Sette poveri
negretti
legna
andarono a spaccar,
un di
loro s’infranse a mezzo
e sei
soli ne restar.
“Questa magione è immensa!”
Queste erano
state le parole del Capitano Wesker non appena erano entrati nella
villa e da allora Barry non aveva fatto altro che ripetersele
mentalmente ogni qualvolta svoltava un angolo e si trovava davanti
all’ennesimo lungo corridoio, camera da letto, balcone o
ripostiglio.
Andando sempre
più avanti, però, si era accorto che
c’era qualcosa che non andava in quella casa, qualcosa di
sbagliato. Era una struttura di gran lusso in condizioni quasi
perfette, segno che non doveva essere del tutto abbandonata. Eppure gli
unici inquilini che aveva sporadicamente incrociato tra quelle mura
erano stati degli uomini dall’aspetto trasandato con seri
problemi di deambulazione, affetti da una qualche strana forma di
cannibalismo dato che avevano tentato più volte di morderlo.
Sebbene
l’uomo amasse le armi, non gli piaceva usarle per uccidere.
Essendo un militare professionista aveva dovuto accettare il fatto di
dover, talvolta, stroncare la vita di altri esseri umani ma si trattava
sempre di casi estremi, quando in gioco c’era la salvaguardia
della sicurezza pubblica. Come in quel caso, appunto.
Ma mai si era
sentito tanto in colpa come quella sera. Quei tizi avevano
sì qualche problema... ma gli sembravano così
inermi di fronte alla potenza delle sue armi.
Per questo
motivo, dopo aver fatto a botte con la parte più moralista
di sé, decise di approfittare di qualche momento di
raccoglimento e perdersi tra i fumi del suo sigaro. Lo estrasse da una
delle tasche sul petto e lo passò sotto le narici per
catturarne l’aroma. Tastò poi le tasche dei
calzoni alla ricerca dell’accendino, prendendo il sigaro tra
le labbra in modo da avere entrambe le mani libere.
“Ma
dove l’ho messo?” si chiese pensoso.
Stava quasi
per rinunciarvi quando sentì, attraverso la stoffa dei
pantaloni, la familiare forma rettangolare dello zippo. Prese
l’oggetto tra le mani e lo ammirò quasi fosse una
pietra preziosa. Soddisfatto accese il sigaro e ne aspirò un
lungo tiro assaporandone il gusto. Sapeva di liquirizia. Personalmente
non badava molto agli aromi che venivano aggiunti al tabacco ma quello
era l’unico che sua moglie gli permetteva di fumare in casa.
Sorrise a quel pensiero, immaginando l’espressione
imbronciata che assumeva quando si preoccupava per la sua salute, quasi
più di quando andava in missione per lavoro. Scosse la testa
bonariamente ma il flusso di quei pensieri fu interrotto da un
improvviso rumore.
Uno strano,
stridulo raschiare.
Espirò
lentamente il fumo dalla bocca e si avvicinò alla porta in
fondo al corridoio che aveva precedentemente imboccato. Raggiunse la
porta di metallo e, cautamente, vi accostò un orecchio. Non
sentiva più nulla, se non degli spifferi freddi sulla pelle
e il pungente odore di muffa e della ruggine che incrostava gli
infissi. Ci fu un fruscio dall’altra parte, poi il rumore si
arrestò del tutto.
Non
poteva essere una coincidenza, no?
Intuendo il
pericolo, Barry indietreggiò di un passo e fece scorrere la
mano sulla fondina, pronto ad ogni evenienza.
Poi qualcosa
andò a sbattere con violenza contro la porta.
Barry
liberò la magnum dalla custodia, ne fece scattare la sicura
e la puntò davanti a sé con mano ferma.
Seguì
un altro colpo e poi un altro e un altro ancora.
Beh, qualunque
cosa ci fosse la fuori era decisa ad entrare e ci sarebbe riuscita,
viste le condizioni critiche in cui versavano i cardini.
Contrariamente
ad ogni aspettativa anche quei colpi cessarono, facendo calare un
pesante silenzio carico di tensione. Poi, senza che l’uomo
potesse fare niente, la maniglia si mosse lentamente verso il basso con
un cigolio sinistro.
Avreste
dovuto sentirlo... Il suono dell’inevitabile!
