Four: If I Lose
Myself
“I
had to find you. Have
to. Always.”
Alcuni frammenti
mancherebbero. Un giorno,
quando si chiederà a James come sia andata questa giornata, sarà come
mettere
insieme un puzzle con dei pezzi che lui ha già deliberatamente buttato
via.
Ma così è come se lo
ricorderebbe.
La mattina della sepoltura
di Charlus Potter
arriva con nuvole simili ad una marea sospesa in aria; argento pallido
e
tutt'uno con il lutto degli abitanti della casa che lui ha lasciato
indietro.
Evangeline Potter è vestita
e pronta alle sei in
punto, impeccabile e non vedente davanti al suo specchio elaboratamente
decorato. Ogni passo per la casa è un pesante piede sopra le schegge
del suo
cuore, ma lei continua a camminare.
Remus e Peter sono tornati
a casa dalle
rispettive famiglie ieri sera.
Sirius rimane. Nella prima
mattinata trova James
sul pianerottolo del secondo piano a guardare il foyer. Merlino sa
quant'è
rimasto lì. Non parla molto.
L'ultima volta che sono
stati lì, Charlus ha
chiesto a James che si prendessero cura l'uno degli altri. Come se
avesse
saputo che non si sarebbe svegliato il giorno dopo. A volte le cose
sono così
strane. Ma non lo sapeva, pensa James. Non poteva, perché Charlus non
li
avrebbe lasciati. Non ora. È solo che in questi giorni tutto ciò che
tutti
dicono sembrano le ultime parole di un uomo morente. Stanno morendo
tutti in
questi giorni, no? Tutti se ne vanno.
Prendetevi cura di
voi. Ti amo. Sii prudente.
Sirius appoggia una mano
salda sulla spalla di
James, ma il giovane mago non alza lo sguardo. Continua a guardare in
avanti,
il viso impassibile. Sirius non se ne va. Finché James non se lo
toglierà di
dosso, cosa che non ha ancora fatto – non ha mai fatto, fortunatamente
– lui
sarà lì.
Il cimitero è pieno di
gente, molte delle quali
James non è contento di vedere. Presenti sono i vecchi colleghi di suo
padre al
lavoro; pomposi purosangue che è sicuro siano lì soltanto per dar
mostra di sé.
La loro imparzialità nel recente licenziamento di Charlus dal Ministero
per
opinabili motivi lo irrita molto. Per richiesta di sua madre, comunque,
li
saluta, con cortesi strette di mano e brevi cenni di riconoscimento.
Anche
Sirius acconsente a ciò. Quando si avviano verso il posto loro
designato in
fronte alla folla, a pochi metri dalla bara di marmo bianco decorata
con un
abbondante mare di fiori bianchi, James si sente come se non fosse
davvero lì.
Come se ciò non stia succedendo davvero. I suoi piedi lo spostano verso
dove
dovrebbe essere, la sua bocca dice le parole che dovrebbe dire – ma non
riesce
a tenere traccia di tutto ciò. Non riesce a tenere traccia di se
stesso. Sembra
un sogno.
Se lo è, è il lampo di
rosso che cattura la sua
attenzione e lo sveglia – Lily è ai bordi della folla con le dita che
giocherellano con una borsa nera quanto il suo vestito. James la fissa.
Tutto
viene processato lentamente. Si volta curioso verso i suoi amici, tutti
seduti
accanto a lui in prima fila – ed è Sirius, sorprendentemente, che lo
guarda in
risposta, imbarazzato ma comunque non rincresciuto. James non commenta.
In un
giorno diverso, avrebbe detto qualcosa riguardo il suo migliore amico
che
finalmente ricomincia a parlare con Lily, ma adesso non riesce a
scegliere il
giusto sentimento o le giuste parole.
Evangeline chiama Lily
prima che James riesca a
trovare la voce. Mentre la giovane strega cammina verso di loro, Sirius
si
sposta per sedere accanto a Remus per farle spazio. C'è qualcosa lì,
pensa
James, qualcosa che non lo fa valere, ma non riesce a decifrarlo.
Sirius fa un cenno a Lily
quando lei lo
sorpassa, l'abbraccia di rimando quando lei lo stringe forte. Quando
lei
cammina piano verso James, esita. Evangeline le fa un cenno con un
sorriso
amabile, perciò Lily si alza sulle punte dei piedi e avvolge le braccia
attorno
a lui.
“Ehi.”
E' la voce di lei che
taglia troppo facilmente i
muri che lui ha costruito, e questo, proprio qui, James lo sa, è il
perché
Sirius le ha chiesto di venire.
Non c'è nulla di
significativamente diverso dall'ultima
volta che si sono abbracciati a parte i vestiti eleganti e la fottuta
bara lì
vicino, ma questa volta James non la lascia andare. “Ciao, Evans.”
“Tutto bene?”
Suona stupido. Ma lui si
sente più leggero, e
più se stesso ad ogni secondo. Lui mormora ed annuisce contro la sua
spalla.
Quando il brusio inizia,
quando le occhiate si
fanno sfacciate attorno a loro, la stretta di lui si stringe solo
attorno alla
sua vita.
La cerimonia non dura molto.
Le parole volano dalla
bocca dell'anziano ometto
e atterranno in una maciullata, irriconoscibile poltiglia sulle
ginocchia di
James. Il suo cervello continua a spegnersi e riaccendersi ad
intervalli
random. Le uniche cose che sembra riuscire a percepire sono la mano di
sua
mamma nella sua destra e il calore di Lily nella sinistra. Si aggrappa
a
quello, alle persone che siedono con lui in prima fila, e nega tutto il
resto.
Pensava di aver conosciuto
per bene il dolore
quando si è allontanato da Lily quella sera. In qualche modo, ha
stupidamente
pensato di aver superato l'obbligatoria iniziazione a questo genere di
cose. Ma
apparentemente l'universo non funziona così. Tra tutti – Sirius, Remus,
Peter,
e lui – lui è sempre stato quello coccolato, no? Il più sicuro. Il
viziato.
Come poteva prepararsi a questo? Come fanno gli altri? Sirius? Remus? E
Lily.
