CAPITOLO
12.
UNA COSA
SOLA.
Pov Akito.
Mi
resi conto di essere arrivato a casa solamente quando svoltai l'angolo
e mi ritrovai di fronte la villetta in cui ormai abitavo da ben quattro
mesi. Era una settimana che non mi avvicinavo a quel luogo, ero passato
dal divano di Tsuyoshi, a quello di Fuka, a quello di Gomi, e mi
sembrava un'eternità che non dormivo nel mio letto.
Mi
mancava. Mi mancava Sana, mi mancava mia nipote. Mi mancava la mia
vita.
Parcheggiai
al solito posto, sapendo perfettamente che Sana sarebbe stata in casa
con Kaori, ma aspettai prima di scendere dall'auto.
Buttai
la testa all'indietro sbuffando, ero esausto mentalmente. Non sapevo
come riuscire a scusarmi, non sapevo nemmeno se sarei stato in grado di
guardarla in faccia senza crollare. Chiusi gli occhi cercando di
raccogliere tutta la forza che avevo e ripensando alle parole di
Tsuyoshi.
Tsuyoshi
non mi ascoltava, non riusciva minimamente a rendersi conto della
gravità della situazione.
Io
ero disperato.
«Senti,
Tsu... la cosa è andata in questo modo, io mi sono
incazzato, lei si è incazzata e la discussione è
degenerata. Io avrò esagerato, ma di certo lei ha superato
ogni limite.»
Ripensai
per un attimo alle parole che Sana mi aveva urlato contro. Non
immaginavo di poter soffrire tanto, almeno speravo che dopo il nostro
matrimonio le cose sarebbero state diverse.
Mi
sbagliavo di grosso evidentemente.
«Akito,
ascoltami, spero che sia l'ultima volta che dovrò
ripetertelo. Sana non vuole più un matrimonio di facciata.
Lei ti ama, e ogni minima discussione degenera perchè non
riuscite a sopportare l'idea che l'altro si allontani.
Cosa
hai pensato quando hai sentito quell'intervista?".
Cercai
di visualizzare l'esatto momento in cui, mentre prendevo i suoi
cornetti preferiti, avevo sentito quelle parole. Il regista si rigirava
tra le mani la sceneggiatura di quei momenti, stuzzicando la
giornalista che aveva offerto un milione di dollari per leggere quei
dialoghi.
Anche
io li avrei offerti.
«Ho
pensato che la storia si ripeteva. Che lei avrebbe scelto un qualsiasi
attore piuttosto che me.»
Tsuyoshi
annuì e posò la tazza di caffè che
aveva appena finito di bere.
«Ma
sentiti! E' questo il problema, Akito. Tu sei profondamente insicuro
nei suoi confronti e la gelosia ti sta divorando. Dovresti
semplicemente chiarire il concetto che, anche se siete sposati
solamente sulla carta, tu la vuoi. E' questo il punto: dovete dirvi
ciò che provate, altrimenti sarà tutto inutile.
Non chiarirete mai.»
Le
parole del mio migliore amico mi risuonavano nella mente, come un
monito per la discussione che di lì a breve avrei avuto con
Sana. Dovevo essere sincero, dovevo riuscire ad esprimere i miei
sentimenti, anche se quello avrebbe significato espormi totalmente.
Il
problema era che per me, espormi, non era proprio la cosa
più semplice del mondo, specialmente con lei. L'avevo fatto
tante, troppe volte e ognuna di esse mi aveva lasciato deluso,
perchè Sana non era mai riuscita ad arrivare a
ciò che volevo dirle. Era l'unica a non capire quanto io
tenessi a lei e, probabilmente, io ero l'unico a non vedere i suoi
sentimenti per me.
Feci
un respiro profondo e scesi dall'auto, chiudendo la portiera. Cercai le
chiavi nelle tasche dei jeans e, dopo aver alzato gli occhi al cielo
chiedendo un po' d'aiuto, aprii la porta, sperando di trovare Sana ben
disposta a chiarire la situazione.
Quando
entrai in casa la porta fece un po' di rumore e quello mi
ricordò tutte le volte che Sana mi aveva chiesto, anche
prima delle nozze, di dargli una controllata. Avrei dovuto farlo.
«Aya..
sei tu?».
Aya
aveva le chiavi di casa nostra? Quella era una novità per
me.
«No...»
sussurrai. La vidi arrivare all'ingresso a piedi nudi con addosso una
mia maglietta che le stava piuttosto larga, probabilmente aveva dormito
tutto il pomeriggio e quando Sana si svegliava non era mai di buon
umore, cosa che mi avrebbe causato non pochi problemi.
«Ah..
sei tu.».
La
sua espressione era un misto di stupore, disgusto, rabbia e, anche se
avrebbe voluto nasconderlo, felicità. I suoi occhi la
tradivano, come sempre, e io ero l'unico in grado di riuscire davvero a
vedere i segreti che rivelavano.
Quella
dote mi sarebbe tornata utile se solo fossi stato in grado di capire
anche cosa le passava davvero per la mente quando litigavamo. Non ero
mai pronto con Sana, non sapevo mai come rispondere o controbattere,
perchè mi faceva perdere le staffe e allo stesso tempo mi
elettrizzava. Mi innervosiva, eppure in un modo o nell'altro sapeva
anche come tranquillizzarmi. Era la mia contraddizione quotidiana.
Rimase
per qualche secondo ferma, proprio davanti a me, prima di tornare in
cucina da Kaori che sentivo lamentarsi.
