Note:
Yugen, la consapevolezza dell'universo che stimola una risposta emotiva
troppo profonda e misteriosa per poter essere espressa a parole.
Se
vi aspettavate una storia più lunga mi dispiace deludervi,
il mio intento era di fare un approfondimento sulle dinamiche di
rapporto tra Smoker e Hina e di arrivare fino al punto in cui parte la
storia di One Piece e non oltre. Almeno non con questa storia.
Giuro
che appena avrò tempo risponderò alle recensioni.
Epilogo
– Yugen
Quando
Drake lasciò la marina per darsi alla pirateria, Hina era da
qualche parte nel mare meridionale e la notizia la raggiunse come una
coltellata tra le scapole; di tante cose che avrebbe potuto aspettarsi,
quella era di certo l’ultima e non la prese bene. Fu Smoker
ad avvisarla chiamandola per la prima volta dopo circa tre mesi, fu
così inaspettato che per la prima volta nella sua vita Hina
si bruciò con la sigaretta.
Erano
passati circa cinque anni da quando era partita con Tsuru e ora era
Capitano di Fregata; per la prima volta, dopo tutti quegli anni, si
ritrovò a contestare le proprie scelte di vita, domandandosi
se le cose sarebbero potute andare diversamente, domandandosi cosa
sarebbe cambiato se lei fosse stata presente.
La
risposta era, ovviamente, niente, ma non rendeva più facile
accettare la situazione.
Nessuno
aveva capito bene cosa lo avesse spinto, e questa era una domanda che
Hina si pose spesso nei mesi successivi alla notizia,
finché, un giorno di maggio, circa sette mesi dopo, non
arrivò una lettera da sua zia con una notizia di importanza
altrettanto grave.
«Non
posso credere che l’abbia fatto!» sbottò
Hina, seduta nella cabina di comando della Fregata.
«Cosa
ti aspettavi» gracchiò la voce dal lumacofono
«Tua cugina è sempre stata una piantagrane e una
ribelle, puoi biasimarla?»
«Certo
che no, Hina è consapevole che suo zio sia uno stronzo, ma
questo non cambia la situazione».
«Allora
arrestala».
«Ha
già spezzato il cuore a mia zia quando è scappata
di casa, Smoker, se mi mettessi a inseguirla e arrestarla non credi che
glielo spezzerei una seconda volta?»
«Fai
come credi, ma se pensi che Akainu ci andrà leggero solo
perché è sua figlia ti sbagli di
grosso».
«Come
se non lo sapessi» sbottò la donna chiudendo la
conversazione.
Rimase
immobile qualche istante, a fissare la lettera spiegazzata che era
arrivata quella mattina con la posta; sua cugina era una vera
mentecatta. Se le fosse capitata tra le mani gliene avrebbe date
così tante da levarle quel sorriso cretino dalla faccia.
«Hi-na-cchi!»
la porta della cabina si aprì con un tonfo e il Vice
Ammiraglio Momousagi entrò di slancio «Andiamo a
fare un giro… Cos’è quella faccia,
scusa? Ti hanno mangiato il gatto?»
«Hina
è allergica ai gatti».
«È
un modo di dire! Un. Modo. Di. Dire!» sbottò la
donna, allungandosi verso l’amica e fissandola con aria
indagatrice «Dai qua».
Senza
fare tanti complimenti afferrò la lettera che era rimasta
aperta sul tavolo e dopo avervi dato una scorsa veloce emise un fischio
ammirato.
«Ah,
però! Tua cugina eh?» si interruppe, spalancando
gli occhi «Ma questo vuol dire la figlia
di…?»
«Sì».
«Oh,
che cosa divertente!»
«Momousagi
Choujo il tuo senso dell’umorismo è
discutibile» borbottò Hina, accendendosi
nuovamente una sigaretta.
«Vedrai
che tornerà a casa quanto prima con la coda tra le gambe, i
bambini lo fanno».
