.. Dopo mesi ho deciso di continuare col pen’ultimo extra
di questa storia che mi è rimasta, inesorabilmente nel cuore. Extra dedicato a
Gojyo che ripercorre un po’ la vita di tutti i suoi amici degli ultimi quattro
anni dopo l’ultimo extra. Ho tentato di scrivere in prima persona, è la prima
volta che mi cimento quindi mi scuso se vi risulterà pesante. E’ un capitolo
molto corto però abbastanza importante, senza questo inframezzo l’ultimo
capitolo sarebbe stato veramente difficile da seguire. Più che altro perché… ma
lo capirete ^__^
Ringrazio le persone che hanno aggiunto questi extra tra i
preferiti, che li hanno commentati e che semplicemente hanno un buon ricordo di
WE ARE.
Un grazie particolare va sicuramente a HOPE che mi ha
aiutato nella stesura di questo extra, prestandomi aiuto in una difficoltà come
‘scrivere in prima persona’ di cui lei è stra-esperta!
Che altro aggiungere… presto arriverà l’ultimo vero extra…
vi avverto già che non tutti saranno felici e che lieto fine non esiste sempre
per tutti.. ma penso sia normale…
Vi auguro una buona lettura… e ancora grazie, davvero
Yama
COLTRE PERENNE
Era bellissima. La cosa più bella che avessi mai toccato.
I miei polpastrelli adoravano giocare con le curve leggere e ascoltare i
piccoli fremiti che gli provocavo col mio tocco gentile. Lei era calda,
bollente alle volte. Il suo respiro era aggraziato e il suo sorriso… ah, quel
sorriso che sapeva di fragole e lampone, una ventata d’aria fresca in piena
estate, un maglione caldo sulla neve. I suoi occhi, color del cioccolato, così
vivi e pieni di gioia. I suoi capelli, boccoli d’acero che ricadevano gentili
sulle spalle e incorniciavano quel viso puro. Vederla nuda, sentirla sulla mia
pelle era una sensazione indescrivibile.
Il sapere che era mia era indescrivibile.
Ci frequentavamo da circa due mesi. Era stato Goku a
presentarmela, stranamente la scimmia aveva fatto qualcosa di buono. Lei era la
pasticcera di una cioccolateria piuttosto rinomata di un villaggio a metà
giornata di distanza. La scimmia riusciva a percorrere quello spazio in metà
tempo al solo pensiero di gustare quelle prelibatezze, in più se si portava
dietro pure Bokunii la loro diventava sempre una sfida all’ultimo boccone.
Seiry odiava tutto quello, un po’ perché la sera
arrivavano sempre imbrattati di cioccolata ovunque e un po’ per la gelosia suppongo, ma su questo argomento non ho
mai osato approfondire oltre.
Il loro bambino ha
raggiunto ormai l’età di dieci anni.
Loro, stranamente, sono una
coppia solidissima, anche se ogni tanto
vedo la scimmia scappare per tutto il paese rincorso da lei con un matterello
in mano. E’ pur sempre la sorella di un bonzo corrotto!
Lei l’avevo
conosciuta così, un pomeriggio inoltrato di primavera.
Le foglioline verdi si tiravano per poter raggiungere
l’ultimo raggio di sole della giornata. Doveva fare una consegna nel nostro
villaggio e Goku aveva fatto la strada del ritorno con lei. Ovviamente Seiry
non la prese bene e iniziò a inseguirlo e urlargli contro le cose più assurde.
Appena i nostri sguardi si incontrarono fu subito attrazione. Lei era
splendida. Un raggio di sole tra le prime luci dei lampioni. Il suo sorriso
genuino sembrava accarezzarle il viso e schiaffeggiare il mio. Non tentai
nemmeno il mio comune approccio, fui stranamente e straordinariamente gentile,
mi venne spontaneo. La accompagnai nella locanda di Tomo e lì la lasciai, senza
aggiungere altro. Il giorno dopo, come per magia, la ritrovai sul ciglio della
mia porta, con aria decisamente colpevole. L’aveva spedita Goku da me, con una
scusa ridicola, solamente per farci incontrare.
E da allora fu magia.
