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Autore: Betta7    05/03/2016    8 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 12.
UNA COSA SOLA.


Pov Akito.

Mi resi conto di essere arrivato a casa solamente quando svoltai l'angolo e mi ritrovai di fronte la villetta in cui ormai abitavo da ben quattro mesi. Era una settimana che non mi avvicinavo a quel luogo, ero passato dal divano di Tsuyoshi, a quello di Fuka, a quello di Gomi, e mi sembrava un'eternità che non dormivo nel mio letto.
Mi mancava. Mi mancava Sana, mi mancava mia nipote. Mi mancava la mia vita.
Parcheggiai al solito posto, sapendo perfettamente che Sana sarebbe stata in casa con Kaori, ma aspettai prima di scendere dall'auto.
Buttai la testa all'indietro sbuffando, ero esausto mentalmente. Non sapevo come riuscire a scusarmi, non sapevo nemmeno se sarei stato in grado di guardarla in faccia senza crollare. Chiusi gli occhi cercando di raccogliere tutta la forza che avevo e ripensando alle parole di Tsuyoshi.

Tsuyoshi non mi ascoltava, non riusciva minimamente a rendersi conto della gravità della situazione.
Io ero disperato.
«Senti, Tsu... la cosa è andata in questo modo, io mi sono incazzato, lei si è incazzata e la discussione è degenerata. Io avrò esagerato, ma di certo lei ha superato ogni limite.»
Ripensai per un attimo alle parole che Sana mi aveva urlato contro. Non immaginavo di poter soffrire tanto, almeno speravo che dopo il nostro matrimonio le cose sarebbero state diverse.
Mi sbagliavo di grosso evidentemente.
«Akito, ascoltami, spero che sia l'ultima volta che dovrò ripetertelo. Sana non vuole più un matrimonio di facciata. Lei ti ama, e ogni minima discussione degenera perchè non riuscite a sopportare l'idea che l'altro si allontani.
Cosa hai pensato quando hai sentito quell'intervista?".
Cercai di visualizzare l'esatto momento in cui, mentre prendevo i suoi cornetti preferiti, avevo sentito quelle parole. Il regista si rigirava tra le mani la sceneggiatura di quei momenti, stuzzicando la giornalista che aveva offerto un milione di dollari per leggere quei dialoghi.
Anche io li avrei offerti.
«Ho pensato che la storia si ripeteva. Che lei avrebbe scelto un qualsiasi attore piuttosto che me.»
Tsuyoshi annuì e posò la tazza di caffè che aveva appena finito di bere.
«Ma sentiti! E' questo il problema, Akito. Tu sei profondamente insicuro nei suoi confronti e la gelosia ti sta divorando. Dovresti semplicemente chiarire il concetto che, anche se siete sposati solamente sulla carta, tu la vuoi. E' questo il punto: dovete dirvi ciò che provate, altrimenti sarà tutto inutile. Non chiarirete mai.»


Le parole del mio migliore amico mi risuonavano nella mente, come un monito per la discussione che di lì a breve avrei avuto con Sana. Dovevo essere sincero, dovevo riuscire ad esprimere i miei sentimenti, anche se quello avrebbe significato espormi totalmente.
Il problema era che per me, espormi, non era proprio la cosa più semplice del mondo, specialmente con lei. L'avevo fatto tante, troppe volte e ognuna di esse mi aveva lasciato deluso, perchè Sana non era mai riuscita ad arrivare a ciò che volevo dirle. Era l'unica a non capire quanto io tenessi a lei e, probabilmente, io ero l'unico a non vedere i suoi sentimenti per me.
Feci un respiro profondo e scesi dall'auto, chiudendo la portiera. Cercai le chiavi nelle tasche dei jeans e, dopo aver alzato gli occhi al cielo chiedendo un po' d'aiuto, aprii la porta, sperando di trovare Sana ben disposta a chiarire la situazione.

