III
Quando
Sasuke tornò all'appartamento dei suoi genitori, trovò
sua madre e Itachi nel salotto, stranamente silenziosi.
Percepì
subito che fosse accaduto qualcos'altro e si preparò
mentalmente a ricevere l'ennesima brutta notizia.
«
Dove sei stato? » gli chiese la madre.
«
All'università. » rispose con sincerità: dopo ciò
che aveva scoperto avrebbe dovuto dirglielo comunque.
«
Sei stato da quella donna. » affermò Itachi, che non
sembrava sorpreso affatto.
Sasuke
annuì e respirò a fondo, preparandosi a spiegare loro
come stessero davvero le cose, o meglio esporgli la sua visione.
«
Lei non era l'amante di papà. » dichiarò,
convinto, attirando l'attenzione di sua madre che fino a quel momento
non lo aveva degnato di uno sguardo.
Gli
raccontò della conversazione avuta con lei a pranzo, fin nei
minimi dettagli, e della borsa di studio, che come lui aveva
ipotizzato, non era mai esistita, e che era stato, quindi, suo padre
a mantenere Sakura agli studi, a pagarle l'appartamento e a donarle
dei soldi mensili per farle vivere una vita decorosa, spiegando così
dove fossero finiti quei soldi che periodicamente venivano versati
sul conto corrente della ragazza.
«
Perché avrebbe dovuto fare tutto questo per una sconosciuta? »
chiese Itachi, sorpreso. « E per quale motivo non ci ha mai
detto niente? Ma soprattutto lei lo sa? » aggiunse,
concitatamente.
«
Lei non può saperlo. » lo interruppe la madre « Il
conto corrente da cui partivano i bonifici non è intestato a
lui, ma a un'associazione di cui lui è presidente. » gli
comunicò prima di scuotere la testa, affranta.
«
Sakura deve aver pensato che la sua borsa di studio venisse da
quell'associazione. » ipotizzò Sasuke.
«
Sì, ma perché? » insistette Itachi.
«
Credo che Sakura sia nostra sorella. » dichiarò, tutto
d'un fiato, lasciando i presenti a bocca aperta.
Sul
salotto calò un opprimente silenzio. Sasuke fece saettare lo
sguardo da suo fratello a sua madre svariate volte, in attesa che uno
di loro dicesse qualcosa.
«
Chi era mio marito? » esclamò sua madre, infine,
portando entrambe le mani al volto.
«
Come fai ad affermare una cosa così grave? » chiese
Itachi « Ammetto che da quello che ci ha raccontato le
coincidenze non manchino, ma insomma, è impossibile che nostro
padre abbia nascosto per ventinove anni di avere una figlia
illegittima! » aggiunse per poi avvicinarsi a sua madre e
posarle una mano sulla schiena per confortarla.
«
Le coincidenze non esistono. » replicò Sasuke,
sentendosi quasi in colpa per aver inferto quel duro colpo a sua
madre « Questi sono fatti, Itachi! » ringhiò,
subito dopo, stringendo i pugni: non faceva piacere neanche a lui, ma
non poteva farci niente se le cose stavano così.
«
Anche i fatti possono essere confutati, lo so per certo, lo faccio di
mestiere. » ribatté prontamente il fratello « In
ogni caso, questa mattina ha chiamato Shikaku Nara, il notaio di
nostro padre, dicendo di avere bisogno di parlarci con urgenza. Forse
lui ne sa più di noi. »
gli
comunicò subito dopo, invitando sua madre ad alzarsi.
«
E mi parli di coincidenze? » lo canzonò Sasuke,
ricevendo come risposta uno sguardo glaciale che lo persuase a
desistere.
Dopo
la tumulazione, avvenuta con uno spirito ben poco contrito da parte
dei congiunti del defunto, incapaci di provare nient'altro che
biasimo per quell'uomo che veniva sigillato all'interno di un'anonima
nicchia di una cappella privata con una pila di mattoni e
calcestruzzo.
Non
un fiore, non una candela, i suoi congiunti non avevano portato nulla
per lui se non domande a cui non avrebbe mai potuto rispondere.
Si
recarono in assoluto silenzio presso lo studio del notaio, evitando
di toccare ancora quell'argomento scottante.
Shikaku
Nara li aveva accolti con affetto, non essendo solo il loro notaio di
fiducia, ma anche un amico di vecchia data.
Li
fece accomodare nel suo studio, arredato con raffinatezza, e cominciò
subito a spiegargli il motivo per il quale era stato costretto a
convocarli: Fugaku aveva fatto testamento pochi giorni prima di
morire.