Anche Peter. Tutti coloro che ha visto maltrattati attorno a lui,
ancora e
ancora, tutti coloro che ha provato ad aiutare, ad aggiustare, ma senza
mai
essere davvero in grado di familiarizzare pienamente con il dolore che
affrontano.
Ognuno ha il suo turno,
vero? Questo è il suo. È
solo giusto.
Ma come cazzo fanno le
persone?
È anche oltremodo
frustrante non avere nessuno
da incolpare. Hanno combattuto tutti le loro piccole battaglie ad
Hogwarts, e
c'è sempre qualcuno dall'altro lato delle bacchette. Ma chi è da
incolpare
quando qualcuno semplicemente non si sveglia? Lui solo – Charlus ha
solo smesso
di vivere. C'è una guerra, porca troia, e un giorno lui
decide che non si
sveglierà più. Non è giusto, cazzo. A chi dovrebbe James... come
dovrebbe
affrontare – questo, questo dolore trasformato in
furia che pulsa e si
agita e lo butta giù, ma rimane incastrato dentro di lui, incapace di
trovare
una giusta via d'uscita?
Quando Evangeline si muove
per alzarsi, James è
distratto dai suoi pensieri e inconsciamente la tira giù in confusa
sorpresa.
Ma Lily, che non è una che si perde, è veloce ad afferrarlo e prende la
sua
mano tra le sue. Lui deglutisce e lascia andare sua mamma.
Evangeline Potter è
un'immagine di grazia ed eleganza,
composta come se fosse soltanto un altro incontro del Ministero. Le sue
lacrime, singhiozzi e sospiri navigano attorno alle sue parole come il
forte,
gentile addio che sono, e tutti sono silenziosi in comprensione e
ammirazione.
Il suo discorso non è lungo, ma è abbastanza. Parla per tutti coloro
che hanno
mai amato lo scomparso Charlus Potter. Parla per James – specialmente
per James
– che ha deciso di non prendere il suo posto sul podio. Rimane in modo
preoccupante zitto e fermo finché tutto non è terminato.
Quando Charlus è abbassato
nel terreno, Remus e
Peter appoggiano una mano su entrambe le spalle tremanti di Sirius.
James
avvolge un braccio attorno a sua madre, piangente, tira il suo fragile
corpo a
sé e le bacia la fronte segnata dalle rughe. L'altra mano si allunga
per
stringere quella di Lily, che stringe di rimando rassicurante, che è lì
per lui
e con lui finché il cimitero è nuovamente vuoto.
Lui non lancia giù la rosa
bianca, ma piuttosto
la lascia scivolare debolmente dalle dita. Non piange più, ma il suo
viso si
contorce ogni tanto, ed ogni volta, lui succede nel puntualizzarlo con
respiri
che sono corti e poco profondi, dolorosi contro al petto, stretti in
gola.
C'è un rinfresco preparato
alla villa per i
partecipanti, e James dovrebbe aiutare sua mamma a prendersi cura degli
ospiti
che girovagano nella radura.
Lily nota la sua riluttanza
a lasciarla andare.
“Tua mamma ha bisogno di te,” gli ricorda, e lui annuisce. Guarda
indietro
verso di lei una volta mentre si avvia verso il suo compito. Lily
riesce a
produrre un piccolo sorriso. Osserva Sirius aiutare James ed Evangeline
ad
accompagnare tutti verso le Passaporte designate e i luoghi per
smaterializzarsi. Remus e Peter si sono scusati poco tempo fa,
offrendosi
volontari per tornare prima alla villa e controllare che tutto sia in
ordine.
Da sola in un angolo
allora, un osservatrice
straniera in una folla di purosangue che chiacchierano comodamente,
discutendo
di cose come il Ministero e le loro famiglie interconnesse – avrebbe
dovuto
sapere che è il momento perfetto perché Demetria Greengrass appaia.
Lily inizia ad andarsene
non appena la vede,
schifata, ma Demetria la raggiunge e le afferra il braccio finché non
si volta.
“Non scappare da me, Evans.”
Lily scuote il braccio per
liberarsi. “Sto
facendo la persona gentile, Demetria. Se non mi stai lontana, io-”
“Cosa, mi farai una
fattura? Davanti a tutti?
Voglio vederti provarci. Amerei vedere che tutti sappiano quanto rabbiosi
voi sporchi mezzosangue possiate essere.”
“Non c'è niente al mondo
che io voglio o ho
bisogno di sentire da te.”
“Voglio sapere che ci fai
qui. La faccia
tosta – illudi il povero James?”
“Ma quale,” sibila furiosa
Lily “E' il punto di
tutto ciò? Ti piace? È tutto tuo. Ho finito con te.”
“Hai distrutto la mia
famiglia, ecco cosa, e non
lascerò che nessuno di voi se la scampi con il minimo boccone di
felicità! Come
osi essere qui?”
“Io ho
distrutto la tua famiglia?
Scusami?”
“Le persone come te!”
“Ma quanto sei folle? Voi uccidete
le
'persone come me'.”
“Non ci sono prove di
quello.” dice Demetria, ma
Lily ne è così dannatamente stanca “Il processo-”
“Non mi interessa,”
ringhia Lily. “Né di
quel killer di tuo padre, certamente non di te. Sparisci dalla mia
vita.” fa
per andarsene di nuovo, ma Demetria la riprende di nuovo per il braccio.
“Tu pensi di essere tutta
importante e potente,
Evans, ma la verità è che sei altrettanto egoista e senza cuore quanto
dipingi
noi altri.” le unghie di Demetria s'infilano nella pelle di Lily in una
morsa
di ferro che è ancora più stretta ora, se possibile, ma è la selvaggia,
solida
convinzione di sé negli occhi della Serpeverde che turba Lily.
“Guardati. Tutta
vestita bene. A mostrarti qui come se non gli avessi spezzato il cuore.”
“Taci,” suo malgrado, il
senso di colpa di Lily
riaffiora “Non osare.”
“Oh, non ti sto accusando,
scema. Te lo sto ricordando.”