Quando entrai in casa la porta fece un po' di rumore e quello mi ricordò tutte le volte che Sana mi aveva chiesto, anche prima delle nozze, di dargli una controllata. Avrei dovuto farlo.
«Aya.. sei tu?».
Aya aveva le chiavi di casa nostra? Quella era una novità per me.
«No...» sussurrai. La vidi arrivare all'ingresso a piedi nudi con addosso una mia maglietta che le stava piuttosto larga, probabilmente aveva dormito tutto il pomeriggio e quando Sana si svegliava non era mai di buon umore, cosa che mi avrebbe causato non pochi problemi.
«Ah.. sei tu.».
La sua espressione era un misto di stupore, disgusto, rabbia e, anche se avrebbe voluto nasconderlo, felicità. I suoi occhi la tradivano, come sempre, e io ero l'unico in grado di riuscire davvero a vedere i segreti che rivelavano.
Quella dote mi sarebbe tornata utile se solo fossi stato in grado di capire anche cosa le passava davvero per la mente quando litigavamo. Non ero mai pronto con Sana, non sapevo mai come rispondere o controbattere, perchè mi faceva perdere le staffe e allo stesso tempo mi elettrizzava. Mi innervosiva, eppure in un modo o nell'altro sapeva anche come tranquillizzarmi. Era la mia contraddizione quotidiana.
Rimase per qualche secondo ferma, proprio davanti a me, prima di tornare in cucina da Kaori che sentivo lamentarsi.
Le andai dietro, vedendo ondeggiare quel meraviglioso lato B proprio davanti ai miei occhi, e sperai di essere in grado di controllarmi, anche se la vedevo difficile.
Quando vidi mia nipote la mia giornata era già di gran lunga migliorata, almeno lei sembrava felice di vedermi perchè mi sorrideva tutta contenta ed era completamente coperta di latte che emanava un odore disgustoso. Le diedi un bacio e mi allontanai quasi immediatamente.
Avevo lasciato mia nipote e mia moglie sole per un'intera settimana solo perchè un'intervista mi aveva fatto incazzare. Ma che razza di marito e, probabilmente, padre sarei potuto essere? Uno di quelli che alla prima difficoltà scappa, senza guardarsi indietro. Uno di quelli che, al primo litigio, al primo problema, chiama l'avvocato e chiede i moduli per il divorzio.
No, non volevo essere quel tipo di marito, non volevo quello per me e per Sana.
«Come è andata quest'ultima settimana?»
Sana continuava a dar da mangiare a Kaori, non mi guardava nemmeno e in realtà aveva ragione, perchè potevo anche essere arrabbiato a morte, non dovevo andarmene così su due piedi. Non dovevo lasciarle da sole.
Fece una smorfia, infastidita dalla domanda e da me.
«Wow.» si limitò a dire, per poi alzarsi, prendere un fazzoletto, pulire la bambina e stenderla sul tavolo per cambiarle il pannolino.
«Sana, ti prego.»
Continuò a non guardarmi, come se la mia presenza fosse irrilevante. Alzò le spalle, mi guardò dritto negli occhi con uno sguardo che avrebbe potuto trapassarmi da parte a parte, e tornò ad occuparsi di mia nipote.
«Sana.» incalzai. Avevo bisogno di chiarire, avevo bisogno anche di sentirmi dire che ero uno stronzo, l'avrei meritato, ma il silenzio mi spiazzava perché non era mai stato contemplato in nessuna nostra discussione e non sapevo come gestirlo.
«Hayama, ho tra le mani tua nipote. Non posso discutere con te mentre cerco di prendermi cura di lei quindi, gentilmente, aspetta e dopo avrai l'Apocalisse a cui ti eri preparato.»
Le parole uscirono dalla sua bocca come se stesse leggendo la lista della spesa, fredda e schematica. Recitava, riuscivo a vederlo da miglia di distanza, eppure annuii e lasciai che finisse di cambiare il pannolino a Kaori e che la mettesse nella culla. Aspettai che la facesse addormentare e che chiudesse la porta alle sue spalle, tornando immediatamente in cucina da me.
«Sei fuori da questa casa da una settimana, non pensi che meritiamo più di un come è andata?!». Continuava ad essere calma, metodica in tutto ciò che diceva e faceva, e quella Sana era diversa da quella che conoscevo io. La mia Sana era irascibile e impulsiva, non si tratteneva né tantomeno parlava civilmente come stava disperatamente cercando di fare la ragazza seduta di fronte a me.
Comunque risposi. «Hai ragione, mi dispiace.»
Sorrise. «Ti dispiace? Bè allora, se ti dispiace...» ironizzò, buttandosi indietro sulla sedia.
Mi alzai e la raggiunsi, mettendomi accanto a lei.
«Cosa vuoi che ti dica?».
Okay, quella non era certo la battuta migliore da utilizzare in un momento del genere, ma davvero non riuscivo a capire come portare avanti la discussione senza finire con un rene venduto al miglior offerente.
Anche Sana si alzò, evidentemente infastidita dalla mia frase infelice e cominciò a camminare avanti e indietro davanti al piano cottura.
Quando non ne potei più di vederla fare sempre lo stesso tragitto la bloccai, richiamando la sua attenzione.
«Sana, adesso basta, parla e dimmi ciò che pensi.»
Sapevo perfettamente che quello avrebbe sancito il mio suicidio, eppure non mi importava: volevo solamente che quella discussione si concludesse, per tornare al momento in cui avevamo messo pausa, mentre io dormivo vicino a lei respirando l'odore di vaniglia che emanavano i suoi capelli.
«Cosa penso? Vuoi veramente sapere cosa penso? Credimi, non vorresti!» urlò contro di me, e finalmente riconobbi la Sana che conoscevo. «Sei stato via una settimana, un'intera fottuta settimana e tutto quello che sai dire è come è andata! Hai lasciato tua moglie e tua nipote da sole! E se ci fosse successo qualcosa? Se, mentre tu eri via, Kaori avesse avuto la febbre? Se io fossi stata male e non avessi potuto badare a lei? Eh? Ci hai pensato a questo?! Ma no che non ci hai pensato, tu hai passato una settimana da sogno, circondato da chissà quante sgualdrine pronte ad esaudire ogni tuo desiderio. Sette giorni senza responsabilità e pensieri, in cui l'unico problema è stato decidere quale ragazza doveva scaldarti il letto. Bè, sai che ti dico? Tornatene da quella che te l'avrà data questa settimana, almeno io non dovrò guardarti in faccia!»
Rimasi scioccato dalle sue parole e le analizzai tutte in un secondo solo.
Non avevo riflettuto sul fatto che potesse accadergli qualcosa o sul fatto che avrebbero potuto avere bisogno di me.
Io me n'ero andato, lasciandomi tutto alle spalle, solo perché ero arrabbiato con Sana.
Solo dopo mi resi conto di ciò che aveva detto alla fine. Pensava che l'avessi tradita. Mi venne da sorridere, per poco non le scoppiai a ridere in faccia.
«Hai anche la faccia tosta di ridere? Sei andato in escandescenza quando i giornalisti ci hanno sorpresi sul balcone, ma non hai pensato minimamente allo scandalo se ti avessero sorpreso con altre ragazze.»
Mi oltrepassò e andò in camera di Kaori, chiudendosi la porta alle spalle.

