Giustizia, fortezza, prudenza e temperanza di Juliet88 (/viewuser.php?uid=232926)
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"Ah ah, Sana, questa foto è, è..."
"ridicola!" quasi urlò, Fuka, rischiando di versare tutto il
caffè che quella mattina avevamo deciso di prendere insieme, a
causa delle convulsioni delle risa.
Alzai un sopracciglio, seccata.
"Fuka, potresti smettere di infilare il coltello nella piaga? Lo so
già da me" le risposi, con un piccolo tic nervoso alle labbra,
cercando una calma che non mi si addiceva.
"Ma guardala!" esclamò, ancora vittima delle risate, rivolgendosi ad Aya.
Picchiettai in modo nervoso le lucide unghie sul tavolino.
Guardai la mia amica, non ci volle molto prima che riuscissi a notare che stesse utilizzando tutta la forza che possedeva in
quel corpicino per cercare di non ridere anche lei fragorosamente. Lo
sforzo, però, durò solo pochi secondi, fin quando la
gentile Fuka non decise di passarle quel maledetto giornale, per farle
ammirare meglio la foto.
Dannato paparazzo.
"Sana Kurata: follie durante la notte?" era questo il titolo che quello
sprovveduto della testata giornalistica aveva utilizzato, descrivendo
la foto.
"Potreste finire di ridere, voi due? domandai, retorica. Le labbra assottigliate, le mani sotto il mento.
Presero un sospiro, di quelli che fai dopo uno sforzo fisico, per poi decidere in conclusione di tornare serie.
"Ma ti trovavi agli studi televisivi?" chiese, dopo qualche secondo Fuka.
"Sì. Quel fotografo è comparso all'improvviso. Speravo
davvero non fosse riuscito a fare uno scatto decente" risposi,
rassegnata, portando nuovamente la tazzina alle mie labbra.
"Amica mia, devo proprio dirtelo. Sei una sciocca! Speri di non farti
fotografare da nessun paparazzo e ti rechi agli studi televisivi? Nella
tana del lupo?" domandò, in modo sarcastico. Le risate che di
nuovo le facevano capolino.
"Lo so, lo so. Sono un'idiota"
Mi presi qualche secondo per ammirare di nuovo quella fanciulla
ritratta sul giornale. Capelli arruffati, occhiali neri, un'espressione
di sorpresa, mentre era intenta a correre, fuggendo invano
dall'obiettivo. Avevano ragione entrambe le mie amiche. Era davvero
impossibile non ridere.
E così lo feci anche io. Cominciai a ridere indicando quella
ragazza sul giornale, e prendendomi in giro come solo io sapevo fare.
"Comunque, è tutta colpa di Hayama. Devo cercare vendetta" asserii, quando mi fui ripresa.
"Hayama c'entra poco, sei tu che hai voluto fare obbligatoriamente
quella stupida gara di resistenza all'alcool" mi rimproverò Aya.
"Gia', e mentre lui è tornato a casa fresco come una rosa,
tu...beh, tu..." continuò quella che sembrava la sua più
fedele alleata questa mattina.
"Non dirlo. Ho capito, grazie" dissi, secca.
Ed entrambe si portarono le mani alle labbra, incapaci di far morire in gola quelle nuove risate ancora una volta fuori luogo.
Sembrò quasi che le mie tempie avessero ripreso quella strana e
soprannaturale capacità di fumare. Bevvi velocemente l'ultimo
sorso di caffè, mentre scattavo in piedi, con un'espressione
eloquente in viso.
"Sana, non te la sarai presa! Abbiamo detto solo quello che è successo!" esclamò, Fuka.
"Si, però...potremmo anche smettere definitivamente di ridere
adesso, Fuka. Scusaci Sana" riconobbi la parte materna e razionale di
Aya.
"Non fa nulla. Non sono mica arrabbiata con voi! Sto cercando solo di
trovare una vendetta per Hayama" sussurrai, unendo le mani con fare
malefico.
Entrambe sospirarono. Un sospiro di...disappunto? rassegnazione?
Andammo a pagare il conto, dirigendoci tutte verso la cassa. Fu proprio
lì che Aya notò un piccolo volantino, con giostre e
attrazioni raffigurate a scopo illustrativo, in modo da richiamare il
pubblico.
"Ehy, guardate! Hanno deciso di montare un nuovo parco divertimenti!
Sarebbe fantastico fare le montagne russe che piacciono tanto al mio
Tsu!" sospirò, un po' stucchevole, Aya. Inutile dire che io e
Fuka alzammo entrambe gli occhi al cielo.
Quest'ultima le rubò gentilmente il volantino, decisa a guardare con i suoi occhi le immagini e diciture.
