Era
un giorno della prima settimana di maggio, quando comincia a far caldo
e il
sole ti illude che sia veramente arrivato il tempo di sbizzarrirsi
divertendosi, oppure ti rende schiavo da dietro una finestra facendoti
arrabbiare perché te ne stai rinchiuso, costretto a lavorare
ancora. Era
probabilmente questo lo spirito che indusse Francesca a guardare
ripetutamente
dalla finestra, sperando di cogliere chissà quale sollievo
ad una giornata
passata nei banchi.
Disegnava
distratta con la matita, stretta fra le dita sottili e che lasciava con
la
grafite segni imprecisi sul foglio.
Paola
la osservò attenta, poi abbassò lo sguardo.
-Non
si vede per niente- sussurrò.
La
bionda la guardò quasi malinconica, sospirando.
-Il
dottore ha detto che dovrebbe crescere piano piano a cominciare da
adesso…- poi
detto questo tracciò un’abbondante linea curva sul
foglio bianco.
-Ti
capita mai di avere le voglie?- domandò curiosa Paola, del
tutto dimentica
della lezione.
Francesca
alzò le spalle, stringendosi in esse pensierosa e mordendo
l’estremità della
matita.
-Una
volta, un pomeriggio all’improvviso aveva una voglia pazzesca
di fragole, ma
Davide non me le ha date. Forse perché non
c’erano…- sorrise.
-Poi
un’altra volta mi sono fatta un bel po’ di
caffè, tutto in un pomeriggio, e gli
ho consumato un sacchetto che stava a metà-
-Caspita,
chissà se al bambino gli spunterà una voglia
marrone!- disse concitata l’amica.
La
bionda cambiò il suo sguardo da tranquillo a cupo,
accigliandosi e guardando
altrove.
Paola
capì subito dove aveva sbagliato.
-Scusa
scusa, scusami non l’ho detto apposta!....... senti
perché non vieni a mangiare
a casa mia oggi?- chiese per sviare l’argomento.
-No...
– sospirò la bionda, tornando a voltarsi verso di
lei con la testa poggiata in
una mano -voglio
vedere come fa Davide
il pranzo che gli ho comprato, così semmai posso
sfotterlo…-
Paola
assunse un cipiglio invitante.
-è
carino questo fantomatico ‘papà’?-
domandò.
-Boh-
-Come
boh? Se non lo sai tu che ci vivi!-
-Pare
che io lo guardo in quel modo? Ma nemmeno per sogno!- sorrise come se
fosse
ovvio la ragazza.
-Secondo
me…… un pensiero ce l’hai
fatto…- la stuzzicò l’amica.
-Manco
sotto tortura- rise la bionda.
Paola
tornò nella sua parte di banco, prese un foglio a righe e lo
dispose sul banco orizzontalmente.
L’ora
di storia era molto proficua per coloro che amavano il fanca**ismo,
perché la
professoressa si perdeva solitamente in lunghe digressioni e aneddoti
inutili
ma efficaci per far passare l’ora senza fare molto.
Così Paola fece scorrere la
cerniera dell’astuccio e prese vari colori, a matita e a
spirito.
Incominciò
con la matita a tracciare linee ben definite e non vaghe come quelle
che faceva
prima la sua compagna di banco.
Francesca
appunto, curiosa, si sporse.
-Che
disegni?-
Ma
l’altra ritirò il foglio per non farle vedere.
-Mo
aspetti- le disse, furba.
Dopo
circa dieci minuti, mentre stava passando il pennarello nero sui
contorni, la
bionda si rese conto che era una scritta a mo’ di graffito.
-Me
lo fai vedere allora?-
-Un
attimo… che ho quasi finito…- diceva mentre
terminava di ripassare.
Così,
soddisfatta, si allontanò e lo porse all’amica.
-Tieni,
te lo regalo-
Francesca
lo prese in mano e lo guardò, meravigliata da come la
ragazza sapesse scegliere
le giuste combinazioni e dosi di colori per rendere molto
più bello l’insieme.
-Che
artista- commentò alzando un sopracciglio.
-Ti
piace?-
Lei
sorrise e annuì, ridendo piano dopo.