«Bonney
non è più una bambina, ha vent’anni! E
non è esattamente una sprovveduta, Akainu l’ha
addestrata fin da piccola per fare di lei una marine, aveva cinque anni
quando le fece mangiare un frutto del diavolo per renderla
più forte».
«Sgradevole
e leggermente inquietante. Vabbè, che vuoi che ti dica,
vorrà dire che in questo caso saprà come
cavarsela».
Il
capitano sbuffò, solo parzialmente d’accordo.
«Hina
non capisce questa nuova moda per cui tutti decidono di darsi alla
pirateria».
«Momousagi,
invece, non capisce se Hina vuole accompagnarla a pranzo o
meno» borbottò la donna, afferrando il giubbotto
bianco dell’amica e gettandoglielo contro «Dai,
andiamo!»
La
locanda era ancora semideserta e il vice Ammiraglio decise di
approfittarne per far sbottonare la collega sulla sua prossima
destinazione; si erano conosciute qualche anno prima, durante una
riunione della marina, era stata Tsuru stessa a presentarle, sostenendo
che la personalità esuberante e gioviale di Momousagi non
avrebbe potuto che fare del bene alla serietà di Hina. E
nessuno, guardandole, avrebbe mai scommesso che sarebbero diventate
amiche; era stato un incontro strano, ma in qualche modo avevano
legato, nonostante la differenza di grado.
«E
quando partiresti per Rogue Town?»
«Hina
dovrebbe partire tra un paio di settimane, c’è la
cerimonia di insediamento di Smoker. E dovrebbe esserci anche mia
madre».
«Insediamento
e promozione, giusto?»
Hina
annuì, masticando lentamente il suo pranzo; erano anni che
non tornava nel mare orientale, che non tornava a casa.
Quando
venne promosso Capitano di Vascello, Smoker non lo disse quasi a
nessuno; la cerimonia fu breve e, quando finì,
l’unica ad avvicinarsi per abbracciarlo fu Natsuki.
«Sei
diventato così grande. Sono così orgogliosa di
te!» disse, sorridendogli con affetto.
Hina,
poco dietro di loro, sorrise a sua volta, osservando la
città dove più di vent’anni prima
avevano assistito alla morte del pirata più famoso di tutti
i tempi.
«Sarai
anche Capitano di Vascello, ma scommetto che a stare fermo su
un’isola ti annoierai terribilmente» lo prese in
giro.
«Non
eri tu a dire che sono esperienze che vanno fatte?»
domandò l’uomo accendendosi un sigaro.
«Hina
pensa che per ora passerà la mano, e in ogni caso mi hanno
assegnato al primo tratto della rotta maggiore con un distaccamento
della centoventiseiesima».
«Non
ho idea di cosa sia, ma suona bene» commentò sua
madre con un sorriso.
«Si
tratta di una-»
Venne
interrotta dalla porta dell’ufficio che si
spalancò lasciando entrare al suo interno una ragazzina
dall’aria impacciata.
«Scusate,
scusate, non volevo disturbare. Ecco, volevo bussare, ma sono scivolata
e la porta si è aperta e-»
«Sei
Tashigi?» domandò Smoker, interrompendola.
«Sissignore»
esclamò la ragazza mettendosi sull’attenti
«Sergente Tashigi, Signore».
«Oh!»
esclamò Hina divertita «Ma che giovane! Quanti
anni hai?»
«Venti,
Capitano» rispose la ragazza, in evidente imbarazzo.
«Hina
si augura che Smoker si comporti civilmente»
celiò, avvicinandosi alla ragazza e stringendole la mano
«Ma se così non fosse sentiti pure libera di
contattarmi».
«Per
l’amor del cielo, Hina. Levati dalle palle, ho da
fare» sbottò l’uomo lanciandole una
pallina di carta che la donna prese al volo.