"Si, sarebbe proprio divertente. Anche Takaishi le adora, e sarebbe una
buona occasione per vederci, data la distanza..." pensò ad alta
voce."
"Potremmo andarci tutti insieme!" proposi io, con tono entusiasta.
"No, Sana. Ho capito cosa hai in mente" esclamò Fuka, cogliendomi alla sprovvista.
La guardai interrogativa, pensando che potesse bastare. Ma non presi molto tempo prima di chiedere a cosa potesse riferirsi.
"So benissimo perchè vuoi andare lì! Vuoi far salire
Akito su una di quelle giostre, sai bene quanto si spaventi delle
altezze"
La mia espressione passò in qualche secondo attarverso una miriade di
diverse emozione. Passai dalla confusione, al chiarimento, dovuto alla
spiegazione di Fuka, all'illuminato, come quando a qualcuno venga in
mente un idea brillante, per poi finire in uno sguardo malefico e
dispettoso, già eccitato anche solo al pregustare il sapore
della vendetta.
Sia Fuka che Aya si accorsero dei miei rapidi cambiamenti umorali, e si
resero conto di avremi perfino dato loro l'idea. Si diedero un piccolo
colpo sulla fronte.
"Non ci avevo pensato, Fuka. Grazie" dissi piano, sogghignando.
"Sana..." riuscii a sentire solo il mio nome, deformato
dall'esasperazione nel loro tono. Ma ero già uscita dal locale
per capire quali altre sciocchezze avrebbero voluto dirmi in modo da
dissuadermi. Come se non mi conoscessero.
Una volta fuori, Fuka ci salutò immediatamente, disse di dover
tornare a casa per studiare "diritto processuale", e di aspettare anche
una chiamata.
Non ci volle molto prima che sia io che Sugita potessimo dire in modo fintamente dolce e beffardo "Takaishi..."
Gia un po' distante ci riservò tutto l'affetto che una linguaccia possedeva, per poi voltare le spalle.
"Anche io purtroppo devo correre, Sana. Devo andare a lavoro" mi informò, dispiaciuta.
"A scuola?" chiesi, ricevendo in risposta un delicato cenna di assenso.
"Potrei...potrei venire anche io? Mi farebbe così piacere rivedere alcuni professori e quelle mura..."
"Sì, certo, ma sappi che io dovrò stare in aula...purtroppo non potrò tenerti compagnia"
"Non fa nulla. Ci incamminiamo?" domandai, serena ed elettrizzata.
Mi riservò un gesto con la mano, segno di andare, parlammo del più e del meno durante tutto il cammino.
Appena arrivate dinanzi quei cancelli, a cui un tempo avevo fatto
l'abitudine di guardare ogni mattina, o quasi per via del lavoro di
attrice, Aya mi salutò, dandomi un veloce bacio sulla guancia, e
correndo verso i suoi alunni. La guardai andare via, mentre io mi presi
qualche minuto per ammirare quel cortile, qualche minto per ammirare
l'albero secolare, ancora lì dove era sempre stato, ricordandomi
che fosse il solito punto d'incontro tra me e i miei amici. Sorrisi
nostalgicamente.
A volte avrei davvero voluto tornare a quei tempi, ritornare ad essere
la Sana tredicenne, per godermi meglio la vita scolastica, sempre
minacciata e in eterno conflitto con quella lavorativa.
La scuola media doveva essere una tappa, un ricordo per tutte le
persone. Ma per me, per Sana Kurata era un posto che vedevo
rararamente, soprattutto nel periodo antecedente alla mia partenza
verso gli Stati Uniti.
Mi sedetti sul prato, poggiando le spalle su quella quercia, felice per
il leggero vento che mi accarezzava il viso, e il tipico odore di fiori
primaverile.
Tante volte, prima di quel momento, mi chiesi come sarebbe andata. Come
sarebbe andata se non avessi fatto l'attrice, se non avessi stretto
quel patto con mia madre, se avessi frequentato con costanza la scuola
media e superiore, se non fossi mai andata in California. Se non avessi
mai avuto questo carattare così testardo e la naturale
inclinazione ad aiutare le persone accanto a me, se non avessi mai
cercato di farlo anche con Hayama.
Più volte, in America, mi ero interrogata su questo, facendo
anche un necessario e giusto "mea culpa" su ciò che avevo
sbagliato, sebbene gli errori fossero sempre stati il talento di
entrambi.
Mi risposi affermando che eravamo inevitabilmente troppo acerbi per
sopportare un sentimento così importante, troppo piccoli per
portare sulle spalle un macigno così doloroso. Ciò che
era nato dal nostro frequentarci, era la naturale conseguenza che accade
tra uomo e donna, ma aveva finito per sembrarci un ostacolo, e non una
risorsa.