Sul
foglio a righe erano tracciate linee nere, verde evidenziatore e
arancione
elettrico, che si univano per formare il seguente testo:
Davide&Francesca=love4ever.
L’insieme
era davvero carino e alla bionda dispiacque di buttarlo e rovinare
l’impegno
che ci aveva messo la sua amica.
Così
scosse la testa, ma invece di strapparlo lo ripiegò e lo
infilò con una graffetta
fra le pagine del suo diario imbottito.
Quella
sera tornata a casa, assaggiato uno dei migliori cocktail preparati con
cura da
Davide, giusto per provare a sentirsi grande, la testa le girava un
pochettino.
Erano
seduti l’uno di fronte all’altro, persi ognuno nei
propri pensieri, quando
d’improvviso lei ruppe il ghiaccio.
-Oh
ma oggi è il sette maggio!- esclamò come
riscuotendosi da un torpore.
-Benvenuta
sulla Terra- commentò lui senza alzare gli occhi dal suo
giornale.
-Allora
stasera…- proseguì ignorandolo
-…stasera c’è quel
programma…-
Di
scatto si alzò, diretta verso il salotto, quando anche
Davide saltò in piedi.
-Eh
no, eh! Ferma dove sei, la tv è mia!-
Lei
si voltò a metà strada, le sopracciglia
aggrottate.
-Cosa?-
-La
tv è mia. C’è una partita importante
stasera-
-Nemmeno
per sogno! C’è un bellissimo programma e io devo
guardarmi un bellissimo
ballerino!-
I
due si sfidarono con un’occhiata intimidatoria, nessuno
deciso a perdere.
La
bionda si avvicinò al ragazzo, fronteggiandolo a testa alta
e con cipiglio
altezzoso.
-Non
si discute, la tv è mia-
Anche
lui la guardò allo stesso modo, incrociando le braccia.
-Non
se ne parla. È mia-
Entrambi
persistevano nel loro intento, senza demordere.
-D’accordo…
c’è solo un modo per risolverla…-
cominciò lei, ghignando in una maniera per
nulla promettente.
-Sarebbe?-
-Braccio
di ferro-
A
questa affermazione lui rise di gusto, tenendosi il fianco.
-Cosa
c’è, che ti ridi?- lo aggredì la
ragazza, sedendosi al tavolo e alzando il
braccio –Muoviti e vieni-
-Ma
fai sul serio?-
-Muoviti,
stupido- sibilò a denti stretti.
Un
po’ intimorito, un po’ divertito Davide
accettò di sedersi davanti a lei e di
far intrecciare le dita delle loro mani. La bionda lo fissava dritta
negli
occhi, e li strinse sorridendo perfida quando lui rafforzò
la presa nella sua
mano.
-Preparati
a perdere- lo minacciò.
Dopodiché,
all’improvviso senza avvertire strinse la presa e
iniziò a spingere verso
destra con decisione. Lui, che non era preparato, lasciò che
la mano cadesse,
ma appena in tempo prima che toccasse il tavolo irrigidì il
muscolo e riuscì a
farla restare sospesa.
-Sei
morto- ansimò la ragazza, stringendo gli occhi e mettendoci
più forza.
Sentendo
la sua pressione abbastanza forte lui si preoccupò.
-Non
posso farmi battere da una femmina, dannazione!- fece il ragazzo.
Così
con uno sforzo che sembrava immane, sollevò nuovamente le
due mani,
riportandole in situazione di parità.
Ma
Francesca non gettò la spugna, anzi riprese a spingere con
maggiore intensità.
-Ti
ammazzo Davide!- boccheggiò ridendo, e aggiunse un altro
braccio per spingere.
-Fallo,
fallo! Arbitro, espulsa!- rise lui, e dovette metterci anche lui il suo
sinistro per compensare la forza dall’altra parte ed evitare
di cadere
sconfitto.
La
lotta non voleva cessare ed entrambi non volevano perdere.
-Dio……
ma quanta forza c’hai?- esclamò lui, fra il
divertito e il sorpreso, perché la
ragazzina non accennava a desistere e non sembrava essere stanca.
-Sono
brava, vero?-
Era
tutta rossa e con i capelli scompigliati dalla fatica, ma resisteva
ancora,
quella testa dura!
