi con la schiena al muro, si passò una mano sugli occhi, senza smettere di mormorare improperi a mezza voce e fissò Hina per qualche secondo; la ragazza lo guardava con aria quasi malinconica e per un secondo a Smoker sembrò di rivedere in lei Natsuki. Si domandò quanto sarebbe bastato perché Hina tornasse ad essere la bambina solitaria e chiusa in sé stessa che aveva conosciuto anni prima, e si rese conto che la possibilità di veder Hina ridotta in quel modo sarebbe stato ancora peggio che perderla.
«Se lo dici a qualcuno negherò fino alla morte» sibilò quindi, allungando le braccia verso di lei, afferrandola con forza per la vita e tirandosela in braccio.
La sua mano destra scivolò lungo la vita dell’amica, tenendola stretta saldamente al suo petto, mentre con la sinistra le accarezzò leggermente il viso, rosso per l’imbarazzo.
«Lo dirò una volta sola e non lo ripeterò, per cui vedi di ascoltarmi molto bene» disse, con il viso a pochi centimetri di distanza da quello di Hina «Venire a patti con il fatto che te ne fossi andata è stata la cosa più difficile che abbia dovuto affrontare da quando… Beh, da anni. E quando ho capito perché l’avessi fatto ho seriamente temuto di averti perso, perché so di non essere molto sveglio per certe cose, non ci ho mai fatto caso e non mi interessano nemmeno».
«Klutz» mormorò Hina, piano sorridendo.
«Già. Però in questi due anni credo di averle capite alcune cose» si interruppe, cercando le parole giuste, parole che non gli era mai stato facile pronunciare «Ti voglio bene. Te ne ho voluto quando ti ho conosciuto, sei stata la prima persona che non mi ha giudicato per quello che sembravo, ma che ha aspettato di conoscermi. Sei stata la mia prima amica, una sorella, una confidente e, quando siamo cresciuti, mi sono reso conto che non mi bastava più, ma quando sono riuscito ad accettare la cosa tu eri già partita».
«Non sono sicura di avere capito».
«Pensavo che le donne fossero tutte uguali e anche che le amicizie, tolta la patina iniziale che le distingue, fossero tutte uguali, ma non è così, mi sbagliavo. Ci sei tu e poi c’è tutto il resto».
Si grattò distrattamente la testa, in evidente difficoltà, cercando di arrivare alla parte che per lui era sempre stata la più difficile, soprattutto da accettare.
«So di non essere una persona facile da gestire, faccio sempre di testa mia e alla fine spesso prendo decisioni del cazzo con la convinzione di fare la cosa giusta, ma -»
«Il punto» lo interruppe Hina con gentilezza «Ti stai impappinando, arriva al punto».
«Il punto, rompipalle che non sei altro, è questo» sbottò quindi perdendo la pazienza e, con un movimento repentino del busto, si piegò su di lei, chiudendo le sue labbra in un bacio.
Erano passati dieci anni da quel primo bacio timido e impacciato scambiato da due ragazzini su un molo solitario, dieci anni in cui entrambi non ne avevano mai parlato fingendo che non fosse davvero successo; in quel momento, a distanza di così tanto tempo, con la consapevolezza dell’età adulta e il cuore carico di aspettative, a Hina sembrò di rivivere la stessa scena. Questa volta, però, a baciarla non era un quattordicenne imbranato, senza alcuna consapevolezza di ciò che stava facendo; questa volta nessuno dei due aveva intenzione di sottrarsi a quel bacio, soprattutto non lei che lo aveva desiderato così a lungo senza mai concedersi il lusso di ammetterlo a sé stessa. Le labbra di Smoker erano inaspettatamente morbide e la delicatezza iniziale sparì assieme alle incertezze e ai dubbi che entrambi si erano portati dietro negli anni non appena Hina ricambiò il bacio, lasciando che le sue mani candide scivolassero lungo il collo e quindi ad accarezzare la nuca rasata dell’uomo.
«Stai bene?» domandò, staccandosi leggermente da lei e passandole una mano tra i capelli corti.
«Hina è senza parole» disse piano, annuendo appena.
«Che miracolo».
«Stai zitto, stupido schmeckle».
«Stupido sì, quanto a schmeckle… non credo proprio» borbottò il ragazzo, tirandosela ancora più vicina e tornando a baciarla.
