Incompiuta
Ero arrabbiatissimo.
Nel
tentativo di sbollire l’ira, mi concentrai sul mio
piatto. Seguii con gli occhi – con un’attenzione
che in qualsiasi altra occasione non sarei stato in grado di mantenere
– i ghirigori dorati che s’inseguivano lungo il
bordo bianco, intersecandosi nello stemma dei Black.
«Quel
ragazzo diventa ogni giorno più
insopportabile» decretò mia madre.
Io alzai
appena il viso, giusto per notare la sua bocca rossa ritta in
una sentenza di disapprovazione.
Non
sembrava avesse risentito della litigata che aveva appena avuto con
Sirius, lite che era culminata con mio fratello spedito in camera sua
senza cena.
Ormai
digiunava sette giorni sì e uno no.
Per quanto
mi riguardava, mi irritava il suo continuo tentare di
mettere i piedi in testa gli altri. Riconoscevo che i miei genitori
sembravano fare di tutto per rendergli la vita impossibile, ma lui si
era fatto maledettamente arrogante…
Strinsi i
pugni sotto la tovaglia, cercando di controllare almeno la
mia espressione.
«Se
solo non avessi timore delle chiacchiere»
proseguì intanto mia madre, in tono glaciale, «lo
lascerei per strada. Non è altro che un piccolo impertinente
ingrato. È la vergogna della nostra famiglia,
Orion».
Mio padre
si limitò a grugnire seccamente per manifestare la
propria approvazione.
Ecco un
altro motivo per il quale odiavo il comportamento di Sirius:
dopo che lui veniva spedito nella sua stanza, toccava a me ascoltare i
commenti freddi dei nostri genitori.
Non mi
piaceva.
Avevo quasi
la sensazione di tradire mio fratello, ascoltando quelle
parole sprezzanti senza protestare. In fondo, però,
cos’avrei dovuto fare? Non volevo dare ai miei genitori altri
motivi di dispiacere.
Inoltre
trovavo che Sirius fosse terribilmente arrogante.
Credeva di
avere il diritto di fregarsene altamente di me e dei nostri
famigliari, si comportava come gli pareva e piaceva, scattava e
attaccava chiunque volesse metterlo in riga – anche le tante
volte in cui era in torto.
«Comunque,
Regulus» esordì
improvvisamente mio padre, rivolgendomi la sua attenzione,
«la tua media è molto soddisfacente».
Risposi
come si aspettavano, in tono rispettoso: «Grazie,
padre».
Per un
momento, potei bearmi dell’orgoglio che scorsi nei
suoi occhi, fino a quando, senza aggiungere altro, tornò a
mangiare.
Mio padre
era fatto così: non si perdeva mai in chiacchiere.
Quando voleva dire una frase la diceva, senza inutili giri di parole.
Un’osservazione
e una risposta, poi la faccenda era chiusa.
La cena, a
dispetto della bufera sollevata poco prima da Sirius,
proseguì con calma. Io cercavo di non guardare verso il
posto vuoto di mio fratello e allo stesso tempo mi irritavo con me
stesso per l’importanza che davo al non vedere la sua sedia
priva della sua presenza.
Finalmente,
dopo quello che mi parve un secolo, mia madre
chiamò Kreacher per sparecchiare.
Rivolsi un
sorriso fugace all’elfo domestico, poi mi alzai in
piedi. «Padre, madre, io andrei a letto» li
informai.
Orion mi
rivolse un gesto benevolo, e il mio cuore fece un balzo di
gioia. «Vai pure, Regulus» mi congedò
mio padre.
«Grazie».
Indugiai.
«Buonanotte» aggiunsi, prima di girarmi e dirigermi
verso la mia stanza.
Avevo in
mente di dare una ripassata veloce ad Incantesimi –
non ero a buon punto con i compiti delle vacanze –,
perciò mi sentii stupido quando invece bussai alla porta di
mio fratello.
“Che
diamine sto facendo?”
Ormai,
però, non potevo tornare indietro, quindi rimasi in
attesa.
Udii una
specie di mugugno, poi alcuni passi, e la porta si
aprì.