“Lasciami andare,
Greengrass, o non mi importerà
per niente che tutti ti vedano perdere la tua dannata faccia con
l'incantesimo
di una sporca mezzosangue.”
“Ti aspetti un tour della
tua futura villa,
vero?” E' come se non abbia nemmeno sentito. “Perché lo sai, che non
importa
quanto tu possa schiacciare il cuore di quel povero ragazzo con le tue
sudice
dita, lui tornerebbe correndo da te.”
“Continuo a non vedere il
punto. Se non fosse
così patetico, sarebbe quasi divertente quanto ti importi.”
“C'è qualche problema qui?”
qualcuno
s'intromette prima che Demetria possa rispondere. Sirius si ferma
davanti a
loro e incrocia le braccia. “Tua madre ti vuole, Greengrass.”
Demetria gli lancia
un'occhiataccia, ma va da
sua madre, muovendo i fianchi, il naso per aria. Sua madre, scopre
Lily, è
un'alta donna con lo stesso spietato, bellissimo volto. Una volta
riunite, le
due donne stanno insieme con espressioni poco contente in viso.
“Grazie,” borbotta Lily.
“No problem,” dice Sirius.
“Voglio dire, anche per –
lo sai. Essermelo
venuto a dire. Avermi chiesto di essere qua. Lo apprezzo davvero.”
Lui annuisce e poi si
schiarisce la gola. “Sono
quasi tutti assegnati e pronti ad andare adesso. C'è posto per una
persona in
più nel mio gruppo...”
Lily sposta lo sguardo.
“Scusa, Sirius.”
Non l'ha pianificato. Non
ci ha pensato – al dopo
– ad essere sinceri, ed è così stupido che non l'abbia fatto. Ma non
può
andare. Si sente come se abbia involontariamente usato questo in
qualche modo (egoista,
senza cuore, cattiva come il resto degli altri...), come se
abbia saltato
troppo in fretta e facilmente all'occasione di essere di nuovo così con
James.
E non ha senso, perché ovvio che sarebbe stata qui, con loro insieme o
meno;
sono ancora amici, giusto? Più o meno? Ma – ma gli ha spezzato il
cuore,
giusto, e per una ragione? Ignorare quella ragione renderebbe inutile
tutto il
loro dolore, no? Ecco perché Demetria glielo ha ricordato.
La faccia tosta, davvero.
La cerimonia è finita. È
tempo di andare a casa.
Sirius non sembra
arrabbiarsi. Deve aver
riconosciuto la sua espressione. O aver sentito il tono della sua voce.
A volte
Lily non può essere influenzata quando ha deciso già qualcosa. Sirius
ora lo
sa. Deve capirlo da sola, se una cosa sia giusta o meno. Non ha senso
picchiettare sulle sue convinzioni.
“Okay,” le dice. “Dirò loro
che dovevi andare.”
James sussulta quando sente
l'inconfondibile
schiocco della smaterializzazione. Arrivava da un piccolo boschetto
poco
lontano. Le punte degli alberi tremano, e un gruppetto di uccelli vola
via in
fretta. Non si sofferma su di loro; controlla immediatamente il luogo
in cui ha
lasciato Lily.
Non c'è nessuno lì.
Lily non è da nessuna parte.
Non sa cosa provare. C'è
già così tanto in lui;
il veloce cambiare delle sue emozioni da cattiva a peggiore si è
attenuato in
questo orribile, consistente ronzio.
Sirius sta camminando verso
di lui da dov'era
Lily, ma James sa già cosa sta per dire.
Prima che Sirius lo
raggiunga, James si
smaterializza a casa.
Il pomeriggio passa senza
eventi.
La villa è riempita da
abbastanza chiacchiere
per farla respirare di nuovo. Gli elfi, almeno, sono più che contenti
di
dissipare la loro tristezza per un po' in dedicato servizio degli
ospiti della
loro padrona.
James ad un certo punto
sparisce, mormorando a
Remus, “Ho bisogno di aria,” e non ritorna. Un elfo domestico va da
Sirius e
gli dice che hanno trovato James nello studio di suo padre. Sirius alza
lo
sguardo a questa informazione, nella direzione della stanza riempita di
libri
attraverso soffitti e corridoi – ma sceglie di rimanere ed aiutare
Evangeline.
Alle tre e mezza, tutti
decisamente esausti,
Sirius, Remus e Peter accompagnano fuori l'ultimo ospite attraverso il
camino.
Con sguardi stanchi e spalle curve, guardano le fiamme verdi danzare
l'ultimo
ballo nel focolare.
Sirius collassa su uno dei
divani e fissa con
stanchezza il soffitto.
“Ho bisogno di un drink,”
sospira, pizzicandosi
il naso e chiudendo gli occhi “Dov'è James?”
“Ancora rinchiuso,”
risponde Remus.
Sirius si alza. “Merlino,
non può solamente -”
“Credo che dovremmo
lasciargli spazio ora,”
consiglia Remus, anche se non in modo scortese, appoggiando una mano
sulla
spalla di Sirius per spingerlo gentilmente di nuovo al suo posto.
L'altro lo fissa a lungo, e
poi si lascia
sedere. Si massaggia la fronte, la mano che copre gli occhi. “Giusto,”
mormora,
la voce spessa. “Va bene.”
A sera finalmente piove,
tutte quelle tristi
nuvole di oggi che cedono. Il suono tranquillizza il silenzio aspro che
si
ferma sulla casa dopo che i visitatori se ne sono andati. La cena
finisce senza
James, e i tristi occhi di Evangeline occupano i posti vuoti attorno al
tavolo.
“Grazie,” dice ai ragazzi
che si sono invece
uniti a lei, i suoi figli da un legame differente. Sirius, Remus e
Peter
condividono lo stesso sorriso in risposta. “James è ancora nello
studio?”
“C'era l'ultima volta che
abbiamo controllato,”
risponde Peter, guardando Sirius per assenso. Sia lui che Remus
annuiscono.
“Non è lì,” esclama una
voce sottile. Zirk
l'elfo domestico, che è accanto al tavolo, fa un passo avanti, le dita
nervose
e gli occhi grandi pieni di preoccupazione. “Scusate, no, Zirk voleva
dire –
Padron James, lui – il padrone se n'è andato – Padron James manca da ore...”