Tornai a guardare la scuola, decidendo che fosse l'ora per una bella
passeggiata tra i suoi corridoi. Incontrai molti vecchi professori,
apparentemente felici di potermi rivedere e salutare di nuovo. Mi
chiesi se si ricordassero di me come loro alunna, o solo come "Sana
Kurata, l'attrice". Tuttavia, pensando alla frequenza scolastica di
quegli anni, non avrei potuto proprio biasimarli. Osservai tutti quei
bambini, intenti a conversare tra di loro, dirigersi verso le loro
classi, stringendo tra le mani i libri che avrebbero duvuto utilizzare
in quell'ora. Riuscii a udire anche qualcuno che sussurrava il mio
nome, avendo riconosciuto chi fossi.
Guardai anche, stavolta
sorridendo, una certa bambina, armata di innaffiatoio, tutta presa
dall'abbeverare quelle poche piante posizionate sul davanzale della
finestra. Ricordai quando fui io ad avere quel compito.
Decisi di scendere nuovamente nel cortile, ero riuscita a scorgere
alcuni bambini concentrati nel correre intorno al campo nella loro
lezione di ed. fisica. era talmente bello poter ricalpestare quel suolo
leggermente sterrato...
Mi poggiai al muretto, decisa a godere quelle voci tintinnanti di bambini, e il sole per qualche minuto.
"Kurata?" una terza voce fuori campo, che certamente non poteva essere
la mia, nè quella dei miei pensieri, mi risvegliò,
facendomi anche sussultare.
"Hayama? Che ci fai qui?" domandai, davvero stupita nel vederlo.
"No. Che ci fai tu qui" probabilmente più sorpreso della sottoscritta.
"Ho deciso di fare una piccola visita alla vecchia scuola, sono venuta con Aya. Ora tocca a te"
"Te l'ho detto giusto ieri, ogni tanto mi chiamano per coprire qualche assenza, e a me sta bene"
Oh, ecco cosa ci faceva lì. In tuta. Con dei ragazzini vicino.
"Un'altro quarto d'ora di campestre, poi faremo qualche piccolo
esercizio" gridò, per permettere a tutti i suoi alunni di
ascoltare le sue parole.
"Oh, non pensavo che parlassi anche di adesso. Comunque mi fa piacere, sembri un bravo insegnante!" gli riferii, sorridendo, non appena tornò a guardarmi.
Non disse nulla, ma quando si parlava di Hayama c'era da aspettarselo. Anzi, per tutta risposta alzò gli occhi al cielo.
"Professor Hayama!" un urlo richiamò subito l'attenzione del mio biondo amico.
"Professor Hayama! Toshi si è appena tagliato con del ferro che
fuoriusciva dalla rete. Le dispiace se lo accompagno in infermeria?"
domandò un bambino dal viso affettuoso, evidentemente
preoccupato per il compagno di classe.
Alzai lo sguardo, cercando di intravedere chi potesse essere questo
Toshi, in modo da verificare se la ferita fosse superficiale o meno, ma
lo trovai seduto solo all'angolo più lontano, volontariamente in
solitudine dal resto del gruppo. Era impegnato a osservare la ferita
sulla mano, cercando di fermare il sangue, ingorando tutti gli altri
ragazzi della sua classe che, preoccupati, gli erano andati vicini.
Vidi Hayama andare velocemente verso di lui, mentre ordinava agli altri
alunni di riprendere la corsa. Gli fui accanto in pochissimi secondi.
"Toshi, fammi un po' vedere che ti sei fatto" disse, con tono severo.
Il moro lo guardava, senza nessun accenno a eseguire ciò che il professore gli aveva chiesto.
"Toshi, sbrigati. Vogliamo solo aiutarti, e quella ferita potrebbe
infettarsi" si affrettò a dire il ragazzo dagli occhi premurosi
di poco prima.
"Non ho bisogno dei pareri, nè dell'aiuto di nessuno"
sentenziò, scandendo bene ogni fonema, per poi alzarsi e andare
verso l'inferemeria. L'amico lo seguì in silenzio, guardando
Hayama in segno di scuse, e di comprensione.
Akito non disse nient'altro.
Non potei fare a meno di pensare a quanto fosse maleducato e arrogante quel bambino. In fondo volevamo solo dargli una mano!
In realtà, riusciva persino a ricordarmi qualcuno.
Stessi occhi duri, stessa espressione vuota, stessa crudeltà nelle parole.
Doveva essersene accorto anche Akito, poichè lo vidi farsi
pensieroso per qualche istante. Fu lui, però, a parlare per
primo.
"Fa sempre così. Si siede quando ordino ai suoi compagni di
correre e corre quando invece gli altri sono fermi o fanno qualche esercizio. Fa
sempre confusione in classe, sentendo parlare altri docenti della
scuola, anche se con me...sembra starsene sempre solo"
Avevo ragione. Le similitudini c'erano tutte.