Pov Sana.

Il divano in camera di Kaori non era di certo il luogo più comodo dove dormire, ma ormai era diventato il mio letto da più di una settimana. Non dormivo con Akito da quando aveva lasciato casa nostra, e quando era tornato la situazione non era di certo migliorata. Ci vedevamo solamente a cena e, nonostante cercassi sempre di non preparare nulla per lui, ogni volta che cucinavo mi ritrovavo a fare quantità enormi quindi poi lasciavo il piatto sul tavolo sapendo perfettamente che avrebbe mangiato. Mi illudevo di non farlo per lui, dicevo a me stessa che ogni volta era sempre uno sbaglio, ma anche se non eravamo in ottimi rapporti non riuscivo a smettere di preoccuparmi per lui.
Non avevamo più parlato dopo la discussione epocale di qualche settimana prima, o almeno non eravamo più tornati sull'argomento. Akito però sembrava spento, triste, non giocava nemmeno più molto con Kaori che stava sempre con me o con mia madre.
Il signor Hayama era sempre in ospedale, e non eravamo riusciti a portarlo fuori di lì nemmeno con la scusa del primo Natale di Kaori. Niente lo smuoveva, niente gli faceva vedere le cose in modo diverso: tutto ciò che riusciva a gestire era la mancanza di sua figlia e non potevo biasimarlo per questo.
Guardai Kaori dormire e pensai che se avessi perso quella bambina mi sarei sentita allo stesso modo.
Andai in cucina, dove trovai la tazza sporca della colazione di Akito, la lavai e poi guardai il calendario.
23 dicembre. Mancavano poche ore alla vigilia di Natale e al giorno di metà compleanno ed era il primo Natale che io e Akito trascorrevamo così, lontani e arrabbiati. Durante gli infiniti anni in cui pensavamo che l'amicizia fosse l'unica cosa a legarci, avevamo sempre avuto l'abitudine di mettere da parte tutto quando arrivava questo giorno.
Stavolta sarebbe stato più complicato, non avevamo più sedici anni e l'amicizia era forse l'ultima cosa che ci teneva insieme.
Presi un vasetto di yogurt e mi buttai sul divano, incurante del fatto che la casa fosse un disastro e che avrei dovuto cominciare davvero a darmi una mossa per pulire quel casino, ma i miei pensieri mi portavano sempre da un'altra parte.
Cosa avrei dovuto fare con Akito? Cercare di chiarire? E per cosa? Probabilmente durante quella maledetta settimana aveva avuto a che fare con un'altra donna e io come avrei potuto perdonare una cosa come quella? Non potevo. Non volevo.
Il telefono cominciò a vibrare sotto di me, lo presi e risposi senza neppure guardare chi mi chiamava.
«Tesoro, sono io, la mamma.»
 Mia madre mi chiamava spesso ultimamente, troppo spesso, forse era riuscita a scoprire cosa non andava tra me e Hayama.
«Hei mamma, dimmi tutto ma sbrigati perchè ho da fare.»
«Oh, che figlia amorevole! Volevo solo dirti che domani avevo pensato che tu, Hayama e Kaori potevate venire da me, è la vigilia di Natale e non mi va che siate a casa da soli. Puoi dirlo anche al signor Hayama, anche se non penso che accetterà.»
«Il signor Hayama non credo verrà, per quanto riguarda noi... credo possa andare bene, non avevamo alcun impegno. Ci saranno anche Rei e Asako?»
«Si, ovviamente. Probabilmente saremo solo noi, quindi prepara Akito a dover affrontare Rei in qualsiasi momento.»
Scoppiai a ridere, immaginando il mio manager interrogare Akito puntandogli una torcia negli occhi.
«Ridi ridi, che domani sera ridiamo noi!»
Salutai mia madre e tornai da Kaori. Akito era in palestra, sarebbe tornato da lì a poco e, anche se ero ancora furiosa con lui, comunque mi preoccupavo sempre quando ritardava.
Sentii girare la chiave nella serratura quando ormai stavo finendo di preparare la cena e, inconsapevolmente, mi ritrovai a sistemarmi i capelli. Mi odiavo quando, anche se ero arrabbiata, comunque cercavo di piacergli e di essere bella ai suoi occhi, nonostante sapessi benissimo che non serviva a niente.
«Ciao Sana..» Venne a salutarmi e io mi voltai e gli sorrisi, perché in ogni caso non avrebbe cambiato le conseguenze delle nostre discussioni. Ci eravamo urlati contro troppe cose e troppe cattiverie per pensare solamente di chiarire tutto con un semplice cenno.
Andò a baciare Kaori che nel frattempo dormiva nella cesta vicina alla televisione spenta che sembrava aumentare il silenzio tra noi due.
Mentre eravamo a tavola l'atmosfera sembrava gelida, nessuno parlava o provava anche solo ad iniziare una conversazione. Dall'esterno poteva anche sembrare una normalissima cena di coppia. Comunque io dovevo dirgli dell'invito di mia madre quindi presi un bel respiro e raccolsi tutto il mio coraggio, provando a non tradire nessuna emozione.
«Mia madre ci ha invitati a pranzare da lei domani, sai... è la vigilia di Natale...»
Alzai lo sguardo e lo abbassai immediatamente, passandogli l'insalata che avevo tra le mani.
«E' il giorno di metà compleanno.» continuò lui. Sorrise e, per un secondo, dimenticai la mia rabbia e ricambiai il sorriso. Poi tornai seria.
«Si, bè... vorrebbe che Kaori passasse il suo primo Natale in famiglia. E piacerebbe molto anche a me.»
Lui annuì e incrociò i miei occhi, prepotenti e pieni di disappunto, come sempre. «Mia madre ha esteso l'invito anche a tuo padre, ovviamente.»
«Lo avevo immaginato, ma non credo che mio padre sarà in vena di feste natalizie.»
«Allora potremmo passare da lui nel pomeriggio, e magari poi facciamo un salto in ospedale.»
L'espressione del suo volto si rabbuiò improvvisamente, come se parlare di Natsumi lo turbasse più del solito.
«Va bene, vedremo cosa dirà mio padre.»
Io gli sorrisi, sperando di infondergli un po' di serenità perché, anche se ero ancora furiosa, sapevo riconoscere un brutto momento di Akito e, sicuramente, quello era il periodo più difficile di tutta la sua vita.
Io non potevo di certo dire diversamente: ero quasi certa che mio marito - tale solo sulla carta - mi avesse tradita per l'intera settimana e facevo da mamma ad una bambina meravigliosa ma che comunque non era mia figlia.
Era proprio il caso di dire che la mia vita era tutt'altro che perfetta.