“Ma dov'è andato?” domanda
Evangeline. I tre
ragazzi si siedono più dritti, subito in allerta. “L'ha detto?”
“Ehm – ha detto – ha detto
che doveva uscire per
un attimo. Sembrava davvero distrutto...pensavamo lo sapeste! Pensavamo
che
fosse – aveva la bacchetta, e lui... ci dispiace tanto, Padrona!”
“Oh, Merlino, quel
ragazzo...”
“Ci scusi,” dice Remus
sopra il suono della
sedia che gratta contro il pavimento. Sirius è già in piedi. Peter
sospira, ma
segue.
“Lo andiamo a cercare,”
dice Sirius, andando da
Evangeline per abbracciarla con un braccio prima che se ne vadano. “Tu
riposati, okay?”
Lily è da sola a Cokeworth,
che cerca di
affogare i suoi pensieri in bevande calde e il suono della pioggia e le
pagine
di un libro che Remus le ha regalato a Natale. È quasi a metà, quasi
finalmente
perduta in esso, quando il telefono squilla.
“Lily?” domanda Mary
dall'altro lato prima che
lei riesca a dire pronto.
“Me ne devi una,
Macdonald,” risponde Lily,
facendo un orecchio alla pagina e mettendo giù il libro. “Mi hai fatta
andare
da sola oggi.”
“Mi dispiace davvero tanto,
tanto, tanto, tanto,”
risponde veloce l'altra “Non hai lasciato che i purosangue ti
mangiassero,
vero?”
“Ti sto parlando dai loro
stomaci.”
“Oh, santo cielo.”
Lily rotea gli occhi, ma
Mary è riuscita a farla
ridere. “Nah, va tutto bene. Be', no. Dio, non lo è
stato. Ma...”
s'interrompe con un sospiro.
Il tono di Mary si
addolcisce: “Come sta James?
Sirius?”
“Terribilmente come te li
aspetteresti. Mary,
dimmelo onestamente, pensi che non avrei dovuto andarci?”
Lily può sentire
gli occhi stretti di
Mary anche attraverso la staticità. “Te l'ha detto qualcuno?”
“No,” dice Lily, un po'
troppo sulla difensiva.
“Li affatturerò fino
all'oblio! Senti, lui aveva
bisogno di te oggi, okay? È solo giusto che tu sia andata, lo prometto.
Avrei
detto qualcosa se avessi dato buca.”
“D'accordo.”
“Ma, ehm, ehi. Allora,
comunque, non – non è
quello il motivo per cui ti ho chiamata, però.”
“Ah sì?”
“No, aspetta, certo che
volevo anche sapere come
stavi! Lo voglio. Ma – ho qualcosa di importante da dirti.”
“Okay.”
“Possiamo incontrarci
domani? Da Chuckskate?”
Lily si corruccia. “Non
puoi dirmelo ora? Mi
servirebbe la distrazione.”
Mary ride nervosamente.
“No, scusa. Brunch,
d'accordo? Verso le dieci?”
“Okay. Ma stai bene? Sei un
po' strana.”
“Sto bene. È – aspetta. Mia
mamma – cosa c'è?
Sto parlando con Lily!”
Remus fa un altro giro
completo del parco,
stringendo gli occhi tra la pioggia e accertandosi di non essersi perso
nulla.
La presa sulla sua
bacchetta si stringe quando
uno schiocco spezza la notte – la pioggia è forte e il suono vi è
affogato con
facilità, ma è qualcuno che si materializza, ne è sicuro – solo quando
si
sforza di vedere, è Sirius. Lui sospira di sollievo e cammina verso di
lui.
“L'hai trovato?” chiede
Sirius sopra il
temporale.
Remus scuote la testa. “Mi
dispiace. E Peter?”
“Eravamo a Cokeworth. È
andato a controllare da
Mary.”
“James non è a Cokeworth
quindi?”
“No. Peter ha controllato –
come Wormy,”
aggiunge Sirius, in risposta alla muta domanda dell'amico “Lei era da
sola.”
Estrae qualcosa dalla tasca dei pantaloni, spostandosi senza tante
cerimonie
una ciocca di capelli bagnati dall'occhio. “Dannazione – Prongs.”
Lo
specchio è fradicio in pochi secondi, e Remus osserva Sirius mormorare
Prongs ancora
e ancora come se fosse una parolaccia. Aspetta. Il vetro rimane vuoto,
e Sirius
impreca per davvero. “Lo ucciderò...”
“Sta bene,” lo assicura
Remus. E se stesso.
“Vuole solo star da solo.”
“Poteva dirmelo, cazzo.”
“Sta bene, Sirius,” ripete
l'altro. “Comparirà.
Dai, andiamo a controllare Hogsmead. Mi sto congelando.”
“Aspetta. Mia mamma -” Mary
copre la cornetta
con la mano libera “Cosa c'è? Sto parlando con Lily!”
“C'è un tuo amico di
scuola,” le risponde sua
mamma “L'ho fatto entrare-”
“Mamma!”
Mary si alza in un attimo, il
letto che scricchiola sotto di lei “Lily, puoi aspettare un secondo?”
“Sì, certo,” dice Lily.
Mary mette giù il telefono
e apre di scatto il
cassetto della scrivania per prendere la bacchetta. Corre sul
pianerottolo del
secondo piano. “Sei matta?” ammonisce sua mamma,
che la fissa dal
piccolo salotto al piano inferiore “Non far entrare le persone così!
Dov'è
Tim?”
“In bagno,” la signora
Macdonald fa una smorfia
“E non fare così, tesoro; puoi sentirti, sai.”
“Chi è?”
“Peter, penso?”
“Minus? Peter, sei tu?”
Mary si sporge di più
dalla ringhiera e allunga il collo per vedere. La mano che stringe la
bacchetta
è tesa dietro la sua schiena.
Peter infine entra nel suo
campo visivo,
strofinandosi i capelli bagnati con un asciugamano che la mamma di Mary
gli ha
fornito. “Ciao, Mary. La pioggia è tremenda. Non mi ricordo
l'incantesimo per
asciugarsi.”
