karenina 1
Quando entrai nella
biblioteca cittadina, uno sbuffo d'aria calda mi smosse i capelli
mentre la porta si chiudeva senza fare rumore dietro di me.
Per inciso, quella era una
delle poche cose silenziosamente consone di tutto l'edificio. Per
essere un'istituzione dedita allo studio e alla calma, era la
biblioteca più deconcentrante in cui fossi mai stata. Salutai il
bibliotecario, che stava parlando al telefono, con un cenno della
testa. Passai accanto a un gruppo di ragazzi della mia scuola, i quali
ridevano tra di loro neanche fossero in un pub. Sentii, tra gli
scricchiolii del vecchio pavimento e lo scroscio del calore nei
termosifoni, uno di loro mormorare: "Ohi, secondo te riuscirei a far
sciogliere miss freddezza?"
Continuai a camminare
facendo finta di niente, arrivando finalmente in un angolo desolato.
Be', proprio desolato non era. Mi accomodai sulla sedia e appoggiai la
mia borsa, lanciando uno sguardo curioso al ragazzo che sonnecchiava
due tavoli più in là. Sollevai le sopracciglia quando
notai che portava gli occhiali da sole. Alle cinque di sera. A
Novembre. Indossava una leggera maglia bianca a maniche corte, e mi
chiesi come non facesse a morire di freddo.
Feci per mettermi a
studiare quando uno di quei quattro idioti di prima si avvicinò
a me, baldanzoso e fintamente sicuro di sé : "Karanina, giusto?"
Alzai il capo e dissi: "Tolstoj si sta rivoltando nella tomba."
Mi morsi la lingua appena notai il cipiglio confuso sul suo viso. "Karenina" lo corressi quindi.
Dietro di lui, il ragazzo
dormente si riscosse dal sonno e si raddrizzò con calma sulla
sedia, stiracchiandosi come un gatto. Aveva folti capelli castani
scompigliati ad arte, una collana argentea appesa al collo e
un'espressione accigliata terribilmente adorabile. Rimasi discretamente
incantata a guardarlo.
"... numero?" finì l'idiota.
"Come scusa?" chiesi, riscuotendomi dallo stato di conteplazione in cui ero momentaneamente finita.
"Mi dai il tuo numero?"
Lo squadrai, conscia di risultare altezzosa ma incapace di reagire in modo accondiscente.
"No, scusa."
"Dài, Karenina,
prometto che non mordo" disse, con un ghigno che voleva essere
affascinante ma che ai miei occhi era solo irritante.
Tirai fuori il libro di letteratura dalla mia borsa a tracolla, lo aprì. "Non sono interessata."
Lui sbuffò stizzito,
con l'ego probabilmente ferito. "Asociale" sussurrò, per poi
tornare dai suoi amici. Passò accanto al ragazzo con gli
occhiali da sole e gli rivolse una frase totalmente fuori contesto:
"Hey negretto."
Il suo saluto, che suonava
più come un insulto, mi diede un'altra ragione per essere
soddisfatta del mio rifiuto e, soprattutto, un'altra scusa per
osservare il ragazzo, il quale non sembrò nemmeno sentirlo,
anzi, aveva l'aria ancora mezza addormentata. La sua pelle era
decisamente pallida, più della mia olivastra, quindi guardai con
le sopracciglia alzate quel gruppo di ragazzi immaturi, chiedendomi
perché fossero lì.
Mi dedicai dunque a leggere
il libro di letteratura, studiando la vita di Marcel Proust, per
distrarmi dal mondo circostante. Me ne stavo piegata sul libro a
sottolineare le parti più importanti quando il mio evidenziatore
giallo smise di funzionare, chiaramente distrutto dai precedenti mesi
d'utilizzo. Provai a farlo funzionare un paio di volte premendolo sulla
pagina, ma niente, era definitivamente passato a miglior vita.
Sentì dei fievoli rumori provenire dal tavolo poco distante dal
mio, e un oggetto atterrò sulla pagina aperta del volume
scolastico, scuotendomi. Alzai gli occhi dal libro, accigliata. Guardai
il ragazzo a maniche corte chiedendomi se fosse pazzo, con la bocca
aperta e le sopracciglia alzate in una chiara richiesta di spiegazioni.
Mi aveva appena lanciato un evidenziatore verde, beccandomi quasi in
pieno, per poi rimettersi comodo sulla sedia, accasciato come se quello
non fosse un posto di studio, ma il divano di casa sua.
Visto che i suoi occhi
erano coperti dalle lenti scure, non riuscii a capire se avesse notato
la mia espressione irritata o se si fosse richiuso nel suo mondo fatto
di mesi caldi e comode poltrone.
Scossi la testa e, senza
dimenticare le buone maniere, dissi semplicemente "Grazie", abbastanza
piano da essere consono ad una biblioteca, ma abbastanza forte
perché il mio sussurro giungesse a lui. Non mi arrivò
nessuna risposta, vidi solo il ragazzo muovere impercettibilmente il
capo, in un gesto che significava prego.
Arrivate le sei e mezzo, mi
riscossi dallo studio e rimisi tutto nella borsa, affrettandomi. Notai
che il ragazzo se n'era già andato, e che, persa nella lettura
com'ero, non me n'ero accorta. Non mi aveva chiesto l'evidenziatore,
probabilmente se n'era dimenticato.
Uscii dalla biblioteca, che
era preceduta da una piccola sala senza lampadine funzionanti ma
fornita di macchinette per il caffè. Davanti ad una di loro
c'era lui, coperto da un cappotto - halleluja.
"Nevica", disse una voce che definire oro liquido sarebbe stato più che appropriato.
Oh no,
pensai. La voce era il mio punto debole. Era profonda, leggermente
roca, e allo stesso tempo capace di avere infinite sfumature di
emozioni, di sarcasmo, di ironia.
E aveva detto solo una parola. Tre sillabe. Ne-vi-ca.
Guardai fuori e sì,
nevicava. Grazie alla sala illuminata solo dai lampioni esterni riuscii
a vedere le neve cadere silenziosa. Era la prima nevicata dell'anno.
Amavo la neve.
Sentii un sorriso infantile
aprirsi sul mio viso. Lo guardai. Indossava dei pantaloni neri
strappati sul ginocchio sinistro. Senza dire nulla, uscì da
lì e lo osservai curiosa attraverso la porta a vetri. Fece un
paio di passi in avanti e si fermò di fronte alla biblioteca.
Aveva il capo leggermente alzato, come se stesse scrutendo la volta
celeste coperta di pesanti nuvole nevose, e le spalle rivolte
all'edificio e quindi a me. Era un esemplare interessante. Bizzarro.
Dopo un minuto tornò docilmente dentro, scuotendo i capelli per togliere i fiocchi di neve.
"Oh", esclamai.
Approfittai del suo ritorno
per frugare nella mia borsa. "Grazie dell'evidenziatore", dissi,
trovandolo ed estraendolo dalla tracolla.
Si era tolto gli occhiali
rigati dalla neve sciolta e li stava pulendo quando alzò gli
occhi su di me, e rimasi folgorata. Occhi verdi. Occhi verdi e
profondi, che mi ricordarono i colori innocenti della primavera. Mi
sentii completamente persa, non ero più lì, stavo
navigando su quell'intenso mare smeraldo. Ed è lì che
scoprii cosa fosse l'attrazione.
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