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Autore: Celtica    30/04/2016    6 recensioni
Storia scritta a quattro mani con NatalieRiver182.
Avere una coscienza ed essere avvocato sono due cose che spesso divergono. Massimo si trova a dover difendere Vittorio, pur credendolo colpevole. Si tratta di truffa, aggressione e minacce. Eppure, non tutto è come sembra…
“Ma non poteva permettersi di ammettere i propri crimini, non se a difenderlo c’era lui…”
“Massimo annuì, assecondandolo.
Bugie, pensò, solo bugie.
Eppure decise di iniziare a fargli domande come se fosse stato innocente.”
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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quattro mani Capitolo due
Questa storia è stata scritta a quattro mani con NatalieRiver182,
i meriti e le colpe di questa storia sono tanto suoi quanto miei…


SECONDO CAPITOLO


Una macchina della polizia, dalla carrozzeria blu notte e il titolo dipinto in bianco sui lati, lo stava portando in tribunale.
Quasi sorrideva nel pensare che sarebbe stato suo fratello a difenderlo, l’esatto contrario di quel che accadeva quando erano bambini.
Era sempre stato troppo buono, Massimo. All’asilo per i bulli picchiarlo era come bere un bicchier d’acqua.
Sentì le mani iniziare a tremargli, quante botte aveva preso in pieno viso per difendere quel debole!
Se n’era presto stancato.
Non voleva diventare come loro padre, e infatti ora era l’esatto contrario. Se gli fosse assomigliato anche solo un po’, ora sarebbe stato lui a guidare quell’auto, e dietro ci sarebbe stato solo un criminale qualsiasi, in attesa di una sentenza.
Un piccolo sorriso fece capolino sulle sue labbra, mentre l’immagine di una gita al mare iniziava a espandersi nella sua mente, abbracciandolo con la malinconia del ricordare.
Fu l’ultima gita, quella.
L’ultima prima che papà smettesse di tornare alle sette di sera. Aveva lasciato sempre più soli lui e Massimo, innamorato perso del suo lavoro e della sua giustizia. Ma chi ama, la giustizia? L’ha mai abbracciato? Baciato? Carezzato?
La giustizia gli si infilò nel petto anni dopo, sotto forma di pallottola. Quella sua giustizia lo uccise.
Non che a Vittorio fosse dispiaciuto, dopo tutto.
Per otto anni era stato un padre fantasma, e le rare volte in cui palesava alla famiglia la sua presenza era per parlare di voti. Voti che Massimo aveva sempre più alti.
Iniziò a disprezzare entrambi allora, e disse addio alla giustizia lo stesso giorno in cui lo disse al padre. Chi conosceva la sua storia, quei pochi confidenti che aveva avuto in gioventù, lo chiamavano il figlio dell’invidia. Forse sarebbe stato più appropriato figlio della gelosia.
Geloso? Geloso di chi? Di quel padre che tanto odiava, o di quel fratello di cui era sempre stato l’ombra? Se avesse avuto più attenzioni da entrambi, sarebbe forse stato migliore?
No.
Certo che no, si rispondeva.
Avrebbe coltivato tutto quell’odio e quel disprezzo da solo, anche senza un motivo dietro. Anche se non l’avessero abbandonato a se stesso.
Nell’adolescenza si era sentito un cane randagio in mezzo a una famiglia col pedigree. Si era ispirato al padre, ma solo per gli orari di rientro a casa.
Ogni tanto aveva un orologio nuovo, e qualche migliaio di lire di troppo.
Eppure nessuno se ne era mai preoccupato, eccetto Massimo.
Lui sì che gli aveva fatto la ramanzina, e troppe volte. Probabilmente era anche l’unico a essersene accorto.
Quel maledetto faccino tondo che aveva lo tormentava da sempre, gli dava un’aria affabile che solo sui trent’anni aveva imparato ad apprezzare. Solo lui si era reso conto che la fossetta sulla fronte si formava sempre più spesso.
Poi se n’era andato. Aveva imitato il padre anche in questo, lasciando un fratello ancora studente e una madre nel dolore, senza un figlio e un marito. E ed era arrivato a cambiare nome…
Ogni tanto rimpiangeva questa sua scelta, più per principi morali che per vera tristezza. Come poteva pretendere compassione, se per primo aveva lasciato la sua famiglia? No, non voleva questo, essere compatito lo ripugnava.
Per lui quella famiglia era morta e sepolta, prima che lo fosse il padre.
Erano morti il giorno in cui l’orario di rientro si fissò a mezzanotte.

