car- tu
Car- Tu,
non so più
come piangere. Oh, scusa, come stai? Io sto. Esisto, cerco di
sopravvivere, di essere. È possibile non essere? Cogito ergo sum,
quindi no. Sto pensando, credo. Da quando pensare è diventato
così complicato? Mi fa male la testa, mi fa male il cuore, mi
fanno male i polmoni. Respirare è difficile, il peso del nulla
preme spesso sulla trachea e l'aria non va giù, non mi riempie.
Eppure non ho niente. Sono sana, fisicamente. Quindi di cosa mi
lamento? Non ho diritto di lamentarmi. Ho cibo, acqua, svago. Svago a
cui mi rifiuto di prendere parte, perché il letto è
più comodo. Il letto è casa, il letto ti accoglie e non
giudica, il letto ti rovina. Il letto è il mio rifugio, eppure
dormo male da mesi. Mi sveglio nel bel mezzo della notte, e mi chiedo
perché non sia già mattina. La mattina mi sveglio, e mi
chiedo perché non sia già sera. La mia è una
sfilza di momenti vissuti non vissuti, momenti proiettati verso momenti
non ancora vissuti che non vivrò pienamente. Ha senso? Non lo
so, ultimamente non mi fido nemmeno della mia mente. Pensavo di essere
logica, di essere razionale, di essere mentalmente abile. È
per caso questa abilità mentale a rendermi così
vitalmente inabile? Com'è possibile vivere sotto il peso dei
propri pensieri? I pensieri mi uccidono, mi corrodono dall'interno,
come acido astratto la cui artefice sono io. Io ed esclusivamente io,
perché siamo tutti vittime di altri, ma specialmente di noi
stessi. Non so più piangere.
Tecnicamente non è vero,
perché piango sempre. Mi ritrovo a piangere di punto in bianco,
per un pensiero che mi attacca quando sono più indifesa o quando
credo di stare bene. Be', non di stare bene, ma quando penso di aver
trovato un equilibrio giornaliero. È forse la
routine? È forse il passato? Mi chiedo spesso cosa sia, a
rendermi così inadatta a me stessa. Non mi piaccio, non è
una novità. A volte immagino di uscire dal mio corpo, da tutto
ciò che mi rende me, di strappare la carne e gettarla al suolo,
per ritrovarmi un'anima trasparente e fluttuante sul mio veccho
involcro. Un'anima ancora troppo simile a ciò che ero, e quindi
immagino di lacerare il mio spirito e di uscire anche da esso. E quindi
desidero di essere il nulla. Il nulla è la morte? Mi ritrovo
terrorizzata anche dalla morte, perché la morte è
qualcosa. E anche perché io desidero vivere, ma non so come. Non
so come vivere sotto il peso della mia mente, di tutto il male che ci
circonda. C'è così tanto dolore, dolore incolore e dolore
incredibilmente colorato, dolore ovunque. Vedo il dolore in chi cammina
per strada, vedo il dolore nei conoscenti, e soprattutto vedo come le
persone a me care siano state forgiate dal dolore e non dal piacere.
Vedo come io mi sia piegata di fronte al dolore e mi sia lasciata
violare. Vedo il dolore in ogni dove, e non so come ignorarlo. Noto
come tutto, sulla Terra, sia collegato, sia un procedimento
causa-effetto, come dietro ad aspetto positivo ci sia del sacrificio e
dello sfruttamento di altri. Se tutto è dominato da ciò,
io sono parte del bene causato dal male. Quindi io sono colpevole,
colpevole di una colpa non mia. Siamo tutti Adamo ed Eva,
incastrati nel mondo come ingranaggi arrugginiti di una macchina ormai
usurata. Nonostante la metafora biblica, sono atea. Non sono sicura
nemmeno di questo, perché sono insicura di tutto. Vorrei essere
religiosa, per potere credere in qualcosa, per potermi appigliare a
un'ideologia. Per sapere, per avere l'assurda illusione che il dolore
sia temporaneo e sarà sicuramente seguito dalla pace eterna.
Però io desidero il nulla, e sono atea, e quindi affidata a me
stessa e in balìa di me stessa.
Siamo tutti figli di genitori che non
sono né eroi, né entità invincibili, ma
semplicemente persone. Persone con le stesse insicurezze, con gli
stessi sogni infranti, con gli stessi rimorsi. Persone che hanno dato
vita ad altre persone. Niente di più, niente di meno. Crescendo
si impara a conoscere i propri genitori e a volte li si perdona.
La vita mi affascina molto. Mi
affascina la sua varietà, il suo spessore, la sua
essenzialità. Mi affascina come la vita sia un processo uguale
per tutti. Si nasce, si muore. C'è chi muore prima di nascere,
c'è chi nasce e muore, c'è chi nasce, vive - pienamente o
no - e muore. E mi chiedo, qual è il motivo? Perché
viviamo? Qual è la nostra ragione di vita, qual è il
senso di essa? Da millenni gli umani hanno trovato una ragione in
comune, senza però riuscire a darci una spiegazione universale:
l'amore. Secondo la cultura generale, l'amore cura, l'amore fa vivere.
Ma c'è chi dice che l'amore corroda, che l'amore sia un'arma a
doppio taglio. Ci credo, perché la lama ha penetrato anche me,
ed io ho tagliato. E con masochismo mi sono lasciata tagliare e
segnare. Segnata da un solo uomo, uomo che è migliore amico,
protettore, rifugio, amante e anima opposta. Uomo che mi ama, ma io devo ancora imparare come amare me stessa.
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