“Oh, buon Godric
– sali!” Mary si
affloscia visibilmente per il sollievo. “Sono al telefono con qualcuno
– e mamma,
non puoi lasciar entrare le persone così, d'accordo? Non in questi
giorni!”
Sua madre l’asseconda
con un cenno del capo, girandosi già per chiudere la porta. “Come dici
tu,
tesoro.”
La signora
Macdonald ritorna in bagno e finisce di preparare il piccolo Tim
Macdonald, di
quattro anni, per la nanna, di cui si stava occupando prima del
trambusto.
Peter mormora un grazie e non ci mette molto ad entrare nella camera di
Mary al
piano di sopra. Si guarda intorno, curioso, aspettando sulla porta.
Mary,
intanto, è tornata al telefono. “Pronto? Ci sei ancora? Peter è qui per
qualche
motivo.”
“Non ci metterò
molto,” esclama lui, ricordandosi cosa deve fare. Lily non risponde a
Mary –
infatti, l’altro capo è completamente silenzioso tranne che per la
staticità.
“James è sparito,” dichiara Peter, ignaro, e Mary è sufficientemente
distratta.
“E’ passato da qui? Hai qualche idea di dove possa essere?”
Mary corruga la
fronte. “Che vuoi dire che è sparito?”
“E’ scomparso dopo
il funerale. La sua mamma è preoccupata.”
“Dannazione. Cosa
pensa? Ci sono stati nove attacchi solo la settimana scorsa!”
“Sirius ha già
giurato di ucciderlo quando lo trova almeno un centinaio di volte.”
“Merlino. Io non –
non è venuto qua, mi dispiace! Avete provato -?”
“Mary.” La ragazza sussulta
quando la voce resa stridula dal telefono di Lily dall’altro capo li
interrompe. Suona agitata. “Mary, scusa, devo andare.”
Mary alza una mano
per zittire Peter, che stava per dire qualcosa. Riporta l’attenzione su
Lily.
“Stai bene?”
“E’ arrivato
qualcuno,” risponde lei “Devo andare, scusa. È importante. Ci vediamo
domani,
okay? Da Chuckstate. Alle dieci.”
“Sì, okay. Sei
sicura che vada tutto bene? Chi è?”
“Io – sì. È… sto
bene. È tutto okay.” Lei sembra tutto tranne quello. “Ti racconto tutto
domani.”
“D’accordo, ma chi –”
“Solo un vecchio
amico. Scusa. Sono al sicuro, te lo prometto. Domani! Ti voglio bene,
ciao.”
“Lily, aspetta – ”
Ma la linea è morta.
Mary alza lo
sguardo verso Peter, che la fissa perplesso. Lei è pensierosa; le
labbra sono
una linea sottile.
“Lily?” domanda
Peter, facendo un cenno col mento verso il telefono. “La nostra Lily?”
Lei annuisce
assente: “Che stavi dicendo?”
“James è sparito.”
Mary guarda con
occhi disattenti il telefono che ritorna al suo posto. “Smettetela di
cercare,”
dice “Sono quasi certa che sia da Lily.”
“Lily? Puoi aspettare un
secondo?”
“Sì, certo.”
C’è un rumore che Lily
immagina essere un
cassetto che viene aperto e richiuso, poi dei passi, e poi Mary che
urla delle
cose a sua madre, ma le sue parole sono attutite dalla distanza dal
telefono.
Lily ha la bacchetta fuori in caso Mary abbia bisogno che lei si
materializzi,
e la gira tra le dita intanto che aspetta.
Ma, come se fosse da
segnale, c’è un bussare alla
sua porta. Prima pensa di esserselo immaginato. La pioggia continua a
cadere, e
lei allunga le orecchie per un altro segno – e per accertarsi che Mary
stia
bene – ma non c’è niente da nessuna parte per un momento.
Poi – ecco.
Tre bussi. Ancora.
Si alza in piedi e cerca di
individuare delle
figure fuori dalla finestra dal suo posto al bancone, ma non riesce a
distinguere nulla. Mary non sembra essere nei guai – sta ancora
discutendo con
sua mamma, sembra – quindi Lily mette giù il telefono e va alla porta,
la
bacchetta stretta.
Si prepara per ogni tipo di
cosa – ci sono stati
nove attacchi la settimana scorsa, dopotutto, in quartieri di nati
Babbani – ma
ciò che vede fuori quando sbircia dalla finestra del salotto fa
crollare
velocemente il suo cuore.
Corre a disfare i lucchetti
magici e apre la
porta ad uno zuppo, tremante James Potter, le spalle arcuate, il
respiro
pesante.
Si fissano sopresi per tre
secondi buoni.
“Ciao,” dice lui, la voce
roca. Le mani sono
strette a pugni ai fianchi. È completamente fradicio.
Lily mette via la
bacchetta. “James, cosa –”
“Non lo so,” gracchia, il
viso quasi contorto in
una smorfia addolorata “Non so perché sono qui, non lo so, mi dispiace…”
Lei fa un passo avanti e lo
tira giù a sé in
fretta. Deglutisce e fissa la strada mentre lo stringe; bagnato e
freddo e così
tremante tra le sue braccia. Lo zittisce dolcemente quando inizia a
mugolare
scuse isteriche ancora e ancora contro la sua spalla
“Sei sicura che sia lì?”
domanda Sirius,
passandosi una mano tra i capelli. Sono tutti sulla soglia di Mary
nella fioca
luce arancione del porticato, perché si sono trovati lì non appena
Peter ha
diffuso l’informazione. “Solo un vecchio amico potrebbe voler dire
chiunque.
Cazzo, poteva dire anche Piton per quanto ne sappiamo.”
Mary lo fissa con sgomento:
“Pensi davvero che farebbe entrare
Severus, in
questi giorni? Lily non è stupida.”
Sirius la fissa in ritorno,
ma alla fine cede.
“D’accordo allora. Torniamo indietro.”
“Okay,” dice Peter,
infilandosi la giacca “Posso
entrare e vedere velocemente…”
“Intendevo alla villa.”