Ad
un tratto, presa dall’ispirazione, Francesca
digrignò in denti in una smorfia e
calciò forte sullo stinco del ragazzo, sotto il tavolo.
Lui
sobbalzò per il dolore e ovviamente smise di opporre
resistenza; il suo braccio
scivolò a massaggiarsi la parte colpita e la sfida fu vinta
da lei.
-Ahio!-fece
il ragazzo, mentre si alzavano e lei trionfante accendeva la
televisione.
-Hai
imbrogliato!- la rimproverò, sedendosi accanto a lei.
-Avevamo
forse deciso regole?- domandò saputa.
-No…
però…- si difese lui.
-E
allora zitto e basta. Ho vinto io-
Sbuffò,
si appoggiò allo schienale del divano e premette il pulsante
del telecomando.
Davide
gemette e arrovesciò la testa all’indietro.
-Per
favore, dai me la fai vedere la partita?- chiese ad occhi chiusi.
-No,
devo vedere il mio ballerino- rispose netta la ragazzina, gli occhi
fissi sullo
schermo.
-Ma
che te ne frega? Tanto pare che ci finisci a scopare…-
commentò l’altro.
A
questa affermazione la bionda non rispose subito, impegnata a seguire
con le
iridi azzurre i movimenti del ragazzo sullo schermo.
-Tanto
anche in quel caso… - ribatté piccata
–non avrei potuto, mi fa male-
-Cosa
ti fa male?- domandò lui, rialzando la testa e fissandola
perplesso.
-Secondo
te? La fi*a- rispose senza imbarazzo.
Lui
arrossì, e gli scappò un sorriso, poi ci
pensò su.
-Beh…
ed è normale?- domandò preoccupato.
-Che
ne so… è normale?- gli rigirò la
domanda, ancora presa dallo schermo della
televisione.
-E
che ne so io! Insomma…… è roba tua,
no?-
Dopo
quelle parole cadde un silenzio imbarazzato. Francesca si
voltò lentamente a
guardarlo, mordendosi un labbro, incerta se ridere.
-Oddio
non posso credere che l’ho detto…-
mormorò lui senza guardarla.
La
ragazza non riuscì a reprimere una risata, che
soffocò il momento dopo fra i
denti, mordendosi forte le labbra.
Rosso
in volto, il ragazzo si reggeva il mento con una mano e guardava da
tutt’altra
parte.
-Okay,
dimentica l’ultima cosa che ho detto….-
-Sì,
certo- disse senza trattenere il tono divertito.
-Eh
non l’ho fatto apposta! Volevo dire un’altra
cosa…-
-Sì
sì- assentì la ragazzina, prima di scuotere la
testa.
Dovette
riconoscere che aveva fatto di notevoli passi avanti con lei, e ora
erano
arrivati ad uno strano rapporto di convivenza, non più tanto
forzata ma nemmeno
gradita. C’erano giorni in cui, soprattutto a lei, la luna
girava storta e non
le si poteva dire nulla senza incappare nella sua ira. Altri giorni,
come
quella sera della partita e dello spettacolo, la conversazione si
manteneva su
un tono strafottente, mai gentile, eppure più rilassato e
complice.
Lui
ormai ci aveva fatto l’abitudine, a quella furia bionda che
vedeva ogni
mattina, girata verso la finestra nel suo letto.
E
ogni mattina, dopo che era stato seduto per dieci buoni minuti a
svegliarsi, la
guardava dormire beata, silenziosa e raggomitolata fra le lenzuola.
Finché il
ragazzo non guardava l’orologio e la svegliava.
-Francesca…?-
la
chiamò, scuotendole la spalla.
Ma
non ottenne
risposta se non un brontolio confuso.
-Francesca?-
richiese paziente.
Stavolta
gli sembrò
che avesse aperto un occhio pianissimo, come se temesse di farsi vedere
dal
nemico.
-Guarda
che è
tardi- la informò senza tanto entusiasmo lui.
A
questa uscita
ottenne un gemito represso nel cuscino morbido. Ripeté i
soliti incitamenti che
faceva ormai spessissimo, fino a che lei alzò la testolina
bionda.
