Lilium2
Capitolo
Secondo
La notte in cui Cassandra finì i suoi giorni alla luce del
sole, mentre Hansel le appoggiava con delicatezza la bocca al collo,
ebbe una visione come era raro che le capitasse, tanto vivida e tanto
sconvolgente che passò attraverso il sangue da lei ad Hansel,
che si trovò scaraventato contro una parete, in preda alle
convulsioni.
Quello che Cassandra vide fu il caos più assoluto, un nero
tanto penetrante che affondava nelle ossa, e occhi rossi, invasati, e
sangue cattivo, di Hansel e dei suoi simili, che istoriava pareti
nere col suo rosso accecante, tanto violento che sembrava emanasse
luce propria; sentì l'aria morirgli in gola, e cellula dopo
cellula, sentì il suo organismo rigettare quella
trasformazione che non poteva essere interrotta se non con la morte,
fino a quando una luce, al centro dell'oscurità, squarciò
il sangue, il dolore, squarciò quel caos di natura malata, e
irrorandola di nuova vita, le concesse quella immortalità pura
che lottava contro la sua umanità, semplicemente,
armonizzando con se stessa.
Al centro di quella luce, bella come una santa, stava una donna
vestita di bianco, con una aureola dorata a coronarle la testa, e i
suoi occhi dolci, il sorriso rassicurante, scacciavano il caos come
un morbo contagioso, lasciando solo una purezza commovente.
Si ritrovò in ginocchio, piangente, con le mani giunte come in
preghiera, e così rimase per un tempo lunghissimo, fino a
quando non si scosse per cercare con lo sguardo Hansel, ancora privo
di coscienza, che giaceva nell'angolo del giardino dove aveva avuto
luogo il rito.
Quando Cassandra vide per la prima volta Hansel, riconobbe nei suoi
lineamenti il giovane pallido dai tratti delicati che tante volte,
sin da bambina, era apparso nei suoi sogni.
Cassandra non aveva famiglia.
L'avevano trovata – gente caritatevole e semplice – sulla riva
del mare, in una isoletta greca tanto piccola da non rientrare nelle
carte geografiche.
Aveva forse pochi anni, e non parlava, passeggiava cantando una neina
in una lingua sconosciuta a piedi nudi sulla sabbia, coperta appena
da quello che poteva sembrare un peplo.
Ma era una visione così incantevole, quella creatura onirica,
che un pastore si fermò ad ascoltarla, e con la gentilezza
delle persone di buon cuore, la accolse nella sua casa fra i suoi
figli e la moglie, che di femmine in tanti parti non ne aveva mai
avute, e che subito si commosse all'idea che quella bambina scendesse
dal paradiso, tanto limpidi erano i suoi occhi neri.
Cassandra la chiamarono, quando scoprirono che poteva vedere quello
che gli uomini non possono vedere, e le insegnarono a leggere e a
scrivere e le altre scarse nozioni che possedevano, fino a quando non
fu lei a lasciarli, per andare incontro al suo avvenire.
Fu con dolore che si separò dalla gente che l'aveva amata, ma
senza rimpianti abbracciò l'incertezza di un destino che la
chiamava prepotentemente a sé, perché una cosa di cui
Cassandra era certa, era che niente succede per caso.
Fu sulla strada per Alessandropoli che incontrò per la prima
volta Hansel.
Si riconobbero nella notte, come si riconoscono soltanto le anime che
si cercano attraverso i secoli, con un senso di smarrimento e di
nostalgia, con rabbia e con rassegnazione per un qualcosa più
grande di loro.
Hansel aveva i capelli quasi bianchi alla luce della luna, e il viso
adolescente strideva con i suoi occhi antichi, stanchi, pregni di una
malinconia che raccontava solitudine; si muoveva lentamente, con una
grazia straniera agli abitanti di quella terra, e sembrava che la sua
voce fosse il canto del vento tra le foglie.
Sparì come era arrivato, senza rumore, lasciando che Cassandra
procedesse per il suo cammino, per tornare soltanto la primavera
successiva, quando lei già viveva a Costantinopoli, e la gente
la conosceva come una creatura saggia, fuori dal tempo, e a lei si
rivolgeva quando soffriva e non riusciva ad affrontare i crucci,
portandole in dono le offerte che si tributavano agli idoli, cibo,
frutta, oro e oli profumati, che lei per educazione non rifiutava
mai.