Mi ritrovai
a fissare il viso di mio fratello a pochi centimetri dal
mio. «Posso esservi utile, oh nobile rampollo
dell’Antica Casata dei Black?» mi
domandò, beffardo.
«Smettila!»
sbottai, irritato.
Lui fece
spallucce. «Cercavo solo di trattarti con il dovuto
rispetto» replicò, rivolgendomi un sorriso
affettato.
Quella
smorfia mi ricordò spiacevolmente Hogwarts, quando
lui camminava tutto tronfio in compagnia di Potter, Minus e Lupin,
senza degnarmi di un’occhiata e attaccando briga con tutto e
tutti.
Sirius
approfittò quasi subito del mio silenzio.
«C’è
qualcosa che potrei fare per voi,
oh compiacentissimo Regulus?»
Avrei
voluto strozzarlo, ma per qualche motivo mi trattenni.
«Ad esempio» suggerii, in tono aspro,
«potresti smettere di essere così pieno di
te».
«Meglio
di te, che sei così pieno
d’altri» ribatté Sirius, e per un
momento mi parve serio.
La sua
frase mi disorientò. Prima che potessi rifletterci
sopra, però, il viso di Sirius tornò ironico.
«Ti dispiace che mammina si rovini la digestione per colpa
mia?»
Fui
costretto a ritrarmi disgustato. Digestione. Mi stava chiedendo se
m’importava qualcosa della digestione.
«Mi
dispiace – no, anzi, mi fa arrabbiare
– che tu sia così ingrato, che tu faccia di tutto
per staccarti da noi. Non l’avrai notato, Sirius, ma siamo la
tua famiglia!» Senza volerlo, ero esploso, ma tentai di
nascondere almeno in parte la collera che provavo.
«La
mia famiglia?» mi fece eco Sirius, incredulo e
insopportabilmente sarcastico. «Un uomo e una donna che
arrivano ad odiarmi solo perché vado contro le loro preziose
tradizioni di famiglia si possono chiamare genitori, secondo
te?»
Mossi la
testa di scatto, rabbioso. Era inutile, non capiva.
«Inizi
sempre tu, e lo sai!» soffiai, furiosamente.
«Inizio
sempre io?» Sirius sbottò in una
breve risata simile ad un latrato, senza nessuna allegria.
«Dimmi, Regulus, chi, se non “mamma” e
“papà”» –
pronunciò i due nomi con attento disprezzo –
«mi fa notare dieci volte al giorno che inumana delusione
sono?»
«Se
non li avessi delusi davvero, ora non ti troveresti in
questa situazione».
Mi accorsi
di averlo detto davvero, seppur in un sussurro, solo quando
Sirius mi fissò.
«Deluso?»
s’informò.
«Deluso? Io? Io sono solo andato dietro a quello in cui
credevo. Sono loro che mi hanno deluso, Regulus.
Anzi…» Mi fissò, gli occhi grigi
improvvisamente scuri, e seppi che era in arrivo una frecciata a me
dedicata. «Voi
mi avete deluso. E tu, Regulus, non sei altro
che un piccolo bastardo leccapiedi…»
Mi ci volle
qualche istante per ritrovare la voce.
Quando ci
riuscii, ribattei in piatto tono d’accusa:
«Sei tu che credi nelle cose sbagliate».
L’attacco
era ancora la mia miglior difesa, e mi resi conto
di aver dato alla mia voce una nota di disprezzo che non avevo mai
usato prima d’allora.
Sirius mi
fissò, e fu come se la sua accurata maschera di
indifferenza andasse in frantumi sotto ai miei occhi. Vidi sgretolarsi
ogni sua ironia nella quale aveva celato la rabbia. Vidi la calma
ostentata sbriciolarsi in mille pezzi. Troppo piccoli –
troppi,
semplicemente – per venire recuperati e riassemblati
in fretta.
Per un
momento, avvertii un’improvvisa sensazione di
vertigine.
Mi accorsi
di stare guardando, per la prima volta dopo così
tanti anni, il vero Sirius. Fui sconvolto nel vedere quanto era diverso
da quello che avevo percepito per tutto quel tempo. In cosa consistesse
quella diversità, non avrei saputo dirlo, frastornato
com’ero dalle emozioni che mi aggrovigliavano
l’intestino.