Lo
guardò
assonnata, con la vista annebbiata e gli occhi semichiusi,
girò la testa
dall’altro lato e sprofondò di nuovo nel letto.
-Devi
andare a
scuola. Non posso firmarti il permesso di entrare alla seconda ora-
spiegò,
togliendole ogni prospettiva di scamparla.
Francesca
mugugnò
qualcosa di insensato, si rivoltò a pancia in su e disse
-Ti
odio...
str***o-
-Ah
be’, non è
colpa mia se sono le otto e un quarto- proseguì incurante
dei suoi insulti.
La
bionda d’un
tratto si rizzò a sedere. Il lenzuolo non le copriva che il
petto, mentre
lasciava fuori le spalle e le gambe. Subito saltò
giù, come presa da una
scossa.
-Cavolo,
cavolo…
accidenti a te!- esclamò andando alla ricerca dei suoi
vestiti, frenetica.
-Ah
certo… è sempre
colpa mia tanto…- esalò lui in un lungo sospiro,
sdraiandosi di nuovo fra le
lenzuola.
-E
non provare a
guardarmi, sai?- lo informò aggressiva.
-Non
ci tengo a
morire- rispose senza pensare, e forse fu un grosso errore.
Infatti
subito
dopo, rabbiosa, la ragazzina bionda gli lanciò contro il suo
paio di jeans,
colpendolo quasi in viso.
-Ahio
ma sei scema?
Potevi cecarmi!- le gridò contro, tornando di scatto a
sedersi.
-E
ringrazia che ho
una mira del ca**o altrimenti stavi già all’altro
mondo!- ribatté acida,
avvicinandosi per riprendere l’indumento.
Se
lo fece scorrere
su per le gambe lunghe e giuste, allacciandoselo davanti ai suoi occhi.
-Dai
lo so che sei
bella- mormorò con voce roca stendendosi un’altra
volta sul materasso lui, e
affondando la testa nel cuscino.
-...certo-
commentò
lei sarcastica.
-Sei
più bella di
Miss Italia... davvero, soprattutto con quei brufoli sulla faccia, i
fianchi
rotondi, i capelli in disordine...- ridacchiò divertito,
parandosi il viso con
una mano per sicurezza.
Francesca
infilò le
scarpe ai piedi e prese il suo zaino.
-Giuro
che quando
torno da scuola ti uccido-
A
quella furia bionda che guai a contraddirla o a intralciarla.
-Come
sarebbe che
vuoi andare ancora dal ginecologo?- chiese Davide.
-Sarebbe
che ci
voglio andare. Oh senti, il problema è mio!-
ribatté Francesca ostinata.
-Ma
ci sei stata
appena una settimana fa!- obiettò il ragazzo.
-Embé?
Fatti miei e
del dottore se ho dei problemi!-
Si
mise la mani sui
fianchi e gli tenne testa, orgogliosa.
Lui
si grattò il
capo, perplesso e non del tutto convinto.
-Senti...ma
mi
spieghi come mai questo cambiamento? Prima non ci volevi andare manco
costretta
e ora sembra che ti manchi!-
La
bionda scosse la
testa.
-è
che mi piace
questo dottore, idiota- sibilò cattiva –e poi ho
bisogno di visite regolari,
no?-
-E
come mai d’un
tratto sei così esperta?- domandò sospettoso il
ragazzo.
-L’ho
letto nel
libro che mi ha dato tua madre- ribatté ostinata,
mostrandoglielo.
-Tu
leggi troppo
quel libro, mi sa...- fece rabbuiato, ma la accontentò.
A
quella furia bionda che, alla fine dei conti, era provvista di molto,
molto
buonsenso e non era proprio cattiva.
Silvia
passeggiava
per il locale, reggendo vassoi ora pieni di dolci, ora di cornetti e
cappuccini
e così via.
Davide
la osservava
incerto, timoroso.
-Allora,
mi
raccomando...- gli disse la bionda seduta di fronte, con un sorrisetto
che le
scappava dalle labbra.
-...non
devo
rivolgerle la parola- continuò, non convinto il ragazzo.
-Esatto-
Francesca
se la rideva, sforzandosi di trattenere la risata.