“Non vuoi controllare?”
domanda Remus curioso.
In risposta, Sirius chiede
a Mary: “Sei sicura
che sia lì?”
Mary incontra risoluta i
suoi occhi. “Lo sono.”
Sirius
annuisce. E poi, agli altri due, “Andiamo. Lui sta bene. Vorrebbe che
rimanessimo comunque alla villa. Qualcun altro ha bisogno di noi…
grazie,
Mary.”
“Di
nulla.”
Stanno
scendendo dalle scalette quando Mary li richiama. Non dice nulla subito
quando
loro si girano, e poi, in una voce che sta ovviamente tentando di
rimanere
ferma: “Qualcuno di voi ha già spedito la propria risposta? Lo so che
abbiamo
avuto più tempo per rispondere, per il papà di James e tutto, ma…
questo non
cambia nulla?”
I
ragazzi si guardano. È Remus a rispondere. “Diremo comunque sì. Tutti
noi.”
Mary
appare un po’ stressata da ciò. “Ovviamente,” dice. E poi sorride. È
abbastanza
convincente. Con sorpresa dei tre, li raggiunge e li abbraccia uno ad
uno –
Sirius per ultimo e più a lungo. “Mi dispiace davvero per il signor
Potter,”
mormora contro la sua maglietta fredda. “State attenti mentre tornate a
casa.”
Asciutto
e relativamente caldo, James siede nel salotto degli Evans, con un
aspetto
stanco e disorientato. Si muove appena quando Lily ritorna dalla cucina
con due
tazze di tè. Le appoggia sul basso tavolino. Quando gli si siede
accanto, lui
inizia a giocherellare con le proprie dita. Osserva il fumo mulinare
dalle
tazze e scomparire in vaghi ciuffi; Lily guarda lui furtiva.
“Evans,
io – mi dispiace molto.”
Lily
gli prende la mano. “Va tutto bene. Ma gli altri lo sanno che sei qua?
Potrebbero essere preoccupati. Tua mamma…”
James
deglutisce. Il suo viso si contrae ancora, ma lui fa un respiro
profondo e
riesce a ricomporsi. Apre la bocca per dare una spiegazione, ma non
esce fuori
nulla. Ci prova due volte.
Lily
preme sulla sua mano e si fa più vicina. “Va tutto bene,” sussurra
“Starai
bene.”
Gli
occhi di lui cadono sulle loro dita intrecciate, e per un secondo la
sua mano
si blocca, ma poi si rilassa di nuovo attorno a quella di lei. “So che
non
dovrei essere qui. Io non – non più. Lo so. Mi dispiace.”
Lei
si appoggia a lui e mormora – ancora, perché anche lei continua a
dimenticare,
se dev’essere onesta. “E’ tutto okay. Te lo prometto.”
Sono
silenziosi. James non tocca il suo tè. Lily nemmeno.
Quando
il fumo che loro osservano finisce, Lily dice: “Ho qualcosa di più
forte, se
vuoi.”
“Cosa?”
“Del
tè, intendo.”
“Sì,
grazie.”
Evangeline
è in piedi che li aspetta quando gli altri Malandrini ritornano alla
villa.
Lei
li incontra alla porta, lo scialle ad un sussurro dal caderle dalle
spalle. Non
piange più, ma è solo ora, per qualche ragione, che Sirius la vede per
bene, e
scopre che non può sopportare di vedere gli strati di tristezza sul suo
viso.
All’improvviso capisce il bisogno di James di scomparire. Se lui,
Sirius, non
può nemmeno guardarla, quanto dev’essere frustrato suo figlio?
“Dov’è?”
chiede Evangeline, rivolgendosi ad ognuno. “L’avete trovato?”
“Sta
bene, è al sicuro,” risponde Sirius, abbracciandola. Cerca di
giustificarlo
come un atto di conforto, e non perché così non dovrà guardarla più.
Anche
Remus e Peter la rassicurano, annuendo dietro Sirius. “L’abbiamo
trovato,” dice
Peter. Conducono Evangeline dentro casa.
“Starà
bene,” esclama Remus.
“Ma
dov’è?”
“Tornerà
presto,” risponde Sirius.
Rimangono
tutti per la notte.
Una
bottiglia intera. Una e mezza. Ancora contano, sperando di contare per
sempre.
Lily
dimentica il numero dopo l’undicesimo bicchiere. Dio, non stanno
nemmeno usando
i bicchieri giusti. Ce n’è uno per ogni tipo di alcol, vero? Non è lei
la
Purosangue. Non lo potrebbe sapere. Ma è qualcosa che un Purosangue
saprebbe?
Non è nemmeno certa di per quanto tempo l’alcol è rimasto conservato in
cucina.
L’ha visto quand’è tornata da Hogwarts, ma non l’ha mai toccato
nonostante le
molte notti che sembravano meritarsi un bicchiere o due.
Oh,
cielo – Petunia impazzirà. E se fosse di loro padre? Lily l’ha appena
dato via.
Ad un mago. E si sta ubriacando con
lui sul divano…
Petunia.
Lily non l’ha mai seguita. È probabile che non siano nemmeno più a
Cokeworth.
Deve andarli a trovare presto. Dire addio. Avere un’ultima litigata.
Solo
vederla. Prima che Lily si unisca ufficialmente all’Ordine, cosa che
farà.
Ovvio che lo farà.
“Sì,
anche io,” dice James, cogliendola di sorpresa. A quanto pare sta
dicendo cose
ad alta voce. Divertente. “Lo sai,” continua lui, aggrottando le
sopracciglia,
“Sono così… arrabbiato. Non so
perché. Voglio dire – lo so. Lo so il perché. Ma è ingiusto.”
“Arrabbiato
con me?”
“No…
no, sì. Sì.” Ride e si appoggia al
divano. Chiude gli occhi, si passa le mani sulle guance. Sono
arrossate. Lily
non può smettere di fissare. “Non lo so. Sono così arrabbiato.”
“Sei
arrabbiato ora?”
Lui
apre le mani – sono ancora sul suo viso – e la osserva attraverso le
dita. Lei
lo fissa di rimando. “Non penso di esserlo,” dice.