Pov Akito.

Mi svegliai di soprassalto, io e gli incubi ormai eravamo diventati intimi amici, e poi il divano era freddo e troppo solitario. Mi mancava dormire con Sana, il suo respiro regolare che mi cullava prima di crollare nel sonno.
Guardai il cellulare, erano appena passate le sei, quindi mi alzai e preparai il caffè, poi aprii la finestra e lo spettacolo che mi si presentò davanti mi lasciò a bocca aperta. La neve aveva ricoperto tutto il giardino, la cuccia del cane che Sana non aveva mai preso era totalmente bianca e anche la mia macchina quasi non si distingueva sotto tutta quella coltre candida.
Per la prima volta dopo tanti anni la neve mi dava una sensazione di mancanza, forse perché dopo tempo era la prima volta che non la condividevo con Sana.
In realtà non doveva per forza essere così, lei doveva solo fidarsi di me e invece si limitava a vedere ciò che lei desiderava, senza curarsi della verità. Non potevo di certo dire di essere migliore di lei, avevo dato di matto per un'intervista e l'avevo lasciata da sola per un'intera settimana, non mi ero preoccupato nemmeno per un secondo di cosa avrebbe potuto pensare.
Avrei voluto rimediare ma Sana continuava a scivolarmi dalle mani, come se parlare con me fosse l'ultimo dei suoi pensieri. Temevo molto la sua reazione ad una mia possibile richiesta di chiarimento, ma non potevo lasciare le cose al loro destino. Presi la mia tazza di caffè e uscii in veranda, il freddo mi penetrò nelle ossa ma cercai di non pensarci, dovevo trovare un modo per farmi perdonare e la questione era piuttosto complicata.
In tutti questi anni eravamo riusciti, con una precisione quasi maniacale, a non parlare dei nostri sentimenti, forse per paura che affrontando quel discorso, avremmo cambiato il nostro rapporto. Ma ora, a distanza di tempo, era proprio quello che desideravo, volevo amicizia, complicità, ma al di sopra di tutto volevo vedere nello sguardo di Sana un amore totale ed incondizionato, che mi desse la certezza che mai nessun'altro avrebbe potuto prendere il mio posto nel suo cuore.
Il destino ci aveva dato la possibilità di iniziare a costruire qualcosa insieme, e se si era rovinato la colpa era solo ed esclusivamente della mia impulsività. D'altronde come potevo biasimare il comportamento di Sana, io avevo dato di matto per una semplice intervista, lei aveva avuto un atteggiamento molto più maturo del mio, perché nonostante fosse certa che avessi trascorso la settimana in compagnia di altre donne, mi aveva permesso di tornare a casa e di restare. Anche se vedere ogni giorno nel suo sguardo delusione e indifferenza erano certo la punizione peggiore.
Senza neanche rendermene conto i ricordi della nostra prima festa di metà compleanno riaffiorarono in me fino ad arrivare al momento di quel bacio fugace, dato con un leggero sfiorarsi di labbra. Quello era stato il momento preciso in cui mi ero sentito perso, perché avevo capito che Sana mi era entrata dentro. Preso da questi pensieri non mi ero quasi reso conto che le mie mani, come dotate di un'autonomia propria, avevano fatto un piccolo pupazzo di neve.
Per anni avevo pensato a quello come un nostro piccolo simbolo, come il nostro gazebo lo avevo sempre considerato speciale. C'era qualcosa in loro che rappresentava perfettamente la mia storia con Sana e rivederli mi faceva sempre uno strano effetto.
Quando baciai Sana quella sera, sotto la neve, il mio cervello era in totale confusione, eppure nel momento stesso in cui me la ritrovai davanti tutto mi fu chiaro: Sana era speciale, era la ragazza più speciale che avrei mai potuto incontrare e non potevo lasciare che le cose andassero da sole. In realtà poi successe esattamente questo, troppe cose si sono messe tra di noi, troppi problemi, momenti di rabbia, troppe parole non dette... e nonostante tutto ci eravamo ritrovati con la fede al dito, se pure in circostanze non esattamente convenzionali.
Guardai per un attimo il pupazzo di neve, forse era il peggiore che avessi mai fatto, ma doveva pur significare qualcosa, Sana doveva capire, costi quel che costi.
Mi voltai per rientrare in casa ma rimasi bloccato quando vidi Sana appoggiata al portico della villa che mi fissava, con in mano la tazza di caffè che avevo lasciato sulla panca. Indossava una vestaglia blu, e sotto potevo intravedere il pigiama azzurro che io odiavo profondamente. L'aveva fatto di proposito, metterlo sapendo che non le avrei detto nulla a causa del nostro litigio, era una mossa ben piazzata.
Accennai un sorriso e lei si avvicinò, affondando i piedi nella neve. Era così bella, anche senza un filo di trucco e quel pigiama orrendo. Era perfetta in mezzo a tutto quel bianco.
«Le vecchie abitudini sono dure a morire, eh?» mi disse incrociando le braccia sul petto. Annuii, mettendomi le mani in tasca.
«L'ho fatto per te, come sempre.»
«Come sempre.» Ripeté lei, abbassando lo sguardo e poi tornando a guardarmi negli occhi. «Kaori si è svegliata, dovremmo prepararci...»
Capii immediatamente che voleva sviare il discorso quindi non le feci pressioni, avevo sbagliato e dovevo assumermi le conseguenze delle mie azioni, quindi mi avviai verso la porta di casa.
Quando mi girai verso di lei notai Sana che aveva lo sguardo perso nei ricordi e due dita poggiate sulle labbra... forse non tutto era ancora perduto.


