Capitolo
4
“Tutto
quello di cui
hai bisogno è fidarti di me”
La
campanella annuncia la fine delle attività scolastiche.
Mayumi, seduta nel
banco di fronte al mio, si prodiga nel raccogliere libri e quaderni,
spingendoli
alla rinfusa nella cartella, mentre Kise emerge dal letargo in cui
è
sprofondato durante l’ultima lezione.
«Finalmente questa giornata
è finita», pronuncia emettendo
un lungo sbadiglio.
«Ultimamente
ti addormenti spesso in classe. Per caso
soffri di insonnia?», lo interrogo, analizzando
l’espressione sciupata sul suo
volto.
«Da un paio di
settimane gli allenamenti si sono
intensificati e, quando torno a casa, sono così stanco da
non riuscire ad
addormentarmi. Passo tutte le notti in bianco».
«Non
c’è da sorprendersi se Akashi e il coach hanno
deciso
di raddoppiare il carico di lavoro», risponde Mayumi,
inserendosi nella
conversazione. «Dopotutto anche quest’anno mirate a
vincere i campionati
nazionali. A proposito, se non ti dai una mossa arriverai in
ritardo».
«Per fortuna ho dormito
abbastanza durante l’intera
giornata e adesso mi sento in gran forma», Kise balza in
piedi, raggiungendo
Mayumi all’esterno della classe.
Quanto a me, dal momento che oggi non ho
lezione con il mio
tutore privato, ho deciso di unirmi ai miei due compagni e di assistere
agli
allenamenti. Quando infine anch’io abbandono
l’aula, ad attendermi in corridoio
trovo Kuroko e Aomine, diretti come noi in palestra.
«Ehi, Eiko!»,
esordisce Aomine, sfoderando un largo sorriso.
Contraccambio il saluto con un cenno del capo.
«Dov’è
Satsuki?».
«Si è
già avviata», mi informa Kuroko. «Doveva
consegnare
alcuni fogli all’allenatore».
Ci incamminiamo tutti insieme verso la
palestra. Kise e
Aomine discutono animatamente tra loro ripassando un paio di nuovi
schemi di
gioco, cercando di coinvolgere anche Kuroko nella conversazione, ma il
ragazzo
si limita ad ascoltare attentamente i due esuberanti compagni di
squadra ed ad
annuire di tanto in tanto.
Sono
trascorse diverse settimane dalla nostra visita all’acquario.
Dopo essersi
scusate con me per l’equivoco, sia Mayumi che Satsuki si sono
mostrate molto
più attente nei miei confronti. Trascorriamo quasi ogni
giorno la pausa pranzo
insieme ed entrambe le mie amiche si danno battaglia
nell’elogiare le qualità e
i pregi dei rispettivi idoli. Tuttavia, nonostante le loro continue ed
esplicite manifestazioni d’affetto, non sono sicura che Kise
e Kuroko siano
consapevoli dei sentimenti delle due ragazze. O se non altro non
sembrano
provare lo stesso nei loro confronti. Del resto, nonostante sia
abituato alla
popolarità, Kise non dà l’impressione
di volersi legare a nessuna ragazza in
particolare, non al momento almeno. Parlando di Kuroko, invece, mi
è parso di
capire che consideri Satsuki solo un’amica, seppure molto
speciale.
Quanto
a me, posso ormai dichiarare in tutta sicurezza di aver migliorato la
mia
relazione con Aomine. Oserei perfino dire che siamo diventati buoni
amici. Sentirmi
chiamare ogni giorno per nome anche da lui è diventata una
piacevole abitudine.
Inoltre non mi è più capitato di sentirmi strana
in sua presenza. La confusione
emotiva di cui sono caduta vittima quel giorno era dunque solo una
conseguenza del
mio timore di essere stata abbandonata dai miei amici.
Una
volta arrivati in palestra, i tre ragazzi raggiungono gli spogliatoi
mentre io
seguo Mayumi verso le panchine, dove troviamo Satsuki impegnata a
riferire al
coach i risultati delle sue ultime ricerche. Come assistente
dell’allenatore è
infatti incaricata di raccogliere informazioni su tutti i membri della
squadra,
per monitorare le loro condizioni fisiche e garantire le migliori
prestazioni
in campo. Al termine della conversazione, annuncio la mia presenza
salutando il
coach, il quale, dopo aver contraccambiato il saluto, si allontana
diretto agli
spogliatoi, e la stessa Satsuki che, accortasi di me, si precipita ad
abbracciarmi con il solito entusiasmo.
«Ei-chan,
mi sei mancata», piagnucola quindi stringendomi al suo petto.
«Ma
sono passate solo tre ore dalla pausa pranzo», le rammento
provando a
divincolarmi dalla sua presa serrata.
