Ho deciso di spaccare questo
capitolo in due parti, perchè altrimenti succedevano troppe
cose tutte ad una volta.
Durante
quei giorni si erano presentate novità anche al bar. Bruto
aveva comunicato ai
due che intendeva aprire un nuovo locale, ma in un’altra
parte della città, e
così decideva di lasciare questo a uno dei due ragazzi. Al
che Davide, con un
minimo di orgoglio umano, aveva pensato che sarebbe spettato a lui: era
un
maschio, più grande di Silvia e teneva già
l’inventario, ogni mese, delle merci
che vendevano. Insieme all’uomo decidevano i prezzi
più giusti, e avendo molta
dimestichezza con la matematica, aziendale e non, lo aiutava a far
quadrare i
conti. Silvia invece era solo una cameriera, certo molto abile con i
clienti,
attrazione non indifferente, ma il ragazzo credeva che si potesse fare
a meno
di lei.
In
realtà, ad essere un po’ più maligni,
queste sue considerazioni erano dettate
dal fatto che ormai da un po’ si era accorto che non provava
più nulla per lei,
e iniziava a vederla sotto una nuova luce.
In
quei giorni, entrambi si davano da fare come non mai, tentando di
conquistare
l’ammirazione e la fiducia di Bruto, sempre impassibile e
imperscrutabile come
al solito. I due insomma, si giocavano le proprie carte nella speranza
di avere
riservato un lavoro.
Se
da un lato Davide insisteva nell’aiutare Bruto a tenere il
bilancio, a fare i
conti e a scaricare le casse di rifornimenti che arrivavano, Silvia,
che non
era mai stata una lavoratrice né assidua ma nemmeno
svogliata, si presentava a
lavoro con mezz’ora d’anticipo e insisteva nel
servire immediatamente tutti.
Se
fosse solo un trucco psicologico per aumentare le vendite, non lo
sapremo mai,
ma quelle salirono, eccome.
La
“gara” procedeva senza passi falsi o colpi bassi; o
almeno, così sembrava.
Un
giorno infatti, Davide notò una cosa non indifferente.
Facendo un po’ di
calcoli e curiosando impropriamente fra le carte di Bruto, aveva
trovato
fatture di debiti da saldare; e anche senza sapere a quanto ammontasse
la sua
fortuna, era certo che non se li potesse permettere. Insospettito e
domandandosi se non ci fosse qualcosa sotto, prese in mano quelle carte
con le
prove per chiedere spiegazioni.
Stava
percorrendo il retro, per arrivare dove si trovava l’uomo,
quando da dentro la
porta avvertì dei rumori.
Accigliato,
la spinse leggermente in avanti, e la poca luce ch filtrò al
suo interno bastò
a fargli distinguere due figure.
La
prima teneva saldamente ancorata al suo bacino una ragazza,
l’altra era in
grembo all’uomo e lo stava baciando, senza apparente voglia
di smettere.
Inorridito,
Davide la richiuse immediatamente e si tenne a distanza.
Solo
dopo che ebbe messo un po’ di distanza fra quella visione e
se stesso,
ripresosi dalla sorpresa elaborò quello che aveva visto.
Alla
faccia della competizione pulita e onesta.
E
così, pensò rabbioso, Silvia aveva trovato la
maniera di farsi dare il lavoro;
semplice, senza fatica e se visto da un certo lato pure piacevole.
Limonava
col capo. Ma che brava. Beh, almeno sapeva usare bene le
capacità che madre
natura le aveva dato, e che capacità!
Il
tutto gli suonò così sporco, disonesto e cattivo
che non riuscì nemmeno a trovare
le parole per definirlo. Praticamente lo stavano prendendo in giro,
tutti e
due; quando ormai già sapevano a chi spettava il lavoro, e
non certo per
merito. E non certo perché ci teneva. E non certo
perché aveva lavorato duro.
Era
semplicemente impotente.
Impotente
davanti a quella tresca, a quell’imbroglio, e non poteva
farci nulla. In un
primo momento fu preso dalla rabbia ed ebbe voglia di vendetta, giusta
ed
appagante.
Tornò
carico di astio nel locale, non curandosi di servire la gente presente,
e aprì
la cassa.
Perché
non poteva semplicemente prendersi i suoi soldi, quello che gli
spettava di
diritto? Bruto non se ne sarebbe mai accorto, troppo preso dalla sua
nuova...
compagna.