"Dico sempre a Ryo, quel bambino che hai visto prima, di stargli
vicino, anche quando lo caccia via. Sembra che ne abbia bisogno"
continuò, girando leggermente il busto per guardarmi negli occhi.
Avevamo capito l'uno le riflessioni dell'altro. Non c'era nemmeno la
necessità di comunicarci il pensiero comune che avevamo fatto.
"Pensi ci sia qualcosa dietro? Qualche problema privato?"
"Ne sono convinto" sputò, spostando lo sguardo verso l'infermeria.
"Allora dobbiamo solo saperlo con certezza" dissi, incrociando le braccia sotto il seno.
Mi osservò, circospetto.
"Che hai in mente?" chiese, sospettoso.
"I buoni vecchi metodi Kurata. Ci vediamo al parco all'imbrunire?"
chiesi, con la luce e il fascino dell'indagine mi avevano sempre recato.
Sembrò rifletterci qualche secondo, incerto se impicciarsi delle
faccende altrui o meno. A pensarci bene, Akito non aveva mai mostrato
interesse per le vite altrui, se non quella di quei pochissimi amici
stretti che aveva, ma avevo notato il modo apprensivo che aveva nel
guardarlo. Come se sapesse esattamente le emozioni che quel bambino
provasse, per un esperienza che la vita troppo presto gli aveva
riservato. Tirarlo fuori dall'oblio sarebbe stato come salvarsi anche
lui, di nuovo.
"D'accordo. A più tardi" mi salutò, tornando dai suoi
alunni, mentre io voltavo le spalle, decisa a dirigermi verso casa.
"Ah, ehm, Kurata?" ripretese la mia attenzione. Mi girai per capire cosa avesse da dirmi.
"Evita i tuoi ridicoli costumi alla Sherlock Holmes, come giusto qualche anno fa"
Sorrisi al ricordo.
"E tu assicurati di mettere una cintura, Hayama"
Lo vidi sorridere debolmente, mentre gettavamo un ultima occhiata verso
la porta chiusa che i due bambini si erano lasciati alle spalle.
"Ma devi essere sempre così strana? Posa quella lente d'ingrandimento, Kurata"
"Ma sono un'attrice! Ho bisogno degli strumenti di scena" mi lamentai,
prevendendo già il suo solito sguardo insofferente verso l'alto.
E non mi sbagliai.
"D'accordo, d'accordo...la metto in borsa. Che bambino che sei"
Quasi gridò un sarcastico "dici a me?" indicandosi il torace, ma
io avevo già fatto qualche passo in direzione dell'uscita dal
parco, facendo cadere il discorso con uno dei miei soliti sorrisi.
Gli chiesi se sapessimo dove abitasse quel Toshi, in modo da fare uno
dei miei appostamenti investigativi, ma mi accorsi che mi ebbe
preceduta quando davanti al cancello esterno vidi un bambino, il cui nome credo fosse "Ryo".
Hayama lo salutò velocemente, ripetendo a lui la stessa domanda
che poco prima avevo posto io. Ryo si dimostrò subito ben
disponibile ad aiutare l'amico, indicandoci la strada giusta da
prendere.
Il piccolo studente delle medie stava qualche passo avanti a noi, in un
quasi religioso silenzio che coinvolgeva tutti. Persino me.
Non ci volle molto prima che potesse esclamare di essere giunti dinanzi
la casa verso cui ci muovevamo. Mi presi qualche istante per ammirarla.
Era una bellissima casa, in stile occidentale, con delle vetrate
splendenti e della pietra a delinearne il perimetro. Di sicuro era una
famiglia benestante.
Mi guardai intorno, cercando un posto adatto per nasconderci tutti. Lo
trovai in un cespuglio abbastanza alto, che sembrava essere stato messo
lì proprio per noi.
"Quale sarebbe il piano?" sussurrò Ryo, guardando Hayama.
"Per queste cose rivolgiti alla strana ragazza che ho accanto, non sono io ad eccellere in questo campo"
"Hayama, sta' zitto. Sto pensando"
"Vorresti dire che sei venuta fin qui senza pensare ad una linea d'azione? Sei una sprovveduta, Kurata"
"Kurata?" sentii ripetere a Ryo, sottovoce.
"Lo sprovveduto sei tu! Non credi che potessi anche tu pensare a come
agire? In fondo è un tuo alunno, lo conosci meglio di me"
"Sei una sprovveduta!" ripetè, mentre alla mia voce e alla sua si aggiunse anche quella di Ryo.
"Ma allora sei proprio tu! Credevo che le somigliassi, ma sei Sana Kurata!"