Sasuke,
Itachi e sua madre rimasero molto sorpresi nell'apprendere la
notizia, quasi terrorizzati all'idea di cosa avesse potuto spingere
l'uomo a fare testamento date le ultime novità.
Shikaku
iniziò a leggere il testo riportato sull'atto, sorvolando sui
punti meno salienti e arrivando dritto al punto.
Sasuke
chiuse gli occhi udendo proferire dalle sue labbra le parole '' fondo
fiduciario '' e '' associazione '' , realizzando che suo padre negli
ultimi ventinove anni avesse pensato più al bene di Sakura che
al suo nel medesimo arco temporale.
Provò
una sorta di invidia, di gelosia, nei confronti della ragazza che
aveva avuto, in fondo, ciò che lui aveva anelato per tutta la
vita: l'attenzione di suo padre.
«
Pertanto la mia volontà è che mio figlio, Sasuke
Uchiha, amministri il fondo fiduciario in oggetto, continuando così
la mia opera di mecenate. » lesse Shikaku, solennemente.
''
Prima l'esecuzione e poi il verdetto, a quanto pare. '' osservò
Sasuke, sinceramente contrariato dal fatto che suo padre avesse
scelto proprio lui per quell'ingrato compito, quando Itachi sarebbe
stato più appropriato e competente per assolverlo.
«
Domani, Sasuke, ti aspettano in banca per cambiare le firme e
consegnarti i documenti. » aggiunse il notaio, richiudendo la
pratica.
«
Sa qualcosa in più rispetto a noi su questa faccenda? »
domandò Itachi a quel punto.
«
C'è il segreto professionale come ben sai, Itachi. » gli
ricordò Shikaku « Ciò nonostante, da amico, posso
dirvi che Fugaku ha agito in questo modo per una più che
nobile causa. » dichiarò subito dopo, riuscendo in
qualche modo a farli sentire sollevati, pur non dissipando i loro
dubbi.
Un
volta tornati a casa, Mikoto si richiuse nella sua stanza e i due
fratelli rimasero soli nel salotto. Ancora frastornati e con la testa
piena di pensieri rimasero seduti, in silenzio, sulle poltrone di
velluto bordeaux per alcuni minuti, fissando con insistenza il vuoto.
«
Che hai intenzione di fare adesso? Hai deciso di ripartire, di
restare? »
Itachi
ruppe il silenzio per sincerarsi delle intenzioni del fratello, certo
che non vedesse l'ora di ritornare a Sidney.
Sasuke
respirò a fondo prima di rispondergli, incrociò le mai
davanti al viso, poggiando i gomiti sui braccioli della poltrona e
chiuse gli occhi: la tentazione di andare via era forte, ma ancor di
più il desiderio di vedere dove l'avrebbe portato quella
storia.
«
Credo che mi fermerò qualche giorno per valutare il mio
investimento. » gli rispose, poggiando la testa contro lo
schienale della poltrona, avendo come la sensazione che quest'ultima
potesse inghiottirlo da un momento all'altro: era stanco, confuso e
stranamente agitato. Il confine, di per sé già sottile,
tra menzogna e verità, era diventato invisibile, tutte le sue
certezze nel giro di quarantotto ore si erano sgretolate una ad una
e, come se non bastasse, adesso era anche responsabile del benessere
di un'altra persona. L'eredità che suo padre gli aveva
lasciato era un peso che non era certo di poter sopportare. In
pratica lo aveva messo di fronte a un fatto compiuto, senza dargli
la possibilità di scegliere – un atteggiamento tipico di
suo padre.
«
Hai intenzione di continuare a fare beneficenza a quella ragazza o ti
prenderai cura di lei come ha fatto nostro padre? » incalzò
Itachi, che nel momento in cui Shikaku aveva fatto il nome di Sasuke
aveva provato dapprima un egoistico sollievo e in seguito apprensione
nei confronti di suo fratello, sicuramente meno adatto di lui a
ricoprire il ruolo di '' tutore ''.