Non ricordo quante volte ho percorso quel tragitto, so
solamente che ogni volta mi sembrava più breve. Volavo da lei, i miei piedi non
toccavano nemmeno il suolo, lo potevo giurare. Sarà stata l’età o l’enorme
maturità che ne era conseguita, ma non passavo più da un letto all’altro ormai
da tempo, quasi stessi aspettando qualcosa. E in quel momento avrei giurato di averla trovata quella
cosa, unica ed essenziale, per il quale vivi. L’amore.
Dell’amore ben poco sapevo in fondo. Non che me ne fosse
mai importato. Ma forse gli esempi che avevo accanto a me ogni giorno mi
avevano spronato a darmi una decisiva regolata.
Hakkai e Tomo erano un forno per bambini. Avevano avuto il
loro piccolo mostriciattolo subito dopo la novella notizia di Reiji. Era una
bambina dagli occhi smeraldo e capelli violetti. Uno splendore con una
boccuccia adorabile e delle vistosissime orecchie appuntite. L’avevano chiamata
Shori, nome con un qualche significato di cui non ho mai ben afferrato il
concetto. Cresceva come un peperino, sempre scorbutica e dispettosa. Adorava
tirarmi morsi e se osavo dare confidenza al padre provava ad uccidermi… mai
sottovalutare un demone così piccolo. Hakkai era per lei un santo sceso in
terra, non si staccava da lui nemmeno se la tiravano via, sempre con quel suo
ditino in bocca e la faccetta indignata. Dopo un anno nacque il secondo figlio,
Shin, un amore di bambino con occhioni verdi e sottili capelli castani. Non c’è nemmeno bisogno di dire che
era palesemente identico ad Hakkai, sempre col sorriso stampato in faccia e con
la voglia di farcela da solo. Basti dire che ha iniziato a camminare prima di
compiere un anno. Una famigliola felice insomma, dove dei bambini potevano crescere
in tutta tranquillità. Tomo aveva eredito la locanda di sua ‘zia’, deceduta
qualche anno prima, e lei e Hakkai si davano un gran da fare ogni giorno per
mantenerla attiva come un tempo. I piccoli erano praticamente cresciuti lì
dentro.
Altro esempio di positività e devozione assoluta verso la
famiglia era data da Shuni e Eiri, che si erano sposati appena il loro bambino,
Taki, aveva compiuto un anno. Eiri aveva allargato la sua bijoutteria tanto da
non riuscire più a svolgere il lavoro da sola, la gente arrivava a fiotti da
ogni villaggio nei paraggi, per la felicità di Seiry, che sembrava aver trovato
un lavoro che le andava a genio. Shuni aveva aperto una carrozzeria, in questi
ultimi anni girano sempre più macchine e moto, e stava andando alla grande.
Senza contare che era l’unico al mondo a cui Reiji avrebbe mai affidato la sua
preziosissima moto…. e Taki, quel piccolo batuffolo dagli occhi vermigli, era
una sagoma assoluta. A tre anni non aveva ancora ben imparato a stare
correttamente in piedi, non perché avesse qualche strano ritardo ma
semplicemente perché era imbranato. Un piccolo e adorabile mezzo demone
imbranato. Appena vedeva qualcuno, si alzava maestosamente, faceva due o tre
passi goffi e capitombolava per terra. Splendido. E la cosa più divertente è
che si alzava subito, senza una lacrima, ma con un sorriso ebete stampato sul
viso. I genitori stravedevano per lui, lo coccolavano e seguivano a dismisura.
Un po’ tutti in realtà, perché il sorriso candido lo aveva preso dal padre
quindi risultava irrimediabilmente simpatico. Ma la cosa più buffa di quella
strana combriccola è che, a pochi mesi dalla nascita di Taki, un nuovo piccolo
membro si era inserito in famiglia. Si trattava del cuccioletto di Shun-chan,
avuto da una cagnetta di razza diversa. Nome? Ovviamente avevano optato senza
indugio per Taki-chan.. che famiglia ridicola!