«Vuoi
dire che in tutto questo tempo io non ti sono mancata?»,
domanda Satsuki, incurvando
le labbra in un’espressione triste.
«Non
volevo dire questo», mi correggo immediatamente,
approfittando della sua
guardia bassa per liberarmi dall’abbraccio e respirare
profondamente. Infine
prendo posto sulla panchina e, insieme alle mie due amiche, mi preparo
all’arrivo dei giocatori in campo.
***
Al
termine dell’allenamento mi avvicino a Mayumi, offrendomi di
aiutarla a
distribuire gli asciugamani puliti ai membri della squadra, per
ripulirsi del
sudore che ora bagna le loro fronti.
«Questo
è un compito che spetta a noi manager. Non posso chiedere a
un ospite di
lavorare», Mayumi declina la mia offerta con un sorriso.
«Per
favore, lascia che dia una mano anch’io. Nonostante non
faccia ufficialmente
parte della squadra, il coach mi permette di assistere ogni volta che
lo
desidero. Vorrei almeno esprimere in qualche modo la mia
gratitudine».
Incapace
di controbattere alla sincerità dei miei sentimenti, alla
fine Mayumi
acconsente alla mia richiesta, cedendomi una pila di asciugamani
freschi di
lavanderia. Seguendo il suo esempio e quello di Satsuki, mi accingo ad
accogliere i giovani atleti che si stanno gradualmente radunando a
bordo campo
per dissetarsi e ripristinare le proprie energie, provate
dall’intenso
allenamento. Il primo ragazzo a venirmi incontro è Aomine. A
dispetto degli
altri membri della squadra, non sembra affatto stanco. Se non fosse per
le
gocce d’acqua, che dalla sua fronte scivolano fino alla base
del collo, provocando
sulla pelle abbronzata un effetto traslucido, nessuno penserebbe che il
ragazzo
ora di fronte a me abbia appena terminato una sfiancante sessione di
allenamenti.
La
maggior parte dei giocatori intorno a me boccheggia sonoramente nella
speranza
di rianimare i propri polmoni. Alcuni giacciono abbandonati sul
pavimento,
fiacchi e pallidi; altri si sono impossessati della prima bottiglietta
d’acqua
che hanno trovato e adesso bevono avidamente senza badare ai compagni
in attesa
di dissetarsi. Perfino Kise sembra aver perso il solito brio e se ne
sta seduto
in silenzio con l’asciugamano intorno al collo. Ovunque si
posi il mio sguardo,
non vi sono che giovani atleti prosciugati delle proprie energie e
desiderosi
di tornare a casa; di immergersi in una vasca fumante che possa
sciogliere la
tensione accumulata nei muscoli; di consumare un pasto preparato in
casa che
possa risollevare il morale da una prestazione non proprio lodevole; di
infilarsi tra le fresche lenzuola del proprio letto e sprofondare in un
sonno
ristoratore fino alle prime luci del nuovo giorno.
Soltanto
Aomine, in questo momento, sembra essere completamente fuori luogo. I
suoi
occhi ridenti e pieni di vitalità contrastano con le
espressioni abbattute e
spente dei suoi compagni di squadra. Mi basta guardarlo pochi secondi
per
sentirmi io stessa piena di energia e ottimismo e, senza un apparente
motivo,
anche sulle mie labbra si dischiude presto un sorriso.
«Ecco»,
esordisco quindi porgendogli un asciugamano pulito e prendendomi
qualche secondo
per osservarlo mentre lo utilizza per tamponarsi il volto madido.
«Stai
pensando di unirti alla squadra?», domanda Aomine, gettando
subito dopo il
panno umido sulla spalla.
«Per
quanto mi farebbe piacere, ho paura di non essere la persona
più adatta. Se diventassi
una manager a tempo pieno, finirei sicuramente col causare qualche
guaio».
Con
un gesto assolutamente naturale, Aomine posa una mano sulla mia testa,
arruffando
i miei capelli.
«Stai
facendo un ottimo lavoro, invece», commenta, accompagnando
quindi il
complimento con una risata compiaciuta che provoca in me una punta di
orgoglio.
Tuttavia
la mia presunzione viene immediatamente punita nell’attimo in
cui la pila di
asciugamani che pesano sulle mie braccia, alta abbastanza da coprire
metà del
mio viso, inizia a inclinarsi minacciando di piombare sul parquet della
palestra. Solo l’intervento provvidenziale di una mano alle
mie spalle sventa
il disastro, salvandomi allo stesso tempo da un’imbarazzante
esperienza.
«Oh,
attenta».
Nonostante
il pericolo scongiurato, i miei nervi si irrigidiscono al suono della
voce del
mio soccorritore. Incapace di voltarmi indietro per incontrare il suo
volto,
rimango immobile, sforzandomi di ignorare il tiepido calore che, dal
suo petto
lievemente premuto sulla mia schiena, si propaga attraverso il mio
corpo.
