Into the Madness
Capitolo
7
L'ombra
oscura prigioniera della memoria
Allen
aveva ascoltato in silenzio e con grande attenzione il racconto di Gwen
sino alla fine, e quando quest'ultima ebbe finito di narrare del suo
primo incontro con Cari, della squisita colazione di Jeryy non ne era
rimasta nemmeno una briciola.
Inutile dire che l'albino volle sapere di più, ma la sua
ospite
non sembrava più incline a continuare: le informazioni che
era stato
in grado di
ricavare costituivano già di per sé una
concessione
straordinaria e irripetibile da parte della Noah, e una decisione
più dolorosa di
quanto
si potesse pensare: riportare alla luce memorie tanto sbiadite
dall'accumularsi di sempre più amari trascorsi
davanti
ad esse, le aveva fatto capire ancora una volta quanto quella bambina
fosse stata un angelo custode, per lei. E allo stesso
modo, quanto difficile fosse stato vivere all'ombra di quella colpa
orrenda,
offuscata dal tempo, che
continuava a tormentare la sua anima da quel giorno maledetto.
Una piccola lacrima scese lungo il suo viso chiaro, ora non
più
contaminato dall'influenza del Noah. Non avrebbe proferito più una sola
parola al riguardo, non in quel momento.
- Vi chiedo perdono - asserì Allen, tutto ad un tratto, con
voce mesta.
Gwen strabuzzò appena gli occhi, pur senza scomporsi troppo.
- Per cosa? - domandò, mentre si asciugava la guancia col
dorso della mano - Non hai fatto nulla di male.
- No, ecco... Vi ho costretto a parlare di qualcosa di triste e
lontano. Dovevate volere molto bene a Cari - spiegò il
giovane
esorcista, che mai avrebbe volutamente agito in modo tale da intristire
una giovane fanciulla, chiunque ella fosse.
Più di tutto, però, non voleva mettere la sua
interlocutrice sotto pressione: non sapeva cosa le sarebbe
potuto accadere in quel caso, e
non voleva certo scatenare la sua terribile furia proprio in quel
luogo solo per aver osato domandarle più
del dovuto.
Tuttavia, la Follia si dimostrò inaspettatamente
più calma del
previsto. Qualcosa di lei gli suggerì che la rabbia e la
frenesia mostrate senza riguardo nella precedente battaglia fossero
svanite, o per lo meno, sotto controllo.
- Gliene volevo tanto, sì - si sentì infatti
rispondere,
con voce guidata da una dolce nostalgia - Ma è normale, ogni
tanto, avvertire un senso di tristezza e vuoto pensando al passato;
è anche
così che ci si sente umani. E non devi scusarti per
questo, Allen Walker.
Dopotutto, parlarne era stata una sua scelta. Se non avesse ritenuto di
doverne condividere i particolari, avrebbe potuto benissimo non dire
una parola sul suo passato.
Qualcosa del ragazzo che aveva davanti, però, le aveva
fornito
il coraggio necessario. Qualcosa che non sapeva spiegarsi, ma che
le aveva infuso una rassicurante sensazione di famigliarità.
Che
fosse a causa del loro primo breve, fugace incontro di pochi anni prima?
Allen si sentì più leggero dopo
quell'affermazione;
ripensò a Mana, scoprendo di provare la medesima malinconia
della sua ospite. Eppure, ancora gli risultava difficile considerarla
"umana". Benché il suo occhio non mentisse al
riguardo, proiettandogli l'immagine di una donna alta, esile,
circondata
dalla luce soffusa proveniente dalla finestra e null'altro, dentro di
sé
non poteva
dimenticare le parole di Road Kamelot. Non poteva permettere che una
sola conversazione riducesse in brandelli quel che lui aveva vissuto
sull'Arca, o che vanificasse gli sforzi e i sacrifici dei suoi
compagni.
Certo, Gwen era diversa, e probabilmente avrebbe dovuto figurarla come
un'eccezione, un caso isolato,
ma non avrebbe ceduto le sue convizioni nemmeno in
cambio di una prova di fiducia da parte sua. Gli sarebbe
però
piaciuto tanto
poter scorgere, nel mare di tenebre che avvolgevano il suo mondo
devastato, un piccolo raggio di luce; un frammento di innocenza, o il
battito d'un cuore sincero, pronto a ergersi nella notte
dell'umanità. E forse, pensava, Gwen Grey avrebbe potuto
sorprenderlo. Non convincerlo, ma solo sorprenderlo.