C’era una foga, nei suoi baci, che Hina non aveva mai sperimentato prima; non ci volle molto per ritrovarsi a cavalcioni su di lui, mentre le mani di Smoker scendevano a esplorare il suo corpo, cercando di slacciare la giacca del completo, infilandosi tra i bottoni della camicetta.
«Aspetta, aspetta. E se tornasse qualcuno?»
«Con il rischio di venire pestato a sangue da entrambi? Fidati, non accadrà» rispose l’uomo, chinandosi sul suo collo e facendo scivolare con delicatezza inaspettata gli indumenti dalle spalle della ragazza.
Hina lasciò che la spingesse contro il pavimento di legno della palestra, inarcò la schiena nel percepire la sua bocca scendere dall’incavo del suo collo verso il suo petto e quando, slacciato con non poca difficoltà il reggiseno di pizzo, sentì le mani di Smoker stringersi a coppa sui suoi seni grandi e sodi, non riuscì a trattenere un gemito.
«Sarà più divertente di quanto pensassi all’inizio» mormorò l’uomo facendo scivolare la mano sinistra fino a slacciarle il bottone dei pantaloni
«Hina lo spera proprio» mormorò lei, respingendolo con un gesto gentile e avvicinandoglisi con decisione. Gli passò le mani sulla giacca, facendola scivolare oltre le spalle e rimase a osservare qualche secondo il petto nudo dell’uomo. Quindi, senza la minima traccia di imbarazzo iniziò a slacciargli la cintura dei pantaloni.
«Aspetta, aspetta» la bloccò Smoker, mettendosi a sedere «Sei sicura? Nel senso non è che stiamo bruciando qualche tappa di troppo?»
Hina roteò gli occhi verso il cielo, seccata per l’interruzione, e dopo essersi messa in piedi si spogliò completamente guardandolo con aria di sfida.
«Sì, Hina è parecchio sicura, Klutz, grazie per averci pensato per tempo».
Smoker scoppiò a ridere, afferrò con la mano uno dei polsi della ragazza e se la tirò addosso, accarezzando con delicatezza quel corpo nudo.
«Non credo che sarò molto gentile».
«E quando mai lo sei stato?»
Non fu breve, ma fu intenso, e in diversi momenti Hina ringraziò che fossero così isolati e che nessuno dei loro amici avesse avuto la malsana idea di venirli a cercare.
Seduta tra le gambe aperte di Smoker, con la schiena appoggiata al suo petto, rimase a guardare l’alba che lenta si levava all’orizzonte, mentre con tono pacato, raccontava a Smoker cosa aveva fatto in quel tempo.
«Quando è stato?» chiese improvvisamente l’uomo, accendendosi un sigaro.
«Cosa?»
«La prima volta».
Hina girò la testa di scatto, fissandolo con aria truce.
«È importante?»
«Avevo 19 anni ed eravamo ancora a Karate Island, ti ricordi quella sera in cui tua nonna e-»
«Hina non lo vuole sapere, non mi interessa proprio» gli disse, interrompendolo. E in effetti davvero non le interessava.
Rimase in silenzio per qualche istante, quindi si passò una mano tra i capelli e accendendosi una sigaretta riprese a parlare.
«A Water Seven, quella sera. Hina era furibonda con voi» disse «Avevi quel sorriso da stronzo sulla faccia, e ogni volta che ci pensavo mi saliva un travaso di bile. Fu l’unico, in quel momento a interessarsi a me come persona, e io di sicuro non stavo aspettando il matrimonio».
«Tuo padre sarà felice di sapere che l’averti portato in chiesa per anni non è servito a una sega. Chi era?»
«Un carpentiere» rispose Hina, rimanendo sul vago.
Non si era mai pentita di quella notte a Water Seven e per quanto lei e Smoker avessero condiviso ogni cosa da quando si erano conosciuti, aveva deciso che quello era un ricordo che preferiva conservare solo per sé.
«Hina».
«Hina sa cosa vuoi dire, Smoker. Ed è d’accordo: questo non cambia niente» disse la ragazza a mezza voce «E non è solo perché ti ho fatto una promessa anni fa, ma perché penso davvero che andando avanti su questa strada potresti fare la differenza».

Aokiji detestava essere disturbato mentre leggeva, gli scocciava che lo interrompessero mentre mangiava, ma più di tutto lo irritava profondamente che lo svegliassero mentre dormiva. A dirla tutta Aokiji detestava essere disturbato e basta, ma aveva imparato, con gli anni, che non c’era modo per evitare le insistenti pressioni di Smoker. Quando il giovane si metteva in testa di parlargli non c’era proprio verso di dissuaderlo; in fondo l’Ammiraglio lo aveva preso in simpatia, si riteneva in parte responsabile per il suo ingresso in marina, consapevole di essere stato uno dei maggiori fattori di persuasione nella decisione presa dall’amico anni prima.