Continuò con una serie di esclamazione su quanto fosse felice di
avermi conosciuta, e di stare addirittura accanto a un'attrice quella
sera. Io e Hayama eravamo troppo impegnati a litigare per curarci
davvero di ciò che stesse dicendo.
Il quadretto, se osservato dall'esterno, doveva essere proprio
divertente. Tre persone appostate dietro un cespuglio con la chiara
intenzione di non farsi notare, se non fosse per le voci, e gli urli
che stavano facendo, ognuno preso dal dire qualche frase diversa
dall'altro.
"Zitti!" ordinò, improvvisamente Hayama, colpendoci
improvvisamente con un martelletto in plastica uguale a quelli che
solitamente utilizzavo io.
"State tutti e due zitti!" ribadì, con il petto che respirava freneticamente.
"Tu! -disse indicando Ryo- Sì, è quella Sana Kurata, e
sì, ce l'hai accanto, respira e vive come te. Non farne una
questione di stato"
"Non è nemmeno tutto questo fenomeno..." aggiunse dopo, a bassa voce, quasi per non farsi sentire.
Avrei ripreso a discutere, ovviamente, ma mi resi conto da me che non fosse davvero
il momento, così, almeno per quel frangente, gli dedicai
soltanto un'occhiataccia in cagnesco.
"E tu! -stavolta indicando me- sei e rimani una sciocca"
terminò, tornando a guardare quella casa. Riuscii quasi a
sentire il battito di un martelletto, di quelli in legno che vengono
utilizzati dai giudici. A pensarci bene anche il piko poteva essere un
degno sostituto.
"Era ora che cominciaste a fare un po' di silenzio!" una voce squillante, nuova ci rimproverò.
Tutti ci girammo verso una sola direzione, cercando di capire chi fosse
stato ad aver aperto bocca, e spiato le nostre discussioni. Una
ragazzina dagli occhi vispi e furbi, con dei leggeri boccoli dorati
sulle spalle e deliziose mollettine ai lati a fermarne alcune ciocche,
fece capolino -o sarebbe meglio dire sbucò fuori- da un arbusto
accanto a quello dove eravamo noi.
"E tu chi sei?" chiese Hayama, indispettito.
"Lei non ha una buona memoria, signor Hayama" rispose sibillina quella graziosa figura.
"Yuki, che...che ci fai qui?" chiese, interrompendo i due, Ryo.
La biondina sembrò avere qualche difficoltà nell'esprimersi.
"Oh, ecco...ehm..."
"Conosco Toshi da quando eravamo solo dei bambini, le nostre famiglie
erano amiche tra loro, e uscivamo spesso tutti insieme.
Però...con il tempo gli adulti si sono persi di vista, e anche
io e Toshi, se non per qualche saluto quando abbiamo scoperto di andare
nella stessa scuola. Da un po' di tempo l'ho visto strano, diverso. E
così..."
"...E così lo stai spiando" dissi, risultando forse severa,
eppure era come se capissi perfettamente le buone intenzioni della
bambina.
Abbassò leggermente il capo.
"Vieni avvicinati pure a noi. Forse avendo conosciuto la sua famiglia,
potresti darci qualche suggerimento..." pronunciai, rivolgendomi verso
Yuki, sebbene guardassi Hayama.
Non ci pensò nemmeno mezzo istante. Subito saltò furtiva
dal suo cespuglio al nostro, rivelando anche una scelta d'abiti che
chiunque, eccetto me, avrebbe certo trovato stramba.
Vidi Hayama picchiarsi leggermente la fronte con la mano destra, non
appena ebbe messo a fuoco quella lente, e quel trench da investigatore
privato.
Sorrisi più silenziosamente che potei, beandomi dell'espressione incredula del mio amico.
"Se voi due siete parenti, in qualunque modo questo possa essere
possibile, ditemelo adesso" asserì, forse ironico, forse no. Con
Hayama non poteva mai essere detto.
Ovviamente non conoscevo quella bambina in nessun modo prima dei minuti
precedenti, ma non potei che convenire con lei sullo spirito che stava
dimostrando e, ovviamente, sui vestiti che indossava.
Yuki non sapeva molto su come fosse la situazione familiare attuale di
Toshi. Da tempo le famiglie avevano smesso di frequentarsi per qualche
anno, incontrandosi nuvamente alle scuole medie e, sebbene lei avesse
continuato a voler bene a Toshi e voler recuperare il rapporto, lui non
si limitava che a rivolgerle un saluto stentato.
Ci informò d'averlo visto diverso rispetto il bambino che
conosceva lei. Le sembrò come se alle medie fosse subito
diventato più chiuso, più riservato, antipatico... e
davvero poco affabile.