Tra i due s'instaurò presto un rapporto fatto di
cordialità e momenti di quiete preziosi, durante i quali
entrambi appresero di più l'uno dell'altra, in un equo
scambio
d'informazioni che nulla aveva a che vedere con la guerra. Era come se
fossero stati due vecchi compagni che, ritrovatisi dopo
tanto tempo, parlavano serenamente delle esperienze vissute dal loro
ultimo incontro, pur senza trascendere le barriere loro imposte dalla
fazione per cui ufficialmente lottavano.
Questo naturalmente preoccupava sia Linalee che Komui, ma la cinese in
qualche modo non poteva fare a meno di provare anche una sorta di muto
astio nei confronti della donna loro protetta; una linea di sottile
accanimento che
esternava sottoforma di sguardi e gesti fuori dall'ordinario, per nulla
appartenenti alla sua persona e di cui lei stessa nemmeno si
capacitava. Linalee non era mai stata una ragazza in grado di esaurirsi
in comportamenti vili e scontrosi; ma fin da subito aveva posto tra lei
e la Noah una barriera invalicabile di gelide premure che non avevano
altro scopo se non quello di ottemperare a un compito che le era stato
assegnato, senza cercare nei gentili occhi d'ambra della prigioniera
alcuna spiegazione per le sue azioni; ed era sua speranza che Allen
facesse lo stesso, senza compromettere ulteriormente la propria
delicata posizione.
Lei sapeva fin troppo bene qual'era lo scopo di quella missione, la cui
importanza era proporzionale alla quantità di persone che ne
erano a conoscenza. Dopotutto, avevano accolto nella loro base uno dei
nemici peggiori possibili solo sulla base di un presentimento, di una
sensazione. Avrebbero perciò fatto bene a rimanere tutti
molto
cauti; e pensare al più presto a un espediente che
permettesse loro
di studiare la Noah senza tuttavia tenere costantemente a rischio tutto
l'Ordine.
- Scusate se vi ho fatto venire con tanta rapidità. Credo
sappiate già quello di cui sto per parlarvi - ammise Komui
Lee, non
appena
la porta dell'ufficio fu chiusa con un lento cigolio - E' il momento di
sbrogliare questa situazione.
Allen e Linalee erano seduti sul divanetto di velluto color salvia, in
pose che non tradirono una gerta agitazione; erano settimane che si
trascinavano dietro quel segreto, una presenza opprimente e
sinistra alle loro spalle. Persino Allen, che più di tutti
aveva
trovato piacevole la compagnia di Gwen, era ansioso di porre un freno a
quel continuo e infinito labirinto di sotterfugi.
- Prima che diciate qualsiasi cosa, debbo informarvi che ho ragionato a
lungo in queste settimane su quale fosse la sorte migliore cui
destinare Gwen Grey. Quando la portaste qui,
decisi che se ne avessi avuto la possibilità l'avrei usata
come
mezzo per mettere in ginocchio le forze del Conte del Millennio. Usare
la sua stessa forza contro di lui, per essere schietti. Ma ho prima
bisogno di capire se tutto questo sia attuabile. Se quella Noah non sia
un pericolo troppo grande per noi. Allen, tu sei il solo con il quale
abbia condiviso qualche informazione rilevante: vorrei che mi riferissi
senza
esitare tutto quello che hai scoperto.
Allen si alzò dal divanetto, prendendo a girovagare a vuoto
per
la stanza con fare riflessivo. Poco dopo, espose le sue conclusioni,
serio in volto.
- Signor Komui, Linalee... Io... Vi chiedo scusa. Non avevo riflettuto
sulle conseguenze che il mio gesto avrebbe portato, e perciò
ho
tratto in salvo la signorina Gwen, pur conoscendo la sua natura. Ora,
in tutta onestà, vorrei che le cose fossero andate
diversamente.
Di certo, non era sua intenzione desiderare tutto ad un tratto di aver
lasciato morire Gwen Grey nella foresta. Mai simili pensieri avrebbero
sfiorato la sua mente.