«Spero per te che sia importante questa volta».
«Eh già, non vorrei mai distrarti dai tuoi doveri…» frecciò Smoker osservando il cuscino appoggiato in bella vista sulla scrivania.
«Potrei farti punire per insubordinazione».
«Sei troppo pigro. Prenderò seriamente le tue minacce quando inizierò a trovarti mentre stai effettivamente facendo qualcosa» borbottò Smoker sedendosi sulla sedia dalla parte opposta del tavolo.
«Che posso fare te?» domandò Aokiji con rassegnazione.
«Tra una settimana è il mio compleanno».
«Buon per te».
«Fammi finire. Ogni anno io e Hina festeggiamo il 9 i nostri compleanni, una data a metà tra il suo e il mio e, come probabilmente sapresti se nella vita facessi qualcosa, oggi è il nove».
«Auguri a te. Posso tornare a dormire?»
«Non è quello il punto!» sbraitò Smoker massaggiandosi una tempia e accendendosi un sigaro «Hina ha fatto leva su alcune connessioni e ha utilizzato parte dei soldi della sua famiglia per comprare dei frutti del diavolo sostenendo che “Se vogliamo salire di grado questi sono una risorsa da non sottovalutare”».
«Non capisco il problema» notò Aokiji, sbadigliando appena.
«Ho rifiutato».
«Perché sei un deficiente, ma questa non è una novità».
L’Ammiragliò si appoggiò allo schienale della sedia e mise con nonchalance i piedi sul tavolo, iniziando a dondolarsi.
«Quanti anni fai quest’anno, Smoker?» domandò quindi.
«Ventisette» sbottò l’uomo.
«Sei un marine, Smoker. Volente o nolente che tu sia, verrai sballottato da una parte all’altra del globo. Se sarai fortunato verrai assegnato a uno dei quattro mari esterni, se non lo sarai finirai sulla rotta maggiore o, peggio, nel nuovo mondo. Come pensi che farai a sopravvivere a quel punto? Farai affidamento sulla forza dei tuoi pugni? Hai scelto tu questa vita, e ti assicuro che è quel genere di vita dove per sopravvivere devi continuare a scalare la vetta, salire verso l’altro e se per questo dovrai ingoiare un po’ di orgoglio e accettare il regalo di un’amica, a meno che tu non voglia rimanere Maresciallo a vita. In ogni caso, ti consiglio di pensarci bene, perché certe opportunità non capitano tutti i giorni e la marina non ha soldi, né intenzione di investire in ogni singolo ufficiale minore».
Smoker digrignò i denti in una smorfia di disappunto, non era certo la risposta che si aspettava, ma raramente Aokiji dava la risposta che ci si sarebbe voluta sentire; era sempre stato una guida e continuava ad esserlo, spingendolo a pensare con la propria testa, a decidere da solo cosa fosse la giustizia senza sottomettersi ciecamente a un insieme di leggi. Era stato un amico e un padre e, nonostante si trovasse di fronte a una testa di legno, continuava a cercare di insegnargli cosa volesse dire affrontare la vita.
«Ora, se vuoi un consiglio da amico, torna dalla giovane e affascinante nipote di Akainu, accetta il suo regalo e se proprio senti che questo va a minare il tuo orgoglio cerca di farle un regalo che possa farle altrettanto piacere» borbottò l’uomo «Adesso, se non ti spiace, fuori. Sciò. Ho cose importanti da fare».
Smoker si ritrovò a camminare lungo la banchina con un muso lungo e un’irritazione crescente, la strada da prendere la conosceva fin troppo bene e quando raggiunse la porta dell’appartamento di Hina si bloccò di colpo, rimanendo ad ascoltare il sommesso brusio che proveniva dall’interno. Non fece nemmeno in tempo ad allungare la mano verso la maniglia che l’uscio si aprì di scatto e Hina gli andò a sbattere contro, cadendo rovinosamente a terra.
«Che seccatura» sibilò «Hina è seccata».
«Lo so» rispose scavalcandola ed entrando in casa.
«Hai ventisette anni, non ti sembra il caso di piantarla di fare testa o croce quando vuoi scaricare la patata bollente?» domandò la ragazza con tono irato «Testa accetto il tuo regalo, croce non lo accetto? È un fottuto regalo, lo accetti e basta!»
