Troublemaker 2
Troublemaker
*
«Esse, andiamo, me lo
avevi promesso!», esclama la mia amica uscendo con fare concitato
dal camerino, un vestito piegato sul braccio e l’altro messo al
contrario sul suo corpo.
«Val, sei cosciente
di esserti infilata quel pezzo di stoffa alla rovescia? E poi,
perdonami ma cosa dovrei venire a fare a questa festa? Sono o non sono
una completa estranea per Wesley Cooper? Sei tu quella che è
stata invitata!», ribatto serafica spulciando altri capi con aria
distratta. Sinceramente, anche se è venerdì sera, sono
nel pieno della mia adolescenza e tutti i miei amici si vanno a
sbronzare e a godersi la vita, io preferisco rimanere a casa, sotto un
corposo strato di coperte, con una ciotola di pop corn e un film
strappalacrime, possibilmente con Ryan Gosling e più
precisamente “The Notebook”.
Valerie ruota su se stessa
dopo aver dato un’occhiata al disastro combinato e si rintana nel
camerino; ciononostante non perde occasione di rimbeccarmi anche
stavolta e anche a distanza.
«Penso che a Wes
possa fare solo piacere se invito qualcuno... se poi questo qualcuno ha
due gambe mozzafiato, due tette ed una figa credo non possa proprio
disdegnare».
Scuoto la testa divertita perché so che Val non mollerà tanto facilmente.
«Senti, sono i suoi
diciotto anni. Io credo invece abbia invitato una ristretta cerchia di
amici per l’occasione. E la sua fidanzata, naturalmente».
Wesley Cooper e Marissa
Prior sono praticamente la coppia dell’anno, del mondo e
soprattutto di New York. La mia amica, la quale stravede da tempo
immemore per il suo migliore amico, tale Wes, appunto, non perde
occasione di partecipare alle sue feste stratosferiche nella speranza
che lui si accorga finalmente di lei. Quanto a me invece sono solo un
tramite, una spalla – per così dire. So bene che a questo
genere di feste rimarrei da sola, contrariamente a quanto afferma
Valerie per convincermi ad andarvi e voglio proprio evitare spiacevoli
situazioni.
«La sua fidanzata?
Pff, quella Barbie umana non è altro che la sua conquista di
facciata. Io, per esempio, sarei un buon partito. Non credi?», mi
domanda retorica comparendo nella mia visuale provandosi un nuovo
vestito semplicemente appoggiandolo addosso.
«Meglio quello rosso
o quello blu?», mi interroga e so quanto poco importante sia il
mio giudizio per lei. Non è che Valerie sia proprio
l’umiltà fatta persona, tutt’altro... è
infinitamente superficiale, con una lingua biforcuta, ferma alle
apparenze ma con innato senso dell’umorismo. Quantomeno è
simpatica ed una buona confidente e poi sa come farsi volere bene anche
se la maggior parte delle volte andrebbe strangolata.
«Io direi il primo
che hai provato. Più sobrio, molto elegante ma pur sempre
sexy», propongo e la vedo inorridire immediatamente.
«Non cerco qualcosa
di sobrio, Sarah. Cerco qualcosa di provocante, tremendamente scollato,
rosso passione e soprattutto che metta a tappeto il festeggiato.
Capisci che intendo?», replica scoccandomi un bacio volante e
strizzandomi l’occhio ed io non posso fare a meno di sorridere.
«Ricevuto. Dunque... direi che hai scelto, no?».
«Vedi che sei
perspicace quando vuoi?» – emette un gridolino eccitato e
poi ammicca facendo una giravolta su se stessa.
«Mi costerà un
occhio della testa. Adoro prosciugare i migliaia di dollari dal conto
bancario del nuovo marito di mamma», mi confida sorniona.
Mi acciglio. «Val, non mi sembra molto etico da parte tua».
Si stringe nelle spalle con
noncuranza. «E chi ha detto che abbia un’etica? E poi... ha
talmente tanti soldi da non saper dove conservarli, quindi, tanto vale
spenderli in cose utili».
Inarco un cipiglio scettico, indicando l’oggetto della discussione. «Quel vestito sarebbe una cosa utile?»
«Se può aiutarmi a far breccia nel cuore di Wes, sì».
È mortalmente seria.
E chi sono io per contraddire la forza dell’amore? Per
carità, continuo a pensare sia una follia più che forza
d’amore ma... meglio non fare la pignola con lei.
Dopo aver pagato il vestito
e successivamente delle costosissime scarpe Manolo ultimo modello, con
l’aggiunta di un gioiello Tiffany coordinato, decidiamo di
fermarci al bistrot del ristorante per mettere qualcosa sotto ai denti
anche se questa è solo una mia idea. Ci sediamo all’unico
tavolo libero e un ragazzo con un grembiule legato in vita, una penna
in equilibrio dietro l’orecchio ed un blocchetto in mano si
avvicina per consegnarci i menù. Rifiuto con un gesto della mano
ed un sorriso cordiale perché ho già le idee chiare su
ciò che voglio prendere mentre la mia amica si arrotola una
ciocca di capelli al dito palesemente annoiata; gesto accentuato da una
smorfia che le storce le labbra.
Ordino un frappè
cioccolato e menta ed una fetta di torta al cocco e dopo averlo
annotato sposta l’attenzione su Valerie che non sembra per niente
decisa.
«Tutti questi
carboidrati mi faranno ingrassare talmente tanto da non entrare in quel
vestito, Esse. Perché non siamo andate da Vikie’s?
Lì hanno tutti prodotti a basso contenuto di grassi!»
Il suo tono è
prettamente da bambina capricciosa e viziata qual è. Mi sento
quasi in imbarazzo per lei; in fondo il ragazzo ha da fare ben altro
che ascoltare le sue lamentele. Non siamo a Princeton Manor dove tutto
le è dovuto. Questa è la vita reale, fatta di sacrifici
e, in questo caso, anche di carboidrati a colazione.
Mi volto verso il cameriere
e faccio un sorrisino imbarazzato. «Prende solo una bottiglietta
d’acqua, grazie e... scusala, non lo fa di proposito».
Questi dapprima inarca le sopracciglia scettico poi ricambia cordialmente il mio sorriso, quindi se ne va.
«Ma che fai? Ti metti
a flirtare con i camerieri adesso? Ridicolo», osserva Valerie con
occhio critico e se potessi la prenderei a schiaffi in questo momento.
«Val, è
semplicemente il suo lavoro e tu sei stata scortese. Ammettilo senza
tante storie perché non mi scuserò per te un’altra
volta!», la riprendo alzando di poco la voce nel tentativo di
farla ragionare. Non può sempre fare così.
«Scusa? Ma chi te lo ha chiesto...»
Decido di troncare lì la discussione altrimenti dirò cose di cui, con più lucidità, mi pentirei.
«E comunque, tornando
al fattore festa, tu verrai che ti piaccia o no, perché siamo
amiche ed è questo quello che fanno le amiche: si sostengono a
vicenda». Alzo gli occhi al cielo e sbuffo.
«Ed io ti ribadisco
che non verrò a quello stupido party, non vedrò un goccio
di alcol e in più noleggerò un film come la peggiore
delle nerd e tu non potrai fare nulla per farmi cambiare idea.
Sostenere? Amicizia? Ma ti ascolti? So già come finirà
questa storia. Tu che ti strusci su qualche ragazzo a caso ed io che
devo annoiarmi su un divano come una sfigata. No, grazie, stavolta
passo». Il mio tono è perentorio e mi sento piuttosto
agitata tanto che per poco, gesticolando, non faccio rovesciare il
contenuto del vassoio al malcapitato di prima. Lo guardo mortificata ma
lui non se la prende affatto, anzi mi guarda comprensivo... come se
capisse con chi ho a che fare.
«E allora? È
questo che si fa solitamente alle feste: si flirta, si attacca bottone
e ci si bacia. Dovresti provarlo anche tu, Sarah, qualche volta. Non
vorrai farmi credere che sei così frigida come ti dipingono in
giro», mi canzona ma so che vuole farlo per provocarmi e farmi
abboccare alla sua insistente proposta.
«Be’,
sarò anche frigida ma almeno ho un cervello cosa che manca a
loro sicuramente. Andiamo, non esagerare, so divertirmi anche
io», rispondo un po’ punta sul vivo.
«Certo. Guardando film e mangiando pop corn fino ad ingrassare come una chiattona? Immagino che bel divertimento!»
A volte me lo chiedo,
sapete; il perché io sia ancora qui in sua compagnia, nonostante
Valerie sia una persona complicata da capire e soprattutto da
sopportare. Forse perché nonostante il suo brutto carattere le
voglio bene e non vorrei mai perderla perché so che, in fondo,
me ne vuole anche lei sebbene faccia fatica a dimostrarlo. E
inoltre so che da sola non varrebbe niente, cadrebbe nel profondo
baratro da cui è riuscita ad uscire conoscendomi e non voglio
che le capiti nulla di male. Adesso sta decisamente meglio e son
contenta di sapere che è stato anche grazie a me.
Le sorrido bonaria. In questi casi mi sento un po’ la saggia tra le due; lei è la bambina capricciosa.
«Dovresti provare
qualche volta, sai?». È il mio turno di canzonarla usando
la sua stessa moneta e vedo affiorare un sorriso sul suo volto cosa che
mi fa preoccupare alquanto. È come se avesse avuto
un’illuminazione vale a dira nulla di buono, pessima idea.
«Okay, Esse, facciamo
un patto; tu verrai alla festa insieme a me, ti lascerai andare per una
sera e intendo che ballerai, ti ubriacherai se necessario e scoperai
con qualcuno di molto figo ed io, in cambio, ti lascerò
trasformarmi in una nerd, con tanto di film e pop corn. Che ne dici, si
può fare?», conclude speranzosa allungandomi una mano che
presumo dovrei stringere anche se so che questo è solo un
patto con il diavolo. Alla fine decido di prenderla come una sfida e
aggiungo una piccola clausola, dopo aver stretto la presa.
«Ci sto! Solo che non
toccherò un solo drink, non la darò via al primo che
capita e quando mi sarò stancata ti farai trovare e ce ne
andremo. Siamo intesi?»
La vedo sorridere
vittoriosa. «D’accordo. È un piacere fare affari con
te, amica mia», mormora alla fine ed io, per l’ennesima
volta, scuoto la testa affranta rimurginando su cosa ho appena
accettato: la mia condanna a morte.
* * *
Come non detto.
Maledetta me. Maledette le
sue parole persuasive. Maledetta di nuovo me e quando ho acconsentito a
questa follia. Rimpiango la mia perfetta e sobria serata da quando mi
sono infilata in questo vestito che almeno non è scollato come
quello della maggior parte delle ragazze qui dentro e che ho messo solo
dopo aver ricattato Valerie di tirarmi indietro qualora non me lo
avesse lasciato indossare.
Come da programma
quest’ultima mi ha lasciata da sola subito dopo avermi
accompagnata al bancone delle bevande, bevande che nella mia clausola
erano bandite. Così, raggiunta da Emery Jefferson, si son
allontanate e adesso sono da qualche parte di questa immensa casa
probabilmente a sballarsi e tracannare birra a tutta spiano. Quanto a
me sono seduta su questo sgabello in cucina con l’aria
prettamente annoiata appoggiata ad una mano.
Per ora ho contato ben
sedici persone che mi hanno chiesto dove fosse il bagno e che poi si
sono ritrovate a vomitare chi nel lavandino, chi nel secchio della
spazzatura, chi per terra e impregnata l’aria di un odore acre
sono tornati a fare baldoria nel salotto dove dovrei essere al momento
invece di inalare quest’aria putrida e morire di noia. Valerie me
la pagherà, può starne certa.
Decido che è
arrivato il momento di uscire da questa camera a gas e prendere una
boccata d’ossigeno. Anche se non conosco nemmeno un antro di
questa casa prendo le scale sulle quali scorgo diverse coppiette che si
baciano piuttosto appasionatamente. Perché non prendersi una
stanza, poi, se hanno così tanta voglia di procreare?
Chiedo più volte
permesso sebbene non sia mia intenzione interrompere niente di
così personale; tuttavia hanno deciso loro di ostruire il
passaggio.
Appena arrivata in cima
trovo una bottiglia mezza vuota di rum e, senza farmi notare, la
afferro come alibi per andare sul tetto sperando che ci sia facile
accesso.
Passando da queste
innumerevoli stanze noto dal momento che hanno ben pensato di lasciare
la porta spalancata, probabilmente nella fretta di catapultarsi sul
letto, che qualcuno ci sta dando dentro alla grande. Beati loro.
Più avanti, a
ridosso della ringhiera vedo il festeggiato palpare una ragazza che
però non sembra essere Marissa. Sgrano occhi e bocca quando
riconosco i riccioli castani di Valerie e senza volerlo davvero, quasi
per riflesso, impreco più volte. Stupidi, stupidi, stupidissimi!
E se fosse passata Marissa al mio posto? Non oso immaginare
cos’avrebbe fatto passare alla mia amica in quel caso dato che se
la sta facendo con il suo adorato ragazzo storico. Provo un po’
pena per lei. In fondo sembra tenerci visibilmente a lui e non è
colpa sua se si è innamorata proprio di uno stronzo senza cuore
che la tradisce con la prima che capita.
«Valerie, ma che
diavolo?! Razza di incosciente... vi costava tanto chiudervi in bagno?
Se fossi stata Marissa a quest’ora vi avrebbe uccisi entrambi a
mani nude e sappiamo tutti di cosa è capace la Prior». Sto
blaterando senza sosta, ne sono consapevole, ma mi fa incazzare il
fatto che siano stati così imprudenti.
«Oh mio Dio!
Esse!», esclama con l’affanno e sinceramente spaventata,
staccandosi dalla morsa del traditore. Si sistema alla ben e meglio il
vestito senza spalline che, non ci sono dubbi, si è rivelato
davvero utile alla fine.
«Esse? La conosci?
Non farà la spia, vero?», chiede a raffica
quell’idiota perforando con lo sguardo spiritato ora la mia amica
ora me. Valerie sospira stancamente.
«Sì, certo che
la conosco. È la mia migliore amica e ovviamente non farà
la spia, che credi? Di grazia, vorrei sapere perché ci ha
interrotti, piuttosto».
Incrocia le braccia al petto e mi fissa con gli occhi tristi. Le ho rovinato il momento, ne ha tutto il diritto.
«Perché...»
«Wes! Wes, ma dove sei? Ti cercano tutti. È ora della torta!»
Giuro che non sono stata io
a parlare bensì Marissa. Lancio loro un’occhiata eloquente
come a far capire che era proprio quello il motivo della mia
interruzione. Wesley sgrana gli occhi, come colto sul fatto e spinge
Valerie verso di me come se fosse qualcosa che scotta. Ignora la
reazione angosciosa della mia amica e si appresta a raggiungere la
fidanzata.
Dopo di ciò anche
Valerie se ne va senza lasciarmi il tempo di replicare ed io resto da
sola. Di nuovo. Sbuffo per l’ennesima volta nella serata e
raggiungo la mia meta senza ulteriori intoppi.
Appena metto il naso fuori
l’aria gelida invernale mi investe come una pioggia fredda, mi
inebria i polmoni spazzando via tutto il lercio inalato poco prima.
Mi tiro su del tutto
attraverso la scaletta e poi vado a sedermi sulle tegole. La vista
senz’altro è mozzafiato, degna di una villa firmata
Cooper. Suo padre, infatti, è proprietario di numerose industrie
che lo hanno reso noto a livello nazionale e si sa che con la fama ci
si arricchisce parecchio.
Lancio un’occhiata
alla mia unica amica rimasta, ovvero la bottiglia con il beccuccio
scheggiato e sospiro. Non era così che avevo immaginato il mio
weekend.
Tra l’altro mi
prenderò un malanno di sicuro visto che ho le braccia scoperte e
sono vestita di un indumento velato e quindi leggero.
Mentre pondero se
trangugiare il contenuto alcolico o guardare giù e farmi venire
l’adrenalina o peggio le vertigini in un attimo di masochismo e
follia, sento un movimento dietro di me che per poco non mi fa
capitombolare giù per lo spavento.
«Porca puttana, Alice, lasciami! Tra di noi è finita, vuoi mettertelo in testa una buona volta?!»
«Ti prego, lasciami
spiegare. È stato lui a baciarmi, Nate! Non ti avrei mai tradito
e lo sai. Sai quanto io ti ami», risponde quella che presumo
essere Alice con uno pseudo dispiacere nella voce. Sta di fatto che un
tradimento, seppur involontario, non è giustificabile
poiché anche se indirettamente lei sembra esserci stata al bacio
o qualsiasi cosa sia successa.
«Non me ne frega un
cazzo se ti scopi il mio migliore amico! Scopati chi vuoi perché
la nostra storia è giunta al termine. Va’.via!»
Devo ammettere che il tono
adoperato mi spaventa un po’. È deciso, roco, nervoso ma
con una lieve vena... triste. La stessa utilizzata da Valerie, per
intenderci.
Se continuo a cercare di
nascondermi va a finire che cado di qui e parliamo pur sempre di una
bella altezza. Non credo sia stata poi una buona idea farmi venire le
vertigini. Deglutisco a vuoto mentre ancoro saldamente le mani alle
tegole, cercando al contempo di seguire la scena. Certo che sono
proprio invadente, eh...
«Non finisce qui, Nate, sappilo!»
E dopo questa velata
minaccia capisco che se n’è andata dal tonfo della botola
ed io mi sporgo per vedere se lui sia ancora lì; lo scorgo
passarsi le mani sul volto e sospirare stancamente. Ha un’aria
così afflitta. Nel muovermi perdo momentaneamente
l’equilibrio di una mano e cerco di nuovo l’appoggio ma mi
graffio con qualcosa di molto affilato, probabilmente un chiodo
esposto, nell’impresa.
«Ah! Cazzo che
male», impreco ad alta voce. Di norma non sono volgare ma ho il
timore di prendere qualche malattia da tetano per via della ruggine ed
è per questo che inizio ad agitarmi.
«Ehi,
c’è qualcuno lì?», chiede il ragazzo, la voce
spezzata per il freddo e dei piccoli sbuffi di aria che fuoriescono
dalle sue labbra.
«Uhm, no?», balbetto in risposta abbastanza indecisa.
L’attimo seguente mi
accorgo che avrei fatto meglio a tacere perché in questo modo
sarò sembrata sicuramente una perfetta stupida. Sento i suoi
passi avvicinarsi ed è in quel momento che sbianco visibilmente.
E non credo sia colpa del freddo.
Merda. Merdissima. Merda. E ora? Posso dire addio alla conquistata pace.
Per errore, presa dal
panico mi sfugge dalle mani la bottiglia che precipita nel vuoto fino a
schiantarsi al suolo facendomi strizzare gli occhi e urlare di panico.
Che cazzo, avrei potuto uccidere qualcuno. Provo ad accertarmi che non
ci siano vittime e poi sussulto per la sorpresa di ritrovarmi faccia a
faccia con il tipo misterioso che nel frattempo mi ha raggiunta
lì su.
Mi trattengo dall’emettere un altro urlo perché risulterei una pazza psicopatica.
«Stai bene? Ho
sentito un tale frastuono», si accerta prendendomi di scatto la
mano e dal tono sembra sinceramente preoccupato.
Uh. Sì. Bene. Certo.
Come no. Benissimo. Mi volto guardando prima la sua mano che stringe la
mia e poi lui allorché sbianco, riconoscendolo. Non posso
credere di non essere riuscita subito ad assemblare la voce alla sua
faccia di cazzo. Assurdo ritrovarsi proprio di fronte a lui, tra tutti
i ragazzi presenti a questo compleanno. Se avessi saputo che salendo
quassù avrei trovato la compagnia, in questo deprimente
già di suo venerdì sera, di Nathan Price mi sarei buttata
volontariamente da questo cornicione con la mia fidata bottiglia che
ora rade infelice al suolo. Ora come ora ne sento un’innaturale
bisogno; di sbronzarmi fino a perdere la ragione, intendo, tanto da
riuscire a stare con lui senza ricorrere agli istinti omicidi.
Reprimo la mano con studiata velocità e alzo gli occhi al cielo.