Ciò che lo angustiava così tanto era un pensiero
comune,
un ragionamento pieno di sconforto dettato dall'imprevista piega degli
eventi: se avesse saputo che tipo di persona era la Noah della follia,
avrebbe certamente agito in maniera differente. Non l'avrebbe
attaccata, non l'avrebbe ferita al punto tale da farle perdere un
braccio. E soprattutto, non l'avrebbe condotta all'Ordine, un luogo
più pericoloso per lei più che per chiunque altro.
- Abbiamo trattenuto una persona innocente - continuò, lo
sguardo basso, le braccia senza forze stese lungo i fianchi - Gwen non
sa nulla del Conte, degli Akuma, della battaglia che sosteniamo contro
di loro. Vi è completamente estranea.
- Eppure è una dei suoi migliori alleati! -
esclamò
sorpreso Komui, il quale successivamente pensò che la donna
avesse spudoratamente preso in giro il giovane esorcista.
- In realtà, è stata raccolta dalle strade di
Londra
appena un paio di giorni prima del nostro incontro. Non era consapevole
di essere un membro della famiglia Noah, o di cosa questo significasse
per lei.
- Sei sicuro che non ti abbia mentito, Allen? - domandò
Linalee,
congiungendo le mani in un gesto di preoccupazione e stupore. Il
compagno si rivolse a lei e, sorridendo, rispose:
- Non è capace di mentire.
La ragazza gli lanciò uno sguardo perplesso, non del tutto
certa
di riuscire a crederlo. Una creatura come quella, incapace di mentire?
Che sciocchezza!
- Ed è sotto controllo? - chiese Komui, che in cuor suo
condivideva i
pensieri della sorella.
Il giovane albino annuì senza pensarci.
Gwen Grey era la persona più mite della terra. Ne
aveva
avuto la conferma a poco a poco, durante i momenti trascorsi insieme.
Aveva scoperto tante cose su quella donna soltanto parlandoci, che
quasi trovava ridicole le domande del Supervisore e rabbrividiva ai
provvedimenti che, in ambiti differenti da quello, avrebbero certamente
preso per estorcere notizie e informazioni dalla loro prigioniera.
Ogni pomeriggio, o quando ne aveva la forza, la Noah gli raccontava
della propria infanzia, con tono rassicurante e gentile, come se
stesse narrando una fiaba. Aveva parlato della volta in cui lei e Cari
avevano fronteggiato i bulletti dell'istituto, rimediando lividi e
tagli ovunque; e della volta in cui una di loro era stata lasciata
senza cena, e l'altra gliel'aveva portata di nascosto. Gli aveva
persino raccontato dei loro innumerevoli discorsi, sussurrati alla
debole
luce della luna, quando tutti gli altri dormivano e loro potevano
esprimersi senza timore.
- Ma allora, cosa l'ha spinta ad attaccarti quella volta? -
domandò Linalee, senza mascherare il proprio sospetto.
Allen si voltò verso di lei, intristendosi appena - La sua
metà Noah. Ha preso il controllo del suo corpo, della sua
mente, e l'ha direzionata contro la prima fonte di Innocence che ha
saputo trovare, ovvero me. Non ho capito quanto stava succedendo
finché non l'ho guardata in volto. Aveva le lacrime agli
occhi mentre mi attaccava. Non era quello che voleva davvero, ho
pensato, ma prima che potessi provare a farla ragionare, è
esploso l'ordigno del signor Albin - spiegò.
- Quindi ti avrebbe aggredito contro la sua volontà? -
concluse Linalee, abbassando lo sguardo e impensierendosi.
Komui prese nuovamente posto sulla propria poltrona, dopo aver percorso
avanti e indietro l'ufficio ascoltando le parole del giovane Allen.
La
questione era ben più complicata di quanto avessero predetto:
ciò che aveva sentito era decisamente l'opposto di quanto
inizialmente gli fosse stato riferito. Aveva letto accuratamente il
rapporto dei due Esorcisti riguardo la missione del nord e l'incontro
con la Noah, e tutto quello che poteva affermare adesso era assai
labile, una ridicola barzeletta. Pensare che Gwen Grey non fosse
realmente dalla parte del Conte, ma si fosse trovata nel mezzo dello
scontro senza averlo deciso, in un certo senso lo allietava,
perché si trattava comunque di un nemico mortale in meno cui
pensare. Tuttavia, le parole di Allen gli avevano lasciato anche una
buona dose di dubbio: se la loro protetta avesse nuovamente perso il
controllo? Non c'erano garanzie che mantenesse quiete le proprie
emozioni, che tenesse a bada il mostro che giaceva dentro di lei. Prima
o poi avrebbe scatenato la sua potenza, volente o nolente, e nessuno
sarebbe stato capace di fermarla prima di vederla uccidere membri del
personale, Esorcisti o altri innocenti. Ma peggio ancora, se anche
fossero riusciti ad abbatterla,
lui, Allen, Linalee e persino la vecchia capoinfermiera sarebbero stati
inquisiti da Sua Santità in persona per quanto avevano osato
architettare alle spalle dell'Ordine. Non poteva permettere che una
simile catastrofe si verificasse. Che la tranquillità appena
ritrovata fosse nuovamente spezzata da altri morti e grida
disperate, o dalla macabra visione della sorella al patibolo.
