Lo guardava minaccioso, come se lo avesse assalito da un momento
all'altro.
Fermo, immobile sulla scrivania di legno, era pericolosamente vicino
al suo caffè amaro senza zucchero e, pensò, se ci
fosse riuscito,
glielo avrebbe volentieri rovesciato in testa, giusto
per
fargliela pagare.
Si fissarono entrambi: l'uno attraverso i suoi occhi blu mare,
che ora erano in burrasca, e l'altro sempre immobile, fermo al suo
posto, appoggiato sulla scrivania a faccia in giù.
Mai
sottovalutare il nemico,
questo aveva imparato Skipper dopo il servizio nei Marines
nelle missioni in Kosovo e Iraq.
Anche se può sembrare calmo, in realtà, nasconde
le più oscure
trame per sorprenderti.
Ma perché, poi, ce l'aveva con lui e sembrava guardarlo,
scrollando
la testa, come se avesse commesso chissà quale crimine?
Era
stata necessità,
non maleducazione, la sua.
<< Non l'hai ancora chiamata per scusarti?
>>
Lo raggiunse la voce del giovane agente Peter che, entrato in
ufficio, gli aveva posato dei documenti sulla sua scrivania e si era
messa a scrutarlo con i suoi occhioni azzurri limpido.
Skipper sembrò un attimo risvegliarsi dal coma che lo aveva
avvolto
per dei lunghi minuti e si passò la mano sulla faccia per
poi
scompigliarsi la zazzera corta nera. Sospirò.
<< No... >>
Prese
in mano il nemico in questione e controllò il registro delle
chiamate: tre
chiamate rifiutate.
Tutte con lo stesso, dolce,
nome.
<< Ma perché? >>
Sbuffò, all'insistenza a tratti infantile, a tratti
così premurosa,
del giovane soldato e gli rifilò un'occhiataccia.
<< Avresti potuto mandarle almeno un messaggio, sarebbe
stato
cortese da parte tua >>
Lo osservò incrociare le braccia al petto e mettergli il
muso,
gonfiando le guance che, paffute, incorniciavano il suo visetto
così
fresco ma anche delicato, sotto la frangetta bionda.
Piccolo,
giovane, inesperto soldato,
pensò fra sé e sé.
<< Non credo che sarebbe stata una buona idea.
>>
<< Secondo me, invece, hai semplicemente paura, Skipper
>>
Portò lo sguardo, incredulo, sul giovane agente che
ridacchiava modesto, guardandolo con i suoi occhioni color del cielo
primaverile.
<< Cos-cosa? >>
Il piccolo Peter scoppiò, allora, a ridere, non riuscendo
più a
trattenersi e lo lasciò, poco dopo, solo nel suo ufficio,
confondendosi tra il via vai di agenti e militari che gremivano la
centrale.
Il
detective riportò lo sguardo sul suo smartphone
che, fino a quel momento, non aveva abbandonato la sua mano e che,
questa volta, lo guardava, inerte.
Un attacco di nervosismo lo costrinse a lanciare malamente il telefono
sulla scrivania andando, però, a colpire il bicchiere di
caffè che,
indolente, si abbandonò sui fogli e documenti che
affollavano il
tavolo. Tra qualche imprecazione, afferrò, di fretta, dei fazzoletti per pulire il
liquido che, ormai, bagnava anche parte del pavimento.
Lanciando qualche improperio contro i Danesi,
cercò di
asciugare alla bell'e meglio i verbali che avevano fatto il bagno nel
caffè finché, riafferrato il
cellulare, si abbandonò
con un sospiro sulla sedia della scrivania.
Forse
Peter aveva ragione, era un codardo.
Un vile, che non sapeva neanche affrontare una ragazza alla quale
aveva dato buca all'appuntamento la sera prima per “motivi di
lavoro”.
E
il motivo era che non aveva avuto il coraggio
di presentarsi a casa sua, preferendo rifugiarsi in ufficio per lavorare anche
se, ovviamente, non aveva nulla da sbrigare alle otto di sera ed era rimasto tutta la sera a mugugnare sulla sua imbecillità.