*
Dopo aver fatto colazione con la cioccolata calda decidemmo di portare Kaori al centro commerciale per la foto di rito con Babbo Natale. La bambina era ancora molto piccola, però ci tenevo che avesse qualche ricordo del suo primo Natale, anche se mancava sua madre. I medici ormai si erano rassegnati all'idea che Nat non si svegliasse più, erano passati mesi da quando avevano ricevuto un qualsiasi tipo di risposta alle loro stimolazioni, quindi clinicamente probabilmente la ritenevano già morta. Non potevo crederci, e soprattutto non potevo pensarci il giorno della vigilia di Natale, avrei rovinato la festa a tutti. Pensai a mio padre, a quanto potesse sentirsi solo senza di lei e pensai a quanto mi sentivo solo io.
Nella mia vita molte cose non erano andate come avrei voluto, ma avrei preferito che la mia vita cadesse a pezzi piuttosto che vedere mia sorella ridotta ad un letto d'ospedale, senza avere la minima possibilità di vedere sua figlia crescere, la figlia per cui aveva lottato, che magari aveva pensato di abbandonare ma che sapevamo entrambi non avrebbe mai lasciato andare.
Guardavo Kaori sorridere in braccio a quell'uomo tutto vestito di rosso e pensavo a Natsumi e a quanto sarebbe stata felice di vedere sua figlia così, innocente e ingenua, mentre la sua vita si incentrava tutta tra le braccia di sua madre.
Sana faceva un ottimo lavoro con mia nipote, non potevo rimproverarle niente, ma avrei voluto che il nostro rapporto fosse nato in circostanze diverse e che mia nipote avesse potuto vivere con la sua vera madre.
Dopo aver seguito Sana che girava come una trottola da un negozio all'altro senza dare il minimo segno di cedimento o di stanchezza, tornammo a casa per prepararci per la cena.
Mentre lei si vestiva avevo tutto il tempo per mettere in atto il mio piano. Avevo approfittato di una finta scappatella al bagno per comprare un peluche a forma di pupazzo di neve, speravo che quel gesto le potesse far capire che non aveva nulla di cui preoccuparsi e soprattutto che io ero lì per lei, che non avevo alcuna intenzione di andarmene - o per lo meno non l'avrei più fatto - e che la amavo, la amavo davvero.
Non avevo mai detto ad alta voce quella due parole, spesso Tsuyoshi tentava di farmelo ammettere, provando e riprovando a non farmi innervosire, ma puntualmente qualcosa mi faceva uscire di testa e tutto mi sembrava inutile. Parlare, esprimermi, cercare di spiegare qualcosa per cui non valeva la pena esporsi davvero.
Corsi a prendere il peluche, lo misi sul letto in modo che lo vedesse non appena fosse uscita dal bagno. Il cuore mi martellava nel petto e non riuscivo quasi a respirare perché quello era il momento della verità, era un dentro o fuori, era la vera prova del nove.
«Hayama!» urlò dalla nostra stanza. «Kaori è pron...»
Si zittì improvvisamente e io capii subito che aveva visto il pupazzetto, speravo solamente che le piacesse e che mi perdonasse.

Pov Sana.