«A-Akashi»,
balbetto infine, pronunciando il nome del capitano della squadra.
Notando
forse il mio disagio, il playmaker si allontana con disinvoltura,
portandosi di
fronte a me. Il lieve spostamento d’aria prodotto dal suo
movimento sospinge
fino alle mie narici l’odore penetrante della sua pelle
ancora umida, inducendo
il mio cuore ad un sussulto. Il soffice muro di asciugamani che si
innalza al
di sopra del mio naso è un ottimo riparo dietro il quale
nascondere il rossore
delle mie guance.
Ho
sempre considerato Akashi una persona a cui guardare con ammirazione.
Benché
sia il frutto di un sentimento maturato da una conoscenza piuttosto
approssimativa, la considerazione che nutro nei suoi confronti
può definirsi
genuina. A dispetto della sua giovanissima età, Akashi
sembra avere una
personalità matura, responsabile, dignitosamente
autoritaria. Dai suoi discorsi
traspare una naturale sicurezza e le sue azioni non sembrano conoscere
esitazione.
Non c’è da meravigliarsi che un simile ragazzo sia
riuscito ad imporre la
propria egemonia ai compagni di squadra e a persuadere
all’obbedienza, o se non
altro al rispetto, i professori e gli studenti di tutta la scuola.
«Non
trovi anche tu che così vada meglio?».
Emergo
dai miei pensieri richiamata dalla voce del giovane capitano.
Improvvisamente
non avverto più la sensazione di morbidezza prodotta dal
cotone contro le mie
guance. Anche il campo visivo davanti ai miei occhi si è
notevolmente
allargato, mentre il peso sulle mie braccia sembra essersi
inspiegabilmente dimezzato.
Con mio stupore, mi accorgo allora che una cospicua parte degli
asciugamani che
coprivano metà del mio viso giace ora fra le mani di Akashi.
«Ti
ringrazio», pronuncio, mantenendo lo sguardo basso per la
vergogna.
«Apprezzo
molto che tu voglia essere d’aiuto, solo cerca di non
esagerare».
«M-Mi
dispiace. Aspetterò qui seduta che abbiate finito».
Mentre
mi appresto a posare i pochi asciugamani in mio possesso sulla panca
più
vicina, rinunciando un po’ a malincuore a sdebitarmi con i
membri della
squadra, un rapido cambiamento nel tono di Akashi mi incoraggia ad
interrompere
le mie azioni.
«Perdonami.
Stavo solo cercando di dire che mi rattristerebbe molto se ti facessi
male».
Vinta
dalla gentilezza e dalla premura delle sue parole, mi volgo indietro
per
incontrare finalmente il suo sguardo. Nonostante sul suo viso siano
evidenti i
segni della fatica, l’espressione nei suoi singolari occhi
rubini è
incredibilmente affabile. Le sue profonde pupille nere splendono di
un’accorata
inquietudine e le sue labbra sono dischiuse in un sorriso di sincera
apprensione. Ad un tratto mi torna alla mente Naoko; quel suo
atteggiamento
protettivo; quella sua dolce ansia materna, in virtù della
quale non può fare a
meno di vegliare costantemente su di me. Sono perfettamente consapevole
che
Akashi non abbia nulla in comune con mia sorella, eppure la sensazione
che
provo ora in sua presenza è lo stesso sentimento di tiepido
conforto che mi
trasmette Naoko. Anche in questo ragazzo riesco ad avvertire la stessa
preoccupazione, la stessa volontà di proteggere e al
contempo spronare.
«Cercherò
di stare più attenta».
Pronuncio
queste parole lasciandomi guidare dall’istinto, assecondando
l’intimo desiderio
di corrispondere alle sue premurose attenzioni.
«Bene»,
risponde Akashi, visibilmente sollevato, aggiungendo immediatamente
dopo: «Sono
felice di essere riuscito a parlare con te».
I
miei occhi lo seguono in una silenziosa contemplazione mentre si
allontana da
me e da Aomine per raggiungere l’allenatore. Mi sento
insolitamente serena.
Avevo immaginato la mia prima conversazione con Akashi in modo molto
diverso.