Solo
il pensiero lo faceva andare in bestia. E pensare che l’uomo
sapeva della sua
passione per Silvia, confidata tanto tempo fa davanti ad una serie di
cocktail.
E nonostante tutto, se la faceva senza problemi.
Dopo
il primo momento di impulsività, la ragione gli
suggerì la via migliore.
Ne
sarebbe uscito da vincitore, in un modo o nell’altro.
Francesca
uscì dal bagno asciugandosi le mani ancora bagnate; quel
giorno era fastidiosa,
come sempre le succedeva in quel periodo, ma in particolare sentiva la
testa
girarle peggio di una centrifuga.
Quando
era così, non riusciva a fare nulla, e questo la deprimeva
ancora di più.
Si
sdraiò lentamente sul divano, stringendo i pugni ed
esclamando con rabbia
-è
tutta colpa tua, stupido idiota!- rivolta chiaramente a Davide.
Bruno
era uscito come di solito faceva il pomeriggio e così era da
sola nel piccolo
appartamento. Mancavano due giorni alla fine della scuola, e lei non
vedeva
l’ora. Primo perché non avrebbe più
dovuto alzarsi la mattina presto, e per
secondo perché il dottore aveva detto che in quel periodo le
avrebbe fatto sapere
quando si poteva fare l’intervento.
-E
tu...- ringhiò alla sua pancia, leggermente più
tonda del solito, ma non
evidente se non ad un puntiglioso esame.
-...è
anche colpa tua! Tutta colpa tua-
Afferrò
il suo zaino, ormai diventato il centro di tutto il suo mondo, in
quanto vi era
contenuto tutto ciò che le era più caro.
Dal
diario scivolò via un foglio ripiegato. Lei lo
aprì.
Davide&Francesca=love4ever.
Quelle
parole la fecero arrossire, non si sa se di rabbia o di imbarazzo.
Fatto
sta che lo gettò ammucchiato nello zaino, incrociando le
braccia al petto.
-Io
non ho bisogno di te! Io non ho bisogno di nessuno!-
Ci
sono certi momenti, certi attimi nella vita che cambiano il corso degli
eventi.
Una
parola, una frase, un’immagine, un pensiero, può
determinare un cambiamento.
Può farti sentire meglio, o peggio. Può indicarti
la via d’uscita da un tunnel,
o indurti ad entrarvi.
Francesca
non aveva mai davvero considerato la creatura che stava dentro di lei,
che
silenziosa le dormiva nella pancia. E lui, il bambino che fosse, non si
era mai
fatto sentire, forse spaventato giustamente dal carattere infuocato
della sua
mamma naturale.
Quella
mamma che non lo voleva. Quella mamma che lo considerava un impiccio.
Quella
mamma che voleva ucciderlo.
Ma
all’improvviso, come una forza che arriva piano piano per poi
esplodere con
tanta energia, quel bambino si svegliò dal suo sonno.
Forse
la mamma era troppo testarda per capire. Era troppo spaventata.
Forse
quel bambino aveva capito che la sua mamma era troppo sola.
Un
sussulto nella pancia la fece arrestare nella posizione dove stava.
La
bionda rimase immobile, del tutto nuova a quella sensazione. Si
appoggiò piano
allo schienale, d’improvviso turbata.
Guardò
la sua pancia, ancora piatta.
Era
certa che il colpo fosse venuto da lì. Ma ciò che
la fece impaurire, era che
quel colpo non proveniva dall’esterno. Veniva da dentro.
Respirò
forte, in silenzio come se volesse cogliere altri rumori.
Era
spaventata. Quel bambino non si era mai fatto sentire.
Lei
spesso nella sua mente si riferiva a lui, ma era più un
concetto astratto, non
reale.
Come
se in realtà non esistesse, come se non fosse nel suo corpo
ma in quello di
un’altra.
Invece
ora le aveva dato uno scossone.
Non
lo aveva mai sentito così vivo.
E
d’un tratto ricordò le parole che le aveva detto
Davide:
‘Spero
che un giorno sentirai il rimorso di aver ucciso una
creatura!’.
Molto
turbata, si chiese per la prima volta se stesse veramente facendo la
cosa
giusta. In quei mesi, troppo infastidita da tutto ciò che le
girava intorno ed
impaziente di liberarsi di quel peso, aveva dato per scontato che
avrebbe
abortito. Ed ecco che ora faceva capolino quel dubbio che avrebbe
dovuto
insinuarsi in lei molte tempo addietro, ma meglio tardi che mai,
dopotutto.