Poco dopo il tramonto, Hansel bussò alla sua porta senza
inutili pretenziosità, chiedendole con garbo se volesse
accompagnarlo per la città.
Costantinopoli, di notte, è un regno incantato che trascende
qualsiasi dimensione; il profumo dei gelsomini, la dolcezza del
vento, le luci dorate, donano alle strade un'aria sacrale che impone
silenzio e rispetto.
Cassandra, cosciente a metà di cosa fosse la creatura che le
camminava accanto, non osava parlare.
Hansel cercava nella sua mente le parole più dolci per dirle
che cosa voleva, e che cosa avrebbe ottenuto ad ogni costo.
Poteva sentire l'anima di Cassandra espandersi come luce, e il suo
calore denso che cercava di toccarlo; e una inebriante sensazione di
familiarità, quasi di euforia gli annebbiava i sensi,
impedendogli di mettere un piede davanti all'altro.
E la sensazione di averla cercata per tutta la vita, Cassandra, con i
suoi occhi neri e la sua voce sensualmente graffiata, era tanto forte
da abbattere ogni tentennamento, ogni paura, e ogni rimpianto.
Lei lo sapeva – come sempre, meglio di Hansel – che cosa sarebbe
successo.
E sapeva anche che era inevitabile così come è
inevitabile la morte.
Si fermò, e voltandosi incrociò i suoi occhi.
E porse il collo.
*
Hansel e Cassandra furono tra i primi ad arrivare per la cerimonia di
debutto.
Trovarono il palazzo di Lancelot, quell'elegante miscuglio di stili
architettonici e etnici, in perfetta armonia british, nel più
elettrico fermento: un eccesso inaudito di fiori, panneggi in
broccato, cristalli e argenteria assediava il salone centrale, dove
la cerimonia avrebbe avuto luogo, e in perfetta sintonia con
l'ambiente, Christian.
Nessuno dei due era cambiato, dalla prima volta che si erano visti,
nessuno dei due era maturato abbastanza da dimenticare le vecchie
divergenze.
Christian, che voleva essere il preferito di Marcus, e che per questo
gli aveva strappato con le unghie quel brandello di felicità
che gli era stata concessa.
Hansel, che lo aveva quasi ucciso, per ricompensare l'onore
calpestato da un giovane presuntuoso, marchiandolo per sempre con la
cicatrice dei suoi denti.
E infine Marcus, che si era visto costretto ad allontanare entrambi,
per il bene di un Clan già incrinato dalle lotte interne.
In un momento tornarono vivi e pulsanti i ricordi della sua vita
passata, prima dell'arrivo di Cassandra: Marcus che lo aveva creato,
suggellando col suo sangue un legame indissolubile, Venezia, bella e
incantata sotto la luce della luna turca, e l'incoscienza dionisiaca
di anni sempre a metà fra il reale e l'irreale, dove tutto era
odore e sensazione, e la vita stillava dalle sorgenti bionde dai
colli nobili a fiotti lenti, tragici, di una bellezza sconvolgente.
Cassandra, accanto a lui, lo sentiva tremare.
E un fastidio leggero, inconfessabile, acuì la sensazione di
estraneità a quel luogo, abituata com'era ai deserti
orientali.
Con un gesto nervoso lasciò il braccio di Hansel, mentre
Christian si voltava, sorridendo con tutta la dolcezza del suo viso
perfetto.
“Hansel, fratello” E venendogli incontro lo abbracciò con
foga, sincero e appassionato come era sempre stato nei suoi affetti.
In un certo qual modo, aveva sempre amato Hansel, al di là
delle rivalità e delle incomprensioni: per tanti anni avevano
convissuto insieme a Venezia, alla corte di Marcus, dove Hansel
stesso lo aveva guidato attraverso quel mondo oscuro, per insegnargli
a vivere, a sopravvivere, ed avevano condiviso l'intimità
fatale delle notti di caccia.
Christian aveva sempre ricordato con un misto di dolcezza e invidia
Hansel così come i secondogeniti guardano con ammirazione
inconfessabile i fratelli maggiori, con il desiderio di guadagnarsene
l'affetto e la tentazione di scavalcarli.
Con l'eleganza umana dei più giovani della loro specie, si
sciolse dall'abbraccio per osservare Cassandra, per sorriderle
fiducioso.
