i
meriti e le colpe di questa storia sono tanto suoi quanto
miei…
SECONDO
CAPITOLO
Una
macchina della polizia, dalla carrozzeria blu notte e il titolo dipinto
in
bianco sui lati, lo stava portando in tribunale.
Quasi
sorrideva nel pensare che sarebbe stato suo fratello a difenderlo,
l’esatto
contrario di quel che accadeva quando erano bambini.
Era
sempre stato troppo buono, Massimo. All’asilo per i bulli
picchiarlo era come
bere un bicchier d’acqua.
Sentì
le mani iniziare a tremargli, quante botte aveva preso in pieno viso
per
difendere quel debole!
Se
n’era presto stancato.
Non
voleva diventare come loro padre, e infatti ora era l’esatto
contrario. Se gli
fosse assomigliato anche solo un po’, ora sarebbe stato lui a
guidare
quell’auto, e dietro ci sarebbe stato solo un criminale
qualsiasi, in attesa di
una sentenza.
Un
piccolo sorriso fece capolino sulle sue labbra, mentre
l’immagine di una gita
al mare iniziava a espandersi nella sua mente, abbracciandolo con la
malinconia
del ricordare.
Fu
l’ultima gita, quella.
L’ultima
prima che papà smettesse di tornare alle sette di sera.
Aveva lasciato sempre
più soli lui e Massimo, innamorato perso del suo lavoro e
della sua giustizia.
Ma chi ama, la giustizia? L’ha mai abbracciato? Baciato?
Carezzato?
La
giustizia gli si infilò nel petto anni dopo, sotto forma di
pallottola. Quella
sua giustizia lo uccise.
Non
che a Vittorio fosse dispiaciuto, dopo tutto.
Per
otto anni era stato un padre fantasma, e le rare volte in cui palesava
alla
famiglia la sua presenza era per parlare di voti. Voti che Massimo
aveva sempre
più alti.
Iniziò
a disprezzare entrambi allora, e disse addio alla giustizia lo stesso
giorno in
cui lo disse al padre. Chi conosceva la sua storia, quei pochi
confidenti che
aveva avuto in gioventù, lo chiamavano il figlio
dell’invidia. Forse sarebbe
stato più appropriato figlio della gelosia.
Geloso?
Geloso di chi? Di quel padre che tanto odiava, o di quel fratello di
cui era
sempre stato l’ombra? Se avesse avuto più
attenzioni da entrambi, sarebbe forse
stato migliore?
No.
Certo
che no, si rispondeva.
Avrebbe
coltivato tutto quell’odio e quel disprezzo da solo, anche
senza un motivo
dietro. Anche se non l’avessero abbandonato a se stesso.
Nell’adolescenza
si era sentito un cane randagio in mezzo a una famiglia col pedigree.
Si era
ispirato al padre, ma solo per gli orari di rientro a casa.
Ogni
tanto aveva un orologio nuovo, e qualche migliaio di lire di troppo.
Eppure
nessuno se ne era mai preoccupato, eccetto Massimo.
Lui
sì che gli aveva fatto la ramanzina, e troppe volte.
Probabilmente era anche
l’unico a essersene accorto.
Quel
maledetto faccino tondo che aveva lo tormentava da sempre, gli dava
un’aria
affabile che solo sui trent’anni aveva imparato ad
apprezzare. Solo lui si era
reso conto che la fossetta sulla fronte si formava sempre
più spesso.
Poi
se n’era andato. Aveva imitato il padre anche in questo,
lasciando un fratello
ancora studente e una madre nel dolore, senza un figlio e un marito. E
ed era
arrivato a cambiare nome…
Ogni
tanto rimpiangeva questa sua scelta, più per principi morali
che per vera
tristezza. Come poteva pretendere compassione, se per primo aveva
lasciato la
sua famiglia? No, non voleva questo, essere compatito lo ripugnava.
Per
lui quella famiglia era morta e sepolta, prima che lo fosse il padre.
Erano
morti il giorno in cui l’orario di rientro si
fissò a mezzanotte.
Era
strano ricordare.
Per
tanti anni, Massimo aveva passato il tempo a tentare di dimenticare.
Era
rimasto fermo a osservare lo scorrere dei giorni, chiedendosi se mai lo
avrebbe
rivisto. Sperando che non accadesse.
Poi
aveva incontrato Rosanna e tutto si era concluso.
Suo
fratello era morto, le aveva detto. Suo fratello aveva seguito le orme
di loro
padre ed era morto…
Lei
aveva cercato di consolarlo, svelandogli segreti che avrebbero dovuto
farlo
sentire meglio. Segreti di famiglia, di quelli che tutti hanno e di cui
nessuno
parla.
Se
Rosanna avesse scoperto la sua menzogna… fra loro sarebbe
finita.
Eppure,
mentre camminava spedito verso l’aula di tribunale in attesa
della sentenza,
Massimo non poté fare a meno di dirsi che, per lui, Vittorio
era davvero morto.