La
notte passa lentamente. La pioggia non smette.
Remus
esita troppo a lungo. Sette minuti. Sta in piedi sull’uscio aperto per
tutto
quel tempo, solo a deliberare, e quando decide di parlare Sirius si è
ormai già
stancato di aspettare.
“Non
mordo, sai,” esclama Sirius, la schiena voltata verso l’amico. Non si è
mosso,
ma probabilmente ha udito Remus arrivare. È di nuovo sul davanzale. La
sua
silhouette è ancora più scura della notte fonda brillante di pioggia.
“Già,
quello sono io,” dice Remus, entrando e salendo sull’altro lato della
larga
finestra. È stato un sacco di volte nella camera di James, ma non gli
era mai
apparsa così grande e vuota fino ad ora “Io mordo.”
Sirius
ride. Offre la bottiglia di whiskey incendiario che sta coccolando, ma
Remus
scuote la testa. “Solo in caso ti scordassi da quale lato è la stanza
di
James.”
Lo
fa ridere ancora. “Peter dorme?”
“Come
un bambino.”
“Vorrei
riuscirci.”
“Puoi
provare.”
“Fatto.”
“Scusa.”
Sirius
prende un sorso. La bottiglia è quasi vuota. “Hey, mi dispiace essermi
arrabbiato oggi.”
“Non
fa niente.”
“Moony.”
“Sì?”
“Perché
sei qua?”
Remus
si stringe nelle spalle. “Non lo so. Non riuscivo a dormire. Peter è
esausto,
quindi russa come un drago sofferente.” Si ferma, si appoggia alla
finestra.
“Ho pensato di lasciartelo a te. L’avrei anche fatto se tu non mi
avessi
battuto.”
“Ho
notato,” Sirius guarda alla vasta estensione della tenuta dei Potter
sotto di
loro, ma non c’è altro che scure ombre di nero là fuori. “Pensi che
James stia
bene?”
Ci
vuole un po’ perché Remus risponda. “Penso che lo starete tutti.”
“James.”
Niente.
È mezzo sdraiato sul divano, la mano sul viso, gli occhiali storti.
“Ti
sei addormentato?”
Magari
sta dormendo. Muoversi sta diventando difficile. Lily si sforza di
alzarsi, ma
riesce solo a sollevare la schiena dal bracciolo del divano – e finisce
per
cadere sul fianco di James. Pensa di avvertirlo muoversi. “James,”
borbotta,
dandogli una gomitata, “Non puoi dormire qua. Portiamoti in un letto,
okay?
Puoi stare nella camera degli ospiti, è su questo piano…” anche lei sta
spaparanzandosi giù, addossandosi del tutto a lui. “Dai. Pochi passi.
Poi
dormiamo.”
“Okay,”
risponde finalmente lui.
“Stavi
dormendo?” non sembrava che lo fosse.
“No.”
Si aggiusta gli occhiali. Quando le guarda i capelli, scompigliati e
più rossi
che mai sulla sua spalla, il suo sbuffo viene fuori come una risatina.
Scendono
dal divano e devono sostenersi ai tavoli e ai muri e all’altro nella
strada
verso la stanza degli ospiti.
“Eccoci,”
dice Lily, mentre entrambi si fermano sull’uscio e si appoggiano ai
lati opposti.
Il loro corto viaggio dal divano a qui in qualche modo l’ha resa un po’
sobria;
ha scosso l’indolenza che l’alcol le ha messo nelle ossa. Si sente
all’improvviso timida alla vista dell’angusta camera. “E’ piccola, mi
dispiace,
ma c’è un letto e – solo poche ore fino al mattino in ogni modo… non
che tu non
possa dormire di più. Puoi. Io probabilmente lo farei. Io, ehm – sei
sicuro che
vuoi rimanere per la notte, però? Non ti lascio smaterializzarti da
solo, ma
posso chiamare Sirius… aspetta, ma almeno ce l’hai un dannato telefono?”
Lei
alza lo sguardo perché James non sta rispondendo – e subito desidera di
aver
continuato a parlare. Lui la sta guardando… così,
come così tante notti sotto stelle di venerdì quando ancora lui era
suo, come
forse lei gli manca tanto quanto lui manca a lei. E lei scosterebbe lo
sguardo,
avrebbe il buon senso di farlo se fosse un po’ meno inebriata.
“Questa
è una cattiva idea, vero?” gli chiede. La sua voce è calata in un
sussurro,
come se alle parole stesse non piacesse essere dette.
“Forse.”
“Non
dovremmo essere…” Qui. Insieme. Così vicini.
“Io
non dovrei essere qui.” In qualche modo lui suona come se lui stesso
non ci
credesse.
“No.”
“Già.”
“James
–”
“Dovrei
andarmene, giusto?”
Lei
non risponde.
“Evans…”
Lei
si morde il labbro. Pensa che avrebbe dovuto portarsi una delle
bottiglie con
sé, giusto per qualcosa da fare mentre fissa.
Forse
è un sogno. Forse si sono addormentati sul divano.
Alza
una mano per toccarlo, solo per esserne certa, ma rimane sospesa sopra
la
guancia di lui, che continua solo a guardarla.
Sogno.
Questo è un sogno.
La
sua mano crea un contatto.
Lui
è ardente. Tremante. Lei muove il pollice sopra il suo zigomo, e poi va
giù; fa
scorrere la mano lungo il suo braccio, lentamente, seguendola con gli
occhi, le
dita che lo sfiorano appena. La pelle di lui si riempie di pelle d’oca,
e lui è
così fermo e il cuore di lei sta battendo così in fretta che lei si
chiede se
riuscirà a baciarlo prima di prendere fuoco. Ha paura di guardarlo
ancora negli
occhi, ha paura di ciò che potrebbe trovarvi ora che è sicura di non
stare
sognando. Quindi si accontenta del petto coperto dalla maglietta. Caldo
sotto
la punta delle sue dita. Fissa ma non vede. Lascia che la sua mano
raggiunga il
polso di lui nella sua lenta conquista; lascia che rincorra il suo
battito
scatenato.