«Ma che cazzo di
scherzo del destino è? Con tutti i bellocci di questa scuola,
amici di quell’idiota patentato di Cooper, per altro, io
proprio con il suo braccio fidato dovevo ritrovarmi faccia a faccia?
Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Cosa?!», sbraito
animandomi come una sfilza di lampadine a Natale, quelle del
Rockefeller Center, per rendere meglio l’idea.
«Che cazzo! Non ci
credo... sei tu la donzella in pericolo? Ed io che credevo che fosse
almeno qualcuna meno frigida di te. Stavo già pregustando la
conqu...»
Lo stronco sul nascere perché dirà sicuramente qualcosa di volgare e/o malizioso.
«Prego? Ma ti senti?
Hai appena mollato la tua ragazza e già parti alla carica? Sei
proprio degno di Cooper. Già che ci siete, perché non vi
sposate, mh?»
«Woah, woah,
sta’ calma Miss Mi Rode Sempre il Culo, cos’hai contro Wes
stasera? Se non erro sei alla sua festa», mi fa notare risultando
ovvio. No, pensavo di aver sbagliato casa... ma dai!
«Già, non ricordarmelo, brutto idiota. È colpa di...»
«...fammi indovinare, Valerie?», propone interrompendomi, un dito sulle labbra con aria pensierosa.
Annuisco stremata. Dovevo
anche ritrovarmi con lui per litigare, come se questa serata non
facesse schifo già da sé.
«Perché non ti
sei opposta allora dato che sembri odiare chiunque presente a questa
festa? Tu sei sempre stata una persona schietta e senza peli sulla
lingua, sincera – forse fin troppo – e con una lingua
biforcuta e dalla testardia immane. Dunque, come ha fatto Val a
convincerti? Chiedo solo perché in tal modo userò il suo
metodo la prossima volta che ti vorrò proporre
un’avance», ammica con un tono allusivo e la solita faccia
da schiaffi, con quel solito sorrisetto antipatico.
Mi stringo nelle spalle decidendo di ignorarlo. Forse, così, capirà l’antifona e se ne andrà.
«Oh, andiamo... non
metterai il muso proprio ora. Stavo iniziando a divertirmi,
piccola», mi canzona dandomi un buffetto sulla guancia che io
prontamente allontano da lui. Nego a me stessa che il suo tocco mi
abbia fatto rabbrividire. In fondo fa freddo, è comprensibile.
«Senti, Nathan, io...
sono davvero stanca stasera che non ho voglia neanche di guardarti
quindi ti pregherei di andartene subito. È chiedere troppo un
po’ di privacy, di... solitudine? Tanto lo sono sempre, no? Sarah
è un’asociale, frigida e da sempre e per sempre sfigata.
Lo pensi anche tu, giusto? Be’, sinceramente avrei preferito che
qualcuno di voi fosse venuto a dirmelo in faccia senza doverlo sapere
da lei. Valerie, capisci? Che praticamente è della stessa
stupida opinione quindi... okay, va’ via. Tu hai cacciato la tua
ex ragazza ed io lo sto facendo con te adesso.
Perché diavolo sei
ancora qui?!», sbotto tutto d’un fiato e quando termino ho
il fiatone, la gola infiammata e la voce roca per il freddo. Sto
tremando, non so neanche io il maledetto perché.
Dopo qualche secondo Nathan
scoppia a ridere di cuore. È una risata diversa, oltre che di
gola. Non la solita risata di scherno con cui mi prende sempre per i
fondelli tra i corridoi scolastici, no. È una risata divertita.
Nathan Price sa anche divertirsi in presenza della sottoscritta? Wow, a
saperlo prima, mi sarei data al cabaret.
«Hai finito?»,
borbotto offesa dandogli un pugno sul braccio. Chi si crede di essere,
poi? Nathan ed io non siamo mai – e ripeto, mai – andati
d’accordo, neanche all’asilo o alle elementari, men che
meno alle medie e alle superiori il rapporto si è evoluto in
qualcosa di più che semplice disaccordo. Sembra che tra noi ci
sia il sottile filo di una particolare ttrazione... quella del voler
prendersi ad insulti costantemente. Una cosa reciproca che sembra farci
stare bene dopo un po’. Ci diciamo la verità in questo
modo. Ognuno è sincero con l’altro grazie ai battibecchi
continui che molte volte hanno infastidito Cooper e la mia amica i
quali alla nostra prima frecciatina decidono di cambiare strada. Il
nostro è un rapporto cangiante, non resta mai lo stesso troppo a
lungo; un attimo prima possiamo ammazzarci a parole e l’attimo
dopo ridere del nostro comportamento. Sembra una cosa assurda - e in
effetti lo è - ma è l’unico modo che abbiamo e che
conosciamo per interagire senza ucciderci sul serio.
C’è solo una
piccola cosa che stona in questa faccenda: Nathan crede da sempre che
io lo odi semplicemente perché ho voluto lasciarglielo credere.
Mi son detta che così sarebbe stato più facile non far
riaffiorare i sintomi di una cotta scoppiata al secondo anno delle
medie e soffocata nuovamente l’anno successivo.
«Sc-scusa»,
dice ancora tra le risate, alzando le braccia in segno di resa. Sembra
proprio che non abbia intenzione di smettere o andarsene come io gli ho
chiesto e questo mi fa innervosire perché pare che io parli
sempre a vuoto con lui.
«Basta, Price. Uff,
va’ via!», esclamo arrivata ormai all’esasperazione
spingendolo all’indietro ma come da copione non si muove di un
millimetro, causa la sua stazza lungi parecchio dalla mia.
«Nah, non mi sembri
nelle condizioni di restare da sola. Sei esausta, mi dicono quelle
borse sotto gli occhi - terribili, piccola mia, terribili - anche un
po’ insicura di te stessa stasera - ehi, ma che ti è
successo, a proposito? - e molto, molto violenta - mi sta confermando
il tuo carattere più ritroso e scontroso del solito»,
asserisce incrociando le braccia al petto e sorridendo di gusto alla
vista del mio broncio; il suo sorriso ha provocato la nascita di
un’adorabile fossetta. No, né adorabile, né
fossetta, Sarah. Riprenditi, per piacere!
«E sentiamo, hai
preso una laurea in psicanalisi ed io non ne sapevo nulla? Caspita,
devo aver anche rimosso quando mai ti ho chiesto un consulto»,
replico platealmente spalancando gli occhi. È veramente
insopportabile quando si mette. Tremendamente insopportabile. Come un
bambino, ecco. Nathan Price è un bambino piccolo e viziato. Che
andrebbe preso a schiaffi continuamente.
«Oh, non ti è
arrivata la notizia della mia nuova ambizione? Che peccato scoprirlo
così, eh... e comunque, è stato quel faccino triste a
richiedere un piccolo parere», continua con un’espressione
eloquente, toccandomi la guancia con un dito. Non ce la fa proprio a
non toccarmi, eh? Comincio a pensare che sia un vizio questa cosa del
contatto fisico.
Sapete cosa non sopporto,
tra le altre cose, di lui? Il suo sapermi sempre tenere testa. Lo odio.
Odio il fatto che abbia una risposta per tutto e per tutti, che non ci
sia niente - ma proprio niente - che lo scalfisca e che abbia una
faccia di bronzo ed un’innaturale bellezza da dio greco. Poteva
nascere brutto, almeno.
Prendo un respiro profondo
e decido, contrariamente a quanto dice la mia coscienza, la mia testa e
tutto l’apparato ancora pregno di un barlume di ragione, di
aprirmi con lui, di mostrargli un po’ della mia
vulnerabilità.
«Price, mi
chiedevo...- prendo a giocare con il mio braccialetto senza riuscire a
guardarlo negli occhi - secondo te sono una persona troppo buona?
Intendo... faccio bene a stare dietro a Valerie nonostante sia una
completa stronza? Dovrei abbandonarla una volta per tutte anche se
questo significherebbe perderla per sempre?»
Aspetto una sua risposta.
Lui tace. Ed è la prima volta che lo trovo in difficoltà.
Prima mi guarda con una faccia buffa che in altre circostanze mi
avrebbe fatto ridere ma stavolta resto seria. Non so come comportarmi,
come agire, come andare avanti con il discorso senza morire
dell’imbarazzo che si è venuto a creare. Nathan si tortura
le mani nervosamente. Se bastava solo porgli una domanda seria per
farlo rimanere senza parole ci avrei pensato prima. Un giorno
scriverò un manuale solo per far comprendere ai posteri i
comportamenti bizzarri di Nathan Price.
«Uhm, lascia perdere, dai... non ha importanza», dico scacciando la questione con una mano.
«No, invece ne ha.
Scusami, è che... è strano che tu chieda... che tu mi
stia facendo questa domanda, cioè... siete sempre state
inseparabili voi due ed ora... be’, è strano, tutto
qui», farfuglia parole sconnesse ed io sorrido automaticamente.
«Lo so, lo so. Voglio
bene a Val, le vorrò sempre bene, solo che... talvolta sembra
così diversa da me, così... complicata che... mi chiedo
solo se sia giusto starle accanto senza avere la certezza assoluta che
lei ricambi il mio affetto. Ecco, lei è l’unica mia vera
amica per ora ed io ho così paura di restare da sola un domani
che... penso che io sia facilmente sostituibile. Ecco».
La me insicura e dubbiosa
è qualcosa di talmente personale che faccio fatica ad esternare
il più delle volte. Pensare di esserci riuscita con Price
è quanto di più inspiegabile persino a me stessa. Mi
sento così nuda di fronte a lui in questo momento, ho
così paura che possa usare le mie debolezze per conto proprio,
per un suo scopo bastardo perché lui è fatto in questo
modo, tende a rovinare ogni cosa bella, lo ha sempre fatto. Un
po’ come me, del resto.
«Stai scherzando,
vero? Dimmi che fine ha fatto la Sarah indistruttibile e sicura di
sé che dispensa consigli per gli altri in ogni situazione,
nonostante tutto e tutti. Valerie è fortunata ad averti e lo sa
bene. Sa che sei indispensabile per lei, la prova che ha con sé
un tesoro di amica e anche se a volte vorrebbe assomigliare alla
cerchia di cui facciamo parte io, Prior e Coop, solo per stare un
po’ più vicina a colui che ama, è una brava persona
con delle idee brillanti, proprio come te».
Mi sfugge una lacrima e,
giuro, contro la mia volontà anche un sorriso sincero. È
la cosa più carina che Nathan mi abbia mai detto in questi
diciassette anni di vita e anche se ha fatto difficoltà ad
esprimerla gli sono grata. Mi afferra la mano e la stringe forte e mi
sorride e stavolta decido di lasciarglielo fare perché è
uno di quei momenti che, sono sicura, non tornerà più.
«Price... uhm...
ecco, vedi... ci sarebbe un’altra cosa... una cosa da niente
che... ehm, potresti... sì, insomma... la giacca, potresti
prestarmi la giacca?», farfuglio impacciata indicando
l’oggetto con la mano libera e battendo i denti per il freddo.
«E cosa ottengo in
cambio?», chiede retorico e malizioso recuperando un po’
della sua solita strafottenza che sembra tirarci, almeno per il
momento, fuori dall’imbarazzo.
«Uhm...un calcio nelle palle?», propongo divertita.
«Ehi, sei scorretta, sai? Ti ho consolata. A questo punto un bacio è il minimo!»
Di nuovo la fossetta fa capolino sulla guancia e trattengo l’infantile impulso di affondarci il dito.
«Nel frattempo sono
morta assiderata, grazie tante», ribatto scortese e leggermente
scocciata. Dopo un po’ decide di togliersela e me la posa sulle
spalle. Io mi porto una mano al petto e teatralmente lo ringrazio.
«Che gesto nobile,
signor Price. Mi meraviglio di tale benevolenza». Piego una mano
nella sua direzione che lui afferra reggendomi il gioco.
«Ma milady mi sembra
il minimo. Sono un galantuomo, io», e si sofferma a posare un
casto bacio sul dorso della mia mano, pausando un po’ più
del previsto e incatenando i suoi scuri occhi nei miei come se stesse
indagando alla ricerca di qualche segreto. Quel gesto così
intimo e fuori dal normale mi fa rabbrividire e arrossire in sincro ed
io odio entrambe queste reazioni dettate da un qualcosa di a me
sconosciuto.
«Un galantuomo?
Certo, come no... l’unica cosa che hai fatto di galante stasera
è stata impedirmi un’ubriacatura, per il resto rischio
un’infezione da tetano, un assideramento precoce ed un
esaurimento nervoso».
«Ti ho anche detto che sei una brava persona. Un complimento, ti ho fatto un complimento!»
I suoi occhi si illuminano
di una strana luce che gli dona quasi un aspetto più... bonario,
più gentile e non sembra neanche star facendo un grande sforzo,
al che viene da domandarmi come mai sia così meschino nella vita
di tutti i giorni, come mai indossi ogni giorno una maschera nuova,
sempre più impenetrabile.
«Ti sei sprecato, mio galantuomo».
«Di Alice, non tuo.
Di Alice», precisa serafico e sospetto che lo abbia fatto solo
per scatenare una qualche reazione. Magari di gelosia. Tuttavia non
avrà un bel niente perché questa uscita insolente non mi
tocca minimamente, non in quel senso almeno.
«Ah, come sei
spocchioso e...presuntuoso, Price. E poi mi è parso di capire
– tra una sfuriata e l’altra – che tra te e Alice sia
finita», commento storcendo il naso in una smorfia e arcuando di
scatto un sopracciglio. Stranamente non ribatte nulla e questa cosa mi
fa comprendere che mi sta dando implicitamente ragione e che si
è reso conto di essere stato fregato.
Restiamo in silenzio per il restante tempo, finché non decide di farsi di colpo serio e aprire la bocca.
«Posso chiederti una cosa, Sarah?»
«L’hai
già fatto e comunque... non mi sembri il tipo che chiede il
permesso per fare qualcosa. Tu sei Nathan Price, prendi tutto senza
chiedere. Comunque, spara, dai», lo incito curiosa strofinando le
mani una con l’altra per guadagnare un po’ di calore,
soffiandoci dentro all’ultimo.
Inizia nuovamente a
torturarsi le dita e non mi guarda ed io comprendo che è di
nuovo in imbarazzo. A Nathan Price assocerei la parola “dedalo di
misteri” perché è proprio quello che si percepisce
stando in sua compagnia. È imprevedibile il più delle
volte ma sa sempre, non si sa come, trova sempre il modo di stupirti.
Forse è addirittura
arrossito, difficile dirlo dato che siamo a qualche grado sotto zero ed
il vento ci investe in faccia imperturbabile. È esilarante
questa visione.
«Perché mi odi?», chiede, serrando la mascella e fissandomi intensamente. Merda.
È solo una domanda.
Cazzo. Sono tre parole. Quelle tre parole e quella fottuta domanda a
cui non posso e non devo rispondere. È arrivato il momento, come
per Cenerentola a mezzanotte, di darsi alla fuga sperando di non
perdere niente nell’impresa.
«Uhm,
perché... perché sì». Ottima risposta, non
c’è che dire. Avrai sicuramente soddisfatto ogni suo
dubbio adesso.
Mi mordo il labbro
inferiore. «Senti, è tardi, dovrei andare adesso, Valerie
mi starà cercando... eh sì, infatti. Ora metto un piede
qui, un altro qui», e così dicendo mi alzo per tornare sul
terrazzo, stringendo le palpebre una volta uscita dalla sua visuale. Ed
è lì che succede l’inaspettato: non calcolando una
tegola rotta nella mia impresa - e neanche i suoi continui richiami, a
dire il vero - ci poggio tutto il peso; questa, come di conseguenza si
spacca facendomi sbilanciare e scivolare di due embrici più
giù finché non mi ritrovo a toccare il cornicione con il
sedere e le gambe penzoloni. A quel punto urlo con quanto fiato ho nel
corpo.
«Sarah!», grida di rimando Nathan, il terrore nella voce.
Se guardo giù adesso morirò di vertigini perché sono ad un passo dal fare la fine della bottiglia.
Nathan si volta ed è
un attimo prima di leggergli il panico anche negli occhi; svelto si
pianta per bene in modo da risultare stabile e mi tende una mano per
aiutarmi a tirarmi su. C’è solo un problema: sono
bloccata, terrorizzata, scioccata e... immobilitata. Sento le sue
imprecazioni di sottofondo nel frattempo.
«Sarah, porca
puttana. Afferra la mia mano», ringhia alla fine per richiamarmi.
Non riesco a muovermi. Che cazzo faccio? Cerco di regolare il respiro
ma il cuore sembra che voglia esplodermi nel petto tanto galoppa veloce.
Morirò. Me lo sento.
Morirò. E non ho neanche salutato i miei genitori, non ho
chiarito con Valerie che al momento presubilmente mi odia, non ho
neanche detto a Nathan che io non l’ho mai odiato sul serio e che
era tutta una farsa per proteggermi.
«N-Nat-han», mormoro, le lacrime appena sgorgate agli occhi, la panico nella voce e i muscoli ancora bloccati.
«Sarah, cazzo, stai
ferma. Non muoverti, per favore. Per favore, dammi la mano»,
ripete e sento, percepisco che è più impaurito di me.
È quasi disperato. E mi chiedo se in fondo lui mi abbia davvero
odiata in questi anni o era solo, anche per lui, una messa in scena o
se si tratta solo di un’eccessiva reazione dettata dalla paura. E
poi mi rendo conto che non dovrei fare supposizioni in un momento
simile ma pensare a salvarmi la pelle.
«Sarah, se non mi dai
quella cazzo di mano ti giuro che ti ammazzo con le mie mani. Se ti
permetti a scivolare giù, ti giuro su chi vuoi che ti
seguirò e non sto scherzando. Mi hai capito?!».
Le stille ormai scendono
copiose sulle mie guancie e non riesco a impedire loro la discesa.
Cerco di voltarmi e fare come mi dice e appena incrocio il suo sguardo
riacquisto un po’ di coraggio e ricorsa a tutte le mie ultime
forze allungo più che posso la mia mano per raggiungere la sua.
«Brava,
così... ci sei quasi», mi incita allungandosi di
conseguenza, tutto pur di facilitarmi la presa. Appena riesce a
stringermi nella sua stretta decisa e allo stesso tempo sicura inizio a
sentirmi meglio. In quest’istante voglio solo che mi tiri via da
qui.
«Na-Nathan,
asc-ascoltami, non mi lasciare, okay? Ti spiegherò tutto ma
non... non lasciarmi, ti prego», singhiozzo con la voce spezzata
ed il fiato corto.
«Sei matta?! Ora ti
tiro su ma devi collaborare», mi istruisce tirandomi leggermente
ed io ricorro a tutta la buona volontà per facilitargli il
lavoro finché non siamo entrambi al sicuro, sebbene gli sforzi
eccessivi esercitati, sulla terrazza. Gli piombo addosso
inevitabilmente e lui non mi sposta, anzi, fa qualcosa di inaspettato.
Mi abbraccia. Mi tiene stretta forte, mi accarezza i capelli e mi bacia
la fronte. Sta tremando. E anche io. Lo stringo di conseguenza e piango
tutte le lacrime rimaste mentre lo ringrazio sommessamente.
«Ti odio, Davies, ti
odio per avermi fatto morire di paura così. Cosa ti dice il
cervello, eh? E se fossi caduta? Io... come avrei fatto? Valerie come
avrebbe fatto! Ci hai pensato a questo quando hai deciso di romperti
l’osso del collo?»
È stremato, ansante,
gli occhi fuori dalle orbite e la stretta sempre più forte sui
miei fianchi. Non sembra voler lasciarmi ed io inizio a sentirmi a
disagio qui sopra.
«Sei proprio un
idiota, Price! Ma ti pare che fosse mia intenzione ammazzarmi? Sono
scivolata, può capitare...», mi giustifico immediatamente,
la sua stessa espressione.
«Oh, certo, qualcosa
che può capitare solo a te. Sei una... combina guai, ecco cosa
sei!», esclama gesticolando ed io faccio per tirarmi su e
togliere entrambi da questa posizione scomoda e equivoca.
