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Autore: Egomet    07/04/2009    8 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho deciso di spaccare questo capitolo in due parti, perchè altrimenti succedevano troppe cose tutte ad una volta.



Durante quei giorni si erano presentate novità anche al bar. Bruto aveva comunicato ai due che intendeva aprire un nuovo locale, ma in un’altra parte della città, e così decideva di lasciare questo a uno dei due ragazzi. Al che Davide, con un minimo di orgoglio umano, aveva pensato che sarebbe spettato a lui: era un maschio, più grande di Silvia e teneva già l’inventario, ogni mese, delle merci che vendevano. Insieme all’uomo decidevano i prezzi più giusti, e avendo molta dimestichezza con la matematica, aziendale e non, lo aiutava a far quadrare i conti. Silvia invece era solo una cameriera, certo molto abile con i clienti, attrazione non indifferente, ma il ragazzo credeva che si potesse fare a meno di lei.

In realtà, ad essere un po’ più maligni, queste sue considerazioni erano dettate dal fatto che ormai da un po’ si era accorto che non provava più nulla per lei, e iniziava a vederla sotto una nuova luce.
In quei giorni, entrambi si davano da fare come non mai, tentando di conquistare l’ammirazione e la fiducia di Bruto, sempre impassibile e imperscrutabile come al solito. I due insomma, si giocavano le proprie carte nella speranza di avere riservato un lavoro.
Se da un lato Davide insisteva nell’aiutare Bruto a tenere il bilancio, a fare i conti e a scaricare le casse di rifornimenti che arrivavano, Silvia, che non era mai stata una lavoratrice né assidua ma nemmeno svogliata, si presentava a lavoro con mezz’ora d’anticipo e insisteva nel servire immediatamente tutti.
Se fosse solo un trucco psicologico per aumentare le vendite, non lo sapremo mai, ma quelle salirono, eccome.
La “gara” procedeva senza passi falsi o colpi bassi; o almeno, così sembrava.
Un giorno infatti, Davide notò una cosa non indifferente. Facendo un po’ di calcoli e curiosando impropriamente fra le carte di Bruto, aveva trovato fatture di debiti da saldare; e anche senza sapere a quanto ammontasse la sua fortuna, era certo che non se li potesse permettere. Insospettito e domandandosi se non ci fosse qualcosa sotto, prese in mano quelle carte con le prove per chiedere spiegazioni.
Stava percorrendo il retro, per arrivare dove si trovava l’uomo, quando da dentro la porta avvertì dei rumori.
Accigliato, la spinse leggermente in avanti, e la poca luce ch filtrò al suo interno bastò a fargli distinguere due figure.
La prima teneva saldamente ancorata al suo bacino una ragazza, l’altra era in grembo all’uomo e lo stava baciando, senza apparente voglia di smettere.
Inorridito, Davide la richiuse immediatamente e si tenne a distanza.
Solo dopo che ebbe messo un po’ di distanza fra quella visione e se stesso, ripresosi dalla sorpresa elaborò quello che aveva visto.
Alla faccia della competizione pulita e onesta.
E così, pensò rabbioso, Silvia aveva trovato la maniera di farsi dare il lavoro; semplice, senza fatica e se visto da un certo lato pure piacevole.
Limonava col capo. Ma che brava. Beh, almeno sapeva usare bene le capacità che madre natura le aveva dato, e che capacità!
Il tutto gli suonò così sporco, disonesto e cattivo che non riuscì nemmeno a trovare le parole per definirlo. Praticamente lo stavano prendendo in giro, tutti e due; quando ormai già sapevano a chi spettava il lavoro, e non certo per merito. E non certo perché ci teneva. E non certo perché aveva lavorato duro.
Era semplicemente impotente.
Impotente davanti a quella tresca, a quell’imbroglio, e non poteva farci nulla. In un primo momento fu preso dalla rabbia ed ebbe voglia di vendetta, giusta ed appagante.
Tornò carico di astio nel locale, non curandosi di servire la gente presente, e aprì la cassa.
Perché non poteva semplicemente prendersi i suoi soldi, quello che gli spettava di diritto? Bruto non se ne sarebbe mai accorto, troppo preso dalla sua nuova... compagna.
Solo il pensiero lo faceva andare in bestia. E pensare che l’uomo sapeva della sua passione per Silvia, confidata tanto tempo fa davanti ad una serie di cocktail. E nonostante tutto, se la faceva senza problemi.
Dopo il primo momento di impulsività, la ragione gli suggerì la via migliore.
Ne sarebbe uscito da vincitore, in un modo o nell’altro.
 