- Allen - disse all'improvviso, uscendo dal silenzio dei suoi pensieri
- Ti ringrazio per quanto hai fatto in queste settimane. E anche tu,
Linalee, che hai saputo pazientare così tanto.
Pareva che la sorella gli avesse confidato i suoi ripensamenti a
proposito della Noah.
- Ma a sentire queste conclusioni, non posso che avvertire maggiormente
la gravità del peso che ci siamo caricati sulle spalle. Non
possiamo più nascondere Gwen Grey all'interno dell'Ordine,
è troppo pericolosa. Quindi, sulla base delle vostre
informazioni, ho deciso di allontanarla quanto prima dalla sede, in un
luogo in cui potrà essere controllata senza costituire una
minaccia per tutti noi.
Allen si avvicinò lentamente alla scrivania del Supervisore.
-
Veramente? - domandò, senza sapere se essere esterrefatto o
felice.
Non avrebbe mai creduto che Komui si fidasse di lui a tal punto. Non lo
avrebbe ascoltato, altrimenti, quando gli aveva portato la Noah in fin
di vita chiedendogli di aiutarla. Ma ora aveva capito quanto contassero
per lui le sue affermazioni, e come volesse appoggiarvisi senza
tuttavia mostrarsi diffidente o intenzionato a manipolarne i nobili
intenti. Rimanevano ora solo poche questioni da porre al superiore -
Dove
avevate intenzione di condurla? E quando?
Komui si lasciò scappare un piccolo sorriso - Per ora non ho
scelto una destinazione. Dovrò fare alcune ricerche, e
organizzare
il trasferimento senza che nessuno lo sappia. Ci servirà
l'Arca.
Vedrò di procurarmi un permesso. Vi farò sapere
il prima
possibile, ma per il momento, continuate con le vostre normali
attività.
- Vi ringrazio, signor Komui - Allen esibì un breve inchino,
in segno di rispetto.
Komui ricambiò il gesto dalla scrivania - Mi raccomando,
fate
attenzione - sussurrò, mentre congedava con gentilezza i due
Esorcisti.
Questi annuirono all'unisono. Salutarono il Supervisore e
uscirono con calma dall'ufficio. Una volta che se lo furono lasciato
alle spalle, diretti verso la mensa, Linalee si rivolse ad Allen con
tono severo, bloccandosi con lui su un lato del corridoio.
- Pensi
davvero che quella donna stia facendo sul serio? Io non riesco a
crederci.
L'albino si mostrò stupito da come l'amica avesse
improvvisamente cambiato atteggiamento. Se c'era qualcuno a cui quella
situazione non era mai
piaciuta, si trattava proprio di Linalee, ed era naturale che serbasse
nei confronti della Noah un silenzioso e gelido rancore. In fondo, era
proprio a causa dei Noah e degli Akuma che lei aveva perso i genitori,
e nonostante
apparisse forte e sicura di sé, nel suo animo infuriava una
tempesta.
- Voglio darle una possibilità. L'ho già
incontrata in passato, ricordi? - rispose comunque Allen, con tono
rassicurante. Per quanto le cose potessero andare storte, in lui non
mancava mai la speranza.
- Ricordo, sì. E ricordo molto bene anche quello che ha
cercato di fare. Quello che il Conte e i Noah hanno cercato di fare.
Forse dovresti ricordartelo anche tu.
- Linalee, ti prego...
- Portarla qui è stata una scelta impulsiva, Allen.
Lì per lì non ci abbiamo pensato, ma ora
è il momento di rendersi conto dell'evidenza -
pronunciò la cinese con voce fredda, quasi meccanica -
Avresti dovuto
lasciarla laggiù.