«Ma sentitelo... eri
spaventato a morte. Credi che non l’abbia notato? Ammetti solo
che ti sarei mancata troppo», scherzo cercando di smorzare la
tensione venutasi a creare e al contempo lo punzecchio su un fianco.
«Certo che ero
spaventato! Cosa avrei detto alla polizia, ai tuoi genitori! Avrebbero
pensato che ti avessi spinta io e...»
Nathan lascia la frase in sospeso ed io riduco gli occhi a due fessure tentando di estorcergli le dovute informazioni ma invano.
«E...?»
«E... nulla. Nulla.
L’importante è che non è successo niente, giusto?
Voglio dire... sei scossa ma sembri stare bene, tutto sommato».
Annuisco più volte
anche se non me la racconta giusta; ancora misteri su misteri. È
un circolo vizioso per lui. Mi alzo in piedi e pongo le giuste distanze
tra noi due sperando che non noti il mio palese rossore diffuso sulle
gote o che comunque lo attribuisca al freddo. Credo sia arrivato il
momento di scendere da lì, cercare Valerie e darsela a gambe,
infilarsi il pigiama e mettersi a dormire provando a smaltire quanto
successo con la speranza di non subire un qualche stress post
traumatico. Per il resto so bene che da domani tornerà tutto
alla normalità tra di noi.
«Be’ credo sia
arrivato il momento di andare – stavolta davvero –
sì insomma, salutarsi», mormoro impacciata. Nathan
è irrequieto, si tortura il labbro inferiore e a distanza mi
lancia un’ultima, eloquente, occhiata. Nessuno dei due dice
più niente quindi alzo una mano per salutarlo mentre apro la
botola per scendere al piano inferiore. Con la coda dell’occhio
noto che schiude le labbra pronto a dire qualcosa ma poi ci ripensa
perché stringe gli occhi scrollando il capo chino a terra. E la
serata ha ufficialmente termine, con tutte le sue dolci e a volte aspre
sfumature, una serata carica di parole non dette e sentimenti
malcelati, un mix di momenti limitati solo ad unica e irrepetibile
notte, che sarebbe stata, da quel momento in poi solo un lontano
ricordo.
* * *
Una settimana dopo la
situazione è più o meno questa: io e Valerie non ci
parliamo poi molto, il nostro rapporto dopo quella sera si è
sfasciato irrimediabilmente. Lei non vuole capire che avessi interrotto
il loro appassionato bacio shakespeariano in virtù del suo bene
e neppure mi avrebbe mai perdonato per aver perso l’unica
occasione della sua vita di vivere felice insieme al suo amato Wes. Io
ero e sono del parere che la loro è stata semplicemente una
fantasia; non possono sfuggire ai problemi, sorvolarli e passare
direttamente alla fase in cui sono felici e contenti. Il loro ostacolo
principale è, ora come ora, Marissa Prior che a loro piaccia
oppure no la quale ha tutte le intenzioni di tenersi stretta il suo
fidanzato sebbene abbianp avuto qualche discussione, talvolta accesa,
durante le pause pranzo in questi giorni.
Valerie ha evitato
tatticamente tutti i posti nei quali avremmo potuto incontrarci anche
per caso e a mensa si siede sempre insieme al gruppo di Cooper e Price
senza degnarmi di uno sguardo. Continua ad atteggiarsi a Miss Mondo,
titolo al quale ha sempre aspirato anche quando era una semplice e
anonima ragazza evitata da tutti. Ora pare che i ruoli si siano
invertiti: io sono quella ragazza che non ha amici, siede da sola a
pranzo e viene ignorata persino dalla sua storica migliore amica per un
qualcosa da niente, facilmente risolvibile nel giro di qualche giorno.
Mi è capitato, in questi giorni tristi, di incrociare per caso
gli occhi scuri di Price il quale, con mia grande sorpresa, ha smesso
di recarmi fastidio, di punzecchiarmi o rivolgermi la parola. Ogni
volta che è con Coop, poi, sembra che insieme riescano a
lanciarmi un concentrato di occhiate infuocate. Presumo che il primo
sia ancora arrabbiato per lo stesso motivo della mia amica ma non posso
farci niente se quei due continuano a ignorarmi e a snobbarmi come se
fossi la feccia peggiore dell’umanità. Come volevasi
dimostrare quella notte è stata l’eccezione alla regola ed
è stata accuratamente chiusa in un cassetto senza
possibilità di revoca. L’unica persona che sembra non
avercela con me è Marissa con la quale ho sempre avuto un buon
rapporto e che, ignara di tutto, continua ad essere cordiale con me.
Spesso, vedendomi sola, si è offerta di farmi compagnia al
tavolo anche se io ho sempre rifiutato. Ci sono volte in cui sento il
bisogno di tradire Valerie e spifferare la verità alla sua
rivale in amore ma so che mi abbasserei al suo livello perciò
faccio finta di niente lasciando al tempo ogni decisione.
Questa mattina la scuola
è semideserta, le lezioni come al solito noiose e lente e la mia
vita è una tabula rasa. Mi è capitato già tre
volte di bloccarmi in mezzo al corridoio presa d’assalto da uno
di quei ricordi legati al tempo passato con Valerie e mi rendo
amaramente conto che con lei la mia vita era molto più allegra e
che, nonostante lo neghi a me stessa, mi manca.
Ciononostante complice
l’orgoglio io non mi scuserò affatto per prima. La
campanella della secondo ora trilla entusiasta mentre io mi affretto a
infilare i libri nella borsa con più violenza del previsto.
Emery Jefferson mi fissa accigliata ed io mi trattengo dal mandarla a
quel paese. Oggi che sono più intrattabile del solito sembra che
il mondo si sia ricordato della mia esistenza.
«Sarah, che piacere
vederti. Pensavo avessi bigiato anche tu la scuola insieme a quel
gruppo di presuntuosi arroganti e invece... be’, tra te e Valerie
suppongo che...», lascia la frase in sospeso arricciando le
labbra ma so dove vuole andare a parare.
«...sistemeremo
tutto, come al solito», completo serafica senza scompormi,
raggiungendo l’uscio con Emery ancora alle calcagna.
«Ti va di andare a
pranzo insieme oggi?», mi chiede d’un colpo, con troppa
enfasi che mi fa sussultare sul posto.
Aggrotto la fronte. «Perché?»
Si stringe nelle spalle.
«Non c’è un motivo in particolare. Mi va e poi, uhm,
siamo entrambe da sole e...», si tortura le mani nervosamente.
Dunque dico cordialmente che va bene e lei mi sorride, esclamando un
semplice ed enfatico “Fantastico!” per poi sgattaiolare via
lasciandomi basita. Alla fine decido di non dare molto peso alla sua
stranezza e con un sospiro mi avvio alle macchinette.
Non mi stupisco affatto
quando scorgo Price appoggiato su un fianco ad una di queste che ci
prova spudoratamente con una matricola. Sembra quasi essere tornati
alla normalità; lui che fa il piacione con tutte, per lo meno da
quando non è più vincolato ad Alice. Alzo gli occhi al
cielo e scuoto la testa. Com’è che si dice? Il lupo perde
il pelo ma non il vizio. Mi schiarisco la gola per farmi notare e
chiedergli di spostarsi e di andare a conquistare altrove. Sarei stata
meglio se non lo avessi incontrato ma, si sa, il destino è
bastardo quando ci mette lo zampino. Price si accorge di me e alza le
sopracciglia sorpreso, poi esclama: «Davies, qual buon
vento!», il tutto seguito dal solito ghigno. In tutto ciò
la matricola, irretita dal fascino di Price, probabilmente, mi sta
lanciando maledizioni in tutte le lingue del mondo.
«Già»,
fingo un sorriso, «sai, ti sarei immensamente grata se spostassi
il tuo fondoschiena da qui dal momento che, non so se l’hai
notato, ho bisogno di usufruire della macchinetta e ti pregherei di
andare a fare il cascamorto in cortile o anche in bagno se
preferisci».
«Dammi una buona
ragione per cui io non dovrei stare qui, luogo pubblico», ammicca
con aria strafottente ed io, contrariamente alla mia etica pacifista,
sono tentata di tirargli uno schiaffo, complice il nervoso accumulato
in questi giorni. Tuttavia non sono dell’umore di risse –
che siano verbali o meno – e quindi alzo le mani in segno di resa
e faccio una smorfia.
«Sai che
c’è? Non ho voglia di discutere con te perciò me ne
vado io e spero che ti ci affoghi con la sua lingua».
Price sorride vittorioso. «Gelosa, Davies?»
Mi allontano camminando
all’indietro e mi acciglio. «Di te? Nah, provo pena per lei
quando arriverà il momento in cui la scaricherai. E comunque,
riguardo un certo discorso, volevo dirti che avevi torto: su tutti i
fronti; e che forse avresti dovuto lasciarmi cadere da quel tetto. A
quest’ora non mi toccherebbe vedere la tua faccia di culo»,
affermo sprezzante e nel momento in cui termino il discorso mi mordo
automaticamente la lingua perché forse non avrei dovuto portare
alla memoria proprio quel ricordo. E tanti saluti al cassetto e ai
segreti lasciati alle spalle. Il suo sorrisetto ora è sparito
lasciando spazio a qualcos’altro, non riesco a capire se sia
ferimento o rabbia repressa. Lo sapevo, dovevo starmi zitta! Sta
stringendo i pugni lungo i fianchi e la mascella tanto che temo gli si
possa rompere, segni che ho toccato un nervo scoperto. A volte lo
è anche per me. Intendo che rivivo quella stessa scena ogni
notte da sette giorni e non credo sia una reazione normale
perché al posto di essere “salvata” perdo la presa e
scivolo completamente fino a spaccarmi la testa contro il cemento. E
l’ultima cosa che vedo sono i suoi occhi così vuoti e
inespressivi seguiti da un ghigno perfido come se avesse voluto
spingermi di proposito per togliermi, una volta per tutte, di mezzo.
Ecco perché ho queste terribili occhiaie da così tanti
giorni, non c’entra nulla Valerie anche se ho lasciato credere
fosse per quello che passassi le notti insonni.
Inclina la testa da un lato ed inizia ad agitarsi facendo qualche passo fino a fronteggiarmi, seppur ad una debita distanza.
«Non...lo sai che non
te lo avrei permesso, Sarah. Sei una stupida se pensi questo»,
asserisce glaciale ed io mi trattengo dal piangere. Non devo farlo. Non
devo farlo. Non devo farlo.
Scrollo le spalle e mi
volto senza guardarlo ulteriormente in faccia mettendo altro divario
tra i nostri corpi. Quando mi trovo abbastanza lontana sento chiamarmi
a gran voce.
«Sarah!»
Non mi volto ma la sua voce, il suo tono velato di una profonda decisione mi fa arrestare sul posto.
«Non prenderti colpe che non hai. Lei ha fatto le sue scelte, tu non c’entri e lo sai».
E una parte di me vorrebbe credergli. Sul serio.
Avete presente i bagni
scolastici? Ecco sono di quanto più schifoso possibile sulla
faccia della terra; quasi quasi preferisco l’odore di vomito di
venerdì scorso. È incredibile come, nonostante i mie vani
sforzi, tutto riesca a ricondurmi a quella serata. Ho cercato in tutti
i modi di togliermela dalla testa ma è sempre presente, quasi
una costante nella mia vita. Forse dovrei trovare delle distrazioni,
flirtare di più – come suggerisce Valerie; sì,
probabilmente un ragazzo è la soluzione a tutti i miei drammi
che sto vivendo in quest’ultimo periodo. Tornando ai bagni...
credo che rispecchino la mia situazione attuale: oltre alle occhiaie
evidenti, ho anche dei residui di mascara causa lo strofinio improvviso
degli occhi che ad un certo punto hanno iniziato a pizzicare senza aver
ricevuto comandi dal mio cervello. Ed ho scelto i bagni perché
qui non ci viene mai nessuno e avrei potuto sfogarmi in assoluta
libertà senza preoccuparmi delle domande o degli sguardi curiosi
della gente. In effetti dopo il pugno dato alla porta dell’aula
– che a proposito, oltre ad avermi recato un livido violaceo sul
dorso della mano, ho anche una freschissima punizione da scontare dopo
le lezioni le quali sono finite da circa mezz’ora. Ho anche dato
buca a Emery in tutto ciò. Devo ammettere che un po’ mi
dispiace essere stata così scorretta nei suoi confronti, avrei
potuto inviarle un messaggio ma dopo l’incontro-scontro con
Nathan Price non volevo vedere nessuno se non il mio volto disastrato
riflesso allo specchio.
Dopo averlo contemplato a
lungo ed aver decretato che sì, sto diventando un vegetale a
furia di commiserarmi, decido di sciacquarmi lo squallore tetro che mi
ricopre le guancie e di presentarmi in detenzione.
Non ho ancora avvisato i
miei poiché prevedo già la loro reazione: “Sarah,
sei una tale delusione nella vita di tutti i giorni. Ora anche una
punizione che sicuramente ti rovinerà la media?!” e
considerato il mio morale devastato vorrei proprio evitare.
Ho posato i miei libri
insieme alla borsa nell’armadietto così da restare
più leggera quindi getto l’ultima salvietta nel cestino e
mi immetto nel corridoio principale per raggiungere l’aula.
Busso due, tre volte
aspettando la relativa risposta che non tarda ad arrivare. Sono
sorpresa di trovare davanti a me la professoressa Mallory. Questo
significa che la docente di sostegno è in congedo e di
conseguenza mi costa una bella umiliazione di fronte a colei che sembra
avere una grande stima di me. Difatti questa sgrana gli occhi alla mia
vista e inclina il capo, curiosa.
«Sarah, è...
strano averti qui. Che hai combinato per farti sbattere dentro?».
Detta così sembra che mi abbiano messa dietro le sbarre e in
tutta sincerità potrebbe anche essere dato che non ho la minima
idea di cosa si faccia qui dentro. Scorgo con gli occhi qualche altro
studente – almeno non morirò di solitudine – anche
se non avendo le lentine vedo poco e niente.
«Oh, ehm... niente di
grave o almeno credo», mormoro a voce bassa per non rovinare
l’alone di silenzio che occupa la stanza. Di istinto chiudo la
mano inferma e la nascondo nella giacca. Non vorrei passare per una
teppista.
La Mallory annuisce come se
avesse capito l’antifona anche se non è molto convinta e
facendomi un cenno con la mano mi indica di sedermi in uno dei posti
liberi. Afferro il labbro tra i denti e chinato il capo in evidente
imbarazzo prendo posto nell’ultima fila nascondendomi sotto la
massa di capelli biondi. Mi pento di non aver portato dietro
l’album da disegno almeno avrei potuto occupare il mio tempo in
qualcosa di utile. Invece mi accascio sul banco percependo le palpebre
pesanti e prima che possa rendermene conto chiudo gli occhi recuperando
qualcosa delle precedenti notti.
Quindici minuti dopo,
sebbene siano stati pochi per una che non dorme da giorni, mi alzo di
scatto sentendo non solo dei rumori insoliti ma anche qualcosa che mi
sfiora la guancia. Non riesco ad attribuire la natura di quel gesto e
mi convinco di essermelo semplicemente immaginato.
Mi accorgo che qualcosa
è cambiato, l’aula sembra più gremita e rumorosa
finché non noto i riccioli inconfondibili di Valerie che
ridacchia probabilmente per qualche battuta di Cooper, seduto al suo
fianco. Sicuramente sono qui per aver bigiato la scuola stamattina;
be’, ben gli sta. La mia amica – o forse dovrei dire ex
– si blocca a mezzo busto dopo aver incrociato i miei occhi ed il
suo sorriso scompare lasciando spazio ad un’espressione confusa
ma anche curiosa. Mi stringo nelle spalle e mi lascio andare contro lo
schienale scomodo della sedia, senza degnarla di attenzione.
Subito dopo anche Coop si
accorge della mia presenza e mette un braccio sulla spalla di Valerie
come ad infonderle coraggio. A me riserva solo un cenno svogliato del
mento.
«Davies»,
bisbiglia qualcuno al mio orecchio facendomi sobbalzare per lo spavento
e portami di scatto una mano sul cuore. Il mio attentatore sorride ed
io sbuffo irritata dopo averlo messo a fuoco.
«Sembri una gattina
quando sbuffi così. Te lo hanno mai detto?», mi canzona
beffardo impossessandosi di una ciocca dei miei capelli e arrotolandola
al dito. Non capisco se sia colpa del destino avverso, della mia solita
e consueta sfortuna o sia semplicemente una sfortunata coincidenza ma
Nathan Price ed il suo sorrisetto derisorio stanno diventando una
costante nella mia monotona vita.
Prendo un respiro profondo riprendendomi i miei capelli e spostando il banco dal suo.
«E dai! Mi annoio.
Perché non parliamo un po’?», chiede passandosi una
mano tra i suoi capelli chiari spettinandoli. Da come parla sembra
tranquillo, senza nessuno losco scopo celato dietro quelle semplici
parole. Sembra quasi un ragazzo normale che ha voglia di conversare con
la sottoscritta, sinceramente annoiato. E non so perché ci sto
pensando, a dirla tutta. Dovrei ignorarlo e basta.
«Ti annoi? Be’, trovati un passatempo che non implichi me e vedrai come staremo tutti bene».
«Come siamo
scontrose... dovresti rilassarti, Davies, sul serio. Lo dico per il tuo
bene», incalza senza togliersi quello stupido sorriso e unendo le
mani, con i palmi aperti, le porta dietro la testa e allunga le gambe
in una posa scombinata. Mi domando se crede di essere a scuola o a casa
propria.
Sospiro ed incrocio le dita sul banco. «Perché sei qui, Price?»
«Mi mancavi», risponde ironico ed io roteo gli occhi e lo guardo male.
«Non sei credibile».
Ridacchia e devo ammettere che non credo alle mie orecchie. Sta ridacchiando?!
«Ci ho provato, okay. La verità? È per lo stesso tuo motivo. Semplice».
Aggrotto le sopracciglia confusa. «Hai... rotto anche tu una porta?»
Storce naso e bocca in una smorfia. «Mh, una cosa del genere. Ma ehi, andava cambiata. Ho fatto solo un favore»
«Price, lei ha
lasciato l’impronta di un gancio destro sul muro!», lo
corregge una voce fuori campo ed io spalanco la bocca. È matto?
«Nathan!», esclamo allibita senza accorgermi di averlo chiamato per nome. È la prima volta da...
A lui non sembra essere
sfuggito questo particolare perché assottiglia lo sguardo come
se stesse cercando di capire se è un bluff, una semplice gaffe o
la pura realtà. Arrossisco visibilmente e abbasso gli occhi.
«Ehm, Price. Volevo
dire Price. Un muro? Hai fatto a botte con un muro?», ripeto
più convinta. Nonostante lui mi chiami spesso con il mio nome di
battesimo – certo, quei rari casi in cui non utilizza
‘gattina’, ‘piccola’ e quant’altro
– io proprio non ci riesco. Mi dà quasi un senso di
confidenza che noi non dovremmo avere.
In risposta si stringe
nelle spalle con noncuranza e prima che possa replicare viene
sovrastato dalla voce di Valerie che, indisponente, si immette nel
discorso.
«Scusa? Ma a te da quando importa quello che fa lui? Non mi sembri sua madre. Sbaglio?».
Respira, Sarah. Respira e
sii diplomatica, non lasciarti sopraffare dalla rabbia e
dall’impulso di saltarle al collo per strangolarla.
«Oh, che buffo... e
così è finito il periodo di silenzio convulsivo?»,
domando retorica alzando una mano con il palmo aperto.
«Spiritosa! Ti
ricordo, mia cara, che è colpa tua e della tua... invidia se
siamo finite in questa situazione». Prende ad attorcigliarsi la
solita ciocca di capelli con quell’espressione tronfia di chi ha
ragione.
«I-invidia? Ma ti
ascolti quando spari queste stronzate, Val? vuoi metterti in testa che
l’ho fatto solo a fin di bene – tra le altre cose non mi
sembra una cosa così grave dato che da quel giorno tu e lui
state sempre appiccicati. Dunque dimmi, qual è veramente il tuo
problema?». Incrocio le braccia sotto al seno e prendo a fissarla.