Barry strinse
il sigaro tra i denti mentre continuava a puntare l’arma
contro la porta che piano si aprì.
E una mano
fece capolino dall’anta appena schiusa.
L’uomo
corrugò le sopracciglia notando che, in realtà,
non si trattava propriamente di una mano. Era più una zampa
con quelli che dovevano essere artigli, eccessivamente lunghi per
qualunque animale di cui conosceva l’esistenza. Poteva forse
essere un orso ma, quando l’altro scostò ancora un
poco l’anta e fece scorrere l’intero arto
all’interno, vide che non c’era traccia di
pelliccia e che, invece, era ricoperto da squame verdastre. La
curiosità di Barry sparì all’istante e
l’agente decise che era meglio non indagare oltre. Era tempo
di agire!
Diede una
poderosa spinta alla porta bloccandovi l’arto in mezzo per
poi allontanarsi correndo lungo il corridoio dal quale era venuto,
seguito dalle urla animalesche di quella... cosa.
Corse a lungo
poi, stremato, si fermò finché il respiro non gli
tornò regolare, sputando a terra il sigaro che ancora teneva
tra le labbra.
“E
no, non ci siamo proprio!” esclamò. Non poteva
mica scappare per sempre.
Fece per
raccogliere il sigaro ma un’ombra si allungò su di
lui minacciosa. Barry si levò per vedere finalmente lo
strano animale che lo aveva inseguito e che adesso si avvicinava a lui
lentamente, come un gatto che punta il topo solo per spaventarlo prima
di eliminarlo per puro divertimento.
Ma Barry, che
di certo non aveva l’indole di un roditore, dopo aver
calciato il sigaro di lato per non calpestarlo, puntò
l’arma davanti e osservò attentamente la creatura.
Appariva molto
robusta, muscolosa e interamente coperta di scaglie, come un grosso
alligatore. Doveva essere piuttosto alta anche se camminava leggermente
curva in avanti stando in equilibrio sulle zampe posteriori. Queste,
come l’arto che aveva visto poco prima, erano provviste di
lunghi artigli affilati col risultato che l’andatura
dell’animale era accompagnata da un sonoro ticchettio. Anche
la bocca comunque non era particolarmente rassicurante, munita
com’era di denti acuminati. Da essa, poi, usciva copiosa
della bava densa e presumibilmente appiccicosa.
“Eww!
Senza offesa, amico, sei disgustoso!” disse Barry
storcendo il naso.
La creatura
per tutta risposta ringhiò ferocemente fendendo
l’aria con una zampata. L’agente non si fece
intimidire da quell’approccio e fece fuoco senza indugiare
oltre. La colpì al torace ma quella non sembrò
risentire affatto del colpo, continuando ad avvicinarsi. Barry
sparò di nuovo, colpendola quasi nello stesso punto. La
creatura barcollò un po’, indietreggiando di
qualche passo, ma chiaramente non aveva intenzione di lasciarsi
sfuggire la preda. Nemmeno Barry comunque pareva arrendersi facilmente,
così fece un respiro profondo, prese bene la mira e premette
il grilletto una terza volta.
Non si
sentì un lamento.
Solo un tonfo
dopo che l’animale cadde sul pavimento in una pozza di
sangue, cervella e un nauseante liquido verdognolo.
“Eri
proprio una brutta bestia, eh?” osservò Barry
colpendo il corpo con la punta di un anfibio per verificarne il decesso.
Come per
sfidarlo, una delle zampe superiori scattò di lato arrivando
a toccargli una gamba per poi ricadere al suolo. L’agente
d’istinto puntò subito la magnum contro la
creatura: ormai si aspettava di tutto. Invece quella rimase immobile,
facendogli capire che era stato solo un riflesso muscolare
involontario, come quando una lucertola perde la coda e quella continua
a muoversi anche separata dal corpo. Verificato, quindi, che non vi era
più alcun pericolo Barry recuperò il sigaro,
ormai spento, e se lo mise in bocca. Scavalcò il corpo ai
suoi piedi e si appoggiò ad una parete, cercando nuovamente
l’accendino. Fece per prenderlo quando un rumore, appena
divenuto familiare, catturò la sua attenzione.
Un
regolare, sonoro, sinistro ticchettio sulle assi di legno del pavimento.