-Ma
così non è
peggio per me?- chiese preoccupato.
-No,
ma che
dici...-
Poi
scoppiò a
ridere, incapace di trattenersi; lui si imbronciò.
-Smettila
di
prendermi in giro!- le intimò.
La
ragazzina si
ricompose e gettò uno sguardo divertito, mordendosi il
labbro, alla cameriera.
-Tu
fai quello che
fai normalmente, sii gentile come sempre e andrà tutto bene-
lo rassicurò.
-Non
ce la farò
mai- scosse la testa lui.
A
quella furia bionda che sapeva essere sincera e diretta.
-Com’è
andata?-
Francesca si rizzò sul divano, osservando attenta il ragazzo
appena entrato
dalla porta.
-Uno
schifo-
commentò lui appoggiando l’ombrello a terra, zuppo.
-Che
è successo?-
Davide
si sedette
accanto a lei, guardando il televisore spento con le sopracciglia
aggrottate.
-Stavo
lì per
chiederle di andare a farsi un giro al nuovo centro commerciale che
hanno
aperto, vado per parlare e le squilla il telefono. Lei risponde e...-
-Ed
era il suo ragazzo-
terminò la bionda, appoggiandosi allo schienale.
-Esatto-
proseguì
rabbioso lui –e se ne esce con ‘scusa, ma devo
andare col mio ragazzo. Conosci
il centro commerciale nuovo, che hanno aperto da mo? Magari qualche
volta ci
andiamo...’- scimmiottò la sua voce femminile e si
lasciò andare anche lui
contro lo schienale.
-Povero
Davi...- la
ragazzina gli batté una mano sulla spalla, comprensiva ma
strafottente.
Oltre
al fatto che avevano avuto modo di conoscersi, dopo la scoperta che
aveva fatto
lui, il bambino cresceva.
Davide
era abbastanza contento di come stavano andando le cose. La scuola le
era quasi
finita, mancavano più o meno due settimane, e poi durante
l’estate, nel periodo
critico che avrebbe dovuto attraversare con la gravidanza, sarebbe
stata più
tranquilla senza l’imbarazzo di dover andare a scuola col
pancione.
Era
contento anche di lei, iniziava a crederci davvero in quella storia di
avere un
bambino. E la cosa straordinaria era che non dovevano impegnarsi in una
relazione, ma solo essere dei buoni conviventi legati da un patto, come
un
segreto che solo loro sapevano.
Davide
aveva riflettuto anche su questo, se dirlo o meno a sua madre. Tante
volta
aveva pensato di domandare a Francesca cosa ne pensasse, cosa avesse
deciso di
fare una volta che fosse nato il bambino. Ma non osava domandarglielo,
perché
notava che ogni volta che si toccava l’argomento lei non
rispondeva e cercava
di sviare.
Probabilmente
non voleva parlarne e basta, e il ragazzo non si affaticò a
cercare di capire
il perché.
Ma
affianco a queste piccole conquiste, rimaneva sempre un chiodo fisso
nella sua
mente, e cioè il motivo per cui la ragazzina volesse spesso
andare dal
ginecologo.
Era
sicuro che avesse letto il libro di sua madre, e poteva capire che
volesse
accertarsi che andasse tutto bene, ma cinque visite in tre settimane
gli
sembravano un po’ tante.
Dapprima
non se ne era preoccupato anzi ne era felice, convinto che avesse
cominciato a
mostrare maggiore interesse per il bambino, ma ora il pensiero lo
tormentava.
Non
gli permetteva di accompagnarlo dentro la sala, e anche se dopo ogni
visita
parlava col ginecologo che lo rassicurava, aveva la netta impressione
che quei
due gli stessero tenendo nascosto qualcosa.
Purtroppo
per lui e non solo, scoprì in un modo del tutto brutale cosa
stava succedendo.
Davide
tornò dal lavoro alle otto e quarantacinque, piuttosto in
anticipo a dir la
verità, la sera del diciassette maggio, con addosso solo la
giacca nera. Aprì
la porta, poi gettò con un colpo secco il mazzo di chiavi
sul divano, e chiuse
il portone alle sue spalle. Avvertì subito, dal primo
momento, che c’era
qualcosa che non andava.