Mentre
era ancora tutta presa dal turbine di domande e dubbi che
l’avevano
accerchiata, Bruno rientrò a casa.
Aveva
un largo sorriso sulle labbra.
-Ho
una bellissima notizia-
-Eh?-
lei a malapena si accorse che era rientrato.
-Il
dottore ha detto che va bene per domani-
-Domani
cosa?-
-Domani
l’intervento-
Vedendo
che la sua reazione era stata scarsa, Bruno si sedette accanto a lei,
abbracciandole una spalla.
-Allora?
Non sei contenta?-
-Sì...-
Ma
in realtà, l’unica cosa che aveva capito era che
doveva decidere in fretta.
Anzi, subito.
La
mattina, a scuola, il tempo voleva passare in fretta, incitato dai
tanti
ragazzi che attendevano il suono della campanella; esso infatti avrebbe
sancito
l’inizio delle vacanze estive.
Francesca
non voleva assolutamente che finisse quella giornata. O meglio,
spieghiamoci
bene, lei non voleva affrontare quello che sarebbe successo nel
pomeriggio.
Per
la prima volta forse, era agitata. Quella notte aveva avuto fastidi di
vario
genere e aveva dormito poco. Era molto agitata, e non sapeva
assolutamente che
fare.
Paola
notò che spesso si fissava tormentata le mani e la pancia, e
approfittando di
un’ora di supplenza, la prese in disparte, sedendosi sul
davanzale di una
finestra e iniziò a domandarle.
-Che
hai? Non sei felice che fra due ore siamo in vacanza?-
L’altra
scosse la testa, poi sospirò e si poggiò gemendo
la testa sulle ginocchia.
Siccome era molto raro che accadesse, si preoccupò.
-Che
succede?-
La
bionda riemerse sconsolata, ma non per scherzo. Era veramente disperata
e in
difficoltà. In breve le raccontò del bambino,
della sera con Davide, del
dottore e dell’intervento che doveva fare quel pomeriggio. E
poi che non ce la
faceva più, che era stanca e che le faceva di continuo male
la testa.
-Non
ce la faccio più, non vedo l’ora che finisca
tutto- gemette, quasi con le
lacrime agli occhi.
Quello
era un segno inequivocabile che era una cosa seria.
Paola
osservò l’amica rimettersi in ordine i capelli, il
viso magro e gli occhi
stanchi. Si dispiacque molto.
-Cosa
hai pensato di fare?-
-Boh.
Non lo so. È la prima volta che mi succede. È la
prima volta che sento il
bambino- disse, e all’ultima frase abbassò di
colpo la voce, temendo di essere
sentita.
-E
l’intervento?-
-è
per oggi pomeriggio...ma non so...- di nuovo sospirò
infelice –non sono più
tanto sicura-
Guardò
con occhi imploranti la sua amica, come se in qualche modo potesse
tirarla
fuori da quella situazione.
Paola
ci pensò su; non le piaceva vedere la sua amica ridotta in
quello stato, anche
se era più unico che raro vederla così, chiedere
aiuto.
-Cosa
devo fare?- la domanda arrivò disperata, ma sentirla
pronunciare dalle labbra
della ragazza era sintomo che la situazione era sfuggita di mano e che
veramente aveva bisogno d’aiuto.
-Devi
farlo per forza l’intervento?- domandò
l’amica, in cerca di qualcosa che la
facesse stare meglio.
-Altrimenti
Bruno non mi vuole-
La
domanda successiva suscitò un senso di trionfo nella ragazza
dai capelli neri,
perché aveva indovinato il corridoio giusto.
-Tu
lo vuoi Bruno?-
Francesca
non ebbe dubbi nel rispondere a quella domanda, e scosse la testa.
Paola
sorrise piano.
-Coraggio-
si avvicinò a lei, circondandole la spalla col braccio e
facendole forza –sai
già cosa devi fare-
-Sì
ma dopo?- chiese la bionda, triste.
-Sai,
certe volte le persone che ci vogliono più bene sono quelle
che ci fanno stare
più male-
A
questa uscita filosofica la ragazza non colse subito il senso della
frase.
-E
allora perché lo fanno?-
-Perché
sono le uniche che ci dicono le cose per come stanno-
Lei
allora capì cosa intendeva, e si tirò su con la
schiena, guardando l’amica
malinconica.