- Smettila, Linalee!
In una frazione di secondo, Linalee si sentì afferrare per
le spalle dal compagno, il quale le rivolse uno sguardo furente; e per
un attimo, fu come
se avesse smesso di veder riflessa la limpida anima al suo interno.
Avvertì il pizzicorio delle lacrime, ma le
scacciò violentemente, ritirandosi dalla presa dell'albino
con gesti indignati.
- Sei tu che devi smetterla, Allen! Non hai a cuore la Home?! Se le
succedesse qualcosa a causa di quella Noah, cosa faresti?
Certo, lui non poteva capire; non aveva visto le sue stesse cose. La
visione di morte e solitudine che tormentava da qualche
tempo i suoi
sogni tornò prepotentemente al centro di dubbi e pensieri;
un
peso terribile per il suo cuore, che rischiò di farle
perdere la
forza di reggersi in piedi. Tuttavia, non cedette.
Sapeva bene che il
compagno non avrebbe mai fatto nulla che potesse metterli in pericolo,
ma a volte... era come se fosse un'altra persona. Non l'Allen che era
stato quasi fatto a fette da Kanda davanti ai cancelli dell'Ordine, con
la valigia consumata, da vagabondo, ma qualcosa che non riusciva a
spiegarsi. Una figura di luce annichilita da strane ombre che,
silenziosamente, ne stavano divorando le membra.
Si rivolse nuovamente all'albino, supplicandolo mentalmente di tornare
in sé - Allen... noi siamo compagni. Credevo significasse
qualcosa, per te - sussurrò quasi, rapita da un vago senso
di avvilimento - No, non è vero. Voglio credere
che
significhi qualcosa. Per questo non posso stare a guardare mentre metti
da parte l'Ordine per una
nemica di cui non sai nulla...
Il silenzio calò tra i due Esorcisti, come un velo gelido e
pesante. Ne smorzò i sentimenti fino a ridurli cumuli di
polvere danzanti nel vuoto, senza meta; senza scopo. Allen
chinò
il capo, sconfitto, provando un indefinibile senso di colpa. Non
avrebbe mai immaginato che, dentro di sé, Linalee covasse
simili
pensieri. Che occupasse una posizione così diametralmente
opposta alla sua.
Uno strano calore gli invase le guance, le quali avvamparono in pochi
istanti. Si stupì di se stesso. Stava forse... provando
vergogna?
Un piccolo sorriso fiorì sulle sue labbra, prima di lasciare
il
posto a un'espressione che Linalee conosceva molto bene, e che nel
lungo tempo in cui aveva combattuto al suo fianco, aveva imparato a
odiare. Il viso di un uomo che rinnega se stesso, e volge le spalle
alla luce per impedire che le tenebre la intacchino... Il viso di un
uomo
solo.
- L'Ordine - pronunciò improvvisamente, abbozzando un
sorriso vago, quasi trasognato -
è anche la
mia
casa. La mia famiglia. Preferirei morire piuttosto che farle del male.
Perciò, Linalee... Quando dici che non ho
a
cuore la Home, sbagli. E' la sola cosa che voglia realmente proteggere.
Linalee abbassò lo sguardo, indecisa su quale fosse la cosa
migliore da dire. Quella Noah l'aveva fuorviata. Non era più
padrona delle sue
azioni, dei suoi pensieri. Non aveva riflettuto attentamente sulla
faccenda; non aveva pensato che proprio Allen, che più di
tutti era coinvolto in quella missione segreta, fosse anche il primo e
forse l'unico a soffrirne davvero.
- Perdonami Allen... Ma tutta questa situazione è...
- Pesante, lo so - concluse per lei l'albino - Ma presto
finirà. Mi dispiace di averti coinvolta, Linalee.
- No, non ti scusare. L'unica cosa che puoi fare ora è
assistere
mio fratello nel trasferimento della Noah - replicò la
cinese
con aria severa, mentre guardava negli occhi il compagno - Assieme a me.
Allen spalancò appena lo sguardo, mentre la ragazza si
allontanava da lui, con passo leggero e sicuro. E ancora una volta,
si trovò a ringraziarla dentro il suo cuore;
ringraziarla per
tutti i sacrifici che, nonostante la trascinassero sempre
più
giù, continuava a compiere, imperterrita. Aveva molto da
imparare da Linalee Lee, pensò, molto più di
quanto non
avesse visto nel tempo trascorso al suo fianco. Delicatamente sorrise,
proseguendo lungo il corridoio, ma nella direzione opposta.