«
Non sappiamo neanche se sia davvero nostra sorella. » gli
ricordò Sasuke « E comunque non ho intenzione di fare
altro che rimanere nell'ombra, come ha fatto nostro padre, e
continuare a erogarle la paghetta. »
Detto
questo, tirò fuori dalla tasca l'orologio di suo nonno e
iniziò a fissare la lancetta dei secondi che procedeva sul
quadrante di madreperla. Sorrise constatando che, come sempre, il
tempo fosse l'unica vera e incontrovertibile certezza che un uomo
potesse avere. Seguì la lancetta dei secondi fino a che quella
dei minuti non scattò e notò qualcosa sul palmo della
sua mano, in corrispondenza delle ore dodici, qualcosa che aveva
dimenticato di avere e che non era più molto chiaro a causa
del nervosismo provato nello studio del notaio che gli aveva fatto
sudare le mani.
Passò
l'orologio da una mano all'altra e avvicinò il palmo stinto al
viso, tentando di interpretare quei segni confusi.
«
Prendiamo una pizza? » gli propose Itachi.
«
No. » mormorò Sasuke, distrattamente « Devo andare
a una festa. » aggiunse, dopo aver decriptato il codice.
«
Non dirmi che l'aria di Parigi ti ha fatto tornare la voglia di
trasgredire alle regole? Pensavo che avessi superato questa fase. »
commentò, sarcastico, il fratello con un sorrisetto fin troppo
divertito per i suoi gusti.
«
Controllo solo il mio investimento. » replicò Sasuke,
caustico.
«
Esci con lei? » esclamò Itachi, non celando la sua
sorpresa.
«
Controllo solo il mio investimento. » cantilenò l'altro,
lasciandolo il salotto.
Si
chiuse la porta della sua camera alle spalle e aprì il
cassetto del comodino dove aveva riposto il cellulare. Nessuno lo
aveva cercato, ma c'era da aspettarselo: a Sidney non era riuscito a
legarsi a nessuno in particolare, rifuggiva la compagnia dei suoi
colleghi e le poche storie sentimentali che aveva avuto erano durate
il tempo di una notte o poco più.
Si
mise a sedere sul letto, poggiando l'orologio sul cuscino, e digitò
un breve messaggio: '' A che ora e dove. Sasuke. ''
Riguardò
per un attimo il palmo della mano, componendo sulla tastiera il
numero e lo inviò, sentendo una scarica di adrenalina
attraversargli il corpo dalla testa ai piedi.
Attese
qualche secondo, facendo saettare lo sguardo dal cellulare
all'orologio. Dopo alcuni minuti, non ottenendo risposta, iniziò
a sentirsi un povero idiota. Dopo un quarto d'ora, in cui aveva
preferito non muoversi da quella posizione, decretò che
potesse bastare e che se ne sarebbe fatto una ragione: dopotutto non
aveva neanche voglia di andare a quella stupida festa con quella
noiosa ragazza che non faceva altro che dire cose senza senso.
Posò
il cellulare sul comodino e si apprestò a tornare in salotto
per chiedere a suo fratello se l'offerta della pizza fosse ancora
valida. Impugnò la maniglia della porta e, in quel preciso
istante, il cellulare vibrò.
Pervaso
da una strana euforia, impugnò il cellulare e lesse il
messaggio, ritrovandosi inconsapevolmente a sorridere.
''
Ci vediamo alla brasserie dove abbiamo pranzato oggi alle nove in
punto. '' recitava il messaggio e Sasuke trovò abbastanza
divertente che lei si fosse raccomandata circa la puntualità:
come minimo lui sarebbe arrivato con un quarto d'ora di anticipo e
sarebbe stato costretto ad aspettarla per una buona mezz'ora.
''
Ok. '' le rispose.
Alle
sette e mezza Sasuke si presentò al cospetto di suo fratello,
che alla fine aveva comunque deciso di ordinare una pizza, con
indosso un paio di pantaloni di lino bianchi, una camicia azzurra e
una giacca della medesima stoffa e colore dei pantaloni.
Itachi
lo squadrò da capo a piedi, accantonando per un momento la
pizza.
«
Tu sembles un poissard. » decretò, arricciando il naso.
«
E perché sembrerei uno sfigato? » chiese, guardando
verso il basso, non riuscendo a trovare nulla nel suo abbigliamento
che non andasse.
«
Vai a prendere un tè con i biscottini a Versailles? »
commentò Itachi, ironico.
Sasuke
alzò un sopracciglio, contrariato: a Sidney nessuno si era mai
lamentato del suo abbigliamento.
Il
fratello prese un tovagliolo di carta e si pulì bene le mani e
le labbra.
«
Seguimi. » gli ordinò subito dopo, entrando nella sua
stanza.
«
Mamma deve aver conservato alcuni dei tuoi vestiti, di solito non
butta mai niente. » disse, aprendo l'armadio.