Le
andai dietro, vedendo ondeggiare quel meraviglioso lato B proprio
davanti ai miei occhi, e sperai di essere in grado di controllarmi,
anche se la vedevo difficile.
Quando
vidi mia nipote la mia giornata era già di gran lunga
migliorata, almeno lei sembrava felice di vedermi perchè mi
sorrideva tutta contenta ed era completamente coperta di latte che
emanava un odore disgustoso. Le diedi un bacio e mi allontanai quasi
immediatamente.
Avevo
lasciato mia nipote e mia moglie sole per un'intera settimana solo
perchè un'intervista mi aveva fatto incazzare. Ma che razza
di marito e, probabilmente, padre sarei potuto essere? Uno di quelli
che alla prima difficoltà scappa, senza guardarsi indietro.
Uno di quelli che, al primo litigio, al primo problema, chiama
l'avvocato e chiede i moduli per il divorzio.
No,
non volevo essere quel tipo di marito, non volevo quello per me e per
Sana.
«Come
è andata quest'ultima settimana?»
Sana
continuava a dar da mangiare a Kaori, non mi guardava nemmeno e in
realtà aveva ragione, perchè potevo anche essere
arrabbiato a morte, non dovevo andarmene così su due piedi.
Non dovevo lasciarle da sole.
Fece
una smorfia, infastidita dalla domanda e da me.
«Wow.»
si limitò a dire, per poi alzarsi, prendere un fazzoletto,
pulire la bambina e stenderla sul tavolo per cambiarle il pannolino.
«Sana,
ti prego.»
Continuò
a non guardarmi, come se la mia presenza fosse irrilevante.
Alzò le spalle, mi guardò dritto negli occhi con
uno sguardo che avrebbe potuto trapassarmi da parte a parte, e
tornò ad occuparsi di mia nipote.
«Sana.»
incalzai. Avevo bisogno di chiarire, avevo bisogno anche di sentirmi
dire che ero uno stronzo, l'avrei meritato, ma il silenzio mi spiazzava
perché non era mai stato contemplato in nessuna nostra
discussione e non sapevo come gestirlo.
«Hayama,
ho tra le mani tua nipote. Non posso discutere con te mentre cerco di
prendermi cura di lei quindi, gentilmente, aspetta e dopo avrai
l'Apocalisse a cui ti eri preparato.»
Le
parole uscirono dalla sua bocca come se stesse leggendo la lista della
spesa, fredda e schematica. Recitava, riuscivo a vederlo da miglia di
distanza, eppure annuii e lasciai che finisse di cambiare il pannolino
a Kaori e che la mettesse nella culla. Aspettai che la facesse
addormentare e che chiudesse la porta alle sue spalle, tornando
immediatamente in cucina da me.
«Sei
fuori da questa casa da una settimana, non pensi che meritiamo
più di un come è andata?!». Continuava
ad essere calma, metodica in tutto ciò che diceva e faceva,
e quella Sana era diversa da quella che conoscevo io. La mia Sana era
irascibile e impulsiva, non si tratteneva né tantomeno
parlava civilmente come stava disperatamente cercando di fare la
ragazza seduta di fronte a me.
Comunque
risposi. «Hai ragione, mi dispiace.»
Sorrise.
«Ti dispiace? Bè allora, se ti
dispiace...» ironizzò, buttandosi indietro sulla
sedia.
Mi
alzai e la raggiunsi, mettendomi accanto a lei.
«Cosa
vuoi che ti dica?».
Okay,
quella non era certo la battuta migliore da utilizzare in un momento
del genere, ma davvero non riuscivo a capire come portare avanti la
discussione senza finire con un rene venduto al miglior offerente.
Anche
Sana si alzò, evidentemente infastidita dalla mia frase
infelice e cominciò a camminare avanti e indietro davanti al
piano cottura.
Quando
non ne potei più di vederla fare sempre lo stesso tragitto
la bloccai, richiamando la sua attenzione.
«Sana,
adesso basta, parla e dimmi ciò che pensi.»
Sapevo
perfettamente che quello avrebbe sancito il mio suicidio, eppure non mi
importava: volevo solamente che quella discussione si concludesse, per
tornare al momento in cui avevamo messo pausa, mentre io dormivo vicino
a lei respirando l'odore di vaniglia che emanavano i suoi capelli.
«Cosa
penso? Vuoi veramente sapere cosa penso? Credimi, non
vorresti!» urlò contro di me, e finalmente
riconobbi la Sana che conoscevo. «Sei stato via una
settimana, un'intera fottuta settimana e tutto quello che sai dire
è come è andata! Hai lasciato tua moglie e tua
nipote da sole! E se ci fosse successo qualcosa? Se, mentre tu eri via,
Kaori avesse avuto la febbre? Se io fossi stata male e non avessi
potuto badare a lei? Eh? Ci hai pensato a questo?! Ma no che non ci hai
pensato, tu hai passato una settimana da sogno, circondato da
chissà quante sgualdrine pronte ad esaudire ogni tuo
desiderio. Sette giorni senza responsabilità e pensieri, in
cui l'unico problema è stato decidere quale ragazza doveva
scaldarti il letto. Bè, sai che ti dico? Tornatene da quella
che te l'avrà data questa settimana, almeno io non
dovrò guardarti in faccia!»
Rimasi
scioccato dalle sue parole e le analizzai tutte in un secondo solo.
Non
avevo riflettuto sul fatto che potesse accadergli qualcosa o sul fatto
che avrebbero potuto avere bisogno di me.
Io
me n'ero andato, lasciandomi tutto alle spalle, solo perché
ero arrabbiato con Sana.
