È acido
versato dalla voce rombante di Thor. Le gambe lo sorreggono pesanti
nella sua marcia da un muro all'altro del corridoio, davanti ai
portoni della sala del trono, in cui il Padre di tutti gli dèi si è
rinchiuso, lasciando i figli in attesa di un verdetto. E nella
rabbia macinata dagli sputi di Thor contro gli Jötnar, contro la
maledetta vacca che li ha insultati e che avrebbero dovuto
distruggere.
«Che tu
sia dannato, Laufey. E con te il tuo popolo, verrà il giorno, te lo
giuro. Verrà il giorno in cui io–»
La voce
si spegne e gli occhi si sollevano, è allora che Loki li vede
rivolti a sé e che Thor lo raggiunge.
Lui
sa. Lo sguardo di Loki si fa terrore, rimane fermo, una mano
lungo il fianco e una dietro la schiena a cercare l'elsa di una daga
nascosta, argentata come il colore della luna che ha visto bagnare i
ghiacci di Jötunheimr e tempestata di gemme di topazio, il colore
della sua mano quando il Gigante lo ha toccato. Il colore degli
Jötnar.
Ma Thor
non sa.
Le sue
dita callose e dure d'arme poggiano gentili alla guancia del
fratello, raccolgono ed accolgono spigoli di un volto che non ha
ancora scoperto di non aver mai conosciuto davvero e lo guardano
ignorando cosa dietro vi si nasconda. Thor ne accarezza la
superficie, ne tocca le prime increspature e non sa che presto
diventeranno maremoti.
«Lo
faremo insieme, fratello.»
Loki
china il capo, la mano di Thor è fuoco che gli si imprime sul volto
e il suo odio è una spada affondata nel cuore.
Non c'è
risposta dalle labbra fredde di Loki, ma quando il capo si
risolleva, queste trovano la guancia del guerriero in un bacio che
porta il proprio Addio. |