Mi pietrificai all'istante quando mi accorsi del peluche che era appoggiato sul letto, un piccolo pupazzo di neve totalmente diverso da quelli che Hayama aveva fatto per me, che invece erano sempre pieni di difetti. Sorrisi, pensando che in fondo non mi era mai importato veramente del loro aspetto, di quanti occhi avessero e se fosse bella la loro carota usata come naso. L'unica cosa che mi importava era che Hayama me li aveva regalati, che li aveva fatti per me e, per un secondo, fu esattamente la stessa sensazione che provai vedendo quel pupazzo.
Mi avvicinai e lo presi tra le mani. C'era un bigliettino, scritto a mano, in perfetto stile Hayama.

Scusarsi non significa sempre che tu hai sbagliato e l'altro ha ragione.
Significa semplicemente che tieni più a quella relazione del tuo orgoglio.

(Fabio Volo)

Avevo letto tanti libri di quello scrittore italiano, e lui aveva catturato esattamente una delle frasi che mi aveva sempre colpito. Io non credevo all'orgoglio, è irrilevante se ami davvero qualcuno... e anche Hayama era arrivato alla mia stessa conclusione. Ma una settimana di lontananza era comunque grave e anche se volevo disperatamente lasciarmi tutto alle spalle il pensiero che per tutto quel tempo lui aveva fatto ciò che voleva con chissà chi mi torturava.
Sentii bussare alla porta mezza aperta e io avevo ancora la lampo del vestito abbassata. Lui si fermò a metà strada, incerto se entrare o meno.
«Vieni...» gli dissi voltandomi verso di lui. «Aiutami con la zip»
Sapevo benissimo che ciò che stavo facendo non lo lasciava indifferente, ma non riuscivo davvero ad alzare quella cerniera e se dovevamo parlare dovevo essere completamente vestita e padrona di me, altrimenti non sapevo fino a che punto sarei stata in grado di trattenermi.
Akito era vestito di tutto punto, con un pantalone nero e la camicia bianca, non portava la cravatta perché sapeva che non mi piaceva, quindi si era comprato un papillon rosso e una pochette dello stesso colore. Era perfetto.
Ci mise un po' per alzare la zip, soffermandosi a sfiorare lentamente la mia pelle e a me vennero i brividi. Come era possibile che solo un semplice tocco potesse farmi quell'effetto?
Mi voltai non appena sentii che aveva finito e mi ritrovai i suoi occhi ad un centimetro di distanza. Avrei voluto abbracciarlo, dimenticarmi di quanto ero stata male nel sentirmi dire tutte quelle cattiverie, ma il mio cervello mi urlava di non farlo, di non lasciarmi andare di nuovo perché sarebbe stato l'ennesimo errore.
Distolsi lo sguardo, e presi la mia borsa appoggiata sulla sedia proprio dietro di lui. Sentivo i suoi occhi seguirmi, lentamente, come una danza, e non riuscivo a sentirmi a mio agio.
«Grazie... per il regalo. Anche io tengo molto al nostro rapporto, adesso l'unica cosa che mi serve è un po' di tempo per digerire quello che è successo.»
Sapeva perfettamente a cosa alludevo, ma il suo sguardo si riempì di sorpresa, come se non capisse di cosa stessi parlando.
«Kurata non è....»
«Non importa, mi passerà.» lo interruppi immediatamente, senza lasciargli il tempo di ribattere uscii dalla stanza e andai a prendere Kaori.
Anche durante il breve tragitto in macchina Akito tentò di spiegarmi, ma lo fermai tutte le volte perché non volevo rovinarmi la serata, mia madre non meritava che io arrivassi col muso lungo, anche se in ogni caso non ero in vena di festeggiamenti.
Quando arrivammo salutai mia madre e tutti gli ospiti che non mi aspettavo di trovare lì, credevo sarebbe stata una cena intima in famiglia, ma a quanto pareva la mitica signora Kurata non si smentiva mai.

*
Tornammo a casa abbastanza presto, Kaori aveva fatto un po' di capricci per mangiare e quindi avevamo deciso di non fare tardi. Durante il tragitto la bambina si addormentò, lasciandoci nel silenzio più assoluto. Nessuno dei due osava dire qualcosa, ci limitavamo io a fissare la strada davanti a noi e lui a voltarsi per guardarmi ogni tanto. Quando arrivammo a casa Akito si offrì di preparare Kaori per la notte e metterla a letto, mentre io andai dritta verso la nostra camera per togliermi quel vestito scomodissimo.
Ero esausta e non riuscivo a tenere gli occhi aperti.
Quando mi tolsi l'abito mi guardai per un attimo allo specchio. Non sapevo perché, forse una piccola speranza, ma avevo indossato un completino intimo rosso. Tutta fatica sprecata, alla fine.

Pov Akito.