Senza
chiamarla, cercò Francesca con lo sguardo nel salotto, nella
cucina e nella
camera da letto, ma non c’era.
Poi
gli venne in mente di controllare nel bagno, e senza far rumore si
avvicinò
alla porta, che era accostata e dalla quale proveniva una luce.
Che
diamine stava facendo lì dentro?
Insospettito,
spinse con due dita la porta per vedere all’interno cosa
succedeva: Francesca
era seduta sul lavandino e teneva in mano qualcosa,
nell’altra un bicchiere
d’acqua.
Inevitabilmente
si accorse della sua presenza, e quando lo fece alzò gli
occhi azzurri
piantandoli quasi terrorizzata nei suoi verdi.
-Che
stai facendo?- chiese lui accigliato.
-Niente-
la ragazzina saltò subito giù dal lavandino e
posò una scatola bianca su di
esso, sperando di non essere vista; a Davide invece quel gesto non
sfuggì
affatto.
Sempre
più insospettito dalla strana situazione, e credendo che gli
stesse nascondendo
qualcosa, la guardò negli occhi.
Era
preoccupata lei e molto. L’attimo dopo, con uno scatto agile
afferrò con la
sinistra la scatoletta che lei aveva cercato di nascondere dietro di
sé, e la
bionda cercò di fermarlo senza successo.
Davide
la mise fuori dalla sua portata e prima di guardarla si
concentrò su di lei.
-Cos’è
questo?-
-Pillole
per il mal di testa- disse subito lei, componendo
un’espressione noncurante e
indifferente –avevo un po’ di male... e
così ho visto se ne avevi...-
Ma
il ragazzo, per qualche strano sesto senso, avvertiva che in tutta
quella
situazione c’era qualcosa che non andava. Forse
perché i suoi occhi azzurri
saettavano ansiosi dalla scatola a lui, forse perché aveva
preso a mangiarsi il
labbro come faceva quando era nervosa o incavolata, forse
perché non gli
sembrava che per prendersi una pillola per il mal di testa bisognasse
stare
rinchiusi in bagno con aria cospiratrice.
-Come
mai sei già a casa?- domandò la ragazza, per
spezzare il silenzio teso.
-Ho
finito prima-
Non
si aspettava che tornasse così presto.
Qui
c’era sotto qualcosa, e qualcosa di brutto, pensò
Davide.
-Ridammi
la scatola- ordinò lei, tendendo il palmo.
-No-
ribatté deciso il ragazzo.
-Davide,
ridammela- la bionda si avvicinò, ora con l’ansia
in viso.
Lui
si decise a guardare la scatola, e mentre lo faceva la bionda
sospirò e
gemette.
Il
cuore le batteva forte e rapido nel petto come se dovesse sfondarlo,
mentre
guardava spasmodica Davide che leggeva le scritte della medicina. Si
spaventò,
si spaventò tanto e di colpo impallidì. Ora non
restava che da vedere la sua
reazione, ma era certa che non sarebbe stata nulla di buono.
Davide
lesse le scritte veloce, e si irrigidì. Fu come se uno
schiaffo gli fosse
piovuto addosso, paralizzandolo lì. Non riusciva nemmeno a
parlare.
Poi,
lentamente, alzò la testa.
-Queste
non sono pillole per il mal di testa- mormorò.
Francesca
incontrò i suoi occhi verdi nei propri azzurri, e lo
guardò gettare nel secchio
la scatola.
Si
fissarono per un lungo attimo, che parve
un’eternità, fino a che lei non poté
più reggere il peso di quegli occhi che ora sapevano,
sapevano tutto.
-Cosa
volevi fare?- domandò, ma il suo tono non era curioso, o
ignorante. Era serio,
carico di ansia e gravoso, quasi duro.
Lei
respirava forte, tenendo gli occhi fissi sullo stipite della porta,
tormentandosi le mani.
D’un
tratto lo superò, andando nel salotto.
Davide
subito le fu dietro, e richiese più forte, con voce
più autoritaria
-Cosa
volevi fare?-
Nemmeno
stavolta lei rispose, ma tirò dritta per il piccolo
corridoio.