«
Me ne sono accorto. » replicò Sasuke con tagliente
sarcasmo.
«
Toh! Eccoli qui! » esclamò Itachi, tirando fuori da un
cassetto una maglia consunta dei Rolling Stones.
«
Non pensarci neanche. » lo minacciò l'altro,
indietreggiando di qualche passo.
«
Ok, i Rolling Stones forse sono un po' esagerati, ma sicuramente
troveremo qualcosa di decente. »
«
Itachi, quella roba la indossavo quando avevo diciotto anni! »
ringhiò Sasuke che proprio non vedeva la necessità di
doversi cambiare.
«
Sì, ed eri anche più simpatico all'epoca. »
♦
Nove
e tre quarti.
Come
volevasi dimostrare Sakura era in ritardo.
Sasuke
era rimasto fermo davanti alla brasserie come uno stupido, vestito da
stupido. Nel cassetto, infatti, Itachi aveva scovato un paio di
jeans strappati e un'anonima camicia bianca e dopo aver constatato
che dopo tutti quegli anni gli calzassero ancora a pennello, lo aveva
costretto a indossarli, aggiungendo un '' Trés chic. '' che
gli aveva fatto accapponare la pelle.
Era
riuscito finanche a scovare in soffitta un paio di vecchie sneakers,
ritenendo che i suoi mocassini si sposassero poco con
quell'abbigliamento.
Il
suo nuovo, vecchio, stile, aveva riscosso un grande successo, tant'è
che sulla metropolitana era stato abbordato un paio di volte –
proprio come i vecchi tempi – e si era ritrovato a maledire suo
fratello per quella malsana idea: odiava sentirsi osservato e, ancor
di più, essere abbordato.
«
Scusa, scusa, scusa! » sentì urlare dall'angolo della
strada.
La
vide correre verso di lui e qualcosa nel petto prese a battergli
forte.
«
Perdonami! » ripeté la ragazza, fermandosi a pochi
centimetri da lui « Quella stupida macchina non ne voleva
sapere di mettersi in moto. »
Stava
chiaramente mentendo, ma Sasuke decise di passarci sopra.
«
Non importa. »
«
Caspita, stai benissimo! » esclamò Sakura, con una
spontaneità disarmante, notando il drastico cambiamento.
«
Grazie. Anche tu. » replicò Sasuke che al contrario
pronunciò quelle parole in modo forzato, disabituato a
elargire complimenti, ma soprattutto a riceverne di così
spudorati.
Realizzò
che quando si trovava in compagnia di quella ragazza era come se il
mondo prendesse a girare al contrario. Riusciva a disarmarlo in mille
e più modi, non era in grado di prevedere le sue mosse e
questo, se da un lato lo eccitava, dall'altro lo terrorizzava.
«
Andiamo? »
♦
Come
previsto da Itachi, la serata non fu affatto a base di tè e
biscottini. In quell'occasione scoprì che Sakura, oltre al
vizio del fumo, avesse una predisposizione innata per i
superalcolici: cocktails, shottini, e via dicendo. Da quando avevano
fatto il loro ingresso in quel locale non c'era stato un momento in
cui non avesse stretto tra le mani un bicchiere contenente qualcosa
di colorato e fortemente alcolico. Sasuke aveva cercato di starle
dietro, ma dopo il decimo shottino, la testa aveva cominciato a
girargli vorticosamente. Un tempo dieci shottini gli avrebbero fatto
solo il solletico, ma da quando aveva lasciato Parigi la sua vita era
cambiata parecchio.
Con
la musica a tutto volume e il locale gremito di gente, non avevano
avuto modo di parlare tanto e Sasuke aveva colto l'occasione per
osservarla. Al di là del colore dei suoi capelli anche il suo
modo di vestire era abbastanza particolare, anche se manteneva una
certa sobrietà che non poté non apprezzare. Aveva
indosso un paio di pantaloni bianchi, stivaletti di camoscio beige e
una canotta che arrivava a metà coscia di colore rosso che
faceva risaltare i suoi occhi. Sul viso non vi era ombra di trucco,
forse solo un po' di mascara e le guance erano tinte di un rosa
naturale, dovuto sicuramente all'alcool.
Era
socievole, solare, forse un po' troppo estroversa, ma sembrava
risultare simpatica a tutti.
«
Si è fatto tardi. » gli disse a un certo punto, buttando
giù l'ennesimo shottino dal colore poco rassicurante «
Allons. » biascicò, invitandolo a seguirla.