La Mallory non sembra
essersi accorta di questo nostro scambio di parole ma io presumo stia
facendo finta di nulla lasciandoci ai nostri screzi.
«Io non ho nessun problema!», borbotta risentita dalle mie parole.
Marissa, che nel frattempo
sta facendo oscillare lo sguardo dalla mia amica al suo ragazzo, fa per
aprire la bocca ma, di nuovo, viene stroncata dalle nostre voci.
«Bene! Allora spiegami, una volta per tutte, perché ce l’hai così tanto con me».
Valerie fa un respiro
profondo tanto che credo possa discutere con me una buona volta come
persone civili e magari risolvere ma poi scuote la testa e capisco che
non avrò niente più di quello. Come ha già detto,
Valerie è una bambina.
«Ehm, qualcuno mi
spiega perché voi due avete litigato o magari perché
Price ha distrutto il calcio del muro?», riesce a chiedere
Marissa e vedo che Valerie mi lancia un’occhiata eloquente, vale
a dire: “Sta’ zitta, me la vedrò io con lei”.
Price, invece, che ha assistito all’ultima scena stranamente
silenzioso, si esibisce nel solito ghigno e risponde: «Non so,
credo sia stata una reazione impulsiva e...»
«Eccessiva?», propongo intromettendomi al discorso. Dopo ciò mi fissa accigliato ma annuisce.
«Già», conviene. «E poi aveva davvero bisogno di essere buttato giù».
«Lei è in
punizione per tutta la settimana, Price. Di questo almeno ne è
cosciente?», lo interroga nuovamente la Mallory che sembra avere
una propensione a punzecchiare solo lui.
«Oh, davvero? E mi
dica, Barbara, l’allegra troupe qui presente mi farà
compagnia? Altrimenti, lo sa che mi annoierò a morte».
Un attimo. Barbara?! Sapevo
che Price fosse il tipo che fa il cascamorto con tutto ciò che
respira, ma arrivare a entrare in confidenza con la Mallory mi sembra
esagerato.
La mia faccia schifata deve
aver fatto trapelare la mia opinione perché, essendosi
avvicinato di nuovo al mio banco, mi dà un colpetto con la
spalla seguito da un sorriso sornione.
«Signor Price mi
dispiace deluderla ma sconterà la punizione da solo e continuo a
pregarla, non mi dia del tu».
«Ho sentito dire da
Toby che lo ha detto a Renee che a sua volta l’ha sentito da
Tracy e Laurel che spettegolavano in bagno che Price se la fa con la
Mallory», sento bisbigliare da qualcuno nei posti avanti anche se
non ci credo. Price è tutto ma non così stupido da
trasgredire le regole fino a quel punto. L’attimo dopo mi
interrogo sul perché io stia prendendo delle ipotetiche difese
nei suoi confronti quando lui non avrebbe esitato, se fossi stata al
posto suo, a dar loro man forte per screditarmi.
«Coglioni», parlotta tra sé scrollando il capo. Figurarsi se non l’avrebbe detto.
«Cosa? Solo perché stavano insinuando qualcosa che...»
«Non è non
sarà mai vero, Sarah. Ma ti pare? Potrebbe essere mia madre, che
schifo», mi precede serio corrugando gli occhi.
«Price dovresti sapere una cosa: non mi importa un accidenti».
E prima che possa dire
altro suona la campanella che segna la fine della punizione e mi alzo
rapidamente. Devo assolutamente parlare con Valerie e risolvere prima
che mi venga una crisi di nervi.
«Sarah,
aspetta», mi blocca Price sbarrandomi il passaggio alla
velocità della luce tanto che mi chiedo se sia normale questo
spostamento. Magari ho a che fare con un essere soprannaturale e non me
ne sono accorta. Ah, devo smettere di guardare Supernatural.
«Price, non è il momento, davvero».
«Ti... ti va di...
sì insomma, ti va di vederci una di queste sere? Possiamo...
vederci un film o qualcosa del genere». Si tortura il labbro con
i denti e i capelli con una mano ed io rimango senza parole. Mi ha
davvero... be’, mi ha chiesto davvero un appuntamento?
«Sì, sai... mi
devi delle risposte, giusto? E ti prometto una serata tranquilla, solo
noi», continua imperterrito indicandoci.
Guardo attraverso le sue
spalle e con altro mio stupore vedo Valerie ferma sulla porta ad
aspettarmi mentre ha stampato in faccia un sorriso furbo.
«Price, sicuro di
stare bene? Insomma, mi hai appena chiesto di uscire. Wow, tu non fai
mai niente del genere con le ragazze», preciso con
un’alzata di sopracciglio. Cos’è, un nuovo modo per
tirarmi qualche inganno? Sì, prima fa tutto il carino e il dolce
e l’attimo dopo si trasforma. Lui è imprevedibile, come il
suo invito.
Oscillo con gli occhi a Valerie che alza due pollici in su e mima con le labbra di accettare la proposta.
«Uhm, be’...
dovrei controllare l’agenda... io, mi vedo con qualcuno»,
mento all’ultimo momento per nessun motivo in particolare. Scorgo
delle nuove emozioni sul suo volto; sembra quasi... ferito,
amareggiato, spento. Già, non c’è più
traccia di quella luce che lo caratterizza nei suoi profondi e intensi
occhi blu.
«Oh, io... non ne
avevo idea. Mi... mi dispiace. Fa’ finta di nulla,
‘kay?», conclude inforcandosi gli occhiali da sole e
indietreggiando verso l’uscio. A cosa gli serviranno mai in un
ambiente chiuso?!
Escludo a priori che sia geloso. Di me, poi.
È geloso, Esse. Lo è eccome.
«Ehi», lo chiamo. «Domani sera sono libera se è solo per chiarire i tuoi dubbi».
Inarca le sopracciglia, scettico. «Al tuo ragazzo non dà fastidio saperti sola con me?»
«Per te è un problema?»
Fa cenno di no.
«Allora è
perfetto. Ci vediamo a casa mia alle sette, intesi? Per quell’ora
i miei dovrebbero uscire così non ci disturberanno».
«Voglia di rimanere sola con me, Davies?», mi punzecchia malizioso.
Contro ogni aspettativa sorrido e poi gli faccio una linguaccia.
«Perfetto. A domani!».
«Sì, vedi di non gioire troppo, Price».
«Basti tu per quello,
Davies». Mi strizza l’occhio e dopo avermi dato un buffetto
– è un vizio, mh? – sulla guancia va via.
Strizzo gli occhi, incredula.
Cosa.è.successo?! Ho appena flirtato con il nemico? Impossibile.
* * *
Io e Valerie abbiamo
chiarito alla fine. Lei mi ha confidato di non avercela avuta con me
per aver interrotto la loro appassionante limonata – come
l’ha definita lei – ma per aver pensato che fossi in un
qualche modo invidiosa della sua felicità, pensiero dettato
dalla stizza del momento. Successivamente per l’eccessivo
orgoglio non è riuscita a chiarire con me, probabilmente per
paura che le tirassi qualcosa addosso per la sua stupidità.
Adesso siamo di nuovo sulla
giusta linea d’onda e per l’occasione è piombata in
camera mia affermando di essere la mia fata madrina solo per quella
sera, vale a dire dell’incontro con Price. Come se dovessi
seriamente mettermi in ghingheri per lui e il suo sorrisetto del cazzo.
La mia camera, prima che
arrivasse l’uragano Valerie, era immacolata; adesso ci sono
vestiti sparsi per tutto il pavimento e letto compreso, l’armadio
non ne parliamo proprio.
«Val, hai trasformato
questa camera in un campo minato. Hai idea di che significa?»,
sbotto al limite della pazienza mentre raccolgo l’ennesimo capo
da terra.
«Che prima o poi
troveremo qualcosa di appropriato che non ti faccia sembrare una
racchia? Uhm, be’, ne ho vagamente idea», commenta ironica
alzando più volte le sopracciglia ed io alzo gli occhi al cielo.
«Ecco, appunto.
Senti, non mi importa di far colpo su Price. Price, Valerie! Comprendi?
Occhi blu, aspetto diabolico e sorriso antipatico?»
Valerie ridacchia allegra e
si alza dal groviglio di vestiti nel quale è sotterrata e mi
raggiunge congiungendo adorante le mani.
«Quel ragazzo che tu
stai dipingendo come Lucifero, stravede per te dall’asilo. Come
fai a non accorgertene? Gli hai anche inventato la storia del finto
fidanzato, cosa che io disapprovo in pieno. Sono sicura che, sotto
sotto, tu sia più cotta di lui», mi confida
psicanalizzandomi. C’è da dire che a lei non ho raccontato
della mia cotta preistorica che l’anno seguente è stata
abilmente soffocata. E neppure deve saperlo altrimenti inizierà
a farsi i viaggi mentali come al suo solito e non posso permetterlo.
«Valerie, lo sai che
sei visionaria? Non esiste un mondo in cui Nathan Price e Sarah Davies
provano qualcosa l’uno per l’altra, perciò
dimenticatelo. Piuttosto con il tuo Romeo come va?». Meglio
spostare il discorso su altri fronti. Parlare di me o Price mi fa
venire il mal di testa. Sospira afflitta e si accascia sul letto.
«Dice che non
può far soffrire Marissa in questo modo. Che tra noi non
potrebbe mai funzionare e bla, bla, bla, quindi abbiamo concordato di
non dirle niente per ora. A proposito, grazie per non aver fatto la
spia l’altro giorno», mi confessa riconoscente.
Alzo le spalle e le sorrido.
«Come hai capito di amare Wes?»
«Semplicemente
sentivo qualcosa di più della semplice amicizia. In sua
compagnia provavo sempre l’impulso di sbatterlo al muro e
baciarlo; volevo che mi guardasse con i miei stessi occhi, che
riservasse le attenzioni per Marissa a me e che fossi la ragione dei
suoi sorrisi. Tuttavia la vita non è rose e fiori per nessuno,
eh».
Annuisco complice.
«Val, mi metterò una semplice tuta, fattene una ragione. Ed ora aiutami a sistemare questo casino».
Valerie fa per ribattere ma
poi la freddo con un’occhiata e dopo aver sbuffato ed avermi dato
dalla noiosa, inizia a piegare i vestiti.
Sarah 1, Valerie 0.
Valerie torna a casa per le
sei ed io mi metto a cercare nella bacheca dei DVD qualcosa di
interessante, che non sia strappalacrime. Non credo sia il genere di
Price anche se ho imparato che con lui tutto è possibile.
Pesco sotto quelli di
Fast&Furious, un film d’azione che non ho mai visto e che
sicuramente appartiene alla collezione di mio padre. Si intitola
Mission: Impossibile ed è con quel figo di Tom Cruise. Poso il
disco sulla mensola e vado a cucinare i pop corn; solo per me,
ovviamente.
Dopodiché mi metto a
leggere un libro nell’attesa; i miei genitori sono ancora
rispettivamente uno al lavoro e l’altra dall’estetista.
È stranamente tutto
silenzioso ed io inizio ad essere assuefatta dalla noia. Nel giro di
pochi minuti ho cambiato posizione ben dieci volte sul divano
finché non ho deciso di sistemare casa non sapendo cosa fare.
Il campanello si mette a
suonare proprio quando sono intenta a spolverare in salotto, ballando a
ritmo di Dynamite di Tajo Cruz e quindi non nelle migliori condizioni,
cosa dimostrata dai miei capelli scombinati. Sobbalzo e sgrano gli
occhi, il panno mi cade a terra. Merda. È in anticipo.
«Un attimo!»,
urlo con foga mentre salgo le scale che conducono al piano di sopra a
due a due rischiando anche di rompermi una gamba. Mi fiondo in bagno
strisciando sul pavimento e cerco di rimediare alla ben’e meglio
il disastro che sono i miei capelli.
Nel frattempo continua a
suonare. Faccio una smorfia e lascio perdere. Com’è poi
che mi sto mettendo in tiro per lui?
Perché è pur
sempre un ragazzo e tu sei una ragazza, ed è nell’indole
delle ragazze far di tutto per piacere a qualcuno del sesso opposto,
anche se questo in particolare è uno stronzo di prima categoria.
Piombo sulla porta, poi prendo un respiro profondo e apro.
«Ehm, ciao», faccio agitando la mano in cenno di saluto come una perfetta idiota.
«Era ora, Davies! Non
so se tu l’hai notato ma sta diluviando alla grande»,
borbotta Price, battendo i denti dal freddo e solo allora noto che
è fradicio come un pulcino. Trattengo una risata portandomi una
mano davanti alla bocca.
«Oh mio Dio, mi
dispiace tanto. Entra, ti porto degli asciugamani puliti e dovrei avere
qualcosa di mio padre di quando era giovane. Uhm, prego,
siediti», lo istruisco indicandogli il divano ancora vittima
delle risate.
«Non ridermi in
faccia, per piacere. Sarebbe umiliante persino per me», mi
redarguisce puntandomi contro l’indice.
Torno sotto con
l’occorrente e glielo porgo indicandogli il bagno di servizio
dove può cambiarsi. Mi ringrazia con un cenno e scompare dalla
mia visuale cosicché io possa passarmi le mani sulla faccia e
ridere.
Non posso crederci. Nathan
Price bagnato dalla testa ai piedi è esilarante. Molto
esilarante. Gli dona quasi un tocco diverso, vulnerabile.
«Sarah, dove posso
trovare un phon?», mi giunge alle orecchie la sua richiesta e mi
volto automaticamente tanto che per poco non mi casca a terra la
mascella. Spalanco gli occhi e la bocca per lo stupore. Nathan Price se
ne sta a ridosso della porta del bagno con solo un telo attorno alla
vita ed il petto abbronzato e degno di solidi esercizi fisici
completamente scoperto. I capelli poi, non ne parliamo... ancora umidi
e scompigliati.
«Terra chiama Sarah?», mi riporta all’attenzione ridacchiando. Dannazione, mi ha beccata!
«Ehm... sì...
certo, secondo...», mi umetto le labbra divenute improvvisamente
secche e poi batto le palpebre. «Secondo scomparto in basso a
destra».
«Farò finta
che tu sia rimasta indifferente di fronte a tanta bellezza. Tranquilla,
la tua reputazione è ancora al sicuro con me», mi strizza
l’occhio ed io arrossisco visibilmente.
Maledetto.
«Sta’ zitto, Price. Non.una.parola», lo freddo con un’occhiata.
Ho come l’impressione che sarà una lunga serata.
Siamo entrambi seduti sul
divano, io con i miei pop corn sulle gambe e lui che mi guarda male
perché non voglio offrirgliene, il film è partito da
mezz’ora circa anche se non lo sto seguendo molto, causa Price
che trova sempre il modo di interrompermi la visione. Prima ha iniziato
a punzecchiarmi con un dito per attirare la mia attenzione, poi si
è dato semplicemente alle provocazioni, infine ha preso la via
per il discorso tanto temuto.
Dunque adesso il film non è altro che un’inutile sottofondo.
«Comincia a spiegarmi
perché siamo qui, innanzitutto», incalzo io curiosa
mettendomi più comoda sul divano, le gambe piegate.
Price guarda prima il soffitto e poi me e sorride genuino.
«È semplice: sono solo curioso di sapere il motivo per il quale mi odi».
«Stai scherzando,
vero? Cioè, mi sembra più che logico: per lo stesso
motivo tuo», eludo alzando i palmi verso l’alto.
Si acciglia e poi scuote la testa ridacchiando. «Io ti odio? No, non mi risulta».
Okay, lui non mi odia. Questo sì che è destabilizzante. Scelgo di andarci comunque cauta.
«No?», mi
accerto confusa torturandomi l’unghia del pollice. A questo
punto... dovrei forse confessargli che per me è lo stesso?
Batte le palpebre e sospira. «No, Sarah. Non ti odio ma tu sì, a quanto pare».
«Ma allora...
insomma, mi hai sempre presa in giro, mi hai sempre screditata. Mi hai
fatto del male in questi anni. E molto. Perché?».
Si afferra il labbro inferiore nervosamente. «Sul serio? Sei stata... male a causa mia?»
Annuisco più volte.
«Ma certo, Nathan! Notizia dell’ultima ora: sono una
persona, con dei sentimenti, certo non mi sono fatta una risata!».
Ecco qui come escono fuori i segreti, segreti che ho tenuto celati per molto, molto tempo.
«Non... ne avevo
idea. Credo fosse l’unico modo per comunicare con te. Sei sempre
stata sulla difensiva!», si giustifica scompigliandosi i capelli
per l’ennesima volta.
«Oh, che bello.
Quindi hai pensato bene di farmi passare l’inferno. Grande,
Price, sei proprio il re dei grandi», esclamo dandogli uno
schiaffo sul braccio. È un idiota! Della peggior specie, per
giunta.
Tu non sei certo migliore, Esse, dato che hai fatto la stessa cosa.
«È per questo
che mi odi? Perché ti ho fatto del male?», mormora
sottovoce posando la testa contro la spalliera del divano.
Ora siamo occhi negli occhi. Ed i suoi mai stati tanto indagatori come oggi.
«In parte. Diciamo
che non è odio il mio. Fidati, ci ho provato ma non ti odio. Non
si avvicina neppure all’odio il sentimento», confesso
giocando con un filo della felpa.
«Ah no? E cos’è? Allergia al sottoscritto?», propone con una vena amara nella voce.
Lo guardo di traverso e
ridacchio. «Sono qui con te, giusto? E sono sorpresa delle
sorprese, sono viva! L’avresti mai detto?»
Storce il naso e arriccia sensualmente le labbra.
Sensualmente?! Siamo sicuri di non aver mangiato pop corn allucinogeni?
«È
venerdì sera e tu sei qui con me invece che con il tuo ragazzo.
È...strano», osserva incredulo guardando dritto davanti a
sé. Nella foga del momento mi infilo un’altra manciata di
pop corn in bocca, scioccando per la sua domanda e accorgendomi che son
quasi finiti.
«Un po’ lo
è – convengo alla fine – «Solo che lui aveva
degli impegni per stasera e quindi... eccoci qui».
«Ed è tranquillo a saperti con me?», rincara dandomi un colpetto di gomito seguito da un sorriso sornione.
Le mie labbra si increspano
un po’ in quello che sembra un sorriso; devo ammettere che,
disguidi a parte, non mi dispiacciono questi momenti di calma piatta
con Price. Certo, continuo a pensare che sia una persona imprevedibile
e tendo comunque a porre una distanza sia fisica che psicologica tra di
noi tuttavia sembra che io venga sconfitta miseramente in ogni buon
proposito.
«Certo che non
è tranquillo ma si fida di me e questo basta», continuo a
mentire con una disinvoltura che non credevo possibile. Devo aver
affinato le tecniche del mentire in questi anni, altrimenti non si
spiega la mia attuale bravura.
Annuisce lentamente ed io
temo che stia iniziando a capire che sono una patetica bugiarda che ha
deciso di pararsi il culo dietro la solita balla de ‘Ho il
ragazzo’.
«Io non ti lascerei
mai con un altro ragazzo ma non perché non mi fidi di te.
È del genere maschile, in quanto tale, che non mi fido».
Ma sentitelo, sembra mio padre con questi discorsi! A lui non devo dare conto di nulla, alla fine.
«Fammi capire, Price,
mi hai chiesto questa... cosa - incalzo indicandoci con una smorfia
involontaria - per parlare del mio ragazzo? Lascia perdere la mia vita
amorosa e concentriamoci sul discorso principe».
«Hm, non hai tutti i
torti ma questa è l'ultima domanda, giuro. Conosco questo
pezz... - e qui si schiarisce subito la voce, sbattendo le palpebre
più volte, facendomi quindi intendere che è reduce da una
gaffe - ehm... lo conosco?». Si passa la lingua sulle labbra e
poi, spinto da un moto nervoso probabilmente, si alza dal divano sul
quale eravamo seduti, dopo avermi mollato una pacca sul ginocchio e si
dirige in cucina.
Che diavolo vuole fare?
«Non sono affari
tuoi, Price. Seriamente. E... mi spieghi perché stai mettendo
sottosopra la mia cucina?!», sbotto raggiungendolo, le mani sui
fianchi e l’espressione guardinga e minacciosa.