Fu quando anche io, come Hayama, tornai a guardare quella casa che
notai un particolare forse non proprio irrilevante. Da quelle stesse
vetrate così belle, e che avevo ammirato solo pochi istanti
prima, riuscii a scorgere due persone, entrambe sulla quarantina
d'anni, litigare in modo animato. Una valigia, un trolley, stava
accanto alla donna.
E poi avvenne tutto in rapida sequenza.
Una porta che sbatte, Toshi che cammina sul vialetto. Attraversa il
cancelletto, sbatte anche quello. Sembra voler andare lontano, eppure
è consapevole di non poterlo neanche fare. Mi soffermai sugli
occhi, sembravano non vedessero nulla che non potessero essere i suoi
pensieri. Occhi talmente vitrei da far dubitare che potessero davvero essere veri. Erano esattamente gli occhi che aveva Hayama
quando io e Tsuyoshi, in una situazione simile, qualche anno prima,
avevamo cercato di scoprire cosa lo angosciasse a tal punto.
"Vorrei tanto non poter più vedervi, nè sentirvi!"
urlò furioso Toshi. Un urlo che parve come se fosse rimasto
soffocato per tempo.
Suggerii a Ryo e Yuki di seguire in silenzio l'amico, in modo da capire quale
fosse la destinazione che avesse in mente, assicurandosi di fingere
poi, d'averlo incontrato per pura casualità. Qualche piccola
parola di consolazione gli avrebbe fatto sicuramente bene, malgrado
fosse prevedibile la sua incapacità di chiedere aiuto.
Entrambi annuirono immediatamente, mentre Yuki già
trascinava per il colletto Ryo, per poi tornare a camminare in silenzio.
"E noi? Noi due che facciamo?" domandò, dopo qualche istante, Hayama.
"Noi andremo a parlare con quei due. Ti presenterai come il professore
di Toshi, e dirai di aver accidentalmente assistito a quanto è
appena successo. Il resto sarà spontaneo"
Dall'espressione concentrata che assunse, capii che stesse studiando il
mio piano, immaginandosi la scena. Si prese qualche secondo prima che
potesse bisbigliare un "Okay, andiamo"
Tre piccoli colpi alla porta diedero l'avviso ai proprietari che ci
fossero visite. Ci volle un tempo brevissimo prima che potessero aprire
entrambi la porta, con fare nervoso, invocando il nome del figlio.
Ovviamente le facce cambiarono totalmente quando si resero conto che
non fossero le mani di chi si aspettavano ad aver colpito la porta.
Cercarono di ricomporsi.
"Desiderate?" domandò piano, la donna.
"Salve, sono Akito Hayama. Professore di vostro figlio Toshi. Ero
venuto qui per parlarvi del comportamento che sta
assumendo a scuola, e ho involontariamente ascoltato le urla di poco fa"
"Oh" esclamarono debolmente entrambi.
"Ehm, entrate pure" disse dopo, in segno di resa, quella che pareva essere la madre di
Toshi, al contrario del marito che non volle dire nulla, limitandosi a
seguirci in salotto.
"Mi dica, professor Hayama. Cos'ha Toshi che non va?" disse, con una
tranquillità fittizia, talmente falsa da rendere sia me che
Akito nervosi. Poteva essere una madre tanto stupida?
"Me lo dica lei, piuttosto" rispose, senza battere ciglio.
Nessuno dava cenno di rispondere a quella domanda. Entrambi, piuttosto, presero a guardare vigliaccamente il pavimento.
"Codardi" sussurrò Hayama.
"Lei, come si permette? Pretende di venire qui e sapere tutto di ciò che
accade nella nostra famiglia! Se ne vada, e si faccia gli affari suoi"
urlò, parlando per la prima volta, il padre.
Akito non si sottrasse nemmeno per un istante allo sguardo di sfida che si stavano scambiando.
"I miei alunni sono affari miei. Soprattutto quando hanno dei genitori
che non sanno essere tali" ringhiò, già in piedi
per poter guardare dall'alto in basso quell'uomo sulla quarantina.
Anche quest'ultimo si alzò, arrivandogli a pochi centimetri.
Sia io che la moglie fummo subito tra di loro, cercando di evitare potessero compiere azioni stupide.
"Fermi!" urlai.
"Ritorni a sedersi, lei!-indicai il padre- Hayama, permetti una piccola
parola?"chiesi, con un tono che non era proprio adatto a una richiesta.
Mi guardò con noncuranza, mentre lo spingevo verso l'angolo della stanza, allontanandoci da quei due.
"Quando ho detto "Il resto sarà spontaneo" non intendevo dovessi
trasformare questa casa in un fight club" sussurrai, allarmata.
"Tu hai i tuoi metodi, Kurata. Io ho i miei"
"Non credo sia solo questo" affermai, secca.