Aveva
parcheggiato la macchina in divieto di sosta, a qualche isolato dalla
brasserie dove si erano dati appuntamento.
Sasuke
non era molto certo che fosse in grado di guidare, ma la lasciò
fare.
«
Dove vuoi andare? » gli chiese, accendendo il quadro della
macchina.
Sasuke
prese il suo orologio dalla tasca e guardò l'ora, rimanendo
attonito nel constatare che l'orologio si fosse fermato circa tre ore
prima: come era possibile? Di solito cambiava le batterie a
intervalli regolari proprio per evitare simile evenienze.
«
Non so. » mormorò, più a se stesso che a lei.
«
Allora non ha importanza. » decretò Sakura, mettendo in
moto la macchina che partì al primo colpo, confermando a
Sasuke che la sua fosse stata una banale scusa per giustificare il
suo ritardo.
Per
tutto il tragitto continuò a guardare l'orologio, a scuoterlo,
a muovere la rotella dell'ingranaggio, ma senza ottenere alcun
risultato. Si era fermato.
Quando
Sakura gli comunicò di essere giunti a destinazione, ancora
troppo scosso, non ricordava neanche di averle dato il suo consenso
per portarlo chissà dove.
Scese
dalla macchina, riponendo l'orologio nella tasca e alzò lo
sguardo, trovandosi di fronte a un edificio di tre piani, di nuova
costruzione.
Sakura
era andata avanti e aveva aperto il portone. Dopo qualche minuto,
vedendolo ancora impalato dall'altra parte della strada, gli aveva
fatto cenno di raggiungerlo e lui aveva obbedito, pur essendo
consapevole che fosse una pessima idea.
Sakura
gli fece strada fino al suo appartamento, al secondo piano, aprì
la porta e accese le luci prima di invitarlo a entrare.
L'appartamento
a prima vista non sembrava molto grande. Era arredato in modo
semplice, senza eccessi di sorta, ed era pieno zeppo di libri;
spuntavano da ogni dove, persino da sotto il divano a due posti in
tessuto nero.
«
Porti a casa tutti quelli che inviti alle feste? » insinuò
Sasuke, caustico.
«
Solo quelli tremendamente belli. » replicò lei, quasi
divertita da quella domanda, e dopo aver posato le chiavi di casa sul
piccolo tavolo del cucinino, accorciò le distanze tra loro.
Sasuke
d'istinto rimase immobile, sicuro di poter affrontare la situazione:
l'alcool che aveva in corpo era sicuramente inferiore a quello che
aveva tracannato lei.
Sakura
avvolse le braccia intorno al suo collo e cercò i suoi occhi.
«
Tuo padre mi diceva sempre che se mai ti avessi incontrato mi sarei
perdutamente innamorata di te. » affermò, sorridente,
mentre la sua mano destra scendeva lungo il collo e andava a
giocherellare con l'asola di un bottone della camicia.
«
Sei ubriaca. » constatò Sasuke, cercando di sembrare
freddo, distaccato, malgrado tutto.
«
Aveva ragione. » aggiunse lei, come se lui non avesse detto
nulla.
«
Io ti conosco. » continuò, seria « Ho camminato
con te in un sogno. E lo so, è vero che le visioni raramente
sono ciò che sembrano, ma so cosa farai: mi amerai
immediatamente, come hai fatto quella volta in sogno. »
concluse, mettendosi sulle punte e cercando di raggiungere le sue
labbra.
Sasuke
sentì il suo fiato sul collo, poi sul mento e infine sulle
labbra. Aveva voglia di baciarla, benché avesse trovato
assolutamente assurdo quanto lei aveva appena affermato con tanta
enfasi, ma sapeva di non poterlo fare, che sarebbe stato sbagliato,
incestuoso, qualora lei fosse stata davvero sua sorella.
La
scostò delicatamente da lui, osservando il suo viso tirarsi in
una smorfia di delusione. Non era sua intenzione farle del male, ma
non aveva altra scelta.
«
Ti ringrazio, ma non posso. » le disse solo, prima di lasciare
in fretta il suo appartamento.
♦
Quella
notte Sasuke rincasò tardi e prese sonno quasi subito
nonostante le svariate emozioni provate durante quell'assurda serata.
Il viso di Sakura e la sua delusione movimentarono i suoi sogni e la
mattina dopo si svegliò con una strana sensazione, ricordando
qualcosa che aveva rimosso e che faceva parte della sua infanzia.
Aveva
sognato di un viaggio in macchina con suo padre, di una struttura
dell'ottocento immersa nella campagna parigina e di una bambina con
grandi occhi verdi e tristi.