“Sorella.. gli anni accrescono la tua grazia.”
Lei lo abbracciò maternamente, lasciando che lui affondasse il
naso nell'incavo del suo collo, per assorbire il suo profumo, l'odore
di rose damascee della sua pelle.
“Caro Christian..”
Per un attimo sentì dissiparsi la sensazione di estraneità,
e l'angoscia che le opprimeva l'anima dall'inizio del viaggio si
acquietò un poco: non c'erano solo nemici, intorno a lei.
“La prossima notte ci sarà la cerimonia, Lancelot ha
ordinato che tutto fosse pronto entro oggi. Immaginate il subbuglio
che sta creando, tra fiori e mobilia, lo conoscete: l'ostentazione è
la sua passione, senza non vive..”
“Immaginate quanto Stephan vedrà tutto questo?”
“E' proprio perché Stephan veda tutto questo, che
Lancelot si sta impegnando a sradicare le rose di tutta
l'Inghilterra.”
“E' molto irrispettoso, da parte sua.”
“Hansel, Stephan ci ha abbandonati di sua spontanea volontà.
Non ha diritto di irritarsi se non seguiamo i suoi gusti.”
“La questione è molto più complicata di così.”
“Non c'è niente di complicato, nel fatto che non ha avuto la
forza di guidarci quando ne avevamo più bisogno.”
“Non c'eri. Non sai come stanno le cose. E non dovresti pendere
così scioccamente dalle labbra di Lancelot. Come hai detto tu,
lui ama l'ostentazione.”
Christian s'incupì, ma non essendo nel suo temperamento dare
troppo credito alle divergenze, sorrise nuovamente pochi attimi dopo,
proponendosi come guida per far loro strada verso le stanze degli
ospiti.
Li portò al piano di sopra lungo la scalinata in marmo rosa,
altra ostentazione di dubbio gusto da parte del mecenate, e mostrò
loro una stanza ampia, riccamente arredata, che avrebbero potuto
occupare durante i festeggiamenti.
“Sono felice che siate arrivati.” Sorrise ancora Christian, con
la dolcezza infantile dei suoi occhi, “Mi farebbe tanto piacere,
che voi poteste rimanere qualche giorno qui.”
Hansel sorrise senza sbilanciarsi, salutando infine Christian e
richiudendo la porta dietro di lui; gli costava fatica, non cedere a
quei sorrisi fiduciosi, che per tanti anni si era sforzato –
vanamente – di odiare.
La luce della luna illuminava il volto di Cassandra, che guardava con
preoccupazione Hansel.
“C'è qualcosa che non va.”
“Non capisco..”
“E' nell'aria.”
Hansel chiuse gli occhi, come per mettersi in ascolto.
Una inquietudine leggera, come un velo trasparente, gli si era
poggiato sulla mente, allertandone i sensi; sapeva che Cassandra non
poteva sbagliarsi, ma il desiderio che questa fosse soltanto una
rimpatriata per tutti, che fosse solo un modo di ritrovarsi dopo
secoli di buio, gli impediva di valutare la situazione lucidamente.
Per un momento, il viso di Stephan gli passò sotto le
palpebre, fulmineo e doloroso, per ricordargli tutta la sofferenza
della separazione.
Mi ricorda?
Si chiese scioccamente, per poi
scacciare il pensiero così come era venuto.
Cassandra lo guardava ancora, seria, impassibile, come la statua di
una Athena vergine, scrutando i suoi pensieri con circospezione.
“C'è qualcosa di preciso che senti?”
“Non saprei.”
“Potrebbe essere soltanto stanchezza?”
“No.”
Hansel sospirò, venendole incontro.
Le tese le braccia, ma lei non si mosse: lo guardò ancora, con
tutta la forza dei suoi occhi scuri, sforzandosi di di riporre tutta
la sua fiducia nei suoi sensi, come sempre aveva fatto e come sempre
era stato provvidenziale.
Ma
nel buio gli occhi di Hansel si erano fatti più bambini, più
innocenti, e non c'era altro nelle sue iridi chiare che il desiderio
di pace, di felicità.
Sospirò.
E, infine, sorrise con dolcezza.
“Aspetterai Stephan?”
“Con te, se non ti da noia farmi compagnia.”
*
Si erano messi in viaggio poco dopo il tramonto.