"Cerca di non farti prendere dai ricordi, e non dare per scontato
ciò che giudichi, in fondo non conosciamo nè la loro
storia, nè i loro problemi. So che è difficile, ma non
guardare a tutta questa situazione paragonandola a quella che avevi tu,
con la rabbia che avevi tu. Per favore" dissi, intonando le ultime due parole come in una preghiera.
Il suo sguardo parve irrigidirsi, per poi divenire più tranquillo. Tornammo a sederci.
"Signori, ciò che Hayama vorrebbe dirvi è che Toshi
è un bambino molto solitario. Sembra non voglia avere nessuno
accanto a sè, se non in quei momenti in cui decide di voler fare
confusione in classe. E' così distante che sembra essere sempre
assente, reagisce in malomodo con chiunque gli si avvicini. E'
inevitabile non preoccuparsi stando ad osservare ciò" presi la
parola, ottenendo l'attenzione di tutti.
"Io non ne avevo idea" bisbigliarono entrambi, contemporaneamente.
"Toshi non era così." pensò a voce alta, il padre.
"Ma da qualche tempo...io e suo padre non andiamo affatto d'accordo,
litighiamo di frequente, arrivando anche a mettere di mezzo nostro
figlio e la sua educazione, e persino andarcene di casa."
continuò poi, la donna che gli stava accanto.
"Che banalità" osservò, Hayama.
"Siete talmente presi da voi stessi che non riuscite a prendervi cura
di vostro figlio. Da quanto tempo non andate a una riunione con i
docenti? Da quanto tempo non chiaccherate? Da quanto tempo non guardate
insieme qualche film stupido alla televisione?"
I visi di entrambi si abbassarono.
"Non volete lasciarvi perchè Toshi soffrirebbe? Non credete che
sia peggio adesso? Costretto a continuare ad ascoltare voi e le vostre
supide lamentele?"
Presi io la parola.
"Ascoltate, la famiglia è per un bambino il centro di qualsiasi
cosa. Me lo ricordo bene, perchè anche per me era così.
Mia madre ed il marito si lasciarono, eppure non riesco davvero a
ricordare un momento in cui noi due non siamo state felici, nonostante
potessi, a volte, avvertire la mancanza di un padre. Toshi ha,
fortunatamente, entrambi. Due genitori che lo amano, sebbene
probabilmente non si amino più tra loro. Dov'è il
problema? A lui basterà sicuramente riceverlo. E avere di nuovo
quella tranquillità che ogni bambino merita."
I due si guardarono tra di loro rimuovendo per la prima volta, da
quando io e Hayama avevamo fatto il nostro ingresso in quella casa,
quello scudo di ostilità e tormento.
"Io una madre non l'ho mai avuta. Non faccia in modo che anche per suo
figlio sia così" pronunciò dopo, e totalmente
inaspettatamente per me, Akito. Guardava un punto indefinito nella
parete, lo sguardo un po' perso. Credevo non riuscisse a parlarne, era
sempre stato un argomento chiuso a chiave per lui. Forse era maturato
davvero. Istintivamente gli presi la mano.
"Adesso noi andiamo. Suo figlio in questo momento non è da solo,
ma con due suoi amici, lo riporteranno qui tra qualche minuto.
Prendetevi questo tempo per parlare civilmente, e prendere una
decisione responsabile." li misi al corrente, osservando il sospiro di
sollievo che li investì non appena li informai del figlio.
Un debole "grazie", appena soffiato ma proveniente da entrambi, per poi
lasciarci alle spalle quell'abitazione, speranzosi di aver contribuito
almeno un po' ad aiutare Toshi.
Riprendemmo a camminare, ognuno assorto nelle proprie riflessioni, nessuno che osava prendere parola.
Stavamo così, in silenzio. Ma non per imbarazzo, solo per
rispetto dei pensieri altrui. A dir la verità, era anche
piacevole, non parlare, qualche volta.
"E lasciami! Sei fastidiosa come lo eri da piccola!"
Un piccolo urlo ci svegliò da quella passeggiata, una voce
ancora bianca, ma già sulla via del cambiamento. Entrambi
alzammo poco il capo.
"Sta' zitto, e fammi un sorriso!"
Fu impossibile per me trattenere un sorriso dinanzi la scenetta
adorabile che ci si era preparata davanti. Si trattava proprio di loro
tre, mentre camminavano verso casa di Toshi.
Yuki aveva preso a pizzicare i lati delle labbra del suo amico, nel
tentativo di farle assomigliare allo stesso sorriso che sia io, e
sorprendentemente anche Hayama, avevamo improvvisato.
"Ecco, contenta?" domandò, ironico, il ragazzo.
"Sì!" fu la pronta risposta, detta all'unisono da entrambi i suoi amici.
Un debole "siete insopportabili" di risposta, sussurrato più a se stesso, che agli altri.
"Su, Toshi. Non c'è bisogno che tu mi dica quanto ti faccia
piacere stare qui con me, lo so gia" cantò la bionda,
gesticolando con qualche piccolo svolazzo in aria.
Toshi la guardò per qualche istante, portando in alto entrambe le sopracciglia.
"Diciamo solo...che non mi dispiaci, ecco"
Ci avvicinammo a loro, per poterli salutare.
"Professor Hayama. Che ci fa qui?" chiese, insospettito, Toshi.
"Una passeggiata. Torna a casa, Toshi. I tuoi genitori sono
preoccupati, e vogliono parlare con te." rispose Akito, lasciando
capire cosa ci fosse dietro.
Il moro non parlò, limitandosi solo a guardarci. Solo dopo
qualche secondo il suo volto sembrò addolcirsi, gli occhi
finalmente liberi da quel velo di tristezza e solitudine.
"Ma tu...io ti conosco" disse poi, guardando me.
"Si, beh..." cominciai io, con fare altezzoso, ma ovviamente auto-ironico.
"Tu sei quella della foto con la ridicola espressione che hanno pubblicato stamattina sul giornale"
Cominciai a balbettare e muovermi in modo nervoso, fingendo di non sapere di cosa parlasse. Che bambino impertinente.
"Cosa? Ehm...no! Quale giornale! Ah-ah!"
"Di che giornale parla, Kurata?" le mani di Hayama sulle mie braccia, nel tentativo di fermarmi.
"Io non ne ho id..."
"Questo, signor Hayama" vidi l'espressione maliziosa e vergognosamente
divertita di Toshi, a cui risposi con una infuocata. Mi venne voglia di
picchiare con il piko anche quella testa corvina.
Mi misi una mano tra i capelli, voltandomi per non vedere il solito
ghigno che si sarebbe sicuramente modellato sul volto di Akito.
Una piccola pernacchia, artefatta in modo da sembrare che volesse
soffocare le risate, mi diede conferma di ciò che solo pochi
istanti prima avevo pensato.
"Che espressione ridicola! Sembri un pulcino con quei capelli!"
Mi voltai, per poter infuocare anche Hayama.
Per tutta risposta, non si curò affatto dell'occhiata in
cagnesco che gli avevo rifilato, continuando con i suoi commenti
irritanti. Gli strappai quel giornale di mano, intimando a Toshi e i
suoi amici di dover assolutamente tornare a casa. Mentre io mi
allontanavo, con un passo non proprio aggraziato e quel giornale
stretto al petto.
Hayama, ancora sghignazzante, poco dietro di me.
"Te l'avevo detto, Kurata. Non sfidarmi..."
Avevamo camminato per qualche metro, anzi, quasi marciato, visto il mio passo.
Hayama aveva lasciato che fossi io a indicare la strada giusta,
seguendomi silenziosamente. La strada che intrapresi fu,
insapettatamente anche per me, quella del gazebo. Ci sedemmo senza
bisogno di domandarcelo a vicenda.
"Sta' zitto. Riuscirò a vendicarmi! E ho anche una piccola idea
sul come..." pronunciai, rendendo la mia espressione improvvisamente
degna di un cattivo dei fumetti.
"La cosa che più mi spaventa di te è la capacità
che hai di cambiare assolutamente espressione in pochissimi secondi..."
ghignò.
Mi apprestai a rispondergli per le rime, ma fummo interrotti dallo squillo del suo cellulare.
Harumi.
Poggiai le spalle sulla panchina, in silenzio.
-"Ciao"
-"...Si, scusami. Ho dovuto sbrigare una faccenda"
-"...Ah, già. Il compleanno di tua sorella...mi era passato di mente"
-"...Arrivo subito, a dopo."
Posò il cellulare, rimettendolo nella tasca del suo jeans, mi guardò per qualche secondo.
"Devi andare?" chiesi, io.
Si limitò ad annuire.
"Questo week-end avevamo pensato con Fuka e Aya di andare al nuovo
parco divertimenti. Potremmo andarci tutti insieme, ovviamente anche
Harumi. Che ne dici?"
Sembrò sorpreso.
"Beh...sì, credo di sì. Ne parlerò con lei"
Gli sorrisi.
"Allora ci vediamo!" lo salutai.
"Ciao Kurata" rispose.
"Ah! ehm, Hayama?"
Si voltò.
"E' molto bello quello che hai fatto oggi per Toshi. Se lo ricorderà per sempre"
"Io l'ho fatto. Ho ricordato e ricorderò sempre quando sono
stato io ad essere "salvato"" proferì, con un tono reso
straordinariamente ed inaspettatamente dolce.
Gli risposi con un sorriso, riscaldato dai miei occhi improvvisamente lucidi.
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