Francesca uscì dal bagno asciugandosi le mani ancora bagnate; quel giorno era fastidiosa, come sempre le succedeva in quel periodo, ma in particolare sentiva la testa girarle peggio di una centrifuga.
Quando era così, non riusciva a fare nulla, e questo la deprimeva ancora di più.
Si sdraiò lentamente sul divano, stringendo i pugni ed esclamando con rabbia
-è tutta colpa tua, stupido idiota!- rivolta chiaramente a Davide.
Bruno era uscito come di solito faceva il pomeriggio e così era da sola nel piccolo appartamento. Mancavano due giorni alla fine della scuola, e lei non vedeva l’ora. Primo perché non avrebbe più dovuto alzarsi la mattina presto, e per secondo perché il dottore aveva detto che in quel periodo le avrebbe fatto sapere quando si poteva fare l’intervento.
-E tu...- ringhiò alla sua pancia, leggermente più tonda del solito, ma non evidente se non ad un puntiglioso esame.
-...è anche colpa tua! Tutta colpa tua-
Afferrò il suo zaino, ormai diventato il centro di tutto il suo mondo, in quanto vi era contenuto tutto ciò che le era più caro.
Dal diario scivolò via un foglio ripiegato. Lei lo aprì.
Davide&Francesca=love4ever.
Quelle parole la fecero arrossire, non si sa se di rabbia o di imbarazzo.
Fatto sta che lo gettò ammucchiato nello zaino, incrociando le braccia al petto.
-Io non ho bisogno di te! Io non ho bisogno di nessuno!-
Ci sono certi momenti, certi attimi nella vita che cambiano il corso degli eventi.
Una parola, una frase, un’immagine, un pensiero, può determinare un cambiamento. Può farti sentire meglio, o peggio. Può indicarti la via d’uscita da un tunnel, o indurti ad entrarvi.
Francesca non aveva mai davvero considerato la creatura che stava dentro di lei, che silenziosa le dormiva nella pancia. E lui, il bambino che fosse, non si era mai fatto sentire, forse spaventato giustamente dal carattere infuocato della sua mamma naturale.
Quella mamma che non lo voleva. Quella mamma che lo considerava un impiccio. Quella mamma che voleva ucciderlo.
Ma all’improvviso, come una forza che arriva piano piano per poi esplodere con tanta energia, quel bambino si svegliò dal suo sonno.
Forse la mamma era troppo testarda per capire. Era troppo spaventata.
Forse quel bambino aveva capito che la sua mamma era troppo sola.
Un sussulto nella pancia la fece arrestare nella posizione dove stava.
La bionda rimase immobile, del tutto nuova a quella sensazione. Si appoggiò piano allo schienale, d’improvviso turbata.
Guardò la sua pancia, ancora piatta.
Era certa che il colpo fosse venuto da lì. Ma ciò che la fece impaurire, era che quel colpo non proveniva dall’esterno. Veniva da dentro.
Respirò forte, in silenzio come se volesse cogliere altri rumori.
Era spaventata. Quel bambino non si era mai fatto sentire.
Lei spesso nella sua mente si riferiva a lui, ma era più un concetto astratto, non reale.
Come se in realtà non esistesse, come se non fosse nel suo corpo ma in quello di un’altra.
Invece ora le aveva dato uno scossone.
Non lo aveva mai sentito così vivo.
E d’un tratto ricordò le parole che le aveva detto Davide:
‘Spero che un giorno sentirai il rimorso di aver ucciso una creatura!’.
Molto turbata, si chiese per la prima volta se stesse veramente facendo la cosa giusta. In quei mesi, troppo infastidita da tutto ciò che le girava intorno ed impaziente di liberarsi di quel peso, aveva dato per scontato che avrebbe abortito. Ed ecco che ora faceva capolino quel dubbio che avrebbe dovuto insinuarsi in lei molte tempo addietro, ma meglio tardi che mai, dopotutto.
Mentre era ancora tutta presa dal turbine di domande e dubbi che l’avevano accerchiata, Bruno rientrò a casa.
Aveva un largo sorriso sulle labbra.
-Ho una bellissima notizia-
-Eh?- lei a malapena si accorse che era rientrato.
-Il dottore ha detto che va bene per domani-
-Domani cosa?-
-Domani l’intervento-
Vedendo che la sua reazione era stata scarsa, Bruno si sedette accanto a lei, abbracciandole una spalla.
-Allora? Non sei contenta?-
-Sì...-
Ma in realtà, l’unica cosa che aveva capito era che doveva decidere in fretta. Anzi, subito.
 