Raushana, con loro, aveva predisposto un viaggio lento, per potersi
fermare di giorno, e perché Liliane non s'affaticasse.
Attraversarono l'antica Europa che Stephan aveva ormai dimenticato,
rievocando quei luoghi dell'anima dove avevano vissuto, amato, dove
si erano abbandonati a quella natura crudele che, in certi casi,
sapeva ripagare della sventura d'esser relegati alle ombre.
Stephan non guardava mai fuori, limitandosi a fissare asetticamente
la strada davanti a lui.
Raushana, accanto a Liliane, intratteneva la fanciulla con le storie
del passato, quelle favole delle sue terre che erano tanto antiche
quanto le mura di Babilonia, raccontandole delle gesta di Gilgamesh,
degli dèi crudeli, delle regine bellissime, e dell'oro che era
fonte di vita e di potere.
“Con il tempo, gli uomini si sono fatti volgari: prima era l'oro
lucente il loro scopo, la gioia più grande per il loro cuore
cupido, ora corrono dietro ai composti puzzolenti che fermentano
sottoterra. Che non sia fosse l'ancestrale fascino del putridume, a
spingerli così fortemente verso il petrolio.”
Liliane rise, come se tutto ciò non la toccasse: umana che
fosse, non era mai appartenuta alla sua specie, e non sentiva nessun
attaccamento a quelle creature lontane, quasi fantastiche.
Un tempo, Stephan aveva amato gli uomini, li aveva guardati con
benevolenza, a volte si era adoperato per il loro bene.
Poi, la più grande disgrazia aveva incrinato il suo spirito, e
gli uomini non erano stati più che una razza abbietta ai suoi
occhi, animali provvisti di pollici opponibili votati alla
distruzione, incapaci del benché minimo sentimento altro fra
di loro.
Non li odiava: si limitava a disprezzarli, cercandoli qualora ci
fosse da placare la sua fame.
Per questo, non aveva voluto che Liliane fosse inquinata da una razza
tanto meschina; aveva lasciato che crescesse fra le creature del suo
rango, che Raushana per prima si occupasse di quelle esigenze
educative laddove lui non poteva agire, che Cassandra del Deserto le
portasse la conoscenza e la saggezza, e che da lei imparasse quanto
nella sua vita precedente aveva già acquisito e tramandato a
sua volta proprio a queste creature.
Sin dal primo momento, l'avevano amata: per i suoi occhi, per il suo
viso, per quelle fattezze così familiari, ma soprattutto per
quella saggezza che dimorava nel suo spirito antico.
Stephan aveva voluto che fra i primi, potesse vederla Cassandra.
Fu da lei che attese quel verdetto che tanto avrebbe influito sulla
sua vita.
Voltandosi un poco, diede uno sguardo a Liliane: come sempre vestita
di bianco, le mani posate sul grembo, come una Vergine Maria in tutta
la sua dolcezza di donna, riluceva di una bellezza antica, possente,
e Stephan sentì una lacrima pungergli l'angolo dell'occhio, al
ricordo di quelle medesime forme, in un era più antica, in un
tempo che ormai era stato dimenticato.
Ringraziamenti
Miss
Gwen:
Sono felicissima che la storia ti risulti appassionante, e
soprattutto che i personaggi ti piacciano, perché io li adoro
^^ Mi raccomando, fammi sapere che ne pensi anche di questo, un
bacio, ciao!
Treatsterischi:
innanzitutto, scusami se ho sbagliato a scrivere il tuo nome, ma è
uno scioglilingua ^^ ad ogni modo, ti ringrazio per il commento e
per la solidarietà verso i brutali massacri al genere, che
insomma, io non sono proprio appassionatissima, ma ho amato alla
follia quasi tutta la prima saga della Rice, ed è
principalmente per questo che sono accorsa gioiosamente anche
all'arrivo di Twilight, la quale autrice è osannata come
l'erede della cara Anne. Da chi, non chiedermelo, perché sto
ancora cercando quell'idiota per pestarlo a sangue.
Comunque,
ti confesso che l'idea della divisione in famiglie viene proprio da
Underworld, che ok, non era questo gran capolavoro (no, decisamente
non lo era), ma mi era piaciuta l'aria aristocratica dei vampiri.
Spero
che continuerai a seguirmi, e a darmi buoni consigli magari ^^ ci
tengo a sapere che ne pensi. Un bacio, ciao!
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