nn

Era strano ricordare.
Per tanti anni, Massimo aveva passato il tempo a tentare di dimenticare. Era rimasto fermo a osservare lo scorrere dei giorni, chiedendosi se mai lo avrebbe rivisto. Sperando che non accadesse.
Poi aveva incontrato Rosanna e tutto si era concluso.
Suo fratello era morto, le aveva detto. Suo fratello aveva seguito le orme di loro padre ed era morto…
Lei aveva cercato di consolarlo, svelandogli segreti che avrebbero dovuto farlo sentire meglio. Segreti di famiglia, di quelli che tutti hanno e di cui nessuno parla.
Se Rosanna avesse scoperto la sua menzogna… fra loro sarebbe finita.
Eppure, mentre camminava spedito verso l’aula di tribunale in attesa della sentenza, Massimo non poté fare a meno di dirsi che, per lui, Vittorio era davvero morto.
Aveva deluso suo padre, era andato via di casa, aveva imboccato la strada opposta a quella di Massimo. Aveva persino cambiato nome!
Cosa avrebbe detto loro padre se lo avesse saputo? Se fosse stato ancora vivo?
Per fortuna era morto.

Per fortuna… Sentì un groppo salirgli in gola mentre si fermava davanti alle porte di legno scuro, lavorate a fuoco.
Aveva amato suo padre. Gli era rimasto accanto nonostante tutto. Nonostante si fosse messo a difendere i cattivi, rischiando di dargli un altro dolore. Un dolore che non era comunque paragonabile a quello di Vittorio…
Vittorio aveva sempre guardato con disprezzo l’onestà di loro padre. Si era sempre rifiutato di vivere come lui, come loro. Perché Massimo sì, era un avvocato ora, ma per arrivare a quel punto aveva sudato, lavorato, passato notti insonni a studiare.
Per l’orgoglio di suo padre…
Allungò una mano sulla maniglia di ottone, pronto a tornare in aula e raggiungere suo fratello. Ma poi la strinse a pugno, le nocche divennero bianche, mentre ripensava alle occhiate di Vittorio, alle espressioni rassegnate di suo padre, al giorno in cui era morto…
Suo fratello non era tornato per salutarlo, nemmeno quando stava male. Non aveva chiamato, non si era fatto sentire. Era stato Massimo a cercarlo.
«Papà è morto.»
Tre parole che lo avevano distrutto. Tre parole che Vittorio aveva assorbito come acqua fresca.
«È successo.»
Non lo aveva più sentito dopo quella telefonata. Anni e anni di silenzi, mentre Vittorio viveva chissà come e Massimo cercava di farlo onestamente. Come suo padre…
Strinse la maniglia dorata e cominciò ad abbassarla.
«Massimo!»

Quella voce… No!
Era lei.
Rosanna era lì, dietro di lui, con un completo di raso e il sorriso rosso e lucente con cui lo accoglieva ogni sera, quando si incontravano.
«Cosa fai qui?»
Lei lo raggiunse, sfiorandogli la guancia con le labbra. Era alta come lui e non fece nessuna fatica a sussurrargli nell’orecchio.
«Non sei felice?»
Massimo avrebbe voluto rispondere di no, ma rimase impietrito a guardare la sfumatura purpurea dei suoi capelli.
«Non vieni mai…» mormorò soltanto.
«È vero. Ma in genere non tieni così tanto a un caso come a questo. Ho pensato che ti servisse un sostegno e ti ho raggiunto. La sentenza è oggi?»
Lui si limitò ad annuire.
E ora? Cosa avrebbe fatto ora? Durante il processo era stato chiarito il rapporto di parentela con Vittorio. E se lo avessero ripetuto? Se lo avessero detto davanti a lei…?
Mentre entrava nell’aula dietro Rosanna, Massimo pregò che non lo venisse a sapere. Mai.