La mattina, a scuola, il tempo voleva passare in fretta, incitato dai tanti ragazzi che attendevano il suono della campanella; esso infatti avrebbe sancito l’inizio delle vacanze estive.
Francesca non voleva assolutamente che finisse quella giornata. O meglio, spieghiamoci bene, lei non voleva affrontare quello che sarebbe successo nel pomeriggio.
Per la prima volta forse, era agitata. Quella notte aveva avuto fastidi di vario genere e aveva dormito poco. Era molto agitata, e non sapeva assolutamente che fare.
Paola notò che spesso si fissava tormentata le mani e la pancia, e approfittando di un’ora di supplenza, la prese in disparte, sedendosi sul davanzale di una finestra e iniziò a domandarle.
-Che hai? Non sei felice che fra due ore siamo in vacanza?-
L’altra scosse la testa, poi sospirò e si poggiò gemendo la testa sulle ginocchia. Siccome era molto raro che accadesse, si preoccupò.
-Che succede?-
La bionda riemerse sconsolata, ma non per scherzo. Era veramente disperata e in difficoltà. In breve le raccontò del bambino, della sera con Davide, del dottore e dell’intervento che doveva fare quel pomeriggio. E poi che non ce la faceva più, che era stanca e che le faceva di continuo male la testa.
-Non ce la faccio più, non vedo l’ora che finisca tutto- gemette, quasi con le lacrime agli occhi.
Quello era un segno inequivocabile che era una cosa seria.
Paola osservò l’amica rimettersi in ordine i capelli, il viso magro e gli occhi stanchi. Si dispiacque molto.
-Cosa hai pensato di fare?-
-Boh. Non lo so. È la prima volta che mi succede. È la prima volta che sento il bambino- disse, e all’ultima frase abbassò di colpo la voce, temendo di essere sentita.
-E l’intervento?-
-è per oggi pomeriggio...ma non so...- di nuovo sospirò infelice –non sono più tanto sicura-
Guardò con occhi imploranti la sua amica, come se in qualche modo potesse tirarla fuori da quella situazione.
Paola ci pensò su; non le piaceva vedere la sua amica ridotta in quello stato, anche se era più unico che raro vederla così, chiedere aiuto.
-Cosa devo fare?- la domanda arrivò disperata, ma sentirla pronunciare dalle labbra della ragazza era sintomo che la situazione era sfuggita di mano e che veramente aveva bisogno d’aiuto.
-Devi farlo per forza l’intervento?- domandò l’amica, in cerca di qualcosa che la facesse stare meglio.
-Altrimenti Bruno non mi vuole-
La domanda successiva suscitò un senso di trionfo nella ragazza dai capelli neri, perché aveva indovinato il corridoio giusto.
-Tu lo vuoi Bruno?-
Francesca non ebbe dubbi nel rispondere a quella domanda, e scosse la testa.
Paola sorrise piano.
-Coraggio- si avvicinò a lei, circondandole la spalla col braccio e facendole forza –sai già cosa devi fare-
-Sì ma dopo?- chiese la bionda, triste.
-Sai, certe volte le persone che ci vogliono più bene sono quelle che ci fanno stare più male-
A questa uscita filosofica la ragazza non colse subito il senso della frase.
-E allora perché lo fanno?-
-Perché sono le uniche che ci dicono le cose per come stanno-
Lei allora capì cosa intendeva, e si tirò su con la schiena, guardando l’amica malinconica.
-Non posso. Cosa gli dico?-
-Non importa, basta che lo fai-
Ma era ancora indecisa. Paola lo notò e si spazientì.
-Non importa cosa dici, vedrai che sul momento ti verrà in mente. L’importante è che sei convinta di quello che devi fare-
-Io voglio fare solo la cosa giusta-
Quella frase le procurò un abbraccio vero, sincero e caldo. E in quell’ultimo giorno di scuola, una ragazza temeva come il giorno del giudizio il suono della campanella.
 