E infine c’erano loro, la famiglia meno convenzionale
della storia del Toghenkiò. Ancora oggi mi chiedo come possa crescere un figlio
in un ambiente così mal sano. E non perché girino al suo interno cose strane, Reiji aveva proibito ogni sorta
di fumo nella casa, ma perché i genitori sono tutto fuorché ‘genitori’.
Reiji aveva aperto un atelier, dando lavoro a quasi
l’intera cittadinanza. I suoi vestiti venivano richiesti in tutto lo stato, i
giornalisti facevano quasi a botte per avere un’intervista con lei. Lei, sempre
indaffarata e richiestissima, si prendeva goffamente cura della piccola casa e
cercava di dedicare continue attenzione alla figlioletta. Quest’ultima, un
minuscolo fagottino con occhi cremisi e stesso color di capelli, non era una
normale bambina. Sorrideva, giocava, ma era parecchio matura per la sua quasi
nulla età. Aveva imparato a camminare nella casa degli zii, sotto gli occhi
stupefatti di Goku e gli applausi soddisfatti di Bokunii, e mal gradiva la
presenza degli altri bambini, tollerava giusto Taki. Il padre lo vedeva di
rado, in effetti Sanzo stava parecchio fuori casa. Questa era la condizione
impostagli dai Sambuzzushin che gli avevano ‘gentilmente’ concesso di farsi una
famiglia e di non vivere dentro un tempio. In cambio doveva girare per il
Toghenkiò a predicare la via del Buddha. Non ho mai saputo e mai vorrò sapere
ciò che fa Sanzo in questi suoi viaggi, secondo me brucia ogni tempio che incontra.
Comunque Korry, nome scelto da Reiji per non troppi velati motivi, cresce bene,
anche se quel suo taglio d’occhi sottile la rende troppo simile al bonzo!
Dopo tutti questi miei esempi positivi come non ricordare
Uryuu, che parte per mesi continuando a girare il mondo, sulla sua moto nuova
di zecca. Ogni volta che torna è una festa per tutti i bambini, in effetti le
sue storie sono appassionanti. Mi chiedo quanto ci sia di vero però…
E infine i miei ricordi si posano nuovamente velati su di
lei. Lei. La sola donna che abbia stretto fra le braccia per più di due notti.
L’unica che mi abbia mai sorriso dolcemente e che mi abbia mai presentato come
‘il mio uomo’.
Lei, e il suo viso candido fanno ormai parte dei miei
ricordi.
La conoscevo da qualche tempo prima di decidere di mettermici insieme. E già
sapevo a cosa andavo incontro, ma non pensavo fino a che punto avrei retto.
Lei, che con quella sua voce melodiosa mi parlava di
famiglia, una cosa che mi scaldava il cuore al solo pensiero. L’idea di averne
una tutta per me, un pensiero mai lontanamente sfiorato ne sperato. Ma famiglia
voleva anche dire bambini. Oh, quanto ricordo il suo sguardo che si illuminava
quando si pronunciava la parola ‘bambini’. Le sue gote avvampavano e il suo
sguardo cadeva lontano, probabilmente in un futuro insieme. La maternità era la
sua ragione di vita, l’avevo capito fin troppo chiaramente. E io, cosa potevo
offrirle? Io, che ero già nato sterile, cosa avrei potuto donare alla mia
donna? Alla donna che amavo.
Nulla.
Lasciarla, spezzarle il cuore, è stata la cosa più
difficile che abbia mai fatto. Ma si farà sicuramente una vita, una vera vita,
accanto a un uomo che possa darle ciò che desidera, non vicino a un vile mezzo
demone.
Ora è il mio cuore che è spezzato e stranamente l’unica
persona che sta tentando di curarlo è la donna del mio migliore amico.
Coincidenza banale.
Socchiudendo gli occhi, la notte, nelle tenebre, ancora
sento il suo profumo. Alle volte mi immagino anche il suo tocco delicato. Come
sarebbe stato bello sentire la sua voce pronunciare il mio nome, per sempre. E
sarebbe stato altrettanto bello sentire la vocina di una creaturina minuscola
che mi chiamava ‘papà’.
Tutto ciò non rimane che un sogno. Un sogno in questa
fredda notte d’inverno, dove ogni pensiero viene sommerso da una coltre di
ghiaccio…… perenne.