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Autore: Alexiel Mihawk    08/03/2016    0 recensioni
«E tu sei felice?» domandò il bambino «Perché Havamama dice sempre che la villa sulla collina è una grossa gabbia e tu sei come un uccellino».
«Ma quella è casa mia» gli fece notare Hina con ovvietà.

Hina è l’unica figlia di una famiglia nobile, cresce in una grande villa su una collina, e viene educata come un’aristocratica, quindi è molto colta ed estremamente intelligente e diligente; il suo problema è che cresce sola e non ha amici. Quando ancora è una bambina conosce Smoker, un ragazzino con qualche anno più di lei, cresciuto in mezzo a una strada e praticamente adottato da metà delle persone della città. Inizia a frequentarlo e a seguirlo nelle sue scorribande, fino a diventare inseparabili; in seguito ad alcuni avvenimenti decidono di arruolarsi ed entrano in marina, dove inizia il lento percorso che li porterà ad essere i personaggi che conosciamo.
[Smoker/Hina]
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hina, Smoker
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: Yugen, la consapevolezza dell'universo che stimola una risposta emotiva troppo profonda e misteriosa per poter essere espressa a parole.
Se vi aspettavate una storia più lunga mi dispiace deludervi, il mio intento era di fare un approfondimento sulle dinamiche di rapporto tra Smoker e Hina e di arrivare fino al punto in cui parte la storia di One Piece e non oltre. Almeno non con questa storia.
Giuro che appena avrò tempo risponderò alle recensioni.



Epilogo – Yugen


Quando Drake lasciò la marina per darsi alla pirateria, Hina era da qualche parte nel mare meridionale e la notizia la raggiunse come una coltellata tra le scapole; di tante cose che avrebbe potuto aspettarsi, quella era di certo l’ultima e non la prese bene. Fu Smoker ad avvisarla chiamandola per la prima volta dopo circa tre mesi, fu così inaspettato che per la prima volta nella sua vita Hina si bruciò con la sigaretta.
Erano passati circa cinque anni da quando era partita con Tsuru e ora era Capitano di Fregata; per la prima volta, dopo tutti quegli anni, si ritrovò a contestare le proprie scelte di vita, domandandosi se le cose sarebbero potute andare diversamente, domandandosi cosa sarebbe cambiato se lei fosse stata presente.
La risposta era, ovviamente, niente, ma non rendeva più facile accettare la situazione.
Nessuno aveva capito bene cosa lo avesse spinto, e questa era una domanda che Hina si pose spesso nei mesi successivi alla notizia, finché, un giorno di maggio, circa sette mesi dopo, non arrivò una lettera da sua zia con una notizia di importanza altrettanto grave.
«Non posso credere che l’abbia fatto!» sbottò Hina, seduta nella cabina di comando della Fregata.
«Cosa ti aspettavi» gracchiò la voce dal lumacofono «Tua cugina è sempre stata una piantagrane e una ribelle, puoi biasimarla?»
«Certo che no, Hina è consapevole che suo zio sia uno stronzo, ma questo non cambia la situazione».
«Allora arrestala».
«Ha già spezzato il cuore a mia zia quando è scappata di casa, Smoker, se mi mettessi a inseguirla e arrestarla non credi che glielo spezzerei una seconda volta?»
«Fai come credi, ma se pensi che Akainu ci andrà leggero solo perché è sua figlia ti sbagli di grosso».
«Come se non lo sapessi» sbottò la donna chiudendo la conversazione.
Rimase immobile qualche istante, a fissare la lettera spiegazzata che era arrivata quella mattina con la posta; sua cugina era una vera mentecatta. Se le fosse capitata tra le mani gliene avrebbe date così tante da levarle quel sorriso cretino dalla faccia.
«Hi-na-cchi!» la porta della cabina si aprì con un tonfo e il Vice Ammiraglio Momousagi entrò di slancio «Andiamo a fare un giro… Cos’è quella faccia, scusa? Ti hanno mangiato il gatto?»
«Hina è allergica ai gatti».
«È un modo di dire! Un. Modo. Di. Dire!» sbottò la donna, allungandosi verso l’amica e fissandola con aria indagatrice «Dai qua».
Senza fare tanti complimenti afferrò la lettera che era rimasta aperta sul tavolo e dopo avervi dato una scorsa veloce emise un fischio ammirato.
«Ah, però! Tua cugina eh?» si interruppe, spalancando gli occhi «Ma questo vuol dire la figlia di…?»
«Sì».
«Oh, che cosa divertente!»
«Momousagi Choujo il tuo senso dell’umorismo è discutibile» borbottò Hina, accendendosi nuovamente una sigaretta.
«Vedrai che tornerà a casa quanto prima con la coda tra le gambe, i bambini lo fanno».
«Bonney non è più una bambina, ha vent’anni! E non è esattamente una sprovveduta, Akainu l’ha addestrata fin da piccola per fare di lei una marine, aveva cinque anni quando le fece mangiare un frutto del diavolo per renderla più forte».
«Sgradevole e leggermente inquietante. Vabbè, che vuoi che ti dica, vorrà dire che in questo caso saprà come cavarsela».
Il capitano sbuffò, solo parzialmente d’accordo.
«Hina non capisce questa nuova moda per cui tutti decidono di darsi alla pirateria».
«Momousagi, invece, non capisce se Hina vuole accompagnarla a pranzo o meno» borbottò la donna, afferrando il giubbotto bianco dell’amica e gettandoglielo contro «Dai, andiamo!»
La locanda era ancora semideserta e il vice Ammiraglio decise di approfittarne per far sbottonare la collega sulla sua prossima destinazione; si erano conosciute qualche anno prima, durante una riunione della marina, era stata Tsuru stessa a presentarle, sostenendo che la personalità esuberante e gioviale di Momousagi non avrebbe potuto che fare del bene alla serietà di Hina. E nessuno, guardandole, avrebbe mai scommesso che sarebbero diventate amiche; era stato un incontro strano, ma in qualche modo avevano legato, nonostante la differenza di grado.
«E quando partiresti per Rogue Town?»
«Hina dovrebbe partire tra un paio di settimane, c’è la cerimonia di insediamento di Smoker. E dovrebbe esserci anche mia madre».
«Insediamento e promozione, giusto?»
Hina annuì, masticando lentamente il suo pranzo; erano anni che non tornava nel mare orientale, che non tornava a casa.