Per un
frammento di secondo mi parve di intravedere del dolore nei suoi
occhi. Quando sbattei le palpebre, era già passato.
«No,
Regulus. Sei tu che credi in ciò che non
è giusto» mi comunicò Sirius, in un
sussurro che mi raggelò.
Mi
aggrappai al suo sguardo tentando di scoprire quel che la voce non
mi aveva rivelato.
Sirius
sbatté le ciglia sotto il mio esame e, con uno
scatto, si ritirò dentro la propria camera, chiudendo la
porta davanti a me con un tonfo.
Scosso da
quella mossa repentina, sferrai un calcio contro il legno,
per sfogarmi.
«Idiota!»
ringhiai. «Sei un codardo,
Sirius, mi fai schifo!»
Ero
talmente arrabbiato e frustrato per come si era sottratto ai miei
occhi – non si fidava più di me – che le
parole sgorgarono dalle mie labbra, taglienti come coltelli, mentre in
realtà avrei voluto solo chiedere se non potevamo tornare
indietro.
Indietro
fino al tempo in cui giocavamo sempre insieme.
«A
volte nostra madre dice che sarebbe stato meglio se tu non
fossi mai nato. A volte credo che abbia ragione».
Inghiottii
il gelo delle mie stesse parole, poi mi voltai e corsi a
rifugiarmi in camera mia.
Qualche ora
dopo, ero ancora immobile nel mio letto.
Fissavo il
soffitto buio senza essere capace di chiudere gli occhi e di
provare a dormire.
Gli echi
del mio litigio con Sirius tornavano a percuotermi
ripetutamente.
Pensavo
alla calma raggelante della sua voce nel momento in cui mi
aveva definito un bastardo leccapiedi. Quel che mi tormentava
maggiormente, però, non erano le parole di Sirius, ma le mie.
A volte nostra madre dice che sarebbe stato meglio
se tu non fossi mai
nato. A volte credo che abbia ragione.
Non
riuscivo a credere di aver detto una cosa simile.
Essere
così insensibile non era da me; nemmeno quando ero
arrabbiato usavo essere così tagliente con gli altri.
Certo, una
parte di me era ancora furibonda con Sirius per come si
comportava con noi – con noi che eravamo la sua famiglia,
anche se lui continuava a negarlo –, ma non riuscivo a
capacitarmi di essere arrivato sino a quel punto.
Mi faceva
vergognare.
Tanto
più che non ero stato affatto sincero.
Sirius
poteva essere testardo e attaccabrighe, e una significativa
percentuale delle botte della mia infanzia mi era stata rifilata
proprio da lui, ma di certo non avevo mai desiderato che lui non
esistesse.
Era mio
fratello, e prima di Hogwarts eravamo stati
pressoché inseparabili. Sperimentavamo tutti i giochi che
era possibile fare tra le mura tetre della nostra casa, e quando cadevo
lui mi apostrofava chiamandomi “piagnucolone”, ma
mi tendeva sempre la mano per farmi rialzare. Quando avevo degli
incubi, poi, potevo sempre contare sul fatto che mi avrebbe accolto nel
suo letto, e sapevo che se mai qualcuno avesse osato sfiorarmi con un
dito, lui gliel’avrebbe fatta pagare cara.
Un’altra
cosa che mi inquietava era il lampo improvviso di
dolore che aveva bruciato sui lineamenti di Sirius. Me l’ero
immaginato o l’avevo visto davvero? Se era stato reale, a
cosa era dovuto?
Alla fine,
dopo essermi voltato in continuazione nel letto, fra ricordi
e lampi di pensieri, caddi in un sonno agitato.
Quando mi
svegliai, ero tutto sudato.
Mi sembrava
di aver sognato qualcosa di brutto, ma non riuscivo a
ricordare cosa fosse.
Ancora un
po’ intontito dal sonno, lottai con le lenzuola per
alzarmi dal letto. Mi diressi barcollante sino al bagno. Lì,
in poco tempo, appallottolai il pigiama maleodorante e mi infilai un
abito fresco di bucato.