Per
quanto il detective McGrafth odiasse sentirsi dare del codardo,
cosa che, lo sapevano tutti i colleghi, non gli si addiceva per niente, in quel
momento avrebbe preferito avere a che fare con una banda di
malviventi in uno dei peggiori vicoli del Bronx, in piena notte,
armati di tutto punto, con in mano solo un cacciavite, piuttosto che
avere a che fare con lei.
Si ritrovò, poi, improvvisamente, il telefono in mano mentre
questo
vibrava, concitato. Sullo schermo l'inconfondibile numero di Marlene.
Intorno colleghi e civili facevano via vai tra uffici e la sua
squadra, nella sala ristoro, parlava attorno a Kowalski e ad alcuni
documenti che teneva in mano.
Il telefono continuò a vibrare e non si accorse di star trattenendo
il fiato, fino a quando, il telefono lo informò che l'utente
aveva
rilasciato un messaggio in segreteria telefonica. Cliccò velocemente
sul tasto
per ascoltare il messaggio.
“Ciao
Skipper, sono io. Mi spiace ancora chiamarti, immagino tu sia
impegnato con il lavoro in ufficio ma, ci tenevo a sentirti.”
Se la immaginò mentre, con il suo taglio sbarazzino, si
sistemava il
ciuffo che le ricadeva ogni volta sulla fronte in una maniera diversa
da quella che voleva lei, cosa che la faceva terribilmente irritare.
“Volevo
dirti che ieri ti sei scordato che dovevamo trovarci. Mi sarebbe
piaciuto vederti ma immagino i tuoi impegni...”
Sbarrò gli occhi, ascoltando il suo tono pacato, quasi
intristito.
Allora non era arrabbiata!
Anzi, probabilmente, ci era rimasta anche male, pensò
sbuffando e
passandosi una mano tra i capelli neri.
“Ti
chiedo solo di informarmi se puoi, la prossima volta, e di
chiamarmi... quando vuoi. A presto.” concluse,
serafica, riattaccando la chiamata e lasciandolo con il telefono
ancora all'orecchio, perso nella sua voce.
Poggiò il telefono sulla scrivania, aggrottando le
sopracciglia, pensieroso. Lo
riafferrò, poi, velocemente e compose il suo numero. Si
alzò dalla
scrivania in tutta fretta e afferrò il cappotto per lasciare l'ufficio.
Aveva fatto i gradini a quattro a quattro per raggiungere il prima possibile la
sua porta, poi, ripreso fiato e sistematosi la cravatta, era rimasto
immobile, davanti all'entrata, incerto se suonare o meno.
La luce che illuminava il giroscale batteva contro i fiori che teneva
in mano.
Sorrise tra sé e sé per la sua incertezza e,
prendendo un sospiro,
suonò.
Dalla cucina la raggiunse il campanello che la costrinse ad andare ad
aprire alla porta, evitando il suo gatto norvegese che, pigro come al
solito, si spaparanzava sul pavimento del salotto, rischiando, non
poche volte, di farla inciampare, soprattutto quando era di fretta.
<< Ciao >>
Si ritrovò ad aprire a due occhi blu che, speranzosi, le
sorridevano
timidamente, mentre dei fiori profumavano l'aria.
<< Skipper... >>
<< Mi dispiace per ieri, non ho avuto il coraggio di
presentarmi. Mi conosci, sono... restio, alle volte. Mi spiace
>>
le sussurrò, mentre le porgeva dei fiori che aveva preso dal
fioraio, chiedendo i più belli che aveva.
Marlene, dapprima interdetta, osservò i fiori per poi
specchiarsi
nei suoi occhi che, le parvero, come tutte le volte che si
specchiava, sinceri e veri.
Con un sorriso lo fece accomodare in casa per, poi, chiudere,
felice, la porta dietro di sé.
|