Quando venne promosso Capitano di Vascello, Smoker non lo disse quasi a nessuno; la cerimonia fu breve e, quando finì, l’unica ad avvicinarsi per abbracciarlo fu Natsuki.
«Sei diventato così grande. Sono così orgogliosa di te!» disse, sorridendogli con affetto.
Hina, poco dietro di loro, sorrise a sua volta, osservando la città dove più di vent’anni prima avevano assistito alla morte del pirata più famoso di tutti i tempi.
«Sarai anche Capitano di Vascello, ma scommetto che a stare fermo su un’isola ti annoierai terribilmente» lo prese in giro.
«Non eri tu a dire che sono esperienze che vanno fatte?» domandò l’uomo accendendosi un sigaro.
«Hina pensa che per ora passerà la mano, e in ogni caso mi hanno assegnato al primo tratto della rotta maggiore con un distaccamento della centoventiseiesima».
«Non ho idea di cosa sia, ma suona bene» commentò sua madre con un sorriso.
«Si tratta di una-»
Venne interrotta dalla porta dell’ufficio che si spalancò lasciando entrare al suo interno una ragazzina dall’aria impacciata.
«Scusate, scusate, non volevo disturbare. Ecco, volevo bussare, ma sono scivolata e la porta si è aperta e-»
«Sei Tashigi?» domandò Smoker, interrompendola.
«Sissignore» esclamò la ragazza mettendosi sull’attenti «Sergente Tashigi, Signore».
«Oh!» esclamò Hina divertita «Ma che giovane! Quanti anni hai?»
«Venti, Capitano» rispose la ragazza, in evidente imbarazzo.
«Hina si augura che Smoker si comporti civilmente» celiò, avvicinandosi alla ragazza e stringendole la mano «Ma se così non fosse sentiti pure libera di contattarmi».
«Per l’amor del cielo, Hina. Levati dalle palle, ho da fare» sbottò l’uomo lanciandole una pallina di carta che la donna prese al volo.
«Andiamo, andiamo» intervenne Natsuki, prendendo la figlia sottobraccio «Hina accompagnami al porto, il traghetto dovrebbe partire tra non molto».
Hina annuì e, dopo aver salutato la nuova arrivata, rassicurandola sul fatto che Smoker fosse letteralmente tutto fumo e niente arrosto, uscì per accompagnare sua madre.
«Quando ripartirai?» le domandò Natsuki con apprensione.
«Tra tre giorni» rispose senza particolare inflessione «Mamma, sei sicura di voler tornare a casa?»
«Hina, cara, tuo padre ed io stiamo cercando di recuperare le cose. Sì, sono sicura».
«Non credo ne valga la pena, ma non che possa capirne niente» obiettò la donna, osservando la nave «Fai buon viaggio, mamma».
«Certo e tu vieni presto a trovarci».
Hina annuì, con la consapevolezza che non lo avrebbe fatto. Tatemae non era più la sua casa, né considerava più Natsukashi la sua città, era passato troppo tempo e troppi anni e lei, seguendo il lento movimento delle maree, era cambiata troppo. Non sarebbe tornata, sarebbe invece partita, lasciandosi il mare orientale alle spalle e riprendendo la rotta maggiore, lasciando, ancora una volta, Smoker dietro di sé. O forse davanti.
Si accese una sigaretta, cercando di non pensare al momento in cui sarebbe dovuta partire; aveva tre giorni per abituarsi all’idea di salpare di nuovo, in tre giorni sarebbe sicuramente stata pronta, si disse. Nel frattempo avrebbe cercato di sfruttare al meglio tutto il tempo in cui fosse rimasta a Rogue Town.
Tirò fuori dalla tasca il foglio appallottolato che Smoker le aveva lanciato nel suo ufficio e sorrise, nel leggere, con la grafia sgraziata dell’uomo, l’indirizzo di un appartamento nel quartiere periferico della città.
Dopo tutto, tre giorni insieme erano più di quanto non avessero avuto nell’ultimo anno, pensò, incamminandosi con un sorriso verso il centro città: avrebbe fatto in modo che fossero sufficienti.