Al
che lui perse la pazienza, le afferrò un polso e la
sbatté forte al muro.
La
ragazzina gridò di sorpresa, ma il suo lamento fu zittito
quando vide lo
sguardo che aveva assunto lui. Continuava a stringerle il polso destro.
-Ti
ho fatto una domanda- le sibilò, rabbioso.
Lei
ebbe un momento di smarrimento e fu incapace di replicare quando vide
l’espressione furiosa sul suo viso; per una volta,
l’aveva sopraffatta.
Diavolo,
l’aveva fatto arrabbiare sul serio.
E
quando gli altri si arrabbiavano, non poteva soccombere, ma reagiva
sempre.
-Non
l’hai capito? Sei stupido?- gli ringhiò in faccia,
iniziando a farsi rossa.
-Volevi
uccidere il bambino?- domandò a voce alta il ragazzo, ormai
incavolato.
Francesca
non rispose a questo, ma tenne alto lo sguardo.
I
loro respiri sbattevano, caldi, ma non di passione.
-Non
avrei ucciso nessuno, io- soffiò a pochi centimetri dalla
bocca dell’altro.
-Volevi
uccidere il bambino? Non ti importa nulla di lui? E allora cosa sei
andata a
fare dal ginecologo?-
-Mi
sono fatta consigliare per abortire!- ribatté la ragazza.
-Volevi
davvero uccidere? Uccidere il bambino?- lui sgranò gli
occhi, disgustato e al
tempo stesso avido di saperne di più.
Fu
come se alla ragazza crollasse il mondo addosso; sentirlo uscire dalla
sua bocca
accentuava all’ennesima potenza il significato. Ma la rabbia
le salì su per lo
stomaco, le invase le arterie e anche le guance si fecero rosse; un
brutto,
bruttissimo segno.
Esplose
come una bomba.
Scosse
il braccio stretto nella sua presa e cominciò a gridare.
-Tu
sei uguale a tutti gli altri! A te non importa nulla di me! A te
importa solo
di quello stupido bambino! E sai cosa ti dico? Io lo odio!-
Davide
ascoltò quelle parole, e lo colpirono in viso con la forza
di un mattone.
-Cosa?-
mormorò sconcertato.
Francesca
lo guardò orgogliosa.
-Ancora
non l’hai capito? Io un figlio non lo faccio-
Rimasero
in silenzio, l’uno davanti all’altro, la ragazzina
schiacciata contro la parete
e lui che le teneva il polso; nel frattempo si guardavano,
l’una rabbiosa e
ferita, l’altro incredulo.
-Lasciami,
mi fai male- disse lei piano.
La
mano di Davide scivolò lenta sul suo braccio, lasciandola
andare e
allontanandosi.
-Da
quanto tempo è che...?- chiese, le braccia stese sui
fianchi, guardandola
serio.
-Da
sempre. Da quando ti ho cercato-
-E
tu già pensavi di abortire?- domandò
accigliandosi.
Lei
annuì, incrociando le braccia.
Davide
la fissava, passando dal meravigliato al disgustato. Sentì
la delusione farsi
strada dentro di lui, inesorabile.
Boccheggiò
tentando di trovare qualcosa da dire.
-E
io allora? A che ti servivo?- riuscì a dire alla fine.
La
bionda non gli rispose, ma guardò un punto indefinito del
pavimento; lui
interpretò la mancanza di risposta come la mancanza di una
ragione, di un
motivo valido. E questo bastò a fargli capire.
-Mi
hai solo usato- concluse a voce atona, ma fissandola stringendo gli
occhi in un
modo che non indicava certo gioia.
Incapace
di guardarla negli occhi, anche lui incrociò le braccia al
petto, offeso e tremendamente...deluso.
Aveva
speso un mese, tutte le sue energie, per dedicarsi a quella ragazza.
Ci
aveva dato il sangue, l’appartamento e una cospicua parte di
soldi.
Aveva
cercato di aiutarla.