Non
guardare. Solo sentire.
“Lily,”
lui sussurra, ed è una supplica ed una domanda ed un’accusa tutte
avviluppate
in una, veleno e vino sulle labbra di lui “Io ancora…”
“Anche
io,” conclude lei per lui. Vuole sentirlo tanto quanto non voglia. Si
fa
avanti, la fronte che si scontra con il suo petto, volendo nascondersi.
Apre il
palmo contro il suo, le punte delle dita di millimetri più corte delle
sue,
battito contro battito ma senza intrecciare le dita. Sciocco. Come se
quello
potesse rimediare per essere andati troppo in là in così tante cose
oggi. Lei
non lo merita. “Anche io, James.” Anche
io, così tanto. Lui è caldo, ha lo stesso odore; ancora così,
così tanto
James sotto di lei che fa male.
Lui
non si muove. Il suo petto si alza con respiri pesanti che sono uguali
a quelli
di lei. “Ma – ancora non possiamo essere, vero?”
Ora
lei sta piangendo. “Mi dispiace. Sono qui. Sono qui ora.”
“Non
posso perderti ancora, Evans. Non puoi essere mia stanotte ed andartene
alla
mattina.”
Lei
si fa più vicina. Ora dovrebbe lasciarlo andare. Lui ha ragione. La sua
mente
non si è decisa, nonostante tutto, ed è così ingiusto che non lo sia,
ma lei
glielo deve di essere completamente onesta. Non può illudere. E lo ama
– lo fa,
ne è così certa che sta per esplodere – ma tutto è così un cazzo di
disastro
ora, e – e lei non può essere incerta dello stare insieme e rischiare
di
ferirlo ancora così –
Lei
apre la bocca per parlare, frasi spezzate che si uniscono all’ultimo
minuto
sulla sua lingua, ma lasciano vetri rotti incastrati in molti angoli
del suo
cuore.
James
la batte. “Io non ti manco.” dice.
Lily
si fa indietro quanto basta per guardarlo. “Cosa?”
“Dimmelo,”
insiste lui. Chiude le mani in pugni, scostandole le sue. “Che io non
ti
manco.”
Lei
non può.
“Dimmi
che non mi vuoi. Che vuoi che me ne vada. Che non hai bisogno di me.
Non dovrei
essere qui.”
Lei
non può. “James…”
“Ne
ho bisogno, Evans. Dimmelo di nuovo. Ho bisogno di sentirlo di nuovo.”
“Perché?”
“Perché
quando oggi mi hai lasciato ho sentito come se anche io avessi lasciato
me.” È
così vicino ora. C’è solo un tot di distanza in un dannato uscio.
“Perché ho
dovuto trovarti così tanto. Devo. Sempre.” Le sposta una ciocca di
capelli
dietro l’orecchio e lascia lì la sua mano, quasi quasi lì, ma senza
toccare.
Lei chiude gli occhi, e il calore familiare è tutto ciò che c’è per
sapere che
lui è così vicino. “Dimmelo ancora perché continuo a dimenticare le tue
ragioni
per andartene. Riesco solo sempre a capire perché dovrei tornare
indietro.”
Lei
non può.
Respirare
è diventato difficile. Anche per lui, lei nota. Forse ecco perché,
quando lei
apre gli occhi infine e con loro gli dice cosa non riesce a fare, lui
scuote la
testa e lascia cadere la mano. Fa tutti i passi indietro. Ecco perché;
perché
non può più respirare, perché il suo cuore sta prendendo troppo spazio
nella
sua cassa toracica. Lei lo sa perché lo sente anche lei. Lui annaspa in
un
respiro tremante e inizi a voltarsi – via
– e – e tutto attorno e dentro Lily sta girando e girando e
lei pensa che
lui dica qualcosa come “Non posso,” ma lei non può esserne certa perché
non lo
lascia finire –
Lo
afferra per un braccio e lo tira indietro verso di sé, non spreca altro
tempo.
Sembra essere anche il punto di scatto di lui; quell’impulso che dura
un
battito. Le persone perdono la testa in guerra, no? Alcune? Be’, eccoli
qui.
James Potter e Lily Evans, perse ed imperfette anime a diciott’anni.
Non
importa niente stasera.
Niente.
Solo
le labbra di lui, sulle quali lei piomba per reclamarle, che lui cede
di
ricambio, forte e disperato e furioso. La bacia come se questa sia la
loro
guerra, proprio qua, come se sia il culmine di tutto – lei che perde la
battaglia dello stare separati e lui che vince la sua dello stare
insieme. Lui
è suo, tutto suo stanotte, tutto. Mani e fianchi ed ogni calloso
segnato dito
che massaggia e affonda contro la sua vita, in sincronia con la sua
bocca, in
sincronia con tutto il suo fottuto corpo. Tutto di lui. Lui sta
tremando. Anche
lei. Lei fa scorrere i palmi lungo tutto quello che le sue mani
riescono a
raggiungere, non c’è più quella lenta cauta attesa ora – le sue spalle,
le sue
braccia, il suo petto che si alza quando si toglie la maglietta,
frenetico; e
lei non si ferma nemmeno quando colpisce la porta, quando lui inizia a
tirare
l’orlo della sua maglia, quando inizia a spingerla verso il letto.
Entrambi
sbattono contro tutto ciò che è in mezzo alla loro strada. Non si
fermano
quando lei cade sul letto, quando lui segue sopra di lei.
Non
importa niente.
Solo
labbra su battiti affrettati. Percorsi di dita sui fianchi di lui.
Pressione
sulle anche di lei. Morsi sulle spalle, sulle clavicole, su gemiti e
nomi
dell’altro. Questo è reale –
attraverso il calore pizzicante che corre troppo velocemente verso
l’inevitabile
implosione, questo è ciò che lei si rammenta ancora e ancora. Che
questo è
reale. Questo è James. Che respira con lei, si muove con lei. Questo è
svegliarsi e rimanere a ciò che dovrebbe essere, non il contrario.
Questo
è reale. Questo – il mondo che si disintegra così, lei che crolla così.
Questo.
Lui. Lei.
Nient’altro.
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