«Lo accetto».
«Cosa?» chiese Hina interdetta «Davvero? Oh, meno male! Quale vuoi?»
Sul tavolo spiccavano in bella vista due frutti bitorzoluti dalla forma poco rassicurante; seduti attorno ad esso Drake e una Bonney di circa quindici anni li osservavano con aria annoiata.
«Possiamo vedere cosa fanno?» domandò sua cugina, masticando per inerzia dei marshmellow.
«Vi prego, ho una riunione dei Capitani tra due ore» li implorò Drake, accarezzandosi la cicatrice sul mento.
Smoker e Hina si fissarono per qualche istante, indecisi, alla fine fu la ragazza ad avvicinarsi al tavolo con un coltello e a sedersi di fronte a un frutto viola scuro dalla forma simile a quella di un verme; dall’altra parte del tavolo Smoker fissò il piatto con il suo contenuto color grigio topo, almeno aveva una forma sferica, pensò.
«Se dovesse darmi qualche potere deficiente tipo quello del Vice Ammiraglio Dalmata sappi che ti odierò per sempre».
«Hina ci convivrà» borbottò la ragazza, tagliando uno spicchio e portandoselo alla bocca.
«Disgustoso, vero?» chiese Bonney, improvvisamente interessata, scoppiando a ridere di fronte alla faccia disgustata di sua cugina.
«Sta roba fa vomitare» mugugnò Smoker, ingoiando a fatica.
Si fissarono per qualche secondo, osservando le rispettive espressioni schifate senza trovare la forza di prendersi in giro a vicenda, quindi presero a guardarsi le mani e a cercare mutamenti invisibili sul loro corpo.
«E ora?» domandò Hina, sollevando il capo verso Drake.
«E che ne so io, prova a fare qualcosa».
«Qualcosa cosa?» chiese Smoker a sua volta, accendendosi un sigaro nel tentativo di eliminare quel sapore disgustoso.
«Tipo quello, probabilmente» notò Hina, indicando la sua mano che andava dissolvendosi in fumo a contatto col fumo stesso sigaro.
«Che cazzo!»
«No, se mai che culo» lo corresse Drake «Ad occhio è croce dovrebbe essere un Rogia».
«E tu, invece?» domandò Bonney afferrando un libro e lanciandolo contro la cugina.
Hina allungò il braccio, nel tentativo di prenderlo al volo e quando la sua mano incontrò il volume, questo venne avviluppato da uno spesso cordone nero di un materiale simile a gomma e ricadde pesantemente a terra.
«Che diavolo?» domandò Smoker avvicinandosi.
«È solido» constatò la ragazza toccando il materiale «Sembra quasi una sorta di nastro di ferro».
«Potrebbe avere risvolti più utili di quanto non pensi» fece notare Drake, per poi affrettarsi a specificare di fronte all’occhiata penetrante di Smoker «Sul lavoro! Intendevo sul lavoro!»
«Che facciamo ora?» chiese Hina, che non aveva pensato bene a quale sarebbe stato il passo successivo una volta ottenuti i frutti.
«Non che abbiamo molta scelta, per regolamento dobbiamo seguire l’addestramento speciale di Zephyr».
«Come tornare a sentirsi una recluta a venticinque anni» borbottò la ragazza.
«Figurati come mi sento io».

«Fammi capire» domandò Hina strabuzzando gli occhi e rigirandosi la lettera di trasferimento tra le mani «Come ci sei riuscito?»
L’uomo sollevò le spalle, sistemandosi i sigari nelle apposite fessure sulla giacca.
«So essere convincente» dichiarò.
«Le hai rotto le palle finché non ti ha detto sì, non è così?»
«Potrebbe essere» concesse.
Non era stato facile persuadere la vecchia Tsuru a prendere Hina nel suo reparto, la selezione era accurata e metodica e il Vice Ammiraglio sceglieva personalmente chi portare con sé nei suoi viaggi; tuttavia, trascorrere qualche mese sotto la sua supervisione non poteva che essere una nota di merito per qualunque donna che avesse deciso di arruolarsi in marina. Avere lavorato con lei era una garanzia di qualità e si diceva anche la giovane e affascinante nuova Vice Ammiraglia Momousagi fosse stata una sua protetta.
Hina strinse la lettera, con aria deliziata, e gli gettò le braccia al collo, depositando un bacio veloce sulle labbra dell’uomo.