Solo
dopo mi resi conto di ciò che aveva detto alla fine. Pensava
che l'avessi tradita. Mi venne da sorridere, per poco non le scoppiai a
ridere in faccia.
«Hai
anche la faccia tosta di ridere? Sei andato in escandescenza quando i
giornalisti ci hanno sorpresi sul balcone, ma non hai pensato
minimamente allo scandalo se ti avessero sorpreso con altre
ragazze.»
Mi
oltrepassò e andò in camera di Kaori, chiudendosi
la porta alle spalle.
Pov Sana.
Il
divano in camera di Kaori non era di certo il luogo più
comodo dove dormire, ma ormai era diventato il mio letto da
più di una settimana. Non dormivo con Akito da quando aveva
lasciato casa nostra, e quando era tornato la situazione non era di
certo migliorata. Ci vedevamo solamente a cena e, nonostante cercassi
sempre di non preparare nulla per lui, ogni volta che cucinavo mi
ritrovavo a fare quantità enormi quindi poi lasciavo il
piatto sul tavolo sapendo perfettamente che avrebbe mangiato. Mi
illudevo di non farlo per lui, dicevo a me stessa che ogni volta era
sempre uno sbaglio, ma anche se non eravamo in ottimi rapporti non
riuscivo a smettere di preoccuparmi per lui.
Non
avevamo più parlato dopo la discussione epocale di qualche
settimana prima, o almeno non eravamo più tornati
sull'argomento. Akito però sembrava spento, triste, non
giocava nemmeno più molto con Kaori che stava sempre con me
o con mia madre.
Il
signor Hayama era sempre in ospedale, e non eravamo riusciti a portarlo
fuori di lì nemmeno con la scusa del primo Natale di Kaori.
Niente lo smuoveva, niente gli faceva vedere le cose in modo diverso:
tutto ciò che riusciva a gestire era la mancanza di sua
figlia e non potevo biasimarlo per questo.
Guardai
Kaori dormire e pensai che se avessi perso quella bambina mi sarei
sentita allo stesso modo.
Andai
in cucina, dove trovai la tazza sporca della colazione di Akito, la
lavai e poi guardai il calendario.
23
dicembre. Mancavano poche ore alla vigilia di Natale e al giorno di
metà compleanno ed era il primo Natale che io e Akito
trascorrevamo così, lontani e arrabbiati. Durante gli
infiniti anni in cui pensavamo che l'amicizia fosse l'unica cosa a
legarci, avevamo sempre avuto l'abitudine di mettere da parte tutto
quando arrivava questo giorno.
Stavolta
sarebbe stato più complicato, non avevamo più
sedici anni e l'amicizia era forse l'ultima cosa che ci teneva insieme.
Presi
un vasetto di yogurt e mi buttai sul divano, incurante del fatto che la
casa fosse un disastro e che avrei dovuto cominciare davvero a darmi
una mossa per pulire quel casino, ma i miei pensieri mi portavano
sempre da un'altra parte.
Cosa
avrei dovuto fare con Akito? Cercare di chiarire? E per cosa?
Probabilmente durante quella maledetta settimana aveva avuto a che fare
con un'altra donna e io come avrei potuto perdonare una cosa come
quella? Non potevo. Non volevo.
Il
telefono cominciò a vibrare sotto di me, lo presi e risposi
senza neppure guardare chi mi chiamava.
«Tesoro,
sono io, la mamma.»
Mia
madre mi chiamava spesso ultimamente, troppo spesso, forse era riuscita
a scoprire cosa non andava tra me e Hayama.
«Hei
mamma, dimmi tutto ma sbrigati perchè ho da fare.»
«Oh,
che figlia amorevole! Volevo solo dirti che domani avevo pensato che
tu, Hayama e Kaori potevate venire da me, è la vigilia di
Natale e non mi va che siate a casa da soli. Puoi dirlo anche al signor
Hayama, anche se non penso che accetterà.»
«Il
signor Hayama non credo verrà, per quanto riguarda noi...
credo possa andare bene, non avevamo alcun impegno. Ci saranno anche
Rei e Asako?»
«Si,
ovviamente. Probabilmente saremo solo noi, quindi prepara Akito a dover
affrontare Rei in qualsiasi momento.»
Scoppiai
a ridere, immaginando il mio manager interrogare Akito puntandogli una
torcia negli occhi.
«Ridi
ridi, che domani sera ridiamo noi!»
Salutai
mia madre e tornai da Kaori. Akito era in palestra, sarebbe tornato da
lì a poco e, anche se ero ancora furiosa con lui, comunque
mi preoccupavo sempre quando ritardava.
Sentii
girare la chiave nella serratura quando ormai stavo finendo di
preparare la cena e, inconsapevolmente, mi ritrovai a sistemarmi i
capelli. Mi odiavo quando, anche se ero arrabbiata, comunque cercavo di
piacergli e di essere bella ai suoi occhi, nonostante sapessi benissimo
che non serviva a niente.
«Ciao
Sana..» Venne a salutarmi e io mi voltai e gli sorrisi,
perché in ogni caso non avrebbe cambiato le conseguenze
delle nostre discussioni. Ci eravamo urlati contro troppe cose e troppe
cattiverie per pensare solamente di chiarire tutto con un semplice
cenno.
Andò
a baciare Kaori che nel frattempo dormiva nella cesta vicina alla
televisione spenta che sembrava aumentare il silenzio tra noi due.