E
lei, così testarda, all’apparenza
un’ingrata, che nascondeva una storia
terribile, ora lo aveva ingannato. Lui si era dedicato a lei,
l’aveva
conosciuta meglio, ci aveva giocato e rarissime volte scherzato,
parlato,
urlato, litigato e scambiato sguardi per nulla amichevoli, ma ci aveva,
nel
bene o nel male, vissuto insieme. Aveva creduto che le importasse del
bimbo,
che il suo interesse per il ginecologo fosse dovuto al bambino, e
invece no.
Si
sentiva umiliato, deluso, devastato da quella spiacevole
novità.
Vedendo
che non apriva bocca Francesca disse
-Ti
sei arrabbiato?- ma il suo tono non era preoccupato, anzi irritabile
come
prima, già pronta ad una nuova lotta.
Lui
alzò lo sguardo, la fissò dritto negli occhi
azzurri, e prima di parlare le
scoccò un’occhiata arrabbiata, con le sopracciglia
aggrottate.
-Non
sono arrabbiato- fece una pausa, poi prese fiato e proseguì
–sono molto deluso-
Avanzò
di qualche passo.
-Pensavo
che fossi diversa. Che avessi la forza di affrontare i problemi. E
invece cosa
fai? Scappi, scappi pur di non sentire-
La
bionda ascoltò in silenzio, guardandolo astiosa.
-Credevo
tu fossi una donna coraggiosa-
Davide
fece un’altra pausa e le rivolse un’occhiata
sostenuta, scuotendo la testa.
-Sei
solo una ragazzina-
Cadde
il silenzio, il più lungo che ci fosse mai stato fra loro e
non per la durata,
ma per quello che lasciava in sospeso, per le parole che si trascinava
dietro,
per le occhiate che si scambiavano. Rumoroso come il fulmine che
strazia il
cielo, divideva come un confine i due.
La
ragazzina non rispose a questa frase, finché lui non
andò di là, e tornò subito
dopo con le sue cose in mano.
Le
poggiò a terra.
-Cosa
hai intenzione di fare?-
-Vattene-
indicò con un dito e un tono autoritario, severo che non
ammetteva repliche il
portone.
-Vattene,
non ci voglio avere niente a che fare con questa storia-
Francesca
si imbufalì, facendosi rossa.
-E
a me che diavolo me ne frega? Sai quanto mi importa di te? Anzi,
anzi...- prese
le sue cose e andò verso la porta.
-...me
ne vado io. Ma va******lo!-
Prima
che sparisse definitivamente, il ragazzo la inseguì, per
così dire, e le gridò
dietro
-Spero
tanto che un giorno sentirai il rimorso! Sentirai il rimorso di aver
ucciso una
creatura!-
Ma
lei, forse o almeno così pensò lui, non lo
sentì, troppo impegnata a sbattere
forte la porta d’ingresso.
E
adesso mi odierai.
Grazie a tutti quelli che
seguono la storia e mi lasciano recensioni, molto apprezzate.
Marty
McGonagall: ho girato sul tuo account e ho scoperto che sei una
betareader. Questo ovviamente non può che farmi piacere e mi
sento onorato, grazie mille per la tua recensione. Grazie,
grazie veramente anche se non posso fare a meno di dire che forse mi
sopravvaluti.
Devilgirl89:
credo che con questo capitolo sia tutto più chiaro. Ma ti
prego di non smettere di leggere, visto che sei una persona dalla mente
libera dai pregiudizi, e dai una possibilità a Francesca.
Grazie per la recensione.
Miss Queen:
okay d'accordo, ci accorderemo per la brioche. Mi fa piacere che la
storia ti incuriosisca e ti invogli a continuare. Credo che questo
capitolo, che è un po' lo snodo della storia, contenga le
risposte alle tue domande. Ma forse ne scatena altre.
Jiuliet: oh, viva una che apprezza Francesca! Ma sai, certe volte si hanno come dei paraocchi che ti impediscono di vedere davvero quello che più ti sta vicino.
Emily Doyle: il nuovo capitolo è arrivato. E abbiamo scoperto che combinava Francesca. Grazie per la recensione.
OOgloOO: ecco, mi sa che questo capitolo ti ha chiarito le idee, vero?
wanda
nessie: ahahaha non ti preoccupare, ma ti pare, cose che
capitano...grazie d'aver recensito.
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