- Dove credi stiano andando? - domandò Cari
stringendosi
appena
nel proprio cappottino logoro. Piccole e tremolanti nuvole di condensa
si disperdevano dalle sue labbra rosa pallido, rigide a causa
del freddo.
- Non lo so - rispose Gwen con indifferenza, nella medesima condizione.
Il gelo l'aveva sempre indispettita.
Cosa poteva saperne, lei, di quegli sconosciuti che, incuranti,
scivolavano lungo le strade cittadine senza badarsi l'un l'altro?
Sfregò le mani nude e gelide tra loro, poi si strinse nelle
spalle.
- Faresti meglio a lavorare, invece di sognare a occhi aperti
quello che fa la gente - mormorò con voce tremula - Mrs.
Ellis potrebbe lasciarci di nuovo senza cena.
Cari si girò verso di lei, mostrandosi scocciata.
- Guarda che lo so! Almeno concedimi di pensare ad altro! -
ribatté sollevando la ciotola arrugginita verso una coppia
di borghesi che stava passando loro accanto; questi le diedero una
rapida occhiata, dopodiché l'uomo attirò a
sé la donna e insieme aggirarono le bambine, superandole.
Quando ebbero dato loro le spalle, Cari mostrò la lingua.
Gwen abozzò un sorriso, imitandola.
- Qualunque cosa stiano andando a fare, sono sicura che non
è importante. Anzi, probabilmente staranno andando in
qualche casa dell'oppio. I nobili lo fanno tutti - affermò
maligna, indicando di nascosto i due spilorci.
- Non tutti - rispose Cari sedendosi contro il muro di un emporio.
Sentì le pietre gelide appiccicarsi alla schiena e bloccarle
la circolazione. Si scostò leggermente, poi
continuò - Quel signore che viene all'istituto ogni
settimana, come si chiama... Ah, sì! Mr. Julius o qualcosa
del genere... Lui non si fa di oppio. E' una brava persona.
Gwen prese posto accanto a lei, facendosi passare la ciotola e
rivolgendola verso i passanti.
- Quello che viene a portare i soldi? - bofonchiò, cercando
di impietosire un vecchio in frac con l'espressione più
miserabile che potesse sfoggiare - A me fa paura.
L'amica non poté fare a meno di trattenere le risa.
- In che senso ti fa paura? - domandò, coprendosi la bocca
per frenare la battuta sarcastica che altrmenti avrebbe sguinzagliato;
a Gwen non piaceva che la prendessero in giro, ma a volte diceva delle
tali assurdità...
- Non so spiegarlo! - sbotto infatti quest'ultima, spintonandola -
Quando lo vedo mi fa paura, tutto qui. E' sempre lì, ritto
in piedi, che ci guarda e sorride. Non so cosa pensi, forse
è semplicemente un po' matto, ma... Non vorrei assolutamente
sapere dove va quando esce dal nostro cancello...
Allen esibì uno sguardo perplesso.
- Mr. Julius? - si chiese, mentre ascoltava il nuovo racconto della
loro improbabile ospite. Erano seduti su due poltroncine di vimini che
davano sulla finestra della camera della Noah, dalla quale
s'intrufolava un vento caldo e gentile - Chi è?
Gwen si bloccò improvvisamente, gli occhi dorati fissi su un
punto indefinito fuori dal piccolo spazio della stanza.
Bella domanda.
Non ci aveva pensato, prima, mentre raccontava, ma ora l'intervento del
giovane esorcista la coglieva impreparata. Provò a pensarci,
a ripercorrere con la mente gli attimi trascorsi al St. Francis per
individuare, nascosto da qualche parte tra il vociare dei bambini e il
clangore delle stoviglie logore, il volto dell'uomo che aveva appena
nominato. Ma ad attenderla, solo il vuoto. Come aveva potuto parlare di
qualcuno di cui non ricordava il viso, ma di cui permeava una
così sgradevole sensazione, tanto forte da intrufolarsi
anche nella più banale delle memorie?