Mentre
eravamo a tavola l'atmosfera sembrava gelida, nessuno parlava o provava
anche solo ad iniziare una conversazione. Dall'esterno poteva anche
sembrare una normalissima cena di coppia. Comunque io dovevo dirgli
dell'invito di mia madre quindi presi un bel respiro e raccolsi tutto
il mio coraggio, provando a non tradire nessuna emozione.
«Mia
madre ci ha invitati a pranzare da lei domani, sai... è la
vigilia di Natale...»
Alzai
lo sguardo e lo abbassai immediatamente, passandogli l'insalata che
avevo tra le mani.
«E'
il giorno di metà compleanno.» continuò
lui. Sorrise e, per un secondo, dimenticai la mia rabbia e ricambiai il
sorriso. Poi tornai seria.
«Si,
bè... vorrebbe che Kaori passasse il suo primo Natale in
famiglia. E piacerebbe molto anche a me.»
Lui
annuì e incrociò i miei occhi, prepotenti e pieni
di disappunto, come sempre. «Mia madre ha esteso l'invito
anche a tuo padre, ovviamente.»
«Lo
avevo immaginato, ma non credo che mio padre sarà in vena di
feste natalizie.»
«Allora
potremmo passare da lui nel pomeriggio, e magari poi facciamo un salto
in ospedale.»
L'espressione
del suo volto si rabbuiò improvvisamente, come se parlare di
Natsumi lo turbasse più del solito.
«Va
bene, vedremo cosa dirà mio padre.»
Io
gli sorrisi, sperando di infondergli un po' di serenità
perché, anche se ero ancora furiosa, sapevo riconoscere un
brutto momento di Akito e, sicuramente, quello era il periodo
più difficile di tutta la sua vita.
Io
non potevo di certo dire diversamente: ero quasi certa che mio marito -
tale solo sulla carta - mi avesse tradita per l'intera settimana e
facevo da mamma ad una bambina meravigliosa ma che comunque non era mia
figlia.
Era
proprio il caso di dire che la mia vita era tutt'altro che perfetta.
Pov Akito.
Mi
svegliai di soprassalto, io e gli incubi ormai eravamo diventati intimi
amici, e poi il divano era freddo e troppo solitario. Mi mancava
dormire con Sana, il suo respiro regolare che mi cullava prima di
crollare nel sonno.
Guardai
il cellulare, erano appena passate le sei, quindi mi alzai e preparai
il caffè, poi aprii la finestra e lo spettacolo che mi si
presentò davanti mi lasciò a bocca aperta. La
neve aveva ricoperto tutto il giardino, la cuccia del cane che Sana non
aveva mai preso era totalmente bianca e anche la mia macchina quasi non
si distingueva sotto tutta quella coltre candida.
Per
la prima volta dopo tanti anni la neve mi dava una sensazione di
mancanza, forse perché dopo tempo era la prima volta che non
la condividevo con Sana.
In
realtà non doveva per forza essere così, lei
doveva solo fidarsi di me e invece si limitava a vedere ciò
che lei desiderava, senza curarsi della verità. Non potevo
di certo dire di essere migliore di lei, avevo dato di matto per
un'intervista e l'avevo lasciata da sola per un'intera settimana, non
mi ero preoccupato nemmeno per un secondo di cosa avrebbe potuto
pensare.
Avrei
voluto rimediare ma Sana continuava a scivolarmi dalle mani, come se
parlare con me fosse l'ultimo dei suoi pensieri. Temevo molto la sua
reazione ad una mia possibile richiesta di chiarimento, ma non potevo
lasciare le cose al loro destino. Presi la mia tazza di
caffè e uscii in veranda, il freddo mi penetrò
nelle ossa ma cercai di non pensarci, dovevo trovare un modo per farmi
perdonare e la questione era piuttosto complicata.
In
tutti questi anni eravamo riusciti, con una precisione quasi maniacale,
a non parlare dei nostri sentimenti, forse per paura che affrontando
quel discorso, avremmo cambiato il nostro rapporto. Ma ora, a distanza
di tempo, era proprio quello che desideravo, volevo amicizia,
complicità, ma al di sopra di tutto volevo vedere nello
sguardo di Sana un amore totale ed incondizionato, che mi desse la
certezza che mai nessun'altro avrebbe potuto prendere il mio posto nel
suo cuore.
Il
destino ci aveva dato la possibilità di iniziare a costruire
qualcosa insieme, e se si era rovinato la colpa era solo ed
esclusivamente della mia impulsività. D'altronde come potevo
biasimare il comportamento di Sana, io avevo dato di matto per una
semplice intervista, lei aveva avuto un atteggiamento molto
più maturo del mio, perché nonostante fosse certa
che avessi trascorso la settimana in compagnia di altre donne, mi aveva
permesso di tornare a casa e di restare. Anche se vedere ogni giorno
nel suo sguardo delusione e indifferenza erano certo la punizione
peggiore.
Senza
neanche rendermene conto i ricordi della nostra prima festa di
metà compleanno riaffiorarono in me fino ad arrivare al
momento di quel bacio fugace, dato con un leggero sfiorarsi di labbra.
Quello era stato il momento preciso in cui mi ero sentito perso,
perché avevo capito che Sana mi era entrata dentro. Preso da
questi pensieri non mi ero quasi reso conto che le mie mani, come
dotate di un'autonomia propria, avevano fatto un piccolo pupazzo di
neve.
Per
anni avevo pensato a quello come un nostro piccolo simbolo, come il
nostro gazebo lo avevo sempre considerato speciale. C'era qualcosa in
loro che rappresentava perfettamente la mia storia con Sana e rivederli
mi faceva sempre uno strano effetto.