La distanza non è che un’illusione.
Il concetto stesso di separazione non è che un prodotto della nostra mente, la sensazione tanto agognata di toccarsi, di percepire un contatto fisico e sentire vicino qualcuno che viene a mancare.
Ma la distanza non è che un’illusione.
Anche se i nostri corpi non riescono a toccarsi, anche se le nostre mani non riescono a sfiorarsi, le nostre anime sono sempre vicine; quando sei legato a qualcuno davvero, quando sei legato a qualcuno nel profondo, in modi talmente complessi da trovare difficile spiegarli, allora non importa quanto tu sia lontano, non importa quali mari tu stia solcando e quali isole si trovino davanti a te.
Vivi con la consapevolezza di amare qualcuno con tanta e tale intensità da trovare la forza di fare qualsiasi cosa, vivi con la consapevolezza che da qualche parte, nell’immensa distesa azzurra del mare, ci sia qualcuno che ti ama allo stesso modo e questo è sufficiente.
E non importa per quanto continuerai ad inseguire un sogno, un nemico, un nuovo grado, non ha nemmeno importanza il tempo che scorre, perché in fondo anche il tempo è in parte un illusione; l’unica cosa che conta davvero è che prima o poi tornerai a casa e quella casa non sarà più un edificio con pareti di pietra e finestre di vetro, ma quella stessa persona che così a lungo hai portato nel cuore. E nel momento in cui realizzi tutto ciò, nel momento stesso in cui ti rendi conto che la tua casa è con lui, allora non importa più quanto tempo trascorra tra i vostri incontri, non importa più la distanza, perché sai bene che ovunque lui vada tu sarai con lui, anche se non fisicamente.


   
 
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