Aveva
deluso suo padre, era andato via di casa, aveva imboccato la strada
opposta a
quella di Massimo. Aveva persino cambiato nome!
Cosa
avrebbe detto loro padre se lo avesse saputo? Se fosse stato ancora
vivo?
Per
fortuna era morto.
Per
fortuna…
Sentì un groppo salirgli in gola mentre si fermava davanti
alle porte di legno
scuro, lavorate a fuoco.
Aveva
amato suo padre. Gli era rimasto accanto nonostante tutto. Nonostante
si fosse
messo a difendere i cattivi,
rischiando di dargli un altro dolore. Un dolore che non era comunque
paragonabile a quello di Vittorio…
Vittorio
aveva sempre guardato con disprezzo l’onestà di
loro padre. Si era sempre
rifiutato di vivere come lui, come loro.
Perché Massimo sì, era un avvocato ora, ma per
arrivare a quel punto aveva
sudato, lavorato, passato notti insonni a studiare.
Per
l’orgoglio di suo padre…
Allungò
una mano sulla maniglia di ottone, pronto a tornare in aula e
raggiungere suo
fratello. Ma poi la strinse a pugno, le nocche divennero bianche,
mentre
ripensava alle occhiate di Vittorio, alle espressioni rassegnate di suo
padre,
al giorno in cui era morto…
Suo
fratello non era tornato per salutarlo, nemmeno quando stava male. Non
aveva
chiamato, non si era fatto sentire. Era stato Massimo a cercarlo.
«Papà
è morto.»
Tre
parole che lo avevano distrutto. Tre parole che Vittorio aveva
assorbito come
acqua fresca.
«È
successo.»
Non
lo aveva più sentito dopo quella telefonata. Anni e anni di
silenzi, mentre
Vittorio viveva chissà come e Massimo cercava di farlo
onestamente. Come suo
padre…
Strinse
la maniglia dorata e cominciò ad abbassarla.
«Massimo!»
Quella
voce… No!
Era
lei.
Rosanna
era lì, dietro di lui, con un completo di raso e il sorriso
rosso e lucente con
cui lo accoglieva ogni sera, quando si incontravano.
«Cosa
fai qui?»
Lei
lo raggiunse, sfiorandogli la guancia con le labbra. Era alta come lui
e non
fece nessuna fatica a sussurrargli nell’orecchio.
«Non
sei felice?»
Massimo
avrebbe voluto rispondere di no, ma rimase impietrito a guardare la
sfumatura
purpurea dei suoi capelli.
«Non
vieni mai…» mormorò soltanto.
«È
vero. Ma in genere non tieni così tanto a un caso come a
questo. Ho pensato che
ti servisse un sostegno e ti ho raggiunto. La sentenza è
oggi?»
Lui
si limitò ad annuire.
E
ora? Cosa avrebbe fatto ora? Durante il processo era stato chiarito il
rapporto
di parentela con Vittorio. E se lo avessero ripetuto? Se lo avessero
detto
davanti a lei…?
Mentre
entrava nell’aula dietro Rosanna, Massimo pregò
che non lo venisse a sapere.
Mai.
Il
processo era andato, ma come, Vittorio proprio non riusciva a capirlo.
Voltava
il capo in giro, cercando di scoprire cosa pensasse la gente di quanto
aveva
detto, di quanto aveva giurato, di
quanta verità era insita nelle sue parole. E sperava,
sperava che il Giudice
non fosse come loro.
C’erano
solo volti cupi dietro di lui: persone che lo fissavano e parlottavano,
mentre
altri erano in piedi ad aspettare la sentenza.
Massimo
non era con lui, era uscito già da un pezzo, ed era strano
che non fosse ancora
tornato.
Quando
la porta si aprì, Vittorio restò fermo, gli occhi
verdi puntati contro i due
che stavano entrando. Suo fratello non era solo, ma in compagnia di una
gran
bella donna.
E
dal modo in cui erano vicini, dal modo in cui lei sorrideva, trionfante
nel
mostrarsi in compagnia di un avvocato, quasi gli avesse appeso sulla
schiena un
cartello con scritto “proprietà
privata”, Vittorio capì che stavano insieme.
Tornò
a concentrarsi sul processo, su quanto aveva detto per salvarsi la
faccia. Non
poteva dire la verità, non davanti a lui.
Non
aveva mai voluto essere come suo padre, per questo si era gettato in
quella
vita. Ed era stato scoperto… Massimo non aveva trovato
testimoni in suo favore,
ma Vittorio lo sapeva già, lo sapeva ancor prima che tutto
questo cominciasse.
La
verità era che non c’erano testimoni.
Non
per lui.
Restò
ad ascoltare i passi di Massimo e della donna, il primo che sembrava
scivolare
sul parquet, mentre i tacchi dell’altra risuonavano
nell’aula.
A
Vittorio sembrò di sentire solo quel rumore.
Ignorò le voci, il brusio della
gente in attesa, ignorò i pensieri negativi
sull’esito del processo.