Quando
baciai Sana quella sera, sotto la neve, il mio cervello era in totale
confusione, eppure nel momento stesso in cui me la ritrovai davanti
tutto mi fu chiaro: Sana era speciale, era la ragazza più
speciale che avrei mai potuto incontrare e non potevo lasciare che le
cose andassero da sole. In realtà poi successe esattamente
questo, troppe cose si sono messe tra di noi, troppi problemi, momenti
di rabbia, troppe parole non dette... e nonostante tutto ci eravamo
ritrovati con la fede al dito, se pure in circostanze non esattamente
convenzionali.
Guardai
per un attimo il pupazzo di neve, forse era il peggiore che avessi mai
fatto, ma doveva pur significare qualcosa, Sana doveva capire, costi
quel che costi.
Mi
voltai per rientrare in casa ma rimasi bloccato quando vidi Sana
appoggiata al portico della villa che mi fissava, con in mano la tazza
di caffè che avevo lasciato sulla panca. Indossava una
vestaglia blu, e sotto potevo intravedere il pigiama azzurro che io
odiavo profondamente. L'aveva fatto di proposito, metterlo sapendo che
non le avrei detto nulla a causa del nostro litigio, era una mossa ben
piazzata.
Accennai
un sorriso e lei si avvicinò, affondando i piedi nella neve.
Era così bella, anche senza un filo di trucco e quel pigiama
orrendo. Era perfetta in mezzo a tutto quel bianco.
«Le
vecchie abitudini sono dure a morire, eh?» mi disse
incrociando le braccia sul petto. Annuii, mettendomi le mani in tasca.
«L'ho
fatto per te, come sempre.»
«Come
sempre.» Ripeté lei, abbassando lo sguardo e poi
tornando a guardarmi negli occhi. «Kaori si è
svegliata, dovremmo prepararci...»
Capii
immediatamente che voleva sviare il discorso quindi non le feci
pressioni, avevo sbagliato e dovevo assumermi le conseguenze delle mie
azioni, quindi mi avviai verso la porta di casa.
Quando
mi girai verso di lei notai Sana che aveva lo sguardo perso nei ricordi
e due dita poggiate sulle labbra... forse non tutto era ancora perduto.
*
Dopo aver
fatto colazione con la cioccolata calda decidemmo di portare Kaori al
centro commerciale per la foto di rito con Babbo Natale. La bambina era
ancora molto piccola, però ci tenevo che avesse qualche
ricordo del suo primo Natale, anche se mancava sua madre. I medici
ormai si erano rassegnati all'idea che Nat non si svegliasse
più, erano passati mesi da quando avevano ricevuto un
qualsiasi tipo di risposta alle loro stimolazioni, quindi clinicamente
probabilmente la ritenevano già morta. Non potevo crederci,
e soprattutto non potevo pensarci il giorno della vigilia di Natale,
avrei rovinato la festa a tutti. Pensai a mio padre, a quanto potesse
sentirsi solo senza di lei e pensai a quanto mi sentivo solo io.
Nella
mia vita molte cose non erano andate come avrei voluto, ma avrei
preferito che la mia vita cadesse a pezzi piuttosto che vedere mia
sorella ridotta ad un letto d'ospedale, senza avere la minima
possibilità di vedere sua figlia crescere, la figlia per cui
aveva lottato, che magari aveva pensato di abbandonare ma che sapevamo
entrambi non avrebbe mai lasciato andare.
Guardavo
Kaori sorridere in braccio a quell'uomo tutto vestito di rosso e
pensavo a Natsumi e a quanto sarebbe stata felice di vedere sua figlia
così, innocente e ingenua, mentre la sua vita si incentrava
tutta tra le braccia di sua madre.
Sana
faceva un ottimo lavoro con mia nipote, non potevo rimproverarle
niente, ma avrei voluto che il nostro rapporto fosse nato in
circostanze diverse e che mia nipote avesse potuto vivere con la sua
vera madre.
Dopo
aver seguito Sana che girava come una trottola da un negozio all'altro
senza dare il minimo segno di cedimento o di stanchezza, tornammo a
casa per prepararci per la cena.
Mentre
lei si vestiva avevo tutto il tempo per mettere in atto il mio piano.
Avevo approfittato di una finta scappatella al bagno per comprare un
peluche a forma di pupazzo di neve, speravo che quel gesto le potesse
far capire che non aveva nulla di cui preoccuparsi e soprattutto che io
ero lì per lei, che non avevo alcuna intenzione di andarmene
- o per lo meno non l'avrei più fatto - e che la amavo, la
amavo davvero.
Non
avevo mai detto ad alta voce quella due parole, spesso Tsuyoshi tentava
di farmelo ammettere, provando e riprovando a non farmi innervosire, ma
puntualmente qualcosa mi faceva uscire di testa e tutto mi sembrava
inutile. Parlare, esprimermi, cercare di spiegare qualcosa per cui non
valeva la pena esporsi davvero.
Corsi
a prendere il peluche, lo misi sul letto in modo che lo vedesse non
appena fosse uscita dal bagno. Il cuore mi martellava nel petto e non
riuscivo quasi a respirare perché quello era il momento
della verità, era un dentro o fuori, era la vera prova del
nove.
«Hayama!»
urlò dalla nostra stanza. «Kaori è
pron...»
Si
zittì improvvisamente e io capii subito che aveva visto il
pupazzetto, speravo solamente che le piacesse e che mi perdonasse.
Pov Sana.