-Non
posso. Cosa gli dico?-
-Non
importa, basta che lo fai-
Ma
era ancora indecisa. Paola lo notò e si spazientì.
-Non
importa cosa dici, vedrai che sul momento ti verrà in mente.
L’importante è che
sei convinta di quello che devi fare-
-Io
voglio fare solo la cosa giusta-
Quella
frase le procurò un abbraccio vero, sincero e caldo. E in
quell’ultimo giorno
di scuola, una ragazza temeva come il giorno del giudizio il suono
della
campanella.
Davide
si infilò la giacca nera, raccattando le chiavi dal mobile e
preparandosi a
scendere le scale del palazzo. Ormai aveva preso la sua decisione, e
non era
disposto a tornare indietro per nulla.
Non
era né semplice, né complicato. Il tutto stava
nel decidersi a farlo, a
compiere il passo per andare oltre; non che ci volesse
chissà quale grande
sforzo o forza di volontà, ma semplicemente bisognava essere
convinti. E lui,
dopo circa un anno, aveva preso la decisione che avrebbe segnato una
svolta.
Che poi questa fosse positiva o negativa, non poteva determinarlo.
Almeno
poteva dire di averci provato.
E
al posto di continuare a tenersi un inutile motorino in ricordo dei
begli anni
dell’adolescenza, un mazzetto di soldi non guastava. Il
meccanico era stato ben
felice di comprarlo a un prezzo onesto, anche perché era
stato tenuto in
condizioni buone.
Con
quei soldi, Davide avrebbe potuto pagarsi le lezioni. C’era
bisogno di una
scossa, ebbene, quella era arrivata; e se non era il generatore a
procurarla,
bisognava assolutamente provvedere.
Con
quello spirito determinato, il ragazzo percorse il marciapiede largo
che
costeggiava la strada, e sul quale erano situati vari negozi.
All’angolo poi
c’era la porta vetrata del bar.
Lui
entrò spingendo la porta quando era già aperto.
Non andò nel retro, come
avrebbe fatto in altri casi, ma tirò dritto fino al bancone.
-Ehi!-
attirò così l’attenzione di Bruto, che
lo fissò interrogativo.
-Che
fai ancora lì? Perché non vai a cambiarti?-
-Tieni-
Davide
gli porse un po’ di banconote.
L’altro
lo guardava sempre più perplesso, finché il
ragazzo non aggiunse
-I
soldi per quella cassa di birre. Ho saldato il debito-
Disse
così e stavolta andò a cambiarsi. Era il giorno
che ritirava lo stipendio, per
cui, ragionamento furbesco ma intelligente, perché
comportarsi da fesso pur
facendo la cosa giusta?
Grazie a tutti quelli che
leggono, hanno messo la storia tra i preferiti e che recensiscono.
Jiuliet: oh
sì, è straordinariamente vero che sapete bene
come complicarvi la vita. E povera Francesca, che come vedi alla fine
è crollata. Spero di aver reso bene i suoi pensieri.
Marty
McGonagall: Buonasera a te. Credo che in questo capitolo Francesca si
sia rivelata più umana del solito, ed è
comprensibile credo, dopo tutto quello che le è capitato...
come vedi "l'effetto Silvia" si è ritorto contro di lui.
Senti che vale la pena continuare a seguirmi? Ne sono onorato e ti
ringrazio.
Emily Doyle:
grazie per i complimenti sul mio modo di scrivere, molto
graditi........e sì, ho una sorella e dieci cugine femmine
di primo grado più o meno tutte nell'età
adolescenziale. Uno spasso... scherzi a parte, sono molto felice che
riteniate che descriva bene il mondo femminile, forse sto incominciando
a capirlo... grazie per la recensione.
Miss Queen:
sesto senso? Boh forse era scontato. Sono contento che parteggi per
Damiano, nonostante non sia il personaggio principale.
(Risposta che non c'entra
niente: mi fa molto onore che "la macchina del capo ha un buco
nel...motore" ti sia piaciuta tanto ma non credo assolutamente che
continuerò "Vernice fresca". Non è riuscita la
storia che avevo in mente io).
Devilgirl89:
ma quale perfezione...? Non so cosa è peggio, far cambiare
idea a Francesca o ricevere la tua mail piena di parolacce? ... mmm...
dovrò accontentarvi tutte e due.
Evviva i fan di Damiano!
Grazie d'aver recensito.
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