Forse
il suo subconscio aveva elaborato quelle immagini sulla scorta di ciò
che era accaduto, o forse era accaduto davvero?
Con
quel pensiero per la testa si presentò in banca e subito lo
zelante direttore lo aveva ricevuto, invitandolo a seguirlo nel
caveau dove era conservata la cassetta di sicurezza di suo padre.
Dopo
avergli consegnato la chiave, lo lasciò da solo.
Sasuke
indugiò un po' prima di aprire la cassetta di sicurezza,
preoccupato da ciò che vi avrebbe potuto trovare all'interno.
Girò
la chiave e aprì il coperchio, sentendo la tensione crescere
ogni secondo di più.
Ciò
che vi trovò all'interno lo lasciò perplesso: una copia
originale di '' Grandi Speranze'' di Charles Dickens.
Aprì
il libro e vi trovò all'interno una lettera che aveva tutta
l'aria di essere stata scritta da suo padre in persona – la
grafia era inconfondibile.
Si
appoggiò al grande tavolo in acciaio del caveau e prese a
leggerla.
Tutto
iniziò a essere più chiaro.
Sakura
era la figlia di un suo commilitone. Dopo l'incidente, un avvocato
aveva inviato a suo padre quella lettera in cui gli veniva chiesto di
amministrare i beni della famiglia Haruno fino a che la bambina non
fosse stata in grado di provvedere da sola. Essendo il commilitone
anche un amico d'infanzia di suo padre, lui non se l'era sentita di
rifiutare e così aveva simbolicamente adottato Sakura. Suo
padre, nella lettera, non aveva avuto la premura di scusarsi per non
aver messo al corrente la sua famiglia di tutto questo e Sasuke non
se ne stupì più di tanto.
Ripose
la lettera nella cassetta e lasciò la banca.
Si
diresse in fretta alla Sorbona, certo che vi avrebbe trovato Sakura.
Voleva raccontarle la verità, spiegarle per quale motivo
l'avesse rifiutata e soprattutto desiderava porle una domanda a cui,
era certo, lei sarebbe riuscita a rispondere.
Ignorando
completamente la signorina alla reception che gli aveva fatto cenno
di attendere, Sasuke salì le scale e si precipitò
all'interno dello studio di suo padre, con un gran fiatone.
Sakura
era intenta a sistemare dei libri e si voltò di scatto, udendo
il rumore della porta.
La
vide sbattere ripetutamente le palpebre, stupita, trovando
l'espressione del suo viso così buffa da non riuscire a
trattenere un sorriso.
Si
avvicinò a lei, le prese il viso tra le mani e la baciò,
rendendosi conto del fatto che aveva desiderato di farlo sin dalla
prima volta che l'aveva vista.
«
Io ti conosco. » le sussurrò sulle labbra, subito dopo «
Ho camminato con te in un sogno » e non aveva solo ripetuto le
sue parole, ma aveva descritto ciò che aveva sognato davvero
quella notte.
«
Sei in ritardo. » gli fece notare lei « Avresti dovuto
capirlo prima. » aggiunse, sorridendogli dolcemente.
«
Sakura, sai dirmi per quanto tempo è per sempre? » le
domandò, aspettandosi una delle sue risposte incomprensibili e
ripensando al suo orologio che ancora non aveva ripreso a funzionare.
«
A volte solo un secondo. »
Angolo
Autrice
Ed
eccoci giunti alla fine.
Mi
sono fatta un milione di seghe mentali sul finale di questa fan
perché l'idea iniziale era un un bel po' diversa, più
complessa, ma il tempo a mia disposizione era ormai giunto al termine
e ho dovuto optare per una versione più sintetica. Dato che il
regolamento dei contest vieta di modificare la storia prima di due
settimane dalla consegna dei risultati e obbliga a pubblicarla, non è
detto, quindi, che io non la riveda.
Vorrei
ringraziare tutti coloro che hanno recensito i precedenti capitoli e
mi auguro di non avervi delusi.
Ringrazio
anche _Schwarz per il bellissimo giudizio che è riuscito a
rincuorarmi e a farmi tollerare un po' di più questo finale e
per lo splendido banner.:-)
In
questi giorni dovrei riuscire a pubblicare il nuovo capitolo di Mr
Brightside, ma non so darvi una data precisa visto che mi sono ''
leggermente '' bloccata e ho un sacco di dubbi.
Un
bacione e a presto.
Blueorchid31
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