silenzio
Tu non mi odi
Kiba diede un pugno al
muro, i denti scoperti, il petto gonfio di una rabbia impossibile da
trattenere. Quando ritrasse la mano, le nocche doloranti, violacee,
borbottò un’imprecazione.
“Ti sei sfogato?”
Hanabi si sedette sul bordo del letto e accavallò le gambe,
un sorriso trattenuto sulle labbra rosee, prive di trucco.
In risposta, il giovane le lanciò un’occhiataccia.
“Secondo te rompermi una mano potrebbe farmi smettere di
odiarti?”
Era sempre stato così. In completa sintonia con la sorella,
Hinata, disperatamente alla cerca di uno scontro con Hanabi, in un
continuo susseguirsi di litigi e ripicche che non avrebbero potuto
avere fine.
Eppure Hanabi non faceva nulla per provocarlo; certo, possedeva quel
modo di fare composto tipico della sua nobile famiglia, ed era forse
eccessivamente sincera; tuttavia sapeva essere allegra, maliziosa,
pronta a scherzare.
Ed era bella, tremendamente bella.
“Tu non mi odi, mi ami,” insinuò Hanabi,
studiando attentamente il suo viso, “sai che è
così.”
“No, non hai capito niente: ti odio davvero,”
rispose Kiba,
“soprattutto per avermi bidonato,
ieri sera.”
Hanabi alzò gli occhi al soffitto. “Ti ho
avvertito!”
“Cinque minuti prima della cena,”
replicò Kiba, un ghigno a fior di labbra, “molto
carino da parte tua, farmi fare la figura dell’idiota al
ristorante, di
fronte a mia madre e a mia sorella.”
“Ti ho anche chiesto scusa. Sai com’è
fatto mio
padre...”
“Purtroppo.”
“Molto gentile.”
Kiba si mise le mani in tasca e osservò il volto di Hanabi
farsi imbronciato, le labbra strette per bloccare velenosi insulti e
lamenti immaturi, le guance insolitamente in fiamme, gli occhi chiari
piantati sul pavimento della loro camera da letto.
Con quell’espressione, non tanto dissimile da quella di una
bambina, ispirava quasi tenerezza; gli fece persino venir voglia di
abbracciarla, ma quel
desiderio durò un istante, perché venne
sostituito da un altro, ben più intimo e animalesco.
Gli occhi di Kiba si spostarono sul letto su cui la ragazza era seduta,
e le immagini di loro due avvinghiati fra le lenzuola sostituirono la
dolcezza, riempiendolo di desiderio.
Oh, al diavolo!
Quello che seguì, assieme a qualche imprecazione e allo
strofinare delle lenzuola fresche sulla pelle e dei vestiti sparsi a
terra, fu
un altro modo di sfogarsi.
Fra un gemito e l’altro, Kiba pensò che odiarla
sarebbe
stato bello, e fisicamente farle capire quel sentimento poteva
rivelarsi utile, persino eccitante; tuttavia, lo faceva sentire anche
in colpa, perché nel modo in cui Hanabi si arrendeva a lui,
nel modo in cui gli sfiorava il volto, sussurrando il suo nome, nei
momenti in cui lui stesso sentiva il bisogno di averla fisicamente
più vicina, in quei
momenti, Kiba sapeva che lei
aveva ragione.
La odiava.
Ma l’amava, appassionatamente, a ogni suo tocco.
[445 parole;
Kiba/Hanabi; Canzoni
(nelle profondità delle loro parole), prompt
n° 12: "I hate everything about you/Why
do I love you?/I hate/You hate/I hate/You love me," (I hate everything
about you - Three Days Grace)]
Note
dell’autrice:
Terza storia per l'iniziativa di Torre
di Carta. Era da un po' che non pubblicavo nel fandom di
Naruto. Voglio dire, dal 2008 (col vecchio account) a oggi ho sempre
scritto tanto per Naruto, eppure - e forse giustamente - con la fine
del manga mi è un po' passata la voglia. Vuoi per la
canonizzazione dei miei pairing preferiti, vuoi perché
è aumentato l'interesse per altri fandom, vuoi
perché questa sezione è diventata... strana (diciamo
così ò_ò). In ogni caso amen, vivi e
lascia vivere. Ho scritto questa piccoletta con la canzone dei Three
Days Grace in sottofondo, pensando anche a _Schwarz,
che adora questo pairing in maniera folle e un pochino malsana. E
dedico la flash a lei, con tantissimo affetto.
Bene, vi lascio.
Un bacione!
Mokochan
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