g
Giugno
era scivolato via liscio, veloce e rapido senza inconvenienti, anzi
alternando
piacevoli momenti ad importanti svolte. Luglio fu anche meglio, a parte
il
caldo che implacabile iniziava a farsi sentire.
La
loro vita di convivenza si manteneva su un rapporto stabile, dettato da
regole
ben precise: ognuno dei due conosceva la vita dell’altro, ma
non vi si
intrometteva, non si impicciava e non faceva domande strane. Davide di
tanto in
tanto la stuzzicava un po’ su suo padre, ma perché
pensava che fosse l’unico
modo per convincerla a farci pace. I primi mesi non aveva detto nulla
perché
non erano proprio amiconi, anzi, ma ora che iniziavano ad affiatarsi di
più,
doveva dirglielo. Non stava bene che non parlasse con suo padre, e che
addirittura non lo considerasse tale.
-Ma
a te cosa importa?- domandò nervosa.
-è
giusto così, per te. Lui è tuo padre, e gli vuoi
bene-
-Ti
sbagli, a me non importa nulla di lui- ribatté ostinata,
incrociando le braccia
e guardandolo torva.
-Sì
che ti importa- insistette lui.
Francesca
lo guardò per un attimo lungo, facendo incrociare i loro
occhi. Preparava una
discreta contromossa, a quanto pareva.
-E
tuo padre?-
-Cosa?-
domandò il ragazzo distratto, chiamato in causa.
-Sì,
tuo padre. Non mi parli mai di lui- disse osservando la strana reazione
che
aveva avuto.
Davide
distolse lo sguardo, portandolo a terra; si appoggiò allo
schienale del divano,
incrociando le braccia e facendosi cupo.
-Non
ne voglio parlare- disse.
La
bionda notò il suo turbamento improvviso, ma questo,
nonostante fosse insolito
per Davide, non le impedì di rinunciare al suo vero scopo.
-Allora
se non me lo dici io non faccio proprio un bel niente-
-Cosa
dovrei dirti?-
-Di
tuo padre-
-Non
ho alcuna intenzione di parlarne con te- ribatté scorbutico.
-E
allora io non vedo perché dovrei fare una cosa solo
perché me la dici tu-
replicò la ragazza.
Entrambi
si guardarono male, poi distolsero lo sguardo, irritati ognuno nel suo
modo.
Lui perché lei gli aveva risvegliato brutti ricordi, lei
perché lui non aveva
ceduto e si era arrabbiato.
Per
il bene del quieto vivere, tralasciarono l’argomento,
promettendosi di
riprenderlo in tempi migliori.
Una
fotografia annerita con delle macchie bianche era sospesa a
mezz’aria,
reggendosi solo alle due dita del dottore.
Questo
stava mostrando a Francesca, stesa come ogni mese sul lettino, la prima
fotografia del suo bambino.
-Volete
sapere se è un maschio o una femmina?-
Davide
stava per rispondere di sì, ma la bionda scosse subito la
testa.
-No
grazie. Non mi interessa- disse –allora va tutto bene?-
-Perfetto.
Sta così comodo che un altro po’ ci può
mettere la tv e il divano là dentro-
Questa
voleva essere una battuta mirata a sdrammatizzare, ma nessuno colse
l’ironia.
La
bionda si sedette, il camice che non riusciva a coprirle le gambe
lisce. I
capelli biondi le cadevano scomposti sulle spalle, alcuni ciuffi sul
volto
anche, e le due braccia che si poggiavano sul lettino erano
anch’esse scoperte.
Alcuni bottoni della camicia erano aperti, solo quelli sulla pancia per
permettere l’ecografia.
Davide
non voleva davvero guardarla, ma gli fu impossibile.
Osservò
come se non avesse mai visto nulla del genere le gambe nude di lei che
parlava
interessata col dottore; risalì lentamente, come se la
vedesse in un filmato,
con la musica pure, fino ad arrivare a quei bottoni aperti.
Da
sotto faceva la sua bella mostra un piccolo pancione rigonfio; era
perfetto:
rotondo, liscio, morbido almeno all’apparenza. Ormai non
potendolo nascondere,
era stata costretta ad accettarlo. Forse ci aveva provato, ma la
ragazzina non
ci era certo riuscita.
Ma
i suoi occhi proseguirono la tournée salendo ancora
più su.
Non
era mai stato un maniaco, uno di quelli che si dilettano su Red Tube,
con i
giornaletti e i filmati. Certo non era mica un ingenuo ignorante,
qualcuno se
l’era pure visto, ma non era tipo da certe cose.
Ma
ora il suo assopito istinto si riaccese come un fuoco, e dalle ceneri
si
infiammò più potente di prima. Erano cambiate le
situazioni, e le cause.
Prima
lo faceva perché era quasi naturale, ora perché
semplicemente se n’era accorto.
Prima
la causa erano splendide modelle bionde, more, rosse; assolutamente
perfette,
ritoccate magari, ma che avevano il chissà quale potere
nello sguardo che ti
rimbambiva totalmente il cervello, e ti accendeva stimoli mai provati
prima.
Ora
la causa era una ragazzina. Una ragazzina bionda, testarda, scorbutica,
acida.
Ma Dio, che belle gambe che aveva.
Non
voleva pensare affatto male quando lo sguardo gli salì
più su della pancia.
Quest’ultima, chissà perché, invece di
fargli ribrezzo, lo eccitava parecchio.
Le guance gli si tinsero di rosso, e si riprese in tempo per notare che
lei gli
stava mostrando la fotografia.
Subito,
ma rimanendo rosso in viso, si sedette sul lettino per guardare.
Caspita, era
suo figlio quello!
Beh,
per il momento era un piccolo fagotto che dormiva, pensò
lui. Piccolo, bianco,
raggomitolato. Ma chissà se era comoda, la pancia.
Chissà se lui poteva
sentirlo.
In
quel momento, se avesse potuto parlargli, gli avrebbe detto
‘ehi, caspita che
bella mamma che hai’.
Francesca
purtroppo, furba e maliziosa, notò il rossore sulle sue
guance.
Non
disse nulla però.
Davide
nel frattempo, spostatosi di nuovo di fronte al lettino, riprese il
viaggio di
prima. Era arrivato a sopra la pancia. Preferì non
immaginare cosa ci fosse e
andò più su. Lei stava silenziosa, con una
smorfia concentrata e attenta sul
viso, e guardava il dottore, che le stava gesticolando e sorridendo. I
capelli,
come aveva visto prima, le stavano sciolti sulle spalle. Lui si
incantò e come
un flash arrivato all’improvviso, desiderò
trovarsi da solo, con lei e su quel
letto. Ma non per farle un qualsiasi caspita di esame, no. Il desiderio
tutto
nuovo di toccarla e di sentire da vicino il suo respiro, ma non
arrabbiato
invece ansante, lo investì in pieno.
Si
riprese ma non del tutto quando la vide alzarsi e recuperare le sue
cose,
dirigendosi verso la porta. La bionda si voltò accigliata,
tirandolo per una
manica.
-Ehi,
ci sei? Andiamo?- domandò.
-