Mi offre un gran sorriso e
dopo aver trovato ciò che, a quanto pare, gli serve, lo poggia
sul ripiano in marmo accanto ai fornelli. Non vorrà mica...
«Ti preparerò
una cena... al bacio», afferma schioccando le labbra sulle sue
dita per farmi intendere meglio. Le mie sopracciglia hanno un sobbalzo.
Nessuno ha mai fatto per me una cosa così... intima. E proprio
per questo deve concludersi prima che possa diventare una cosa seria.
Adesso!
«Price»,
esordisco, massaggiandomi la nuca in evidente imbarazzo. «Non
serve. Davvero. Possiamo ordinare... qualcosa dal cinese qui accanto
oppure una pizza, se ti fa schifo il cinese. Guarda, su quella
lavagnetta ci sono una serie di numeri, anche del ristorante
messicano. Così... non sporchiamo niente».
Uh, che discorso convincente! Sarah, per favore, dovrai impegnarti molto di più.
«Ma io voglio farlo.
Sul serio. Non è un problema, cucino sempre io a casa, è
quasi un hobby... e ti prometto che per stasera non ti
avvelenerò, se è ciò che temi», si impunta
continuando nella sua impresa, pescando dal frigo pomodorini e altre
pietanze.
Fosse solo quello il problema...
Sospiro e mi accascio sul
ripiano, indecisa sul da farsi. È che quando si mette in testa
una cosa, è difficile fargli cambiare idea. Uff, lo detesto!
«Suvvia, Davies,
togliti quel faccino da cane bastonato perché non mi
smuoverò di qui neppure per chiamare Frankie, che prepara i
migliori tacos dell’universo, e adesso... ti va di aiutarmi o
stai lì a guardare nella speranza che mi tranci un dito solo
grazie al tuo sguardo omicida?»
Sembra incredibile che un
ragazzo con così poco QI, possa fare questi discorsi soltando
usando il carisma che gli è stato concesso in dono alla nascita,
vero? Ma ad ognuno il proprio talento, giusto? Provo a pensare a cosa
farebbe o direbbe Valerie in una situazione del genere. Sicuramente mi
consiglierebbe di lasciarmi andare per una sera e assecondarlo per
vedere dove vuole arrivare ma, ehi, stiamo pur sempre parlando di un
consiglio alla Valerie alias niente di buono. E questo l’ho
imparato a mie spese.
«L’hai fatto
altre volte?», domando ad un certo punto mentre lui spadella a
destra e a sinistra e fa cuocere delle costolette di maiale,
destreggiandosi come se fosse abituato ad utilizzare quella cucina e
conoscesse i suoi meandri meglio di mia madre. E non posso fare a meno
di notare quanto sia bello così concentrato e minuzioso in tutto
ciò che fa. Il modo in cui arriccia le labbra ogni tanto
accorgendosi che manca il sale, dopo aver assaggiato; il modo in cui
con dei gesti cadenzati macina il pepe e continua a mescolare come se
fosse una cosa così importante e degna di essere omaggiata.
Ora sta, infatti,
preparando una salsa, a detta sua, ‘speciale’. Ha anche
dato ad essa un nome: Sprice Sauce. Originale, non è vero?
«Cosa?», dice
accigliandosi e alzando gli occhi solo per un momento. Continua a
mescolare degli ingredienti dentro una ciotola con una mano mentre con
l’altra fa abbrustolire la carne davanti e dietro.
«Questo»,
rispondo facendo un cenno verso la cena che sta preparando.
«Cucinare per una ragazza, intendo. Mi era giunta voce che tu
fossi un tipo spietato e senza cuore con chiunque fosse del sesso
opposto ma forse erano solo...chiacchiere».
«Sarah, sono sempre
chiacchiere che dir si voglia. Io potrei anche essere uno spietato
senza cuore che ha cucinato per una ragazza solo una volta nella vita
ma le loro rimarranno sempre e comunque parole al vento»,
chiarisce chinandosi per prendere dei piatti, rigorosamente bianchi,
appositi per mettere la carne.
Cerco di regolare i battiti
del mio cuore dopo le sue parole. Diamine, sbaglio o ha appena detto
che è la prima volta che fa qualcosa del genere?! Giuro che sto
per sentirmi male. Non può essere... non esiste che Nathan Price
faccia il carino con me per i suoi loschi scopi!
Boccheggio più volte senza sapere realmente cosa replicare dato che lo sconvolgimento per la notizia non aiuta affatto.
«Facciamo un patto,
Davies», asserisce all’improvviso squadrandomi per un lungo
tempo e appoggiandosi con gli avambracci sulla penisola cosicché
ci troviamo uno di fronte all’altra.
Ripenso a quando è
stata Valerie a dirmi queste stesse parole ed io ho accettato sebbene
la coscienza mi consigliasse di non farlo; e successivamente ci aveva
pensato il karma a darmi una lezione la sera stessa. Quindi no, non
farò un patto con nessuno. Men che meno con Lucifero qui
presente.
Scocco la lingua sul palato
e volgo lo sguardo altrove. «Toglitelo dalla testa, Price. Non
farò niente del genere».
«Oh, ma dai! Non sai neanche che genere di patto sia...», si lamenta chiudendo gli occhi e sbuffando l'attimo dopo.
«Non ti
chiederò niente che si ricolleghi ad atti sessuali o simili.
È qualcosa di prettamente innocuo, te lo giuro».
«Ehi, non fare
promesse o giuramenti che sai di non poter mantenere. Non mi fido di
te, che sia ben chiaro, e non credo riuscirò mai a farlo.
Ascolterò comunque la tua proposta, per rispetto al fatto che,
almeno per stasera, ti sei comportato egregiamente ma ciò non
significa che acconsentirò», lo redarguisco mettendomi
sulla difensiva e quindi incrociando le braccia sotto il seno,
l’espressione risoluta. Mettermi sulla difensiva è da
sempre e sempre sarà una priorità per me.
Nathan nel frattempo ha
preso ad ‘addobbare’ i piatti neanche fossimo a Masterchef
USA. Ha fatto scivolare due costolette su ogni piatto, una sovrapposta
all’altra e ha colato un po’ di salsa speciale per poi fare
un ghirigoro simpatico con dell’aceto balsamico nella parte
restante del piatto. Infine ha posizionato una foglia di basilico per
renderlo più elegante. Non c’è dubbio, è un
portento, almeno in questo. Io, per esempio, avrei ammassato la carne
alla rinfusa e l’avrei servita senza salsa e magari anche senza
sale.
Inutile dire che ho
l’acquolina in bocca di fronte a tanto ben di Dio anche se non lo
ammetterei mai ad alta voce per via dell’orgoglio.
«Price, ma è
magnifico!», penso ed è troppo tardi quando mi accorgo che
l’ho detto veramente e che lui se la sta ridendo sotto ai baffi e
capisco che oltre ad essere compiaciuto è anche divertito dalle
mie continue gaffe.
Alza le mani in alto euforico e fa uno strano balletto, con un movimento strano del bacino, che mi fa ridacchiare di gusto.
«Sono riuscito a
stupire la frigida Sarah Davies! Sì!», esclama stringendo
il pugno vittorioso. E non me la prendo neppure per avermi dato della
‘frigida’, dato che so di esserlo, in fondo.
«Davies, questa
è una conquista, bisogna festeggiare», dice dirigendosi
verso il frigorifero e tirando fuori due bottiglie di birra,
stappandole in contemporanea e porgendomene una. Infine le facciamo
tintinnare una contro l’altra e le alziamo in un brindisi.
«Brindiamo alla mia
conquista e al bottino che in questo caso è quel sorriso»,
annuncia indicando il suddetto con un dito.
Prendiamo un lungo sorso, sebbene i miei non mi concedano mai di bere alcolici.
«A due nemici che son
riusciti a raggiungere un compromesso», propongo allora io
mettendomi comoda sullo sgabello ed iniziando a tagliare le costolette.
So bene che è un piatto che va mangiato esclusivamente con le
mani e di norma lo farei ma in presenza di ospiti non ci riesco
proprio. Mi sa di maleducazione.
«Oh mio Dio, Davies.
Tu hai appena fatto un affronto a tutta la tradizione americana con la
sua cucina compresa! Stai osando profanare quella carne con delle
posate?! Non posso crederci...»
«Che problema
c’è, scusa? Mangia e sta’ zitto visto che non hai
ancora toccato neanche il basilico».
«Mi dispiace ma devo
prima aspettare la tua opinione. Su, assaggia, farò finta di non
pensare a ciò che di nefasto stai commettendo».
Porto il boccone appena
tagliato lentamente e con circospezione alla bocca dopo averlo intinto
nella salsa che separa i nostri piatti e mastico altrettanto
lentamente. È una vera esplosione di gusto tanto che se le
papille gustative avessero un’anima a quest’ora sarebbe
incendiata; la carne è croccante e cotta al punto giusto,
né troppo rossa ma neanche troppo bruciata; la salsa, poi,
è qualcosa di indescrivibile. Non posso fare a meno di pensare
che sia davvero speciale, e di salse ne ho mangiate a bizzeffe e di
tutti i tipi nella mia giovane vita. C’è un mix aromatico
che non riesco a decifrare singolarmente ma che concentrato in un unico
piatto crea qualcosa di veramente... orgasmante, si può dire? Mi
trattengo dall’emettere un gemito di apprezzamento perché
risulterebbe troppo esplicito e lui si nutre di doppi sensi. A
proposito, Price sta in attesa, mi fissa profondamente, le dita
intrecciate ed il mento nell’incavo di queste. Decido di
deliberare il verdetto senza, tuttavia, sbilanciarmi troppo altrimenti
si monterebbe peggio di quanto già non lo sia.
«È... buono.
Veramente buono. No, credo di non aver mai mangiato delle BBQ Ribs
così. Dove hai imparato e soprattutto, cosa c’è in
questa meravigliosa salsa?».
Ops, mi è scappato. Lo giuro. Ma è stato più forte di me.
Dalla sua faccia gongolante
devo dedurre che si aspettava un commento del genere e che è
oltremodo compiaciuto dai miei complimenti.
«Ehi, ehi, non
così tanti complimenti o potrei imbarazzarmi ed ho una
reputazione da difendere», ironizza sorridendo. «Riguardo
alle tue domande... ho imparato quando mi son trasferito in Texas dai
nonni paterni, Gina e Eustace, ricordi? Ti adorano a proposito, e gli
manchi molto. E no, è un segreto della famiglia Price ciò
di cui è composta e se te lo dicessi poi dovrei ucciderti. Ti
sembrerà strano e incredibile ma non voglio – e non posso
– macchiarmi la fedina penale se voglio entrare in polizia
di stato, un giorno».
Okay, adesso sono davvero,
davvero ai limiti dell’incredulità. Per poco non gli
scoppio a ridere in faccia. La forchetta mi cade dalle mani.
«Tu?! Poliziotto?!
Non dici sul serio...», chiedo cercando di trattenere le risate e
osservandolo per capire se stia scherzando o meno.
«Ehi», borbotta
sinceramente offeso, «Perché ti risulta così
assurdo pensare che io voglia aiutare la gente?»
«Be’,
quand’eri piccolo lo dicevi sempre, è vero, ma pensavo
scherzassi! Eri solo un bambino con dei sogni troppo grandi, non
pensavo che avresti voluto applicare, un giorno, quei sogni!»
«Sarah, i sogni son
fatti per questo, per essere realizzati e comunque... caspita, non
credevo ti ricordassi una cosa del genere», mormora colpito e
allo stesso tempo confuso. Ecco, questa è stata un’altra
cosa che non sarebbe dovuta sfuggirmi. In fondo non è
l’unico particolare che mi ricordo di lui e della nostra
tragicomica infanzia fatta di schiaffi e dispetti. Se chiudo gli occhi
riesco a vedere un piccolo Price con la sua zazzera di capelli
piuttosto folta in quanto non voleva tagliarli, una felpa più
grande di lui di almeno tre taglie, un cappello da poliziotto e una
pistola giocattolo bloccata nella cintura. Poi c’è una me
bambina che lo guarda con un’espressione a metà tra il
divertito e il disperato.
Ed è anche un
segreto che la foto che ritrae questa scena sia conservata gelosamente
nel mio portafoglio da che ne ho memoria. Ho sempre pensato fosse
l’unico mezzo che mi tenesse in qualche modo legata a lui, al di
là dei battibecchi e dei litigi che si sono prodigati fino ad
oggi.
«Sai, a volte sono
geloso dei tuoi pensieri. Ti ci perdi dentro e non si sa mai dove
vadano a parare o cosa ritraggano. E questo tuo esternarti dalla
realtà ti ha sempre caratterizzata, anche quando eri una
nanerottola tutto pepe...», replica all’improvviso
distogliendo la mia attenzione dal flusso di memorie.
«Ma ti ricordi quando
tua madre ti obbligò a venire a casa mia perché stavo
male? Eri devastata e... incazzata con il mondo. Avevi
l’espressione di chi sta per essere mandato al patibolo, te lo
giuro. Te ne stavi lì, seduta sul puff, imbronciata, e con un
cuscino stretto tra le braccia e mi lanciavi, di tanto in tanto,
occhiatacce. E nessuno dei due parlava. Poi, ad un certo punto hai
gettato la testa all’indietro e mi hai rifilato testuali parole:
“Sei un idiota. E anche noioso...”.
«E tu sei stretto
nelle spalle e hai risposto che ero io ad essere una bambina banale ed
io ti ho lanciato il cuscino in faccia perché offesa.
Quindi?», intervengo cercando di far finta che questo racconto
non mi abbia stupito o scioccata più del necessario. Sembra che
non sia solo io ad aver tenuto inchiodati nella mente gli episodi che
ci ritraggono.
Mi fissa perplesso.
«Non posso crederci... pensavo di avere in testa una versione
sbagliata e invece è andata proprio così!»
«Guarda che non
è stato molto carino quel commento», gli faccio notare
mentre mi alzo ed inizio a svuotare i piatti per metterli nella
lavastoviglie. Lui mi imita ed io gli faccio cenno di tornare a sedersi.
«Ah-ah, tu hai cucinato, io pulisco. Forza, inizia ad illustrarmi il patto, senza cambiare discorso».
«È semplice:
il patto era che se avessi apprezzato la mia cucina stasera tu mi
avresti lasciato invitarti di nuovo... tipo, domani sera. Ed è
con piacere che ti comunico che è andata proprio come volevo e
che tu domani indosserai qualcosa di carino perché si va a
ballare e non in discoteca ma ad un vero e proprio gala di
beneficenza».
Quando finisce di parlare,
il sorriso e l’espressione soddisfatti, per poco non mi cadono le
stoviglie per terra con un possibile conseguente effetto di una
sfuriata da parte di mia madre. Innanzitutto non c’è
più traccia di divertimento e serenità sul mio volto ma
solo... rabbia e fastidio. Non posso credere che mi abbia fatto un tale
tiro mancino. E soprattutto non riesco a decifrarne il perché.
Perché tutto ad un tratto per lui è così
importante che io gli conceda e gli riservi del tempo se fino ad ora
non abbiamo fatto altro che evitarci come la peste? Che poi, un ballo
di gala? Non ho neanche un vestito per un ballo di gala, figuriamoci la
voglia di prendervi parte. Se non avessi lo stesso complicato e ampio
sogno di questo idiota gli rifilerei un coltello dritto alla gola.
Sì, la mia fedina deve restare pulita esattamente per lo stesso
suo motivo. Capite perché io per poco prima non mi sono
strozzata quando ho sentito che lui in tutti questi anni non ha
abbandonato l’aspirazione che aveva da bambino? È un
incubo! Immaginate se un giorno ci trovassimo ad essere, per qualche
strano e bizzarro caso, come partner al NYPD. Un.terribile.incubo.
«E sentiamo, avresti
organizzato tutto questo nel breve lasso di tempo che ci hai messo a
cucinare o è solo uno dei tuoi stupidi trucchetti per portarmi a
letto?»
Si incupisce
all’improvviso. «Ma io pensavo... sì, insomma,
credevo che le cose tra noi due stessero andando bene, no? Ti chiedo
solo un’ultima serata, poi sarai libera di fare ciò che
vuoi, anche continuare a snobbarmi come hai sempre fatto».
Io? Io lo snobberei?! Ma per favore...
«Cosa?! Quale parte
del: “Ho un fottuto ragazzo” non ti è chiara, Price?
Cos’è, ti sei svegliato all’improvviso e ti sei
accorto che adesso esisto?», blatero senza freni, ormai
sull’orlo di una crisi isterica. Non calcolo neppure il tempo che
ci mette a raggiungermi e incastrarmi tra la lavastoviglie ed il suo
ampio e solido petto, le mani strette e ancorate alle mie braccia,
occhi negli occhi.
«Oh, andiamo, la vuoi
smettere per una buona volta di sputare sentenze a vanvera e ascoltare
ciò che ho da dirti? Sai qual è il tuo problema, Sarah?
Sei tu quella che non vuole avere un rapporto civile con il
sottoscritto. Sono sempre stato io – ansima, sbattendosi una mano
sul petto – io, a tentare un approccio con te in un modo o
nell’altro. E tu sei sempre stata quella distante, da quando
avevi sei anni e sei venuta a casa mia perché costretta da tua
madre. Non hai mai mandato giù il fatto che qualcuno volesse
esserti amico perché troppo sulle tue per aprirti con qualcuno e
questa cosa, mia cara, ti ha caratterizzata sempre. Sembra tu voglia
distruggere ogni cosa bella che si viene a creare tra noi! – ci
indica, gli occhi spiritati e l’espressione a tratti ferita e a
tratti incazzata.
Il fatto è che
adesso non so cosa dire o fare. La verità è che Nathan
è sempre stato l’unico a spiattellarmi in faccia la
realtà – che fosse dolce o brutale – e nessun altro
ragazzo è stato mai schietto come lui; molti tendevano ad
assecondarmi sperando che quella fosse la mossa giusta e che io non li
allontanassi se mi remavano contro e mi rendo conto che forse è
proprio per questo che non sono riuscita a trovare la persona giusta in
tutto questo tempo. Non posso crederci che ce l’avessi sotto gli
occhi per tutto questo tempo e l’abbia nascosto persino a me
stessa. Forse ho sempre provato qualcosa di molto forte per Price,
qualcosa che va sicuramente oltre l’amicizia o, in questo caso
l’inimicizia, ma ero troppo spaventata per ammetterlo e
così ho celato il tutto tramutando quel sentimento in disprezzo,
agevolata anche dal suo comportamento da stronzo. E tutto per del
semplice timore.
Abbasso lo sguardo a corto di parole, gli occhi umidi e il pavimento diventato all’improvviso un soggetto interessante.
«Va bene, Price», sfiato ormai sfinita, traendo un sospiro.
Scuote impercettibilmente il capo, perplesso. «Cosa?»
«Va bene, Price,
verrò con te a questo stupido ballo ma se scopro che è
solo uno dei tuoi giochetti o hai un secondo fine ti giuro che
metterò sul serio la parola ‘fine’ e sarà per
sempre. Chiaro?!», esclamo alzando il mento con aria ostile.
Annuisce flebilmente ma
noto che l’attimo dopo sgrana gli occhi e mi sembra trasmettano
un senso di... tristezza, quasi di impotenza, come se volesse fare o
dire qualcosa ma si stia trattenendo. Ed è maledettamente
inquieto e il dubbio che stia succedendo qualcosa di devastante si
infiltra insolente nella mia mente e non m’abbandona.
* * *
«E così,
ricapitolando, ti ha preparato delle BBQ Ribs a detta tua sensazionali,
però poi non ti ha spalmata sul tavolo ma vi siete limitati a
dibattere come vostro solito? Scusami se te lo dico, amica mia, ma
più che un passo avanti sembra non sia cambiato un bel
niente».
Questa, l’opinione di
Valerie al termine del mio apocalittico racconto. Senza contare,
ovviamente, che si è messa ad urlare eccitata quando ha sentito
della parte in cui mi ha inchiodata alla lavastoviglie, aggiungendo:
“Secondo me se gli avessi risposto a tono, ti avrebbe
senz’altro divorata di baci”. Come ho già detto,
questa ragazza è visionaria come tutti in questa scuola. Oggi a
mensa, per esempio, quando sono passata per ritirare il cibo, il
gruppetto di Coop mi ha lanciato delle strane quanto eloquenti
occhiate, chi di sufficienza chi di incoraggiamento, chi addirittura
cariche d’odio ed io mi son ritrovata a ricambiare con
un’espressione perplessa. È come se tutti sapessero
qualcosa che io non sappia ed io odio non sapere. Forse sono una
maniaca del controllo ma...c’est la vie.