Mi
pietrificai all'istante quando mi accorsi del peluche che era
appoggiato sul letto, un piccolo pupazzo di neve totalmente diverso da
quelli che Hayama aveva fatto per me, che invece erano sempre pieni di
difetti. Sorrisi, pensando che in fondo non mi era mai importato
veramente del loro aspetto, di quanti occhi avessero e se fosse bella
la loro carota usata come naso. L'unica cosa che mi importava era che
Hayama me li aveva regalati, che li aveva fatti per me e, per un
secondo, fu esattamente la stessa sensazione che provai vedendo quel
pupazzo.
Mi
avvicinai e lo presi tra le mani. C'era un bigliettino, scritto a mano,
in perfetto stile Hayama.
Scusarsi non significa sempre
che tu hai sbagliato e l'altro ha ragione.
Significa semplicemente che
tieni più a quella relazione del tuo orgoglio.
(Fabio Volo)
Avevo
letto tanti libri di quello scrittore italiano, e lui aveva catturato
esattamente una delle frasi che mi aveva sempre colpito. Io non credevo
all'orgoglio, è irrilevante se ami davvero qualcuno... e
anche Hayama era arrivato alla mia stessa conclusione. Ma una settimana
di lontananza era comunque grave e anche se volevo disperatamente
lasciarmi tutto alle spalle il pensiero che per tutto quel tempo lui
aveva fatto ciò che voleva con chissà chi mi
torturava.
Sentii
bussare alla porta mezza aperta e io avevo ancora la lampo del vestito
abbassata. Lui si fermò a metà strada, incerto se
entrare o meno.
«Vieni...»
gli dissi voltandomi verso di lui. «Aiutami con la
zip»
Sapevo
benissimo che ciò che stavo facendo non lo lasciava
indifferente, ma non riuscivo davvero ad alzare quella cerniera e se
dovevamo parlare dovevo essere completamente vestita e padrona di me,
altrimenti non sapevo fino a che punto sarei stata in grado di
trattenermi.
Akito
era vestito di tutto punto, con un pantalone nero e la camicia bianca,
non portava la cravatta perché sapeva che non mi piaceva,
quindi si era comprato un papillon rosso e una pochette dello stesso
colore. Era perfetto.
Ci
mise un po' per alzare la zip, soffermandosi a sfiorare lentamente la
mia pelle e a me vennero i brividi. Come era possibile che solo un
semplice tocco potesse farmi quell'effetto?
Mi
voltai non appena sentii che aveva finito e mi ritrovai i suoi occhi ad
un centimetro di distanza. Avrei voluto abbracciarlo, dimenticarmi di
quanto ero stata male nel sentirmi dire tutte quelle cattiverie, ma il
mio cervello mi urlava di non farlo, di non lasciarmi andare di nuovo
perché sarebbe stato l'ennesimo errore.
Distolsi
lo sguardo, e presi la mia borsa appoggiata sulla sedia proprio dietro
di lui. Sentivo i suoi occhi seguirmi, lentamente, come una danza, e
non riuscivo a sentirmi a mio agio.
«Grazie...
per il regalo. Anche io tengo molto al nostro rapporto, adesso l'unica
cosa che mi serve è un po' di tempo per digerire quello che
è successo.»
Sapeva
perfettamente a cosa alludevo, ma il suo sguardo si riempì
di sorpresa, come se non capisse di cosa stessi parlando.
«Kurata
non è....»
«Non
importa, mi passerà.» lo interruppi
immediatamente, senza lasciargli il tempo di ribattere uscii dalla
stanza e andai a prendere Kaori.
Anche
durante il breve tragitto in macchina Akito tentò di
spiegarmi, ma lo fermai tutte le volte perché non volevo
rovinarmi la serata, mia madre non meritava che io arrivassi col muso
lungo, anche se in ogni caso non ero in vena di festeggiamenti.
Quando
arrivammo salutai mia madre e tutti gli ospiti che non mi aspettavo di
trovare lì, credevo sarebbe stata una cena intima in
famiglia, ma a quanto pareva la mitica signora Kurata non si smentiva
mai.
*
Tornammo a
casa abbastanza presto, Kaori aveva fatto un po' di capricci per
mangiare e quindi avevamo deciso di non fare tardi. Durante il tragitto
la bambina si addormentò, lasciandoci nel silenzio
più assoluto. Nessuno dei due osava dire qualcosa, ci
limitavamo io a fissare la strada davanti a noi e lui a voltarsi per
guardarmi ogni tanto. Quando arrivammo a casa Akito si offrì
di preparare Kaori per la notte e metterla a letto, mentre io andai
dritta verso la nostra camera per togliermi quel vestito scomodissimo.
Ero
esausta e non riuscivo a tenere gli occhi aperti.
Quando
mi tolsi l'abito mi guardai per un attimo allo specchio. Non sapevo
perché, forse una piccola speranza, ma avevo indossato un
completino intimo rosso. Tutta fatica sprecata, alla fine.
Pov
Akito.
La
serata passò piuttosto velocemente, il tragitto per arrivare
a casa fu rapido e silenzioso perchè nè io
nè Sana riuscivamo a dire nulla, mentre io avrei avuto
miliardi di cose di cui parlare. Avrei voluto scusarmi, ancora, farle
capire davvero che ero pentito per ciò che era accaduto ma
riuscivo solamente a voltarmi ogni tanto a guardarla mentre lei non
distoglieva lo sguardo dalla strada.