Mi lavai
più volte la faccia e, quando riemersi
dall’asciugamano, mi fermai un attimo ad osservarmi nello
specchio.
La prima
cosa che balzò alla mia attenzione fu il fatto che
ero decisamente troppo gracile per la mia età.
Feci una
smorfia, che si ripeté perfettamente sul viso magro
del giovane nello specchio.
Mi valutai,
inclinando la testa. I capelli neri che mi scendevano
attorno al volto erano un po’ arruffati a causa della dormita
recente, mentre i miei occhi scuri, ridotti a due fessure, mi
guardavano tetri da sotto le sopracciglia.
Nei
lineamenti, ero molto simile a mio fratello. Nonostante lui avesse
un fascino ben più marcato del mio, non avremmo potuto
nascondere a nessuno il nostro legame di sangue.
Improvvisamente,
sospirai e abbassai bruscamente lo sguardo,
dirigendomi fuori dal bagno.
L’ovvia
intenzione era di filare dritto in camera mia, ma
ancora una volta mi ritrovai a fissare la porta di legno scuro della
stanza di Sirius.
Deglutii,
mentre il peso della nostra litigata mi gravava nuovamente
addosso. Mi stupii che le mie spalle non si afflosciassero.
Mentre i
miei piedi nudi cominciavano ad intirizzirsi per il contatto
con il pavimento freddo, indugiai sul posto.
Non
riuscivo a decidere cosa fare, e d’un tratto mi chiesi da
quanto tempo non sentivamo un “mi dispiace” sincero
passare tra noi.
Il mio
orgoglio si sentiva maledettamente sminuito, eppure mi dissi che
l’unica soluzione era far pace con mio fratello.
Non era la
prima volta che discutevamo – e di certo non
sarebbe stata nemmeno l’ultima – ma mi sentivo come
se avessimo raggiunto un limite, e volevo rimediare.
Mi domandai
cosa avrei detto, e se Sirius mi avrebbe trattato come un
cretino.
Pensandoci,
dovetti concludere che Sirius sarebbe stato talmente
esterrefatto dalle mie scuse da scordare quel sarcasmo che lo dipingeva
tanto insopportabile ai miei occhi. Forse lo stupore
l’avrebbe condotto al punto di dire un “mi
dispiace” a sua volta.
Forse,
ipotizzai, avrei potuto sempre chiedergli scusa ma non
risparmiarmi un insulto.
Subito dopo
sospirai. Se il mio dispiacere doveva risultare sincero,
dovevo lasciar perdere gli epiteti poco lusinghieri.
A quel
punto, anche per i miei piedi congelati, maledissi quelle
incertezze.
“Siamo
fratelli!” mi ricordai, fermamente.
Pensai di
nuovo alla somiglianza tra me e lui. In quel momento non mi
irritò come aveva fatto poco prima, mentre ero davanti allo
specchio, ma mi fece sentire di essermi tolto un gran peso dal petto.
Reprimendo
i miei dubbi, abbassai la maniglia ed entrai.
«Sirius…» iniziai, ma venni subito
assalito da un’inquietudine improvvisa.
Guidato da
quel panico irrazionale, spalancai gli occhi, guardandomi attorno e tentando disperatamente di abituarmi all’oscurità.
Non appena ci riuscii, seppi che il buio era preferibile, e mi irrigidii notando le
condizioni della sua stanza.
Le pareti
erano ancora ricoperte di giallo e rosso, ancora tappezzate
di poster babbani. Ma tutto ciò, per quanto mi ripugnasse,
era normale. La cosa che attirò dolorosamente la mia
attenzione fu il fatto che la stanza era vuota.
Mossi
qualche passo in avanti, come stordito.
Era
scappato.
Lo sapevo,
senza aver bisogno di verificare che nell’armadio
mancassero degli indumenti, o i suoi libri di scuola.
Lo sapevo,
forse grazie al cuore che mi batteva all’impazzata
nel petto, forse grazie alla sensazione di nausea mista a vertigine che
mi aveva assalito all’improvviso.
Se
n’era andato di casa.
Mi aveva lasciato.
«Deficiente»
dissi al vuoto, impotente.
Le mie
scuse si dissolsero nel silenzio.
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