La serata passò piuttosto velocemente, il tragitto per arrivare a casa fu rapido e silenzioso perchè nè io nè Sana riuscivamo a dire nulla, mentre io avrei avuto miliardi di cose di cui parlare. Avrei voluto scusarmi, ancora, farle capire davvero che ero pentito per ciò che era accaduto ma riuscivo solamente a voltarmi ogni tanto a guardarla mentre lei non distoglieva lo sguardo dalla strada.
Kaori si era addormentata in macchina e quando arrivammo a casa la preparai per la notte mentre Sana si fiondò nella nostra camera. Non ebbi nemmeno il tempo di portare la bambina nella sua stanza che, passando per il corridoio, la porta semichiusa mi mostrò probabilmente l'ottava meraviglia del mondo: Sana che si guardava allo specchio mentre indossava solamente un completino intimo rosso fuoco, con le bordature bianche. Era un sogno, nessun cartellone pubblicitario le avrebbe mai reso giustizia, e i miei occhi probabilmente erano accecati da quella visione, e non riuscivo a distinguere più cosa fosse reale e cosa no.
La immaginavo nuda, nel nostro letto, pronta ad accogliermi tra le sue braccia, tra quelle lenzuola che volevo disperatamente mettere sottosopra insieme a lei.
Bussai piano, per evitare che capisse che ero già dietro la porta ed entrai appena lei mi disse che potevo farlo.
Si era coperta con un cardigan azzurro, che comunque non lasciava molto all'immaginazione, e chiesi perdono mentalmente per tutti i pensieri poco casti che stavano attraversando la mia mente.
«Bella serata, eh?» esordì lei, vedendomi in evidente difficoltà.
Annuii, appoggiandomi alla porta che richiusi dietro di me.
«Ascolta...»
Cercai di mettere insieme tutti i miei pensieri, dandogli un ordine che comunque non prometteva nulla di buono, provando a guardarla negli occhi senza crollare davanti a lei come un bambino.
«Non.. non c'è bisogno che dici nulla.» mi interruppe lei. Io mi zittii immediatamente, tentando di decifrare le sue espressioni. «Non voglio nemmeno sapere cosa hai fatto in quella settimana, se ti è piaciuto quello che hai fatto, con chi l'hai fatto, non mi interessa. Voglio solo che questo matrimonio, se così può chiamarsi, funzioni. Non per me o per te, ma per tua nipote, per la bambina che abbiamo deciso di tirare sù, con la consapevolezza che sarebbe stato difficile, ma non così. Non devi essere fedele a me, non te lo chiederei, ma sii fedele a tua nipote, perché questo lo abbiamo messo in piedi per lei e non voglio che tu rovini tutto solo perché il fatto che io faccia un film ti fa uscire di testa.»»
Non distolsi gli occhi da suoi nemmeno per un istante perché ogni singola parola mi feriva profondamente e soprattutto perché mi infastidiva che lei potesse pensare che andavo a scopare a destra e a manca con la prima che capitava.
Non era così, perché fino a quel momento, ogni volta che ero stato con qualcuno nella mia mente c'era sempre stata lei. Con Fuka, ogni giorno, era come una lenta tortura perché la loro somiglianza era impressionante e a volte non riuscivo a distinguere fino a dove pensavo a lei e fino a dove invece Sana si impadroniva di me. Mi ero sentito in colpa per anni per quello, quando guardavo le ragazze e non trovavo in loro ciò che volevo, semplicemente perché non erano lei. Non lo sarebbero mai state.
«Perché sei così fermamente convinta che appena uscito da quella dannata porta io sia andato a farmi qualcuno, così, per vendetta?! Parli come se non mi conoscessi!»
Mi resi conto solo dopo che avevo alzato il tono della voce e che lei si era tirata indietro sul letto, come se fosse spaventata da me. Non volevo metterle paura, volevo che capisse e lei non mi dava la possibilità di spiegarmi, mai.
«E tu perchè sei così fermamente convinto che il fatto che io faccia un film in cui potrebbero esserci scene spinte significhi che non me ne frega nulla di questo matrimonio? Come se fosse un vero matrimonio, poi!»
Le sue parole mi pugnalarono, lentamente e con forza, ma mi formarono un buco al centro del petto così grande che non riuscivo quasi a respirare. Se non credeva in quel rapporto, platonico per quanto potesse essere, non doveva far altro che chiedere il divorzio e lasciarmi, con la schiera di avvocati costosi che aveva alle spalle non le sarebbe di certo riuscito difficile.
«Non ho mai detto questo, non ho detto che non credi in questo matrimonio, non ho detto che il lavoro che fai determina la persona che sei! Ho semplicemente detto che avrei preferito staccarmi un braccio piuttosto che vederti fare certe cose con un attore da quattro soldi!»
La discussione stava degenerando, non riuscivamo più a tornare ad un tono di voce normale e con le urla stavamo rischiando di svegliare Kaori e passare la nottata in bianco.
«Non osare fare questo a me!»
Si alzò in piedi sul letto e lasciò andare il cardigan che le scoprì nuovamente tutto il corpo, lasciando in bella mostra quel completino intimo che avevo ammirato poco prima. «Non dire che non vuoi che io faccia quel film perché sei geloso, o perché c'è un maledetto pezzo di carta in cui si dichiara che siamo marito e moglie, perché fondamentalmente noi non siamo nulla!»
Scandì le ultime parole come per ferirmi ancora di più, e anche se non lo davo a vedere c'era riuscita perfettamente.
Poi scoppiò in una fragorosa risata. «E poi perché dovresti essere geloso? Non sono di tua proprietà né sono tua in altri sensi, non hai nessun diritto su di me!»
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, non risposi più di me stesso e mi fiondai sul letto, bloccandola sotto di me. Si dimenò per qualche secondo e poi capì che non c'era verso di mettersi contro di me e risparmiò le forze.
«Non avrò diritti su di te, è vero...» Mi posò uno schiaffo sul viso così forte che quasi riuscì a farmi spostare da sopra di lei. Quasi. Le trattenni le mani ai lati della testa, sperando che la smettesse di comportarsi come una bambina e che iniziasse ad ascoltarmi.
«Ripeto: non avrò diritti su di te, è vero, ma siamo sposati, che ti piaccia o no, e so che questo non giustifica il fatto che io sia geloso di te, ma lo sono e non posso farci niente.
Non ho nemmeno pensato di andare con qualcuna in quella settimana, tutt'altro, il pensiero di averti lasciata da sola mi ossessionava e non sono andato via perché ero arrabbiato o perché non mi importasse di te, l'ho fatto semplicemente perché anche solo immaginare di vederti toccare o... baciare qualcuno, mi dà la nausea. Non ti ho tradita, perché non potrei sopportare di farti così male, quindi smettila di ripeterlo. Ora, puoi continuare a comportarti da bambina e mandare all'aria questo rapporto, oppure puoi cominciare a darmi un po' di fiducia, come quella che io cerco di dare a te.»
Rimase in silenzio, immobile sotto di me, e sperai che per una volta le mie parole non l'avessero lasciata indifferente o sarebbe stata la fine del nostro matrimonio e della nostra amicizia, anche se ormai definirla tare era un eufemismo.