Kaori
si era addormentata in macchina e quando arrivammo a casa la preparai
per la notte mentre Sana si fiondò nella nostra camera. Non
ebbi nemmeno il tempo di portare la bambina nella sua stanza che,
passando per il corridoio, la porta semichiusa mi mostrò
probabilmente l'ottava meraviglia del mondo: Sana che si guardava allo
specchio mentre indossava solamente un completino intimo rosso fuoco,
con le bordature bianche. Era un sogno, nessun cartellone pubblicitario
le avrebbe mai reso giustizia, e i miei occhi probabilmente erano
accecati da quella visione, e non riuscivo a distinguere più
cosa fosse reale e cosa no.
La
immaginavo nuda, nel nostro letto, pronta ad accogliermi tra le sue
braccia, tra quelle lenzuola che volevo disperatamente mettere
sottosopra insieme a lei.
Bussai
piano, per evitare che capisse che ero già dietro la porta
ed entrai appena lei mi disse che potevo farlo.
Si
era coperta con un cardigan azzurro, che comunque non lasciava molto
all'immaginazione, e chiesi perdono mentalmente per tutti i pensieri
poco casti che stavano attraversando la mia mente.
«Bella
serata, eh?» esordì lei, vedendomi in evidente
difficoltà.
Annuii,
appoggiandomi alla porta che richiusi dietro di me.
«Ascolta...»
Cercai
di mettere insieme tutti i miei pensieri, dandogli un ordine che
comunque non prometteva nulla di buono, provando a guardarla negli
occhi senza crollare davanti a lei come un bambino.
«Non..
non c'è bisogno che dici nulla.» mi interruppe
lei. Io mi zittii immediatamente, tentando di decifrare le sue
espressioni. «Non voglio nemmeno sapere cosa hai fatto in
quella settimana, se ti è piaciuto quello che hai fatto, con
chi l'hai fatto, non mi interessa. Voglio solo che questo matrimonio,
se così può chiamarsi, funzioni. Non per me o per
te, ma per tua nipote, per la bambina che abbiamo deciso di tirare
sù, con la consapevolezza che sarebbe stato difficile, ma
non così. Non devi essere fedele a me, non te lo chiederei,
ma sii fedele a tua nipote, perché questo lo abbiamo messo
in piedi per lei e non voglio che tu rovini tutto solo
perché il fatto che io faccia un film ti fa uscire di
testa.»»
Non
distolsi gli occhi da suoi nemmeno per un istante perché
ogni singola parola mi feriva profondamente e soprattutto
perché mi infastidiva che lei potesse pensare che andavo a
scopare a destra e a manca con la prima che capitava.
Non
era così, perché fino a quel momento, ogni volta
che ero stato con qualcuno nella mia mente c'era sempre stata lei. Con
Fuka, ogni giorno, era come una lenta tortura perché la loro
somiglianza era impressionante e a volte non riuscivo a distinguere
fino a dove pensavo a lei e fino a dove invece Sana si impadroniva di
me. Mi ero sentito in colpa per anni per quello, quando guardavo le
ragazze e non trovavo in loro ciò che volevo, semplicemente
perché non erano lei. Non lo sarebbero mai state.
«Perché
sei così fermamente convinta che appena uscito da quella
dannata porta io sia andato a farmi qualcuno, così, per
vendetta?! Parli come se non mi conoscessi!»
Mi
resi conto solo dopo che avevo alzato il tono della voce e che lei si
era tirata indietro sul letto, come se fosse spaventata da me. Non
volevo metterle paura, volevo che capisse e lei non mi dava la
possibilità di spiegarmi, mai.
«E
tu perchè sei così fermamente convinto che il
fatto che io faccia un film in cui potrebbero esserci scene spinte
significhi che non me ne frega nulla di questo matrimonio? Come se
fosse un vero matrimonio, poi!»
Le
sue parole mi pugnalarono, lentamente e con forza, ma mi formarono un
buco al centro del petto così grande che non riuscivo quasi
a respirare. Se non credeva in quel rapporto, platonico per quanto
potesse essere, non doveva far altro che chiedere il divorzio e
lasciarmi, con la schiera di avvocati costosi che aveva alle spalle non
le sarebbe di certo riuscito difficile.
«Non
ho mai detto questo, non ho detto che non credi in questo matrimonio,
non ho detto che il lavoro che fai determina la persona che sei! Ho
semplicemente detto che avrei preferito staccarmi un braccio piuttosto
che vederti fare certe cose con un attore da quattro soldi!»
La
discussione stava degenerando, non riuscivamo più a tornare
ad un tono di voce normale e con le urla stavamo rischiando di
svegliare Kaori e passare la nottata in bianco.
«Non
osare fare questo a me!»
Si
alzò in piedi sul letto e lasciò andare il
cardigan che le scoprì nuovamente tutto il corpo, lasciando
in bella mostra quel completino intimo che avevo ammirato poco prima.
«Non dire che non vuoi che io faccia quel film
perché sei geloso, o perché c'è un
maledetto pezzo di carta in cui si dichiara che siamo marito e moglie,
perché fondamentalmente noi non siamo nulla!»
Scandì
le ultime parole come per ferirmi ancora di più, e anche se
non lo davo a vedere c'era riuscita perfettamente.
Poi
scoppiò in una fragorosa risata. «E poi
perché dovresti essere geloso? Non sono di tua
proprietà né sono tua in altri sensi, non hai
nessun diritto su di me!»
Quella
fu la goccia che fece traboccare il vaso, non risposi più di
me stesso e mi fiondai sul letto, bloccandola sotto di me. Si
dimenò per qualche secondo e poi capì che non
c'era verso di mettersi contro di me e risparmiò le forze.