Forse poteva riuscirci. Forse poteva riportarlo alla luce. Le bastava
solo ripartire da capo, e scavare tanto a fondo da imprimere nella
propria mente, una seconda volta, i dettagli che i suoi occhi avevano
inconsciamente catturato anni prima in quell'edificio vecchio e cadente.
Immaginò il salone ampio, sfarzoso, come non lo aveva mai
visto; rivide il pavimento lucido pieno di macchie, i quadri di
paesaggi appesi
alle pareti, i decori marmorei sul soffitto a volta dei corridoi ma,
soprattutto, si lasciò pervadere dal caotico senso di
smarrimento che quel luogo sapeva infondere come nessun'altro. E lei,
semplice ragazzina di otto anni, ricca di dolore e speranze, ingenua,
curiosa, capricciosa, vi si ritrovò in mezzo...
- La prego, non se ne vada! - Mrs. Ellis raggiunse il
nobiluomo che,
imbracciati ombrello e tuba, era in procinto di varcare la soglia
principale dell'istituto. Lo bloccò un attimo prima che
uscisse - La scongiuro, ci ripensi!
- Troppo tardi, Milady - rispose questo con tono duro e severo - Sono
tempi duri per tutti. E voi siete la sola istituzione che non ho a
cuore di preservare. Con permesso.
Un fugace inchino, e svanì nella pioggia.
La donna rimase lì, di fronte al portone spalancato e con il
braccio vanamente teso in avanti - come a richiamare la figura che,
ormai, era divenuta un tutt'uno con lo sfondo triste e uggioso della
città.
Gwen e Cari avevano osservato la scena dal salone principale, mentre i
loro compagni, incuranti di tutto, continuavano a schiamazzare senza
tregua. Si erano brevemente guardate negli occhi, comprendendo
all'istante ciò che era appena successo. E sui loro volti
figurò un'espressione che nessuna delle due avrebbe avuto il
bisogno di spiegare.
Si alzarono dal tappeto, scavalcando con maestria gli ostacoli
rappresentati da giocattoli rotti e bambini troppo piccoli per
rendersi conto di ciò che sarebbe accaduto. Corsero come
fulmini
fino in fondo all'atrio, addentrandosi su per una scalinata ampia a cui
avevano appena dato la cera. Cari rischiò di scivolare un
paio
di volte, ma Gwen fu sempre lì per sorreggerla. Arrivarono
in
cima, finendo in un corridoio lungo e vuoto. Lo percorsero un po',
dopodiché spalancarono una porta e si fiondarono nella
camera. I
letti a castello disposti in file ordinate, quattro per lato, erano
perfettamente in ordine. Le due bambine riconobbero i loro, sui quali
avevano disposto alcune cianfrusaglie recuperate in città:
una
bambola scucita, probabilmente abbandonata da una facoltosa padroncina,
un fermacapelli scheggiato e tanta altra paccottiglia.
Gwen si sedette sconfortata sul materasso bianco e ruvido; Cari ci si
buttò sopra senza riguardi, rischiando di rimbalzare per
terra.
- Hai sentito? - domandò quindi all'amica - Chiuderanno
l'istituto.
- Già, perché a quel dannato spilorcio non frega
nulla di
noi. Di tutti noi - borbottò questa nascondendo la testa tra
le
ginocchia - Quindi... Ora cosa succederà? Ci separeranno?
Cari tacque, rivolgendo i propri occhi celesti al letto sopra il suo.
- Non lo so - ammise dopo un attimo di riflessione.
Un piccolo singhiozzo inquinò il silenzio della stanza. Cari
si
alzò improvvisamente, sedendosi di fianco all'amica, per poi
circondarla con le braccia.
- Non piangere - la implorò tiepidamente,
adagiando
il viso paffuto sulla sua nuca, abbassando delicatamente le paplebre -
Non so cosa deciderà la megera, ma qualunque
cosa accada, noi non ci sapareremo.
Gwen sollevò appena la testa, incrociando il suo sguardo
affettuoso: era lucido di lacrime, come il suo.