«Grazie! Hina è davvero, davvero felice!»
«Lo so».
«Non tirartela troppo» lo rimbeccò, senza però smettere di sorridere.
Smoker sollevò le spalle e si lasciò cadere a sedere sul divano bianco del salotto, osservando a occhi socchiusi Hina che cercava di sistemare una lista di priorità.
«Oh, dovrei andare ad avvisare mio zio» borbottò storcendo il naso «Meglio che vada subito prima che mi passi di mente».
«Io non mi muovo da qui».
«Come ti pare, ma non fumare troppo in casa. A Hina fa schifo l’odore di sigaro sui mobili».
Smoker non si premurò nemmeno di rispondere, agitando la mano come a scacciare una mosca e reprimendo un sorrisino compiaciuto nel sentire il gemito di irritazione della ragazza mentre chiudeva la porta; rimase ad osservare l’appartamento vuoto e immacolato dell’amica per qualche istante. Le pareti bianche, decorate da pochi semplici quadri, le fotografie disposte con ordine sul cassettone del salotto, i piatti dipinti a mano che le aveva regalato sua zia quando si era comprata quella casa.
Non fece troppo caso alla porta che si apriva e degnò Cancer di uno sguardo solo quando questo aprì la bocca per parlare.
«Non è in casa» gli fece notare.
«Come sarebbe non è in casa» si lamento Brandnew da dietro le spalle del biondo.
«È andata da suo zio a comunicargli il trasferimento».
«Quale trasferimento?» domandò Cancer, lasciandosi cadere a sedere sopra una sedia senza tanti complimenti, la sua giacca da retro-ammiraglio scivolò lungo lo schienale e rimase a penzolare.
«Tsuru. Tra due giorni».
«Non sono sicuro di avere capito» borbottò Brandnew aggrottando le sopracciglia.
«Già pensavamo avrebbe fatto richiesta per entrare da Aokiji con te».
Lo sguardo di sufficienza che Smoker gettò loro fu talmente eloquente da spingere Cancer a sollevare le mani in segno di resa.
«Cazzi vostri, ho capito. Non mi sembra una scelta intelligente per una relazione stabile, però. E questo è solo il mio modesto parere di cui non ti è mai importato una minchia».
«Se lo sai, perché ogni singola volta devi venire a dirmi quello che pensi?»
«Perché infastidirti è il mio hobby, mi pare chiaro» scoppiò a ridere l’amico.
«Fottiti, Cancer» sbottò Smoker, sollevando il dito medio «In ogni caso né io né Hina abbiamo problemi con la cosa, non vedo perché dovresti averne tu».
«Perché io, nonostante quello che tutti pensate, ho un cuore di burro e non riuscirei a stare così lontano dalla mia dolce metà».
Smoker lo guardò allo stesso modo in cui si guardano i deficienti, mentre Brandnew, seduto su una delle poltrone vicino alla finestra, sollevò le sopracciglia con aria divertita.
«Hina mi sembra tutto meno che dolce» dichiarò.
«Senza contare» continuò Smoker dandogli ragione «Che la nostra relazione non è esattamente di pubblico dominio, se dovesse arrivare alle orecchie dell’ammiragliato danneggerebbe sia la sua carriera che la mia».
«È una questione di carriera? Seriamente?»
«Credi che per lei non lo sia? Credi che Hina sia una persona così debole da non sopportare la distanza o la solitudine? Quella donna è fatta di acciaio, lasciatelo dire».
Cancer sospirò, rassegnato.
«La fiducia cieca che avete l’uno nell’altra mi destabilizza, ma chi sono io per giudicare».
«Soprattutto quando non riesci a tenerti una donna per più di due settimane, figurarsi per una vita» fece notare Brandnew, ignorando il dito medio che si sollevò in risposta.
«Quindi in due giorni parte con la terza divisione e chissà quando la rivedremo. È un po’ triste questa cosa. Prima i vostri nuovi frutti del diavolo, ora le riassegnazioni».
«Chi l’avrebbe detto che fossi un vecchio sentimentale» lo prese in giro Brandnew.
«Non siamo tutti culo e camicia con l’uniforme come te, demente, ho anche dei sentimenti io!»
«Cosa vuoi che ti dica, Cancer» rispose Smoker tirandosi in piedi e affacciandosi alla finestra, una larga vetrata che offriva una vista sull’intera baia di Marineford «È un nuovo inizio».


   
 
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