Perché
finalmente, dopo anni e anni di attesa, dopo silenzi, dopo la morte del
padre,
erano di nuovo insieme.
«Ehi,
fratellino!»
Solo
allora, negli occhi di Massimo, così simili ai suoi,
Vittorio riconobbe un puro
e cieco terrore.
E
capì.
Lei
non sapeva. Non sapeva di lui, non sapeva del loro legame di sangue,
non sapeva
che il suo avvocato era imparentato con un criminale.
Massimo
diventò rosso; Vittorio vide in quel colorito tutta la
vergogna che provava per
lui.
E
si pentì a sua volta…
Si
pentì di tutto ciò che aveva fatto e che avrebbe
ancora voluto fare. Si pentì
di averlo lasciato, di essersene andato per sempre dalla sua vita. Si
pentì di
esistere.
«Fratellino?»
ripeté la donna, scuotendo i capelli rossi.
Erano
vicini a lui.
Massimo
guardò il fratello con occhi di ghiaccio, il viso ancora
rosso manifestava la
sua vergogna e la sua rabbia, quasi infantile.
Spostò
lo sguardo su Rosanna.
L’espressione
non era irosa come si aspettava, ma piuttosto ferita. Le aveva mentito,
in un
modo che forse era imperdonabile.
Vittorio
era bloccato davanti a entrambi, un passo a metà che non
avrebbe compiuto.
Voleva avvicinarsi alla coppia, ma qualcosa nella sua mente gli aveva
suggerito
quel che era successo. Lo sguardo di Massimo lo aveva raggelato e ora
inchiodato
lì, finché non aveva capito.
“Per lui… per lui anche
io sono morto, non è
così?”
Puntò
le iridi verdi sulla donna, come a chiederle scusa di essere
lì, di essere la
vergogna del fratello.
Il
primo a parlare subito dopo fu proprio l’avvocato, il cui
rossore stava pian
piano svanendo.
«Rosanna,
potremmo parlare un minuto?»
Lei
parve acconsentire e i due si allontanarono, lasciando Vittorio da solo.
Non
gli interessava, no? Suo fratello non era più un
consanguineo da tanto.
Cosa
gli importava se a causa sua ora avrebbe avuto problemi con la sua
ragazza?
Più
si ripeteva queste cose, più internamente si convinceva
dell’esatto opposto.
Una lacrima solitaria gli rigò la guancia.
Perché
se ne era andato così? Era necessario tagliare
così i rapporti con lui? Si
sedette su una panca, e pensò.
Quante
cose non sapeva, sul suo stesso fratello!
La
vita che si era scelto… Massimo probabilmente ora lo odiava
ancora di più, più
di quanto Vittorio potesse immaginare. Se era arrivato perfino a
mentire sulla
sua esistenza con quella donna... E tutto questo perché lo
aveva difeso.
Sospirò,
chiedendosi se si potesse rimediare. Era buffo che se lo chiedesse
proprio in
quel momento, dopo tanti anni. Non lo aveva mai chiamato, non ne aveva
sentito
il bisogno.
“O forse ero più come un
bimbo che gioca a
fare l’offeso.”
In
quel momento Massimo tornò, seguito a pochi passi dalla
donna dalla chioma
rossa.
«Ci
lasceresti da soli, per favore?»
Vittorio
alzò lo sguardo, per vedere il fratello che diceva alla
fidanzata di andarsene.
Lei annuì, prima di fare dietrofront e lasciare la saletta
di attesa.
«Avvocato,
qual è il verdetto?» tentò di scherzare
per alleggerire l’atmosfera troppo
pesante.
«Le
ho spiegato e lei…» Massimo non sembrava
intenzionato a continuare la frase.
Ci
vollero diverse sollecitazioni perché Vittorio riuscisse a
carpire l’esito di
quella che non doveva essere stata una discussione piacevole.
D’un
tratto, dopo una profusione di scuse imbarazzate per
l’episodio capitato (scuse
che Massimo non si sarebbe mai aspettato), cominciarono a parlare, come
non facevano
da quando erano piccoli.
«Non
è il posto più gradevole per una riconciliazione,
non trovi?»
«No,
non lo è affatto. Eppure sento che è il
più adatto.»
Vittorio
si stupì di quelle parole, non pensava che Massimo avesse
davvero intenzione di
fare pace.
«Beh,
direi che oggi si sono scambiati i ruoli. Una volta ero io il tuo
difensore.»
A
entrambi scappò un sorriso melanconico.
«Spero
che non s’invertano mai più, le aule di tribunale
non sono mai piacevoli.
Specie per l’accusato.»
Furono
interrotti dall’arrivo di un ragazzo mingherlino, che
comunicò loro di rientrare
per il verdetto.
Ma
comunque fosse andata, Vittorio si disse che non importava. Sentiva che
avrebbe
riavuto suo fratello anche da carcerato. E, forse, da quel momento in
poi
sarebbe tornato a essere vivo.