«Non
avrò diritti su di te, è vero...» Mi
posò uno schiaffo sul viso così forte che quasi
riuscì a farmi spostare da sopra di lei. Quasi. Le trattenni
le mani ai lati della testa, sperando che la smettesse di comportarsi
come una bambina e che iniziasse ad ascoltarmi.
«Ripeto:
non avrò diritti su di te, è vero, ma siamo
sposati, che ti piaccia o no, e so che questo non giustifica il fatto
che io sia geloso di te, ma lo sono e non posso farci niente.
Non
ho nemmeno pensato di andare con qualcuna in quella settimana,
tutt'altro, il pensiero di averti lasciata da sola mi ossessionava e
non sono andato via perché ero arrabbiato o
perché non mi importasse di te, l'ho fatto semplicemente
perché anche solo immaginare di vederti toccare o... baciare
qualcuno, mi dà la nausea. Non ti ho tradita,
perché non potrei sopportare di farti così male,
quindi smettila di ripeterlo. Ora, puoi continuare a comportarti da
bambina e mandare all'aria questo rapporto, oppure puoi cominciare a
darmi un po' di fiducia, come quella che io cerco di dare a
te.»
Rimase
in silenzio, immobile sotto di me, e sperai che per una volta le mie
parole non l'avessero lasciata indifferente o sarebbe stata la fine del
nostro matrimonio e della nostra amicizia, anche se ormai definirla
tare era un eufemismo.
Pov Sana.
Rimasi
interdetta mentre Akito mi parlava con quegli occhi di ghiaccio.
Sembrava essere tornato per un secondo a parecchi anni fa, quando era
ancora la paura il sentimento che mi legava a lui. Non avevo temuto che
potesse farmi del male, quello non era nemmeno contemplabile e lo
sapevo bene, ma il suo sguardo era impalpabile, non riuscivo davvero a
capire cosa volesse dirmi. Che ci teneva a me, quello era certo, ma
poi? Cosa mi nascondeva?
Non
potevo biasimarlo comunque, anche io non ero di certo la persona
più chiara del mondo quando si trattava di mettere a nudo i
miei sentimenti.
Non
sapevo cosa rispondergli, di certo non volevo buttare via anni di un
rapporto che nel bene o nel male mi aveva sempre riempito l'esistenza.
Il fatto che fossimo sposati non cambiava nulla, non potevo
allontanarmi da Akito in ogni caso.
«Non
voglio perderti...» sussurrai. Me lo ritrovai improvvisamente
addosso, con il viso nascosto nell'incavo del mio collo.
«Non
potresti nemmeno se volessi. Non credo che sopravviveresti un giorno
senza di me a guardarti le spalle.»
Avrei
voluto che mi guardasse più delle spalle, ma non dissi
nulla, mi limitai a star zitta e ad assimilare le ultime rivelazioni
della serata.
«Adesso
puoi lasciarmi le mani o hai in mente di tenermi bloccata ancora per un
po'?»
Lui
si alzò e mi guardò negli occhi, magnetico come
sempre, e i suoi divennero liquidi mentre pensava a cosa fare. Sapevo
che non voleva lasciarmi andare, non parlò, semplicemente
fece per alzarsi ma, non appena le mie mani furono libere, lo attirai a
me e lo abbracciai, e il suo corpo aderì perfettamente sul
mio, come se fossero stati creati per stare in quella posizione.
Ci
addormentammo in quel modo, sfiniti dalla settimana appena trascorsa
che ci aveva visti troppo lontani e dalla discussione che era
degenerata in pochi secondi. Forse eravamo troppo coinvolti, forse
semplicemente non riuscivamo a fare a meno l'uno dell'altro per cui
ogni cosa sembrava l'apocalisse, ma la cosa che sapevo e di cui ero
certa era che quel filo che ci univa non si sarebbe mai spezzato,
nemmeno se uno dei due avesse provato a distruggerlo. Saremmo sempre
riusciti a trovare la nostra strada verso l'altro, perché
non c'era verso: eravamo una cosa sola.
La
storia sta prendendo una piega che forse nessuno si aspettava. Dal
primo capitolo nessuno, nemmeno io, si aspettava che Sana e Akito
sarebbero finiti con la fede al dito e, ancor meno, ad essere gelosi
l'uno dell'altro.
In
questi giorni riflettevo su ciò che ci rende davvero felici
e come il destino possa cambiare le nostre vite irrimediabilmente. La
loro è stata cambiata da una bambina, la mia spero che un
giorno sarà cambiata da un editore che pubblichi qualcosa di
mio.
Queste
storie sono un'ottima palestra per quando quel giorno, spero,
arriverà.
Lo
so che non ve ne frega niente, ma volevo condividere con voi questo
piccolo pensiero, perchè siete stati i miei primi lettori.
C'è chi mi segue da quando ho pubblicato qui Holiday, la mia
prima vera ispirazione, e che è rimasto con me quando ho
pubblicato University Life, sperando che la solita trama della ragazza
al college non annoiasse, e che adesso mi sta accompagnando in questo
terzo - e spero non ultimo - viaggio.
Spero
che un giorno, riuscirete a vedere il mio nome su qualche copertina e
ricordarvi che ero io, la pazza che ha fatto diventare Sana e Akito
genitori in un colpo solo ahahah :)
Bene... nel frattempo, se
vi va di seguirmi in qualsiasi modo, vi voglio segnalare la mia pagina
fb, appena aperta, che spero vi piacerà.
https://www.facebook.com/Battiti-di-me-182128238817285/
Vi
bacio tutti, in particolare Dalmata, la mia stupenda beta, e grazie
sempre... <3
Al prossimo aggiornamento,
Akura.
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