nn

Il processo era andato, ma come, Vittorio proprio non riusciva a capirlo.
Voltava il capo in giro, cercando di scoprire cosa pensasse la gente di quanto aveva detto, di quanto aveva giurato, di quanta verità era insita nelle sue parole. E sperava, sperava che il Giudice non fosse come loro.
C’erano solo volti cupi dietro di lui: persone che lo fissavano e parlottavano, mentre altri erano in piedi ad aspettare la sentenza.
Massimo non era con lui, era uscito già da un pezzo, ed era strano che non fosse ancora tornato.
Quando la porta si aprì, Vittorio restò fermo, gli occhi verdi puntati contro i due che stavano entrando. Suo fratello non era solo, ma in compagnia di una gran bella donna.
E dal modo in cui erano vicini, dal modo in cui lei sorrideva, trionfante nel mostrarsi in compagnia di un avvocato, quasi gli avesse appeso sulla schiena un cartello con scritto “proprietà privata”, Vittorio capì che stavano insieme.
Tornò a concentrarsi sul processo, su quanto aveva detto per salvarsi la faccia. Non poteva dire la verità, non davanti a lui.
Non aveva mai voluto essere come suo padre, per questo si era gettato in quella vita. Ed era stato scoperto… Massimo non aveva trovato testimoni in suo favore, ma Vittorio lo sapeva già, lo sapeva ancor prima che tutto questo cominciasse.
La verità era che non c’erano testimoni.
Non per lui.
Restò ad ascoltare i passi di Massimo e della donna, il primo che sembrava scivolare sul parquet, mentre i tacchi dell’altra risuonavano nell’aula.
A Vittorio sembrò di sentire solo quel rumore. Ignorò le voci, il brusio della gente in attesa, ignorò i pensieri negativi sull’esito del processo.
Perché finalmente, dopo anni e anni di attesa, dopo silenzi, dopo la morte del padre, erano di nuovo insieme.
«Ehi, fratellino!»
Solo allora, negli occhi di Massimo, così simili ai suoi, Vittorio riconobbe un puro e cieco terrore.
E capì.
Lei non sapeva. Non sapeva di lui, non sapeva del loro legame di sangue, non sapeva che il suo avvocato era imparentato con un criminale.
Massimo diventò rosso; Vittorio vide in quel colorito tutta la vergogna che provava per lui.
E si pentì a sua volta…
Si pentì di tutto ciò che aveva fatto e che avrebbe ancora voluto fare. Si pentì di averlo lasciato, di essersene andato per sempre dalla sua vita. Si pentì di esistere.
«Fratellino?» ripeté la donna, scuotendo i capelli rossi.
Erano vicini a lui.
Massimo guardò il fratello con occhi di ghiaccio, il viso ancora rosso manifestava la sua vergogna e la sua rabbia, quasi infantile.
Spostò lo sguardo su Rosanna.
L’espressione non era irosa come si aspettava, ma piuttosto ferita. Le aveva mentito, in un modo che forse era imperdonabile.
Vittorio era bloccato davanti a entrambi, un passo a metà che non avrebbe compiuto. Voleva avvicinarsi alla coppia, ma qualcosa nella sua mente gli aveva suggerito quel che era successo. Lo sguardo di Massimo lo aveva raggelato e ora inchiodato lì, finché non aveva capito.
Per lui… per lui anche io sono morto, non è così?”
Puntò le iridi verdi sulla donna, come a chiederle scusa di essere lì, di essere la vergogna del fratello.
Il primo a parlare subito dopo fu proprio l’avvocato, il cui rossore stava pian piano svanendo.
«Rosanna, potremmo parlare un minuto?»
Lei parve acconsentire e i due si allontanarono, lasciando Vittorio da solo.
Non gli interessava, no? Suo fratello non era più un consanguineo da tanto.
Cosa gli importava se a causa sua ora avrebbe avuto problemi con la sua ragazza?
Più si ripeteva queste cose, più internamente si convinceva dell’esatto opposto. Una lacrima solitaria gli rigò la guancia.
Perché se ne era andato così? Era necessario tagliare così i rapporti con lui? Si sedette su una panca, e pensò.
Quante cose non sapeva, sul suo stesso fratello!
La vita che si era scelto… Massimo probabilmente ora lo odiava ancora di più, più di quanto Vittorio potesse immaginare. Se era arrivato perfino a mentire sulla sua esistenza con quella donna... E tutto questo perché lo aveva difeso.
Sospirò, chiedendosi se si potesse rimediare. Era buffo che se lo chiedesse proprio in quel momento, dopo tanti anni. Non lo aveva mai chiamato, non ne aveva sentito il bisogno.
O forse ero più come un bimbo che gioca a fare l’offeso.”
In quel momento Massimo tornò, seguito a pochi passi dalla donna dalla chioma rossa.
«Ci lasceresti da soli, per favore?»
Vittorio alzò lo sguardo, per vedere il fratello che diceva alla fidanzata di andarsene. Lei annuì, prima di fare dietrofront e lasciare la saletta di attesa.
«Avvocato, qual è il verdetto?» tentò di scherzare per alleggerire l’atmosfera troppo pesante.
«Le ho spiegato e lei…» Massimo non sembrava intenzionato a continuare la frase.
Ci vollero diverse sollecitazioni perché Vittorio riuscisse a carpire l’esito di quella che non doveva essere stata una discussione piacevole.
D’un tratto, dopo una profusione di scuse imbarazzate per l’episodio capitato (scuse che Massimo non si sarebbe mai aspettato), cominciarono a parlare, come non facevano da quando erano piccoli.
«Non è il posto più gradevole per una riconciliazione, non trovi?»
«No, non lo è affatto. Eppure sento che è il più adatto.»
Vittorio si stupì di quelle parole, non pensava che Massimo avesse davvero intenzione di fare pace.
«Beh, direi che oggi si sono scambiati i ruoli. Una volta ero io il tuo difensore.»
A entrambi scappò un sorriso melanconico.
«Spero che non s’invertano mai più, le aule di tribunale non sono mai piacevoli. Specie per l’accusato.»
Furono interrotti dall’arrivo di un ragazzo mingherlino, che comunicò loro di rientrare per il verdetto.
Ma comunque fosse andata, Vittorio si disse che non importava. Sentiva che avrebbe riavuto suo fratello anche da carcerato. E, forse, da quel momento in poi sarebbe tornato a essere vivo.

nn

   
 
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