«Pss», mi
richiama Valerie con un colpetto di gomito, le mani ancorate al vassoio
del pranzo mentre fa un cenno verso un tavolo libero. Lo raggiungiamo
senza intoppi e vi prendiamo posto in silenzio.
«Val, secondo te
perché tutti mi fissano in modo strano? Ho qualcosa in faccia,
per caso?», indago curiosa cacciandomi in bocca un pezzo di
insalata.
«Ma no, tranquilla,
è che sono tutti febbrilmente eccitati per il ballo di gala che
si terrà a casa Hopkins» – si ferma di fronte alla
mia fronte aggrottata e specifica, annuendo: «Proprio
così, il ballo a cui tu sei stata gentilmente invitata da sir
Nathan Price. Ti dico solo che doveva andarci con Alice la quale pare
stia cercando il vestito perfetto dall’inizio della stagione e
be’, la voce che lui abbia invitato te al suo posto si è
diffusa a macchia d’olio, diciamo causando il malcontento dei
sostenitori della coppia ‘Nathlice’. Speravano che
tornassero insieme prima di questo ballo e invece... sei venuta fuori
tu, quindi, ad occhio e croce... sì, devono odiarti
parecchio».
I privilegi
dell’avere un’amica legata ai gossip sono proprio questi.
Sapere che lo scoop riguarda me, tuttavia, mi inquieta alquanto; il
liceo può diventare un covo di vipere quando succedono queste
cose e tu sei costretta a stare all’erta costantemente.
«Caspita, Val, tu
sì che sai come confortare un’amica», ironizzo,
spostando il piatto più in là. D’un tratto la fame
mi è passata e viene automatico lanciare un’occhiata al
suddetto tavolo di vipere. Marissa sembra l’unica che mi invia
occhiate d’intesa e che sembra essere dalla mia modesta parte.
Cavolo, ci mancava solo questa.
«Figurati, tesoro,
sono qui per questo. Informarti mi sembrava il minimo, così
almeno puoi difenderti conoscendo la minaccia».
«Ehi, hai visto Alice
oggi? Non sta con il suo solito gruppo e questo è molto strano e
sospetto. E quando manca la iena madre, ti puoi aspettare di
tutto».
«Be’, se i miei
calcoli sono esatti, starà macchinando la sua vendetta e quindi
la tua morte. Se può farti stare meglio, per quel che vale, io
sono dalla tua», mi confida sorridendo e posandomi una mano sulla
spalla, come a confortarmi.
«Grazie, Val,
menomale che esisti tu», continuo risultando sarcastica ma anche
un po’ rincuorata. Si sta rivelando tutto un incubo. Il problema
è che non riesco a svegliarmi.
«Troppo corto, troppo
sportivo, troppo scollato, troppo orrendo, troppo tutto e troppo
niente! Cazzo, urge una sessione di shopping, Esse e no, stavolta non
ci perderemo in chiacchiere né in spuntini. Il ballo si
terrà stasera e tu devi risultare al meglio. Hai qualche idea di
vestito elegante? In queste occasioni si indossa generalmente qualcosa
di molto lungo e molto raffinato e sei fortunata, perché se ti
piace, in cabina armadio ho qualcosa che fa per te», mi strizza
l’occhio complice e si dilegua.
Valerie come suo solito sta
facendo su e giù per la camera, pensando più volte ad
alta voce e degnandomi di attenzione a stento. Ancora mi chiedo
perché abbia chiesto aiuto a lei.
La seguo nella sua enorme
cabina armadio che io non potrei mai permettermi, causa il poco spazio
a disposizione. Sebbene ci abbia messo piede mille volte, resto
meravigliata sempre come la prima. Ha uno scaffale intero solo dedicato
alle scarpe, delle marche più importanti e più costose. E
anche se è tutto molto... rosa, non si può negare che
abbia un certo stile.
«Uhm, ma dove
è finito? Quando Genevieve mette ordine qui dentro scompare
misteriosamente tutto, chissà perché! Se te lo stai
chiedendo, sì, sto cercando un costosissimo Gucci ultimo modello
e non ho ancora avuto modo di indossarlo ma lo presto volentieri a te.
Serve qualcosa per fare il culo ad Alice una buona volta per
tutte».
«Alice verrà alla festa? Wow, che bella sorpresa! Non sto nella pelle dalla felicità».
Valerie ridacchia mentre
sfodera un capo d’alta moda dalla custodia protettiva e credo
proprio sia ciò che penso e mi si illuminano gli occhi.
«Sì, tesoro,
è proprio lui. È lo stesso Gucci indossato da Blake
Lively al Met Gala. Meraviglioso, non trovi?»
L’abito presenta una
silhouette a sirena di seta ed è interamente ricamato da micro
pailletes con un lungo strascico di chiffon rosa cipria. Inutile dire
che è qualcosa che non potrei mai indossare, è
troppo...persino per me.
Scuoto meccanicamente la
testa in senso di diniego. «Oh, no, Val... non posso proprio. Non
sono la Lively, non riuscirò mai a valorizzarlo a tal punto ed
è...troppo prezioso solo da guardare, figuriamoci da
indossare...»
«Secondo me è
perfetto. Fidati di me. Almeno provatelo, intanto cerco le scarpe da
abbinare. Con l’accessorio giusto ti starà
d’incanto!», dice battendo le mani entusiasta e lasciandomi
con il vestito in mano. Caspita, se è bello!
Decido di non provarlo per
il momento ma di prenderlo semplicemente in considerazione. Valerie
torna poco dopo con due paia di scarpe diverse.
«Queste sono delle
Jimmy Choo, le mie adorate» – me le mostra dopo aver
scoccato loro un esagerato bacio – Mentre queste sono delle
preziose Louboutin che starebbero molto ben... ehi, perché sei
ancora con questi straccetti addosso? Tic, toc, svelta! Il tempo
stringe e dobbiamo ancora passare da Sally», mi avverte
indicandomi un orologio immaginario sul suo polso.
«Sally? Chi diavolo sarebbe Sally?», domando confusa.
«Ma Sally
Herschberger, naturalmente. Hai presente Paris Hilton? Si tratta della
sua hair stylist che è da sempre amica intima di mia madre. Ah,
adoro essere ricca!»
«Wow, e che bisogno
ci sarebbe di spendere 600 dollari per una semplice piega? Posso
benissimo chiamare Vivian, la mia parrucchiera di fiducia dato che ho
da scontare un’acconciatura gratis».
Valerie sbianca e fa una
smorfia. «Ehi, ehi, ehi. Non mi farò cotonare i capelli da
una stracciona qualunque della plebaglia, andremo da Sally e
pagherò tutto io. Consideralo il mio regalo di compleanno
anticipato», afferma perentoria scoccandomi un bacio volante.
Quanto a me decido di non replicare ulteriormente e acconsento. In quel
preciso istante il mio telefono squilla e noto con piacere che è
mia madre. Mi ha avvisato solo ieri sera tardi che ha preso un aereo
last minute ed è volata a Miami per lavoro.
- Ehi, mamma. Tutto bene?
- Ciao, tesoro. Volevo
dirti che dovrò restare qui a Miami per altri due giorni.
È un problema per te? So che il lavoro non ci permette di stare
unite come un tempo ma tu ormai sei abbastanza grande per badare a te
stessa, giusto?
Non fa una piega. - Ehm, sì, non preoccuparti. Sicura che non sia successo nulla? Magari... con papà?
- Uhm, no, perché me
lo chiedi? – domanda, assumendo un tono strano e sospetto. Mi
stringo nelle spalle anche se lei non può vedermi.
- È che non è tornato neanche lui ieri sera e be’, il suo telefono risulta staccato.
- Oh, tesoro, mi dispiace
così tanto... sai che neanche lui ti ignora di proposito ma
è molto preso dal lavoro. Anzi, più tardi proverò
a rintracciarlo io, promesso. A scuola come va?
- Bene, dai, non ci sono
esami per questo mese. Ehi, ma stasera non dovresti prendere parte
anche tu alla cena dagli Hopkins? Pensavo di sì, dato che ho
trovato l’invito nella cassetta della posta.
Protesta qualcosa in
risposta che non riesco a decifrare e poi risponde: - Oh.
Purtroppo dovrò assentarmi. Potresti fare le mie veci,
però. Ti dispiacebbe indossare qualcosa di carino e presentarti
lì a mio nome?
- Hm, no, sta’
tranquilla. Terrò alto il nome della famiglia - scherzo,
sperando di strapparle un sorriso visto che quella frase è il
motto della famiglia.
- Sei un angelo, cara. Adesso devo andare, Robin ha bisogno di me. A dopo! Baci.
E così riattacca ed
io sospiro, il telefono pressato contro il petto. Devo ammettere che
non è proprio tra le madri dell’anno. Quale razza di madre
lascia andare da sola la propria figlia ad una cena così
importante? È assurdo. Come è assurdo il fatto che mio
padre si sia dileguato senza avvisare, né farsi vivo. Sono
ancora minorenne, in fondo, sono sotto la loro responsabilità
anche se sembra che debba occuparmi io di tutto. È così
strano pensare che forse stiano facendo di tutto per non tornare a
casa? Come se stessero... scappando? Ma sì, la fuga improvvisa
ed il comportamento strano di mia madre, mio padre che scompare senza
nemmeno un biglietto, sono tutti fattori che mi inducono a pensare ad
una cosa del genere sebbene sia avventato come giudizio e
soprattutto... incredibile.
«Esse, tutto bene? Ti
sto aspettando da una decina di minuti in macchina», mi richiama
Valerie a gran voce dal piano di sotto.
Cerco di non pensare alle azioni senza senso dei miei genitori e la raggiungo in auto.
Sally, alla fine, ha
insistito tanto per fare dei miei capelli una Boho Braids; ha quindi
intrecciato i capelli in modo da formare una corona intorno alla testa.
Infine ha deciso di farmi un trucco semplice, ovvero
dell’ombretto chiaro sulle palpebre, coperte da un filo sottile
di eyeliner e un po' di mascara sulle ciglia; una pennellata di blush
abbinato al vestito ed un lucidalabbra ciliegia.
Ho scoperto che il tutto mi
sarebbe venuto a costare 650* dollari; fortuna che avrebbe pagato
Valerie. Appena finiamo con le rispettive acconciature, decidiamo di
tornare a casa perché in ritardo nei preparativi. Price sarebbe
venuto a prendemi a casa tra meno di mezz’ora; per questo motivo
avrei dovuto proprio sbrigarmi ad indossare il vestito e a completare
la missione di Valerie: “Agghindiamo come un albero di Natale la
nostra Esse”. Quanto alla mia amica ha deciso che ci saremmo
viste direttamente lì e mi ha suggerito di restare con i piedi
per terra e soprattutto con gli occhi aperti visto che Alice
combinerà sicuramente qualcosa. Proprio dopo essermi spruzzata
del profumo sul collo, sento suonare il campanello e con un tacco a
spillo in mano e l’altro già al piede, saltellando, tento
di raggiungere la porta.
Prendo un profondo respiro per poi espirare e mi liscio il capo di seta.
«Price», mormoro in evidente imbarazzo.
«Inizio a pensare che
sia un vizio quello di... Cazzo!», esclama con meraviglia nel
tono di voce quando si rende conto che gli sono davanti. Mi esprimo in
un sorriso lievemente accennato non riuscendo a guardarlo negli occhi.
Cazzo. Anche lui è
bellissimo fasciato in un completo nero. La camicia è sbottonata
fino ad un certo punto e lascia intravedere un anfratto di pelle
abbronzata e lucida. I suoi capelli non sono, neppure in questa
circostanza, ordinati e neanche intrisi di gel. È
semplicemente... mozzafiato. Senza contare che apre e chiude la bocca
simultaneamente e addirittura boccheggia, senza proferire parola. Fa
ondeggiare lo sgardo da me al mio vestito con una strana espressione.
«Ehm...giuro che se
continui a guardarmi in quel modo penserò che questo vestito sia
fuori luogo e appariscente e andrò a cambiarmi alla
velocità della luce», lo avverto giusto per smorzare la
tensione venutasi a creare.
«Cosa? No, no. È che sei... ti sta d’incanto, ecco. Dico davvero, sei... splendida».
Arrossisco immediatamente e
distolgo lo sguardo altrove. Ha il potere di far vacillare tutte le mie
certezze questo maledetto ragazzo. Dannazione, non mi ha mai fatto un
complimento. Questa cosa va aggiunta alle altre seimila cose fatte in
questo periodo che il Price di un tempo non avrebbe mai avuto il
coraggio di fare o dire.
«Anche tu stai bene.
Dico davvero», aggiungo per risultare più credibile e
sicura di me. Rimaniamo immobili ad alternare sgardi per almeno una
decina di minuti finché non decide di rompere il silenzio.
«I tuoi non sono in casa?»
«No. Sono fuori... per lavoro».
Cerco di convincere anche me stessa con queste parole.
«Oh, bene. Ehm, ti va se... andiamo?»
Mi porge il braccio
affinché io mi agganci e dopo aver chiuso a chiave la casa lo
seguo in macchina. Da gentiluomo mi apre anche la portiera della sua
macchina ed io ringrazio con un sorriso.
«Allora, Davies,
ripropongo la domanda: non devo aspettarmi che il tuo ragazzo geloso da
un momento all’altro irrompi alla festa e mi gonfi di botte,
vero? No, perché, vestita in quel modo sarò io a dover
prendere a botte chiunque ti guardi. Giusto per fartelo sapere».
Mi fa l’occhiolino e sorride spavaldo, mettendo in moto.
«Guarda, Price, che
so difendermi da sola e no comunque, Grant non verrà. È
dovuto partire con urgenza per Boston ieri sera e prima che tu possa
uscirtene con le tue sparate, sa già di questa uscita e della
precedente. Ribadisco la risposta: si fida di me. Non ha niente da
temere».
Ebbene sì, durante
la notte insonne passata a cercare di mandar via dalla mente
l’immagine di un Price nudo con solo un grembiule addosso, ho
inventato anche il nome del mio presunto ragazzo, con una storia
convincente che spiegasse la sua assenza.
«Ed io ti ripeto che
è di me che non può fidarsi. Non ti prometto che
terrò le mani a posto, Davies. Ed è solo colpa tua che ti
sei vestita in questo modo», mi comunica con un’occhiata
allusiva.
«Ah sì?», decido di stare al suo gioco. «E sentiamo... in che modo mi sarei vestita?»
Price sorride, continuando a tenere d’occhio la strada.
«In modo sexy,
Davies. In un modo che mi fa venire voglia di strapparti quella seta di
dosso e sbatterti sul cofano dell’auto fino a farti urlare il mio
nome», confessa ed io per poco non mi strozzo con la saliva. Per
non parlare delle guance che si sono abbrustolite tanto che sono andate
a fuoco. Non può dire sul serio. Lo sapevo io che c’era
sicuramente qualcos’altro dietro questa storia, ovvero il suo
volersi infilare nelle mie mutande. Che stupida... come ho potuto
credere, anche solo per un istante che fosse sincero?!
«Sì, nei tuoi sogni, forse. Non sei il mio tipo, Price. È inutile. Tu ed io siamo troppo diversi».
«Non è questo
che dicono degli opposti? Che sono destinati a stare insieme, a fare
scintille. Secondo me funzionerebbe», ammicca, svoltando a destra
ed immettendosi nel parcheggio.
«Price... il destino,
metà corpo studentesco ed una deliziosa cheerleader, tua ex a
quanto pare, ci sono avversi. Come potrebbe funzionare, mh?»,
domando retorica, tentando di tenere un profilo basso anche se sono
sulla buona strada per incazzarmi al massimo. È possibile che
noi due finiamo sempre a discutere?
«Cosa c’entra
Alice adesso?», mi chiede confuso, aiutandomi a scendere dalla
macchina. Ignoro il suo ausilio e scaccio la sua mano con la mia.
«Nulla, Price, nulla.
Ho parlato a vanvera. Senti, facciamo finta che questa cosa mi vada
realmente bene ed entriamo lì dentro fingendo di essere
strafelici, così poi ognuno può ritornare alla propria
vita e chi si è visto, si è visto», propongo
battagliera, la deliziosa crocchia da 600 dollari già sul punto
di sfarsi.
«Ma qual è il
tuo problema, Sarah?! Un attimo sei carina e adorabile, l’attimo
dopo diventi una iena isterica ed insopportabile. Spiegami
perché hai accettato questa cosa allora se ti senti così
obbligata?!»
«Non mi hai dato
scelta, okay? Ho accettato perché altrimenti non mi avresti dato
tregua ma non ha funzionato evidentemente perché
sei.costantemente.nella.mia.testa. – urlo, indicandomi la tempia
–
E questa cosa, te lo giuro,
mi fa davvero ammattire perché io non posso, non voglio e non
devo pensare a te in quel senso perché è sbagliato!
Fottutamente sbagliato! D’accordo?! Sei contento, adesso?
Comunque lascia perdere tutto quanto ed entriamo, devo fare un favore a
mia madre prima di tutto». Lo sorpasso a passo spedito senza
visualizzare la sua reazione finché non mi raggiunge bloccandomi
per un polso e costringendomi a voltarmi e attirandomi verso di
sé. Sussulto. Posso sentire il suo respiro tanto siamo vicini e
lo sguardo si posa istintivamente sulle sue labbra.
«Come puoi affrontare
quella gente se non riesci ad affrontare neppure i tuoi sentimenti?!
Sei patetica, Davies. Patetica!», e dopo avermi dato un ultimo
strattone facendomi anche male, sia dentro che fuori, si allontana
calpestando con furia il briccio, lasciandomi da sola alla mia
pateticità, perché anche questa volta, inesorabilmente,
ha ragione.
La sala è gremita di
persone. Gli immensi lampadari illuminano l’ambiente a giorno ed
il chiacchiericcio non è spiacevole. Qualcuno suona il
pianoforte in un angolo, deliziando gli ospiti; qualcun altro li
intrattiene con simpatiche storielle e barzellette. Gli Hopkins sono
una delle famiglie più importanti e generose di New York;
organizzano spesso queste aste di beneficenza a cui vi partecipano
molti uomini e donne dell’alta ma anche della bassa
società. Mentre mi aggiro in questa immensa villa, che sembra
più un castello per lo stile con cui è stata costruita e
le stanze ampie di cui è composta, cerco con lo sguardo Valerie
per dirle che probabilmente la mia stupidità è riuscita a
rovinare qualcosa di bello e che ho praticamente servito Price ad Alice
su un piatto d’argento. Non nego a me stessa che, sotto sotto,
stia cercando anche lui dal momento che mi sento oltremodo spaesata.
Dopo aver salutato gli Hopkins, anche a nome di mia madre, ho pescato
un drink dal vassoio di un cameriere e l’ho scolato tutto in una
volta. Mi sono accorta solo dopo che fosse champagne e anche molto
forte. Forse questa è la serata giusta per fare chiarezza nella
mia vita, la serata giusta per provare ad accettare i sentimenti di cui
parlava Price invece di reprimerli come mio solito. Fino ad ora ho
riconosciuto solo Savannah Matthews, del corso di biologia, Marissa
Prior fasciata di un’incantevole Chanel bianco candido accanto a
Wesley Cooper. Sono stata tentata di chiedere a lui che fine avesse
fatto la mia amica ma poi ho pensato che avrei potuto trovarla da sola
senza problemi e senza contare l’ampiezza di quel luogo.
Un Gucci davvero sprecato, non c’è che dire.
Sbuffo per l’ennesima
volta quando mi imbatto nei soliti uomini di affari che ho visto pochi
minuti prima accorgendomi di star girando in tondo.
«Hai sentito della
scommessa tra Coop e Price sulla Davies?», sento dire da qualcuno
alle mie spalle e per poco non inciampo nel mio stesso vestito.