Davide si infilò la giacca nera, raccattando le chiavi dal mobile e preparandosi a scendere le scale del palazzo. Ormai aveva preso la sua decisione, e non era disposto a tornare indietro per nulla.
Non era né semplice, né complicato. Il tutto stava nel decidersi a farlo, a compiere il passo per andare oltre; non che ci volesse chissà quale grande sforzo o forza di volontà, ma semplicemente bisognava essere convinti. E lui, dopo circa un anno, aveva preso la decisione che avrebbe segnato una svolta. Che poi questa fosse positiva o negativa, non poteva determinarlo. Almeno poteva dire di averci provato.
E al posto di continuare a tenersi un inutile motorino in ricordo dei begli anni dell’adolescenza, un mazzetto di soldi non guastava. Il meccanico era stato ben felice di comprarlo a un prezzo onesto, anche perché era stato tenuto in condizioni buone.
Con quei soldi, Davide avrebbe potuto pagarsi le lezioni. C’era bisogno di una scossa, ebbene, quella era arrivata; e se non era il generatore a procurarla, bisognava assolutamente provvedere.
Con quello spirito determinato, il ragazzo percorse il marciapiede largo che costeggiava la strada, e sul quale erano situati vari negozi. All’angolo poi c’era la porta vetrata del bar.
Lui entrò spingendo la porta quando era già aperto. Non andò nel retro, come avrebbe fatto in altri casi, ma tirò dritto fino al bancone.
-Ehi!- attirò così l’attenzione di Bruto, che lo fissò interrogativo.
-Che fai ancora lì? Perché non vai a cambiarti?-
-Tieni-
Davide gli porse un po’ di banconote.
L’altro lo guardava sempre più perplesso, finché il ragazzo non aggiunse
-I soldi per quella cassa di birre. Ho saldato il debito-
Disse così e stavolta andò a cambiarsi. Era il giorno che ritirava lo stipendio, per cui, ragionamento furbesco ma intelligente, perché comportarsi da fesso pur facendo la cosa giusta?





Grazie a tutti quelli che leggono, hanno messo la storia tra i preferiti e che recensiscono.

Jiuliet: oh sì, è straordinariamente vero che sapete bene come complicarvi la vita. E povera Francesca, che come vedi alla fine è crollata. Spero di aver reso bene i suoi pensieri.

Marty McGonagall: Buonasera a te. Credo che in questo capitolo Francesca si sia rivelata più umana del solito, ed è comprensibile credo, dopo tutto quello che le è capitato... come vedi "l'effetto Silvia" si è ritorto contro di lui. Senti che vale la pena continuare a seguirmi? Ne sono onorato e ti ringrazio.

Emily Doyle: grazie per i complimenti sul mio modo di scrivere, molto graditi........e sì, ho una sorella e dieci cugine femmine di primo grado più o meno tutte nell'età adolescenziale. Uno spasso... scherzi a parte, sono molto felice che riteniate che descriva bene il mondo femminile, forse sto incominciando a capirlo... grazie per la recensione.

Miss Queen: sesto senso? Boh forse era scontato. Sono contento che parteggi per Damiano, nonostante non sia il personaggio principale.
(Risposta che non c'entra niente: mi fa molto onore che "la macchina del capo ha un buco nel...motore" ti sia piaciuta tanto ma non credo assolutamente che continuerò "Vernice fresca". Non è riuscita la storia che avevo in mente io).

Devilgirl89: ma quale perfezione...? Non so cosa è peggio, far cambiare idea a Francesca o ricevere la tua mail piena di parolacce? ... mmm... dovrò accontentarvi tutte e due.
Evviva i fan di Damiano! Grazie d'aver recensito.


  
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