Barry
sospirò, sapendo già cosa lo avrebbe raggiunto a
breve.
Cacciò
definitivamente il sigaro in una tasca, impugnò la magnum e
camminò silenzioso fino alla fine del corridoio poi,
cautamente, si sporse un poco dall’angolo e lo vide. Un altro
mostro, come quello che aveva appena fatto fuori.
Anzi no.
Stavolta erano due.
Barry si
ritrasse prontamente per pensare ad un piano. Se avesse mirato subito
alla testa avrebbe evitato di consumare invano preziose munizioni che,
presumibilmente, gli sarebbero servite in futuro. Quindi
inspirò profondamente e uscì allo scoperto
facendo fuoco.
La fretta
però lo tradì e lo sparo colpì la
prima creatura solo di striscio ad una spalla, cosicché la
pallottola andò oltre e finì col conficcarsi sul
petto della seconda, rallentandola. Sparò di nuovo e
stavolta prese l’animale dritto in mezzo agli occhi. La
seconda creatura, ancora stordita dal precedente colpo, pareva soffrire
per lo squarcio che aveva nel petto ma sembrava anche decisa a
raggiungerlo in ogni caso. Barry si concentrò e
pregò che l’ultimo colpo che aveva in canna non
andasse sprecato. E così fu: beccò
l’animale in testa facendogliela così esplodere e
macchiare l’elegante tappezzeria delle pareti. Era abbastanza
sicuro che nessuno si sarebbe lamentato.
Ma
sfortunatamente per lui la partita non era ancora finita.
Si
lasciò i due corpi esanimi alle spalle e varcò
l’ennesima soglia, percorse un breve tratto di corridoio e si
bloccò. L’uomo non ebbe tempo di rilassare i
muscoli ancora tesi che quel maledetto ticchettio giunse nuovamente
alle sue orecchie. Quella volta però era decisamente
irregolare, sconnesso, il che gli fece intuire che non si trattava di
una sola creatura. E nemmeno di due.
Era fermo
all’incrocio tra due corridoi. Alle sue spalle
c’era la porta chiusa dalla quale era giunto. Alla sua
sinistra contò subito due creature e un’altra alla
sua destra. Di fronte a sé, proprio in fondo al corridoio,
ce n’era una quarta che lo fissava agitando un po’
le zampe, come per fargli capire che non sarebbe andato da nessuna
parte.
Barry
mandò giù a fatica il groppo che aveva in gola.
Tentare la fuga, ammesso che le uniche vie disponibili non fossero
già state bloccate, non sarebbe servito a nulla. Per un
momento pensò di farla finita. Passò
distrattamente una mano sul giubbotto e allora ricordò di
avere ancora una carta da giocare. Sorrise amaramente mentre si
lasciava scivolare a terra con le spalle contro la porta e
poggiò la magnum accanto a sé. Era stata la sua
fedele alleata fino a quel momento. Ma la superiorità, in
quanto a potenza di fuoco, di una granata era fuori discussione!
L’estrasse
da una tasca e quando le creature furono abbastanza vicine ne
tirò la spoletta.
“Beh,
se proprio dobbiamo finirla facciamolo in bellezza, dannate
bestiacce!” disse con veemenza.
Un’esplosione
risuonò potente nella villa maledetta.
Dell’agente
Burton rimase solo una foto bruciacchiata ritraente due bambine, le
quali avrebbero aspettato inutilmente il rientro del padre dal lavoro.
Note dell'autrice:
Mi scuso con
voi che leggete e seguite questa storia per l'enorme lasso di tempo che
ho impiegato per aggiornare ma voglio assicurarvi che non è
mia intenzione abbandonarla e lasciarla incompiuta. So che la
curiosità e la voglia di sapere come
andrà a finire può essere tanta ma vi prego solo
di avere tanta pazienza con me e con le mie altalenanti pubblicazioni.
Le idee ci sono tutte, belle e pronte. Ciò che mi rallenta
tremendamente è la mancanza di tempo (sono attiva anche in
altri fandom e, al di fuori di efp, lo studio universitario mi debilita
molto) e la difficoltà di mettere tutta questa storia su
carta. Spero che almeno anche questo capitolo sia stato di vostro
gradimento.
Ci si sente al
prossimo! (spero non tra troppi anni ^^')
|