Sento ridacchiare.
«Sì, avrà pensato subito fosse interessato a lei
perché faceva tutto il carino. Sicuramente le avrà
cucinato qualcosa per colpirla e convincerla. Geniale, no?»
Oh mio Dio. Ora tutto ha un
senso. Le reazioni quando sono entrata in mensa del suo gruppetto,
l’espressione di dispiacere e impotenza di Marissa, lo sguardo
carico di emozioni contrastanti di Price a casa mia l’altra sera
dopo che ho accettato il suo invito.
Devo impedire alle lacrime di sgorgare qui davanti a tutti. Non posso crederci. Avevo ragione! Stupida, stupida, stupida.
Ci deve essere una
spiegazione, Esse. C’è sempre una spiegazione. Sta’
calma, rilassati. Ora lo troverai e gli chiederai di chiarire i tuoi
dubbi, lui negherà e vivrete felici e contenti.
Stavolta, con la vista
appannata e l’orgoglio ferito, vado a finire addosso ad un
cameriere facendogli rovesciare il contenuto del vassoio. Mi scuso
più volte, aiutandolo ad alzarsi perché troppo in
imbarazzo per fare altro. Riesco ad adocchiare Valerie in mezzo alla
pista da ballo insieme a qualcuno che non conosco. Oh, al diavolo!
Mi metto in mezzo per
attirare la sua attenzione e manca poco che qualcuno mi pesti un piede.
Senza dire una parola la trascino via dalla folla per parlarle con
più calma in uno spazio più tranquillo.
«Ehi, ehi, ehi, Esse.
Sapevo che ti sarebbe stato d’incanto questo vestito! Sei
meravigliosa. Aspetta... ma dov’è il tuo bel
cavaliere?», domanda confusa guardandosi attorno.
«Val, mi ha mentito!
Quell’idiota mi ha teso una trappola! Era tutto un gioco per lui,
io ero uno stupido passatempo. Non ero nient’altro che questo.
Una scommessa! Perché l’ha fatto, perché?!»,
urlo come una forsennata, gesticolando. Ed io odio gesticolare.
«Esse, sta’ calma!», mi interrompe Valerie bloccandomi le mani lungo i fianchi.
«Adesso troviamo
insieme quello stronzo e cerchiamo di capirci di più su questa
storia. Ma devi calmarti, okay?! Ci sono anche dei bambini qui, li
spaventerai fuori di testa come sei adesso».
Respiro più volte,
cercando di calmare i battiti accelerati del mio cuore. Capite
perché tendo a nascondere tutti i miei sentimenti? Non portano
niente di buono se non delusioni. Ti oscurano la lucidità, non
ti permettono di agire con logica. Ti devastano.
«Perché tu non
sei stupita, Val? Tu lo sapevi, non è così?!»,
sbraito ancora stizzita, le mani incrociate al petto.
«Certo che no. Cielo,
Sarah, non ti avrei mai permesso di avvicinarti a lui se avessi saputo
questa cosa. Sono tua amica, capisci? Anche se a volte mi comporto da
stronza io ti voglio bene e ti giuro che appena entra nel mio raggio
visivo gli apro in due il culo. E poi riservo lo stesso trattamento a
Coop».
E quindi Valerie mi
abbraccia ed è la prima volta da quando la conosco che fa una
cosa del genere. Lei odia le smancerie. Mi stringe forte e mi sussurra
di rilassarmi mentre qualche lacrima sfugge al mio controllo.
«Ci sono cascata,
Val, è questo che mi fa più male. Lui... sembrava
così sincero...», mormoro con la voce rotta dal pianto.
Qualcuno irrompe
nell’atmosfera, brandendo un microfono ed annunciando che
l’asta sta per avere inizio. Decidiamo di spostarci da lì
e di metterci a cercare l’infame.
Forse è questa la
vendetta di Alice. In fondo, il gruppo delle sue sostenitrici è
molto ampio, forse hanno addirittura mentito riguardo la scommessa,
sapendo che io potessi ascoltare essendo loro dinanzi. E così mi
viene un’illuminazione. E poi trasalgo.
Merda.
«Val, so dove si trova Price. Vieni con me!», esclamo tirandola per una mano facendomi largo in mezzo alla bolgia.
Raggiungiamo in fretta le
scale ed io sono tentata di togliermi i fastidiosi tacchi ma poi
ricordo che sono Louboutin e soprattutto che sono di Valerie e potrei
rovinarle o perderle e continuo la salita con lei al mio fianco.
«Dove stiamo andando? Le stanze solitamente qui su sono sempre chiuse!»
Scuoto la testa, decisa.
«No, fidati, qualcuna deve per forza essere aperta. Price non
può essere scomparso nel nulla da un momento all’altro. Mi
gioco queste scarpe che è con Alice». Parlo troppo in
fretta senza rendermi conto di quello che dico riguardo le sue scarpe.
«Sarah, ti giuro che se non hai ragione ti infilzo con il tacco delle mie scarpe».
Le sorrido bonaria e prendo
a forzare ogni porta. Le prime tre risultano chiuse, come da programma.
Ad un certo punto Val mi chiama dicendo di averne trovata una aperta e
marcio verso di lei a grandi falcate.
Spalanco la porta senza
sé e senza ma e come mi aspettavo vedo due sagome rotolarsi nel
letto e baciarsi piuttosto appassionatamente, con tanto di lingua.
Bleah, che schifo. Sembra si stiano succhiando via i denti. Non
so per cosa sono più disgustata, per il fatto che non si siano
accorti di avere spettatori e continuano alla grande, senza pudore, o
per il fatto che il mio, e sottolineo mio, Price si stia facendo la sua
ex, dopo aver usato me alla stregua di una futile scommessa.
Ci pensa Valerie a
spostarmi dall’uscio con uno strattone e a chiudere la porta alle
nostre spalle. Vorrei accasciarmi a terra e piangere ma questo parquet
sembra troppo prezioso per essere sporcato del mio mascara e quindi mi
trattengo più che posso. Mi limito a sospirare stancamente e ad
appoggiarmi alla ringhiera per riflesso, per non cadere. Forse ho fatto
bene a non approfondire il rapporto più del dovuto con Price.
Sono ancora in tempo per cancellare ogni sentimento, ogni cosa bella
che abbiamo fatto insieme prima che mi venga in mente di dire:
“Sono innamorata di lui”. Cazzo, forse lo sono già.
Incubo. Voglio svegliarmi adesso.
«Ci deve essere una
spiegazione, Esse. Per forza. Quel sedere non mi sembrava di Price,
fidati quando vedo un sedere come il suo, sebbene fasciato da jeans,
non lo dimentico facilmente», prova a sdrammatizzare Valerie ed
io scoppio a ridere.
«Dio, le feste a cui
metto piede sono maledette. Non c’è altra
spiegazione», commento con una vena triste ma convinta alzando
gli occhi al soffitto dipinto a mosaico.
«Ma no, è che
qui non servono tequila. La tequila ti rende migliore la vita, è
un dato di fatto. Lo dice NYMagazine, non io», si stringe nelle
spalle ed io scuoto la testa divertita, ringraziandola mentalmente per
ciò che sta facendo.
«Peccato, quella
testa di cazzo mi piaceva. Sei sempre stata con dei coglioni con poco
cervello e quasi tutti pervertiti, ti meriti qualcuno di buono per una
volta, che ti voglia bene e che ti rispetti soprattutto. Siamo due
ragazze meravigliose e siamo giovani, cazzo, dovremmo divertirci a
questa festa di ricconi, bere, ballare, sborsare altri migliaia di
dollari dal conto di paparino per quest’asta per fare qualche
azione giusta e gratificante! Che ne dici, amica, ci stai?»
Mi sfugge un sorriso alle
sue parole e accetto la sua mano per alzarmi. E insieme ci dirigiamo
dove si sta svolgendo l’asta allorché Valerie fa proprio
ciò che ha detto, offre qualche migliaio di dollari,
direttamente scalati dal conto del suo patrigno ed io non riesco a
trattenere una risata liberatoria quando tutti i presenti si voltano
scioccati verso l’adolescente folle con un patrimonio del genere.
«Sento
l’adrenalina scorrere nelle vene, Esse. È una bella cifra
e mi sento... una persona migliore. Dovresti provare, sai?»
Annuisco distrattamente
perché la mia attenzione è stata catturata da Price in
cima alle scale, in perfetto ordine che mi sta fissando profondamente.
Più distante con la coda dell’occhio scorgo, vicino a Roy
Hopkins, Alice che mi lancia un’occhiata soddisfatta, seguita da
un ampio sorriso. Stronza.
Decido di ignorare entrambi
perché è ciò che si meritano ma Valerie non
è del mio avviso perché, intercettata la mia traiettoria
e l’oggetto della mia distrazione, ringhia qualcosa tra i denti
come: “Lo ammazzo, quel bastardo”.
«Apprezzo il gesto
nobile, Val, ma è una cosa che devo risolvere io. Al massimo gli
trancio il cazzo con delle cesoie. E poi potrai pestarlo a sangue, se
ti va».
«Con
piacere...», conclude lanciando a Price uno sguardo carico
d’odio e raggiungendo Marissa e Coop che stanno chiacchierando ai
divanetti con altri ragazzi.
«Chi ha voglia di un
po’ di Scotch, ragazzi?», la sento esclamare come una matta
alzando le braccia e pescando la fiaschetta segreta dalla borsetta.
Quanto a me faccio cenno
con il capo a Price di raggiungermi in un posto più appartato,
ovvero l’ampia terrazza che ho adocchiato prima nel lato est
della casa.
La tensione è
chiaramente palpabile. Nessuno dei due fiata. Si odono solo i respiri
di entrambi, il mio stranamente calmo e rilassato, il suo più
agitato.
«Senti... mi dispiace
averti lasciata da sola prima. Ero solo nervoso. E lo capisco se non
vuoi più vedermi, sentirmi, parlarmi, mi merito ognuna di queste
cose ma... volevo che sapessi che sono stato uno stronzo. Detto da me
credo faccia più effetto».
Annuisco a
quest’ultima cosa, convenendo a pieno con lui. Ho deciso di non
guardarlo in faccia per niente al mondo, la città vista di qui
è spettacolare.
«Sarah...», continua imperterrito, alzando una mano, probabilmente per posarla sul mio braccio nudo.
«Smettila di
chiamarmi così. Sono Davies per te», lo correggo
puntigliosa con una vena irosa nella voce, scostandomi di proposito.
Non voglio le sue mani addosso dopo ciò che ho visto e sentito.
Aveva invitato me, in fondo, e anche con l’inganno. Almeno poteva
portare a conclusione la scommessa, di qualsiasi scommessa si tratti.
«Ti sto chiedendo scusa», ribatte in tono grave spalancando gli occhi.
«A parte che hai
detto che ti dispiace, che è ben diverso da uno scusa, non mi
importa affatto. Eri, sei e rimarrai un bastardo, Price. Ogni tanto,
prova a farti un esame di coscienza e ricorda che ad ogni causa
corrisponde un effetto», dico atona.
Alza gli occhi al cielo e fa un gemito esasperato. «Ricominciamo da capo. Sul serio?»
Mi mordo il labbro
inferiore e scrollo il capo. «No, ti levo la fatica. Ci ho
provato, ho voluto darti una possibilità ma tu mi hai deluso
irrimediabilmente e profondamente perciò da domani riprendiamo
tranquillamente le nostre vite, senza ulteriori intoppi».
E questo è quanto.
Mi volto su me stessa decisa ad andarmene per sempre e quando
entrerò in casa mi lascerò dietro un fardello di ricordi
oltre che lo stesso Price. I miei tentativi, ciononostante, non vanno a
buon fine perché nuovamente mi cinge un braccio facendomi
tornare di fronte a lui e sbattendo le palpebre più confuso che
mai, continua a parlarmi.
«Che diamine stai
dicendo? Ehi, aspetta, riavvolgi, cosa è successo stasera nel
tempo in cui non ero con te? Mi sembra che tu sia incazzata per altro.
Qualcosa che non ha niente a che fare con la mia sfuriata di inizio
serata. Quindi, ora mi spieghi, che ti piaccia o no, altrimenti non ci
muoveremo di qui».
«Sei una testa di
cazzo, ecco cosa è successo! Vuoi davvero saperlo, eh? Ti
accontento con piacere, Mister Price: ma davvero pensavi che fossi
così stupida e che non sarei venuta a saperlo prima o poi? La
cosa buffa è che io sono andata contro ragione, ho deciso di
fidarmi di te nonostante conoscessi i tuoi trucchetti da dongiovanni
qualificato. Eppure credevo fosse rimasto in te qualche piccolo barlume
del piccolo Price, quello che segretamente mi faceva ridere sebbene le
battute non fossero delle migliori. Mi sbagliavo, pazienza. Vengo qui,
scopro che quello stesso ragazzo che ha fatto tanto il carino con me
l’altra sera a cena mi ha teso un inganno. Spietato anche per te,
credimi. Una scommessa, Price, davvero?! Era tutto una menzogna, una
presa per il culo, tutto un gioco per te, non è vero?!
Be’, ho un messaggio per te, per Alice, per Coop, per chiunque
abbia partecipato a: “Umiliamo allegramente la povera
Sarah”; Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo!», mi sfogo
tempestandolo di pugni sul petto ad ogni parola, le guance rigate dalle
lacrime ormai copiose, il cuore ridotto ad un macigno insopportabile.
Quanto a lui, ad ogni mia lenta parola scuote la testa come per negare
il tutto, cerca di interrompermi e intervenire e adesso ha
un’espressione ferita ma anche colpevole. Impreca una, due,
volte. Maledice Alice, Coop, la scommessa e chi più ne ha
più ne metta. Inizia anche a farmi paura.
«No, Sarah...
lasciami spiegare, ti prego», interviene con la voce tremante,
insicura, quasi spezzata. Tenta anche di fermare i miei colpi ma lo
precedo scostandomi di scatto.
«Non mi importa
più niente, lo capisci? Mi hai fatto male per l’ennesima
volta e hai tradito la mia fiducia e sì...ti odio. Ti odio, hai
capito?! Complimenti, hai vinto, stavo per accettare i miei sentimenti
ma adesso... mi fai schifo, ecco cosa. Stammi alla larga, chiaro? Non
voglio più vederti!»
«Sarah...», una
dolorosa supplica che per un attimo, complice il muscolo posto in alto
a sinistra, mi fa vacillare. I suoi occhi sono spenti, privi di ogni
sicurezza; tenta anche di abbracciarmi mentre io cerco di reprimere
continuamente i singhiozzi. Se sono troppo vulnerabile potrebbe
approfittarne per indorare la pillola.
«Non... non... non
puoi essere così ingiusta. Devi lasciarmi spiegare, me lo
devi», mi sussurra all’orecchio provocandomi una scarica di
brividi dopo essere riuscito ad afferrarmi e a stringermi a sé
anche senza mia consenso e contro ogni mia volontà.
«Lasciami, Price. Non
ti devo un bel niente. Lasciami. Mi fai schifo», singhiozzo
sfinita, abbandonando completamente ogni vano tentativo e sforzo e
appoggiandomi a lui solo per non cadere, causa il tremolio delle mie
gambe. Quasi mi soffoca tanto mi stringe ed io non mi sono mai sentita
così piccola e indifesa come adesso; posa il mento sulla mia
testa e mi accarezza i capelli lentamente. Non so neanche perché
ma rimaniamo in quella posizione per molto tempo.
«Ssh, Sarah, ti
prego, non piangere. Calmati, adesso, mh? Ti giuro che c’è
una valida spiegazione ma ti prego, te lo chiedo con il cuore in mano,
non allontanarmi da te. Non posso perderti, non adesso. Ho bisogno di
te, capisci? Non lasciarmi...», mormora con le iridi luccicanti
di stille, facendo incastrare i nostri occhi e poggiando la sua fronte
contro la mia. Annuisco, tirando su con il naso, iniziando a
sentire le palpebre pesanti. Poggia le labbra su una mia tempia e vi
lascia un lungo, significativo bacio.
Strano come la vita, il
destino, quello in cui credete, qualsiasi forza che muove le nostre
patetiche ed umane esistenze, talvolta si combinino in una sola
essenza, rendendo tutto così imprevedibile, un po’ con un
retrogusto amaro, un po’ con uno dolce; a loro non importa di
nulla e di nessuno, agiscono comunque perché questo è il
loro compito, come il nostro è quello di alzarsi dopo ogni
caduta, che sia molto dolorosa o meno, e riprendere a credere in tutte
queste cose nonostante si siano ritorte contro il più delle
volte. È così che funziona qui, che ci piaccia o no, e
questo e tante altre cose non cambieranno. Mai.
* * *
Se ve lo state chiedendo,
no, io e Price non abbiamo avuto proprio quello che considererei lieto
fine, anzi... tutt’altro. Alla fine sia Valerie che Marissa, dopo
un pigiama party organizzato a casa di quest’ultima, analizzando
tutti i vari fattori, mi hanno incitata a sentire le ragioni di Price,
sebbene mi abbia causato del male. Quanto a me anche se ancora molto
confusa su tutto il fronte, ho deciso, probabilmente in un momento di
masochismo cronico, di affrontarlo una volta per tutte. Dopo
l’episodio sulla terrazza di casa Hopkins l’ho bellamente
evitato, tentando di toglierlo dalla mente con degli scarsi e meschini
risultati. Lui ha provato a contattarmi, a cercarmi anche attraverso
Valerie che ancora cova la sua spietata vendetta, a tal proposito,
sebbene creda, in maniera ridotta, nella sua innocenza. Tuttavia la sua
vita ha preso una svolta anche se non molto bella sul fronte
“Coop” dalla cena di gala. Anche lei ha pensato di
affrontare il suo migliore amico, Wesley Cooper, ribadendogli che oltre
ad essere stato un pessimo amico ha avuto anche una pessima idea e che
causa i suoi sentimenti sempre più vivi nei suoi confronti
avrebbe dovuto allontanarsi per un po’ ma di non prenderla sul
personale. Questo ha fatto sì che lei rafforzasse il legame con
Marissa la quale è venuta a sapere del famoso bacio in quella
famosa notte in cui tutti noi abbiamo fatto le nostre esperienze,
prendendo la cosa con filosofia, passando oltre perché, a detta
sua, “È questo che fanno le amiche: perdonano sempre e
l’amicizia viene sempre prima di qualsiasi ragazzo”. Lei e
Coop sono rimasti buoni amici, però. Quanto a lui le notizie
sono abbastanza scarse e confuse; c’è chi dice si sia
trasferito in Texas, nella sua città natale, in fattoria con i
nonni; qualcun altro pensa si sia semplicemente preso una pausa dalla
scuola conducendo la vita del nullafacente. Eh sì, è
stato perdonato dalla sottoscritta per l’idea idiota che è
riuscita a rovinare quel poco di buono che si era venuto a creare tra
me e Price. E in un certo senso, mentalmente, ancora lo ringrazio. A
rigor di logica se non ci fosse stata la scommessa, io non avrei aperto
gli occhi una buona volta e continuerei a fingere di detestare mentre
provo qualcosa per Nathan Price. Alice Hopkins – ehi, non si era
capito che quella era casa sua? Non preoccupatevi, è stato uno
shock anche per me – è riuscita ad ottenere la sua
vendetta, alla fine, ed è stata l’unica che non si
è scusata, né dispiaciuta anche se ho saputo che è
stata ingaggiata in uno stage di teatro ad Hollywood. Ecco, forse lei
è la prima persona al mondo che nonostante sia stata stronza non
è stata colpita dal karma. Comunque son venuta a sapere dalle
stesse due ragazze che hanno fatto circolare la storia della scommessa
affinché giungesse alle mie orecchie che Alice ha solo voluto
farmi credere che era in quella stanza da letto con Price. Invece era
con un suo amico di famiglia, tale Grant Jenner. Assurdo, non trovate?