Pov Sana.

Rimasi interdetta mentre Akito mi parlava con quegli occhi di ghiaccio. Sembrava essere tornato per un secondo a parecchi anni fa, quando era ancora la paura il sentimento che mi legava a lui. Non avevo temuto che potesse farmi del male, quello non era nemmeno contemplabile e lo sapevo bene, ma il suo sguardo era impalpabile, non riuscivo davvero a capire cosa volesse dirmi. Che ci teneva a me, quello era certo, ma poi? Cosa mi nascondeva?
Non potevo biasimarlo comunque, anche io non ero di certo la persona più chiara del mondo quando si trattava di mettere a nudo i miei sentimenti.
Non sapevo cosa rispondergli, di certo non volevo buttare via anni di un rapporto che nel bene o nel male mi aveva sempre riempito l'esistenza. Il fatto che fossimo sposati non cambiava nulla, non potevo allontanarmi da Akito in ogni caso.
«Non voglio perderti...» sussurrai. Me lo ritrovai improvvisamente addosso, con il viso nascosto nell'incavo del mio collo.
«Non potresti nemmeno se volessi. Non credo che sopravviveresti un giorno senza di me a guardarti le spalle.»
Avrei voluto che mi guardasse più delle spalle, ma non dissi nulla, mi limitai a star zitta e ad assimilare le ultime rivelazioni della serata.
«Adesso puoi lasciarmi le mani o hai in mente di tenermi bloccata ancora per un po'?»
Lui si alzò e mi guardò negli occhi, magnetico come sempre, e i suoi divennero liquidi mentre pensava a cosa fare. Sapevo che non voleva lasciarmi andare, non parlò, semplicemente fece per alzarsi ma, non appena le mie mani furono libere, lo attirai a me e lo abbracciai, e il suo corpo aderì perfettamente sul mio, come se fossero stati creati per stare in quella posizione.
Ci addormentammo in quel modo, sfiniti dalla settimana appena trascorsa che ci aveva visti troppo lontani e dalla discussione che era degenerata in pochi secondi. Forse eravamo troppo coinvolti, forse semplicemente non riuscivamo a fare a meno l'uno dell'altro per cui ogni cosa sembrava l'apocalisse, ma la cosa che sapevo e di cui ero certa era che quel filo che ci univa non si sarebbe mai spezzato, nemmeno se uno dei due avesse provato a distruggerlo. Saremmo sempre riusciti a trovare la nostra strada verso l'altro, perché non c'era verso: eravamo una cosa sola.



La storia sta prendendo una piega che forse nessuno si aspettava. Dal primo capitolo nessuno, nemmeno io, si aspettava che Sana e Akito sarebbero finiti con la fede al dito e, ancor meno, ad essere gelosi l'uno dell'altro.
In questi giorni riflettevo su ciò che ci rende davvero felici e come il destino possa cambiare le nostre vite irrimediabilmente. La loro è stata cambiata da una bambina, la mia spero che un giorno sarà cambiata da un editore che pubblichi qualcosa di mio.
Queste storie sono un'ottima palestra per quando quel giorno, spero, arriverà.
Lo so che non ve ne frega niente, ma volevo condividere con voi questo piccolo pensiero, perchè siete stati i miei primi lettori. C'è chi mi segue da quando ho pubblicato qui Holiday, la mia prima vera ispirazione, e che è rimasto con me quando ho pubblicato University Life, sperando che la solita trama della ragazza al college non annoiasse, e che adesso mi sta accompagnando in questo terzo - e spero non ultimo - viaggio. 
Spero che un giorno, riuscirete a vedere il mio nome su qualche copertina e ricordarvi che ero io, la pazza che ha fatto diventare Sana e Akito genitori in un colpo solo ahahah :)
Bene... nel frattempo, se vi va di seguirmi in qualsiasi modo, vi voglio segnalare la mia pagina fb, appena aperta, che spero vi piacerà.

 
https://www.facebook.com/Battiti-di-me-182128238817285/

Vi bacio tutti, in particolare Dalmata, la mia stupenda beta, e grazie sempre... <3
Al prossimo aggiornamento,
Akura.






   
 
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