- Come fai a dirlo, non puoi saperlo - mormorò appena, la
voce
incrinata dal pianto. E aveva ragione. Nessuno poteva delineare con
certezza le sorti a cui i bambini sarebbero andati incontro. Ora che il
loro maggior benefattore aveva deciso di interrompere il sostegno
economico garantito fino ad ora, sarebbe successo l'impensabile. I
bambini sarebbero stati smistati in altri istituti, senza essere
rimessi in
strada: erano troppo preziosi perché li si lasciasse vagare
con
così tanta libertà in giro per Londra. E di darli
in
adozione, neanche a parlarne! Chi mai avrebbe voluto dei mocciosi
capaci solo di strillare e lamentarsi? No, Gwen ne era certa: le
avrebbero divise, senza ritegno, e mandate in luoghi il
più
possibili distanti tra loro, dove la crudeltà e i soprusi
non
sarebbero cessati.
Se fino a quel momento aveva avuto la forza di andare avanti, era stato
grazie a Cari. Come avrebbe fatto a sopravvivere senza di lei? Senza il
suo sorriso, il suo sguardo fiducioso, la sua incrollabile
determinazione?
Non avrebbe potuto. Ecco la risposta. Dominata da questo sconfortante
pensiero, si rannicchiò ancor più in se stessa,
come a
isolare il mondo esterno dal suo cuore turbato, già ferito a
sufficienza. Non voleva tornare ad essere sola. Non avrebbe sopportato
un solo giorno di più in solitudine.
- Invece sì - si sentì rispondere con forza - Lo
so
perché io non permetterò mai che accada il
contrario.
Le sue labbra sottili si posarono dolcemente sulla guancia di Gwen,
interrompendone il placido scorrere delle lacrime - Fidati di me.
La minore sorrise appena, rincuorata da quel gesto d'amore puro e
sincero, il gesto di un angelo. Si asciugò gli occhi con una
mano, tirò sù col naso e infine, si strinse
all'amica in
un abbraccio forte, deciso, che mai nessuno avrebbe potuto sciogliere
se solo una delle due non avesse voluto.
- Io mi fido di te - replicò Gwen, chiudendo gli occhi - E'
tutto il resto che mi fa paura.
Un tuono fece improvvisamente tremare i vetri delle finestre. Le due
bambine si alzarono dal letto ad una velocità
impressionante.
Sui loro volti pallidi dallo spavento erano impresse la paura e la
fiducia assieme, un connubio contrastante, dal quale non sarebbe potuto
uscire nulla di più che una semplice certezza, fredda,
apatica.
E solo a quel punto, una delle due emozioni avrebbe prevalso,
soppiantando la rivale in maniera quasi beffarda, sulle vite delle
piccole orfane. Ma fino ad allora, tutto quel che era loro concesso di
stringere tra le manine piccole e paffute era un'incerta e mutevole
forma, chiamata destino. Una forza che molto spesso getta radici ben
più in profondità di quanto si pensi.
Angolo di Momoko
Eeeeed eccomi resuscitata! xD
Allora... che dire... Sono stata un po' assente. Tipo un anno intero.
Forse più di un anno...... Ma perché perderci in
questi pensieri inutili! xD
No, per essere franchi, il mio ultimo anno da liceale sta diventando
qualcosa d'insostenibile. Purtroppo lo studio e cavolate varie mi hanno
tenuta lontana da EFP, quindi non ho potuto nemmeno mettere mano ai
miei scritti. Questo era già in lavorazione, ho dovuto solo
completarlo, rileggerlo, correggerlo ecc...
Però, c'è un però! U.U Io lo
ribadisco sempre, che comunque vada, terminerò tutte le mie
storie. E recensirò tutte le storie u.u'' Quindi non
preoccupatevi, non sparirò del tutto dalla community.
Riguardo al capitolo, finalmente ecco che comincio a parlare seriamente
del passato di Gwen. Il prossimo sarà dedicato a lei e ad
alcuni eventi particolari, quindi aspettatevi un bel flashback lungo
lungo :3
Presto saprete la verità (mi sento molto Adam Kadmon in
questo momento u.u), quindi... Mi dispiace molto per il ritardo, ma
anche a costo di metterci un tempo incalcolabile, voglio sempre potervi
portare capitoli scritti correttamente e senza errori, come
è giusto che sia d'altronde.
Vi ringrazio infinitamente per aver letto il mio ennesimo sclero, e
mando un bacione schioccoso a tutte quelle anime impavide che lo
recensiranno çAç *Offre biscotti*. Come sempre,
vi invito a segnalarmi qualunque errore, svista, o anche solo a darmi
il vostro parere, bello e o brutto che sia, io sono sempre contenta di
sapere la vostra opinione :)
Ora mi dileguo OuO A prestooooo,
Momoko <3
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