Avete visto che ha combinato il karma a me per aver mentito
spudoratamente? Se ci penso adesso mi viene semplicemente da ridere a
crepapelle. Ed è così che arriviamo alla causa del mio
attuale mal di cuore. Dopo settimane di kleenex fradici, sono giunta
alla conclusione che – no, non prendetemi per una frignona, sono
solo umana – quella testa di cazzo, quell’idiota e anche
noioso di Nathan Price, giochetti a parte, con quel suo semplice
sorriso strafottente è riuscito a conquistarmi. Ebbene
sì, ho raggiunto – cori entusiasti – la
verità assoluta ovvero che...
sono fottutamente
innamorata di Nathan Price. Dei suoi profondi, luminosi occhi blu, del
suo modo di passarsi la mano tra i capelli per spettinarli, del suo
sorriso sarcastico e/o spesso malizioso, della sua roca risata, del suo
modo di punzecchiarmi e del suo modo di farmi uscire fuori di testa
anche con una semplice parola, dei suoi abbracci stritolanti, della sua
dolcezza celata dietro anni e anni di conquiste, del modo in cui mi
dà colpetti sul naso e poi sorride dopo un mio sorriso; eh
sì, sono innamorata anche della sua strabiliante cucina. E poi,
be’, potrei stare qui ad elencare milioni di difetti e pregi che
mi hanno condotta ad amarlo ma non vorrei annoiarvi perché so
che morite dalla voglia di scoprire come sono andate le cose tra di noi
e forse qualcuno già se lo immagina ma ve l’ho già
detto che insieme creiamo il binomio perfetto
dell’imprevedibilità?
Abbiamo scelto, di comune
accordo, di vederci a casa sua, che non dista molto dalla mia. Non so
cosa succederà, sapete, perché non ci parlo dalla sera
del ballo di gala, quando mi sono espressa con milioni di insulti alla
sua persona, picchiandolo anche. Non so come se la stia passando; mi
è capitato qualche volta di incontrarlo per i corridoi
scolastici ma prontamente, svoltavo dal lato opposto pur di non avere
un confronto diretto con lui. Molte volte mi sono ritrovata ad
arrossire come una bambina alla sua prima cotta alla sua vista dei suoi
pettorali nudi baciati dal sole caldo primaverile mentre si allenava in
palestra. Ehi, non sono una guardona, chiaro? Lui era lì, io
anche e l’occhio è andato per i fatti suoi.
Non sono mai stata
così in ansia o nervosa come oggi, nemmeno si avvicina a quando
la volta in cui l’ho aspettato a casa mia la prima sera che ci
siamo visti, il mio attuale disagio.
Ho avanzato e ritratto il
dito per suonare una decina di volte in due minuti; alla fine mi son
fatta forza e l’ho fatto trillare.
Poi ho pensato di
battermela finché fossi stata in tempo ma ho un tempismo che fa
schifo e mentre sto indietreggiando la porta viene spalancata di scatto
facendomi sobbalzare dallo spavento. Price se ne sta lì, le
braccia muscolose e toniche conserte, una T-shirt bianca attillata e un
po’ macchiata, dei pantaloni della tuta grigia e la guancia
sporca di grasso, i capelli naturalmente lo immaginate, no? Oh, e di
diverso dall’ultima volta che ci siamo realmente guardati negli
occhi ha della barbetta incolta ma comunque capace di donargli un
aspetto impeccabile.
«Davies!», esclama chiaramente stupito di vedermi. Pensava davvero che non sarei andata? Ma per chi mi ha presa?
Serro le labbra, dondolando sui piedi e facendo un cenno nella sua direzione.
«Ehi, Price... ti
vedo bene. Un po’ impresentabile ma, fidati, ho visto di
peggio», scherzo arricciando leggermente il naso.
«Vieni, entra.
C’è del disordine ma mamma è in Texas da Gina e
Eustace e papà... be’, lo sai come siamo noi uomini,
no?», mi spiega alzando in quel suo modo sexy il sopracciglio,
invitandomi quindi ad entrare.
Non c’è
proprio niente da fare. Risulterò sempre una patetca imbranata
con lui, qualsiasi sia la circostanza che ci ritrae. Ecco, in questo
caso per poco non mi sono sfracellata contro il pavimento
nell’intento di superare il gradino che separa il pianerottolo e
l’uscio di casa. Fortuna che mi abbia presa in tempo, scuotendo
simultaneamente e teatralmente la testa per il mio essere così
impedita.
«Ce la farai prima o
poi a non cadere in mia presenza, Davies? So di farti un certo effetto
ma... contieniti», mi canzona ilare scompigliandomi i capelli con
un rapido gesto.
«E tu ce la farai a
non mettermi in disordine i capelli? Mi va bene che lo fai ai tuoi,
sebbene sia snervante a volte, ma i miei non si toccano a
prescindere», replico, tentando di risistemarli.
Nathan, che è rimasto appoggiato al muro nella stessa posizione di prima mi osserva divertito.
«A te piace quando lo faccio, non negarlo, piccola», mi contraddice, per il gusto di farlo, immagino.
Ecco. Lo sapevo! A cuccia,
farfalline del cazzo, non è il momento. Dovrei essere incazzata
e non con l’espressione innamorata per ogni sua mossa.
«Sei
impossibile», commento dando un’occhiata veloce agli
interni. Non vi entravo da quando eravamo piccoli e non è
cambiata di una virgola, se non per qualche quadro nuovo, probabilmente
dipinti da sua madre.
«Mi sei mancata,
sai?», mi confessa stroncando il silenzio venutosi a creare.
Guarda il pavimento e si morde il labbro, a disagio.
«Già, anche a
me», gli confido, strizzandogli l’occhio. Non voglio che si
crei imbarazzo tra di noi. Non adesso, almeno.
«Se non ti dispiace
mi farei una doccia prima. È che stavo cercando di mettere a
nuovo la...» – si incupisce, poi sospira –
«...la Mustang del nonno».
Mi si illuminano gli occhi all’improvviso.
«Chris! Dio, se mi
manca quel vecchio. Ti ricordi che odiava che tu lo chiamassi nonno? Ti
ripeteva sempre: “Giovanotto, io sono signore per te”,
cerco di modulare la sua voce facendolo scoppiare a ridere.
«Caspita, è
vero! E no, non mi sembra parlasse così, nonno Chris. Era molto
più burbero di come si intende dalla tua imitazione».
«Ma che dici? Mi
adorava, ero la sua preferita. Mi diceva segretamente che solo io
potevo chiamarlo nonno, che sarei stata l’unica a metterti la
testa a posto. E in più si schierava dalla mia parte quando
mamma voleva che restassi qui contro la mia voglia, quando desideravo
giocare con Denise piuttosto che te. E tu ti arrabbiavi, sempre».
Spalanca gli occhi.
«Certo che mi arrabbiavo! Tutti preferivano te a me. Persino io.
Ma tu preferivi Denise e Tommy e quindi fingevo di avercela con
te».
«Lo so, Nathan. Chi
credi mi abbia fatto cambiare idea nei tuoi riguardi alle medie? Tu,
testa di cazzo, proprio tu. A quel punto eri tu a non accorgerti di me
e quindi facevo lo stesso, ti ignoravo».
Scoppia a ridere di gusto.
«Tu... tu mi ignoravi di proposito? Sul serio? Abbiamo un innato
senso dell’arguzia, non c’è che dire».
«Già. Ora le
cose sono come alle medie, vedi? Tu sei la testa di cazzo, io quella
che soffre come un cane tentando di
ignorarti. E sai cosa
succede quando ci provo? Tu ti insinui nei miei pensieri, mi appari nei
sogni e non mi dai un attimo di tregua, così ho provato ad
accettarti nella mia vita seppur come pensiero involontario. Carino,
non trovi?», chiedo retorica.
«Facciamo
così, Blake Lively, dammi solo cinque minuti e sono tutto tuo.
Raggiungimi sul tetto», mi istruisce salendo le scale a due, a
due senza lasciarmi tempo di replicare alcunché.
Aspettate... avete capito
anche voi, giusto? Ha detto... tetto? È uno scherzo o cosa? Alzo
gli occhi al cielo decidendo di assecondarlo solo per vedere cosa ha in
mente. Vedete? Imprevedibile! Proprio come vi dicevo.
Sembra di essere tornati
alle origini. Ha scelto il tetto proprio perché lì
è iniziata la nostra, seppur breve, ‘avventura’,
ovvero si è accorto che esisto? Chi lo sa...
Stavolta manca la vodka, il vestito perfetto e l’atmosfera invernale. La primavera è alle porte.
Price arriva dopo cinque
minuti esatti di orologio, pulito e profumato con una nuova tuta. Mi
sorride sedendosi accanto a me, piegando le gambe e poggiandovi sopra
gli avambracci.
«Bene, Davies, siamo
di nuovo qui. Su un tetto. Non lo stesso, peccato, ma pur sempre un
tetto. Qui è dove tutto è iniziato no? Quindi è un
buon punto per ricominciare con il piede giusto», afferma
saggiamente compiendo con le mani dei gesti. Ho notato che gesticola
molto.
«Parliamo della
famosa scommessa e del perché tu ti sia avvicinato realmente a
me», incalzo io arrivando subito al dunque.
«Okay, bene», conviene annuendo e passandosi la lingua tra le labbra.
«Ehi, aspetta, dobbiamo fare una cosa prima», lo fermo alzando una mano e lui mi fissa perplesso.
«Copia me, dai. Io,
Sarah Davies, giuro solennemente di dire la verità e
nient'altro che la verità qualora mi venisse chiesto
qualcosa», cito solennemente, un palmo rivolto verso di lui. Lui
che si sta trattenendo dallo scoppiare a ridere. Gli do uno schiaffo
sul braccio.
«Fingi di prendere
sul serio questa cosa, almeno. Ti prego», mormoro, sporgendo in
fuori in labbro. Si passa una mano sul viso e geme disperato.
«Se fai così risvegli in me i normali istinti degli adolescenti. Evita».
«Dai, per favore».
«Okay», chiude
gli occhi e mi imita. «Io, Nathan Price, sotto ordine di Sarah
Davies, giuro solennemente di dire la verità e nient’altro
che la verità qualora mi venisse chiesto qualcosa. Sono andato
bene, signor giudice?»
«Oh, sì,
egregiamente. Forza, sono tutta orecchie», lo incito sorridendo.
Lui inizia a torturarsi le mani, evidentemente nervoso.
«Dannazione, da dove comincio?», borbotta tra sé scuotendo la testa.
«Proverò dal principio, d’accordo?». Gli faccio un cenno del mento per incitarlo a continuare.
«Il fatto è
che... mi serviva un incentivo. Ti spiego meglio: la sera in cui ti ho
trovata da sola sul tetto di casa di Coop ero un po’ schizzato
per via del tradimento di Alice e così ho riversato tutta la mia
ira su di te, in un modo o nell’altro. Poi, è successo
l’inaspettato. È stata colpa mia forse se tu hai perso
l’equilibrio e sei scivolata, era il mio compito proteggerti!
L’ho promesso a nonno Chris in punto di morte, è stata la
sua ultima richiesta. Per tutto questo tempo non ho fatto altro che
vegliare su di te. Sì, ho iniziato a seguirti quando uscivi con
i ragazzi ed intervenivo facendoli andare via mentre tu con una scusa
ti rifugiavi in bagno. Senza offesa, ma te li sei scelti proprio tutti
vermi pervertiti».
«Che cosa?! Tu mi hai
spiato? Hai idea di quanto sia da stalker questa cosa?», scatto
schiudendo le labbra per la sorpresa.
«Lo so, Sarah ma era l’unico modo e poi... avanti, ti ho fatto solo un favore».
Alzo gli occhi al cielo,
sebbene questa confessione mi abbia lasciata allibita. Chiudo gli occhi
e agito una mano. «Okay, lasciamo perdere. Continua».
«Dicevo... è
vero, a scuola ti ho reso la vita un inferno e di questo me ne dispiace
un casino ma dovevo trovare il modo di continuare a proteggerti senza
che tu lo venissi a sapere, come se fossi una presenza costante ma
invisibile. Non potevo permetterti di avvicinarti a me, avrei mancato
fede ad un’altra promessa, forse quella più importante,
ovvero quella di non innamorarmi di te. Più passava il tempo,
più ti tenevo d’occhio, più capivo che fossi una
ragazza splendida sotto ogni punto di vista. Avevo bisogno di distrarmi
in qualche modo da te e così mi sono messo con Alice. Con il
tempo ho imparato ad apprezzarla, a volerle bene nonostante le sue
manie di protagonismo e una volta scoperto che se la faceva con Jake,
mi è crollato sul serio il mondo addosso. Poi ho visto te
lì sopra, sul cornicione ed ho pensato volessi ammazzarti in un
primo tempo; senza contare che non ti avevo neanche riconosciuta
subito. Quando entrambi ci siamo accorti l’uno dell’altra
tu hai iniziato a metterti sulla difensiva, come tuo solito, a
sbraitarmi contro e nell’attimo in cui sei scivolata ed eri ad un
passo dalla morte, si è acceso qualcosa in me, qualcosa che ero
riuscito a sopprimere fino a quel momento. Ho temuto di perderti per
sempre, Sarah... è stato il momento più brutto della mia
vita quando ho visto il terrore nei tuoi occhi e quando sei caduta tra
le mie braccia non ho resistito a stringerti forte desiderando di non
lasciarti mai più. Tuttavia non potevo avvicinarmi a te come se
niente fosse, dopotutto ti avevo trattato come se non contassi niente
per tutta la vita. Era tutto fottutamente sbagliato. Era stato un
errore.
E così, da perfetto
codardo, ho accettato quando Coop mi ha proposto quella che è
passata come una ‘scommessa’ ma che in realtà era
solo questo: un incentivo; un qualcosa che mi spingesse a portare a
termine il mio scopo, sebbene causarti del male mi logorava dentro. Il
piano era che tu ti saresti dovuta innamorare di me alla fine
così tanto che appena avessi scoperto della scommessa avresti
preso ad odiarmi e ad allontanarmi perché io da solo non
riuscivo a trovare il coraggio di starti a distanza.
Ma ha sortito
l’effetto opposto. Ogni momento che passavo con te desideravo non
fosse l’ultimo; ho dovuto ricorrere ad ogni mezzo per poter
passare del tempo insieme. E poi... quando mi sono accorto di essere
fregato ho deciso di cambiare tutto e di trovare il momento opportuno
per parlarti di questa cosa ma Alice si è messa in mezzo ed
è... andato tutto a puttane. Mi dispiace così tanto,
Sarah. Ho fallito. Tu hai finito per odiarmi come speravo
all’inizio ma mi sono reso conto, quando ormai era troppo tardi,
che non avrei potuto sopportare una cosa del genere perché
ero... mi sono innamorato, come un idiota e anche un po’ noioso,
di te».
Quando termina il racconto,
ho le lacrime agli occhi e non ci vuole un genio per capire
perché. Sebbene non sia la migliore delle dichiarazioni, Nathan
è stato sincero. E questo mi basta. Tutti i tasselli vanno, in
questo modo, al loro posto, creando su per giù un bel puzzle, o
per meglio dire... un enigma proprio come quel cretino che mi sta
accanto. Se sono ancora arrabbiata? Certo! Voi non lo sareste dopo una
confessione del genere? Si è talmente incasinato che ha reso
tutto più difficile, per me, per lui, per noi. Se
c’è una cosa su cui sbaglia, però, è che io
non lo odio, non l’ho mai fatto e mai lo farò e anche se
inizialmente mi ha fatto male sapere che il nostro avvicinamento era
frutto di un gioco per lui sono arrivata alla conclusione che non ne
vale la pena; sforzarsi di odiare qualcuno? È molto più
complicato di sforzarsi di amarlo.
Gli cingo la schiena con un braccio e appoggio la testa sulla sua spalla.
«Dio, Price, sei proprio un coglione!», sussurro tra le lacrime, il volto spalmato contro di lui.
«Mi odi, non è vero?»
«Forse. Chi
può dirlo?», mormoro sarcastica, per poi specificare:
«Idiota! Ma se ti odiassi starei qui abbarbicata contro di te a
questo modo?»
Scorgo un mezzo sorriso
storcergli le labbra. Poi lo sento sospirare e chiedere:
«Sarah... quindi... sono perdonato?»
«Ti avevo già perdonato quella sera!», rispondo scoppiando a ridere per la sua reazione.
Sbianca visibilmente e mi
fissa confuso, costringendomi a spostarmi da quella posizione.
«Cazzo, ma sei proprio una stronza! Ed io... perché mi hai
fatto dire tutte queste cose allora?»
Mi stringo con nonchalance
nelle spalle. «Dovevo vendicarmi in qualche modo, no? Ci sono
stata molto male, in fondo».
Serra immediatamente la
mascella ed il mio cuore ha un sussulto. Dio, mi sto rincretinendo.
È solo un muscolo che è guizzato sulla sua guancia. In
modo stramaledettamente sexy, ma pur sempre un semplice muscolo di cui
siamo dotati tutti. Penso che sia arrivato il momento, anche per me, di
essere sincera con lui.
«Ehm...
Nathan?», bisbiglio nervosa, mordendomi con forza il labbro. Cosa
posso dirgli? “Sai, anche io non sono una santa perché ti
ho detto un mucchio di balle continue. Oh, a proposito, sai che non
esiste nessun Grant? Non so perché abbia mentito, non lo so
proprio”.
«Cosa?». Si
volta quanto basta per fissarmi e solo ora mi accorgo che siamo troppo
vicini, sopra il metro convenzionale della distanza di un bacio e...
lui mi sta deconcentrando oscillando dai miei occhi alle mie labbra.
Deglutisco.
«Io...uhm...
be’... abbiamo fatto quella sottospecie di giuramento quindi mi
tocca», lo avviso, balbettando a tratti, sbattendo le palpebre
come se mi fosse entrato qualcosa dentro agli occhi.
Mi gratto la nuca,
socchiudendo un occhio e storcendo le labbra in una smorfia. Ciò
fa insospettire Price che aggrotta la fronte, il volto imperscrutabile.
«Ti... ti ricordi di
Grant, il mio ragazzo?», domando giocherellando con le dita ed
evitando tatticamente di fissargli quelle pozze profonde blu.
Annuisce serio dopo aver roteato gli occhi.
«Ehm... ecco vedi, in
un attimo di black-out, la mia mente potrebbe averlo semplicemente...
inventato». Strizzo gli occhi aspettandomi la sua imminente
incazzatura invece sorride. Ed intendo, a trentadue candidi denti e poi
si mette a ridere piegandosi in due.
«Perché... come... perché diavolo stai ridendo?», boccheggio a corto di parole e confusa al massimo.
«Ma ti pare che non
l’avessi capito? Senza offesa, Esse, ma sei una pessima
bugiarda», afferma gongolante mentre mi rifila il solito buffetto
sulla guancia.
«Oh, be’, e perché allora non mi hai smascherata subito?», ribatto alzando il mento indispettita.
«Perché eri troppo divertente quando ti innervosivi per le mie continue domande, semplice».
Mi passo le mani sul volto,
scuotendo la testa, un po’ divertita. Incredibile. Ed io che
pensavo di essere diventata un’attrice nata. Metto il broncio e
mi lascio andare di nuovo con la testa su di lui e dopo questo scambio
di battute rimaniamo in silenzio per un tempo che sembra infinito, in
sottofondo solo i nostri respiri tranquilli ed il mio orecchio
all’altezza del suo cuore che batte frenetico.
«Sarah?», mi richiama dolcemente, carezzandomi i capelli.
«Mh?»
«Ricordi quella sera sul tetto di Coop?»
«Come dimenticarla... mi sono quasi ammazzata».
Sorride. «Già.
Ricordi che ti ho chiesto un bacio come pegno per averti dato il
cappotto? Ho deciso di reclamarlo adesso».
Ridacchio ilare. «Ah, sì?»
«Eh sì».
«Be’, se
è così...», mi alzo quanto basta per posare le mie
labbra sulla sua guancia stampandogli un lungo bacio, poi sorrido
angelicamente tornando nella posizione di prima.
«Cosa? Stai scherzando? Neanche i bambini baciano così! Andiamo, Davies...»
«Non vuoi sapere cosa segna quel bacio, Price?»
Fa su e giù con le sopracciglia. «Fammi indovinare... la tua infantilità e a tratti ingenuità?»
Lo guardo di traverso per l’ultima volta. «Un inizio, Price, è un inizio».
The End
A Tessa’s Tale
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