«Andiamo,
andiamo» intervenne Natsuki, prendendo la figlia sottobraccio
«Hina accompagnami al porto, il traghetto dovrebbe partire
tra non molto».
Hina
annuì e, dopo aver salutato la nuova arrivata,
rassicurandola sul fatto che Smoker fosse letteralmente tutto fumo e
niente arrosto, uscì per accompagnare sua madre.
«Quando
ripartirai?» le domandò Natsuki con apprensione.
«Tra
tre giorni» rispose senza particolare inflessione
«Mamma, sei sicura di voler tornare a casa?»
«Hina,
cara, tuo padre ed io stiamo cercando di recuperare le cose.
Sì, sono sicura».
«Non
credo ne valga la pena, ma non che possa capirne niente»
obiettò la donna, osservando la nave «Fai buon
viaggio, mamma».
«Certo
e tu vieni presto a trovarci».
Hina
annuì, con la consapevolezza che non lo avrebbe fatto.
Tatemae non era più la sua casa, né considerava
più Natsukashi la sua città, era passato troppo
tempo e troppi anni e lei, seguendo il lento movimento delle maree, era
cambiata troppo. Non sarebbe tornata, sarebbe invece partita,
lasciandosi il mare orientale alle spalle e riprendendo la rotta
maggiore, lasciando, ancora una volta, Smoker dietro di sé.
O forse davanti.
Si
accese una sigaretta, cercando di non pensare al momento in cui sarebbe
dovuta partire; aveva tre giorni per abituarsi all’idea di
salpare di nuovo, in tre giorni sarebbe sicuramente stata pronta, si
disse. Nel frattempo avrebbe cercato di sfruttare al meglio tutto il
tempo in cui fosse rimasta a Rogue Town.
Tirò
fuori dalla tasca il foglio appallottolato che Smoker le aveva lanciato
nel suo ufficio e sorrise, nel leggere, con la grafia sgraziata
dell’uomo, l’indirizzo di un appartamento nel
quartiere periferico della città.
Dopo
tutto, tre giorni insieme erano più di quanto non avessero
avuto nell’ultimo anno, pensò, incamminandosi con
un sorriso verso il centro città: avrebbe fatto in modo che
fossero sufficienti.
La
distanza non è che un’illusione.
Il
concetto stesso di separazione non è che un prodotto della
nostra mente, la sensazione tanto agognata di toccarsi, di percepire un
contatto fisico e sentire vicino qualcuno che viene a mancare.
Ma
la distanza non è che un’illusione.
Anche
se i nostri corpi non riescono a toccarsi, anche se le nostre mani non
riescono a sfiorarsi, le nostre anime sono sempre vicine; quando sei
legato a qualcuno davvero, quando sei legato a qualcuno nel profondo,
in modi talmente complessi da trovare difficile spiegarli, allora non
importa quanto tu sia lontano, non importa quali mari tu stia solcando
e quali isole si trovino davanti a te.
Vivi
con la consapevolezza di amare qualcuno con tanta e tale
intensità da trovare la forza di fare qualsiasi cosa, vivi
con la consapevolezza che da qualche parte, nell’immensa
distesa azzurra del mare, ci sia qualcuno che ti ama allo stesso modo e
questo è sufficiente.
E
non importa per quanto continuerai ad inseguire un sogno, un nemico, un
nuovo grado, non ha nemmeno importanza il tempo che scorre,
perché in fondo anche il tempo è in parte un
illusione; l’unica cosa che conta davvero è che
prima o poi tornerai a casa e quella casa non sarà
più un edificio con pareti di pietra e finestre di vetro, ma
quella stessa persona che così a lungo hai portato nel
cuore. E nel momento in cui realizzi tutto ciò, nel momento
stesso in cui ti rendi conto che la tua casa è con lui,
allora non importa più quanto tempo trascorra tra i vostri
incontri, non importa più la distanza, perché sai
bene che ovunque lui vada tu sarai con lui, anche se non fisicamente.
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