In un conteso molto diverso. Uno dei motivi per cui mi sono sempre
adoperata
nel mantenere le distanze da lui era perché temevo che un
confronto diretto
avrebbe ulteriormente minato la mia già malferma autostima,
acuendo il divario
che ci separa. Ero inoltre sicura che una persona brillante come lui
non avesse
alcun desiderio di socializzare con una ragazza mediocre come me. Anche
se
apparteniamo allo stesso mondo, anche se abbiamo ricevuto
un’educazione molto
simile, come unico erede della sua famiglia, Akashi è
destinato a portare sulle
proprie spalle il peso di responsabilità e aspettative che a
me resteranno
invece sconosciute. Benché mi ritenga una giovane
studentessa piuttosto coscienziosa,
o per lo meno immune alle frivolezze tipiche della mia età,
non posso negare la
maturità, forse un po’ precoce, che traspare dalla
persona di Akashi. Non è
insolito cogliere nel suo sguardo un indizio di quella
serietà consumata, di
quella rigida disciplina che hanno plasmato la sua autorevole
dignità, ma anche
il suo carisma, fin dall’infanzia. L’immagine che
mi sono costruita di questo
ragazzo, di questo mio coetaneo, ha sempre esercitato una forte
soggezione sul
mio inconscio, portandomi istintivamente a fuggire da lui. Allo stesso
tempo,
però, mi ha indotta ad ammirarlo, a guardare con meraviglia,
e con un pizzico
di invidia, alla sua forza interiore, alla sua determinazione, alla sua
perseveranza, a quella sua inattaccabile sicurezza. A
quell’innata genialità
che gli consente di eccellere in qualunque campo, di accogliere il
successo
come un’ovvietà, senza doverlo rincorrere o
inseguire, arrancando lungo il
cammino.
Mio
cugino Seiichi è quello che viene generalmente definito un
prodigio, un
individuo a cui la natura ha fatto dono dei suoi migliori talenti. Da
quando ho
memoria, non ricordo di essere mai stata testimone di un suo
fallimento. Fin da
bambino si è dimostrato un sublime musicista e un poeta
dalla profonda
sensibilità letteraria. Crescendo ha poi rivelato di
possedere anche una vivace
intelligenza, che lo ha portato ad inoltrarsi negli intricati ambiti
scientifici del sapere, guadagnandogli attestati e riconoscimenti sia
in
Giappone che in Inghilterra. Tuttavia la sua passione indiscussa resta
la
pittura. Buona parte dei capolavori esposti nella villa Wadsworth, sono
il
frutto maturato dal pennello e dal raffinato senso estetico di Seiichi.
Mio
padre e zia Azumi hanno più volte provato a convincerlo ad
allestire una mostra
qui a Tokyo, ma mio cugino si è cocciutamente dichiarato
contrario all’idea di
cedere la sua arte a “profani”. «La
natura», ha detto, «mi ha concesso il dono
dell’arte perché omaggiassi le sue bellezze
catturandole sulla tela, non perché
le svendessi. La mia arte partorirà solo piaceri, mai
profitti».
A
parte la sua peculiare filosofia, che tuttavia ritengo piuttosto
affascinante e
neanche tanto sbagliata, è indubbio che Seiichi abbia
ricevuto alla sua nascita
il bacio con il quale la natura benedice i suoi pupilli. E a questo
punto sono
portata a credere che anche Akashi sia stato scelto per entrare in
quella
ristretta cerchia di fortunati per i quali il fato ha già
disposto i suoi
favori.
Ad
ogni modo, penso che anch’io potrei ritenermi in un certo
senso una “favorita”.
Dopotutto, ho avuto la possibilità di incontrare due
protetti della Fortuna. Ho
promesso che mi sarei impegnata ad accogliere con ottimismo le
opportunità che
il Cielo sarà abbastanza benevolo da porre sulla mia strada.
E credo di aver
compiuto un altro passo in avanti proprio oggi. Osservare Akashi da
vicino,
entrare in una relazione amichevole con lui potrebbe aiutarmi a
scoprire il
“mio” talento, o semplicemente a farmi apprezzare
di più, a comprendere il vero
significato celato dietro concetti astratti come il sacrificio, la
forza di
volontà, la risolutezza. La vicinanza di una persona tanto
carismatica,
oltretutto mia coetanea, le cui origini affondano le proprie radici in
quella
stessa società elitaria che ha accolto la mia venuta in
questo mondo, potrebbe
rivelarsi un insostituibile incoraggiamento a coltivare speranze e
ambizioni
che possano infiammare il mio tiepido animo.
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Nota
d’Autrice:
Buongiorno a tutti! Spero che abbiate trascorso un piacevole week-end e
che
l’inizio della nuova settimana non sia stato troppo
traumatico (XD).
Come
sempre vi ringrazio per avermi seguita fino a questo punto. Come vi
avevo accennato,
questa storia è solo all’inizio e questa prima
parte è un po’ un’introduzione con
la quale intendo prepararvi un po’ alla volta prima di
entrare nel vivo della narrazione.
Purtroppo devo infirmarvi che, a causa degli esami universitari, potrei
non essere
in grado di pubblicare i prossimi capitoli con frequenza settimanale,
perciò vi
chiedo scusa fin da ora. Tuttavia vi incoraggio sempre a condividere
con me le vostre
opinioni in attesa del prossimo aggiornamento.
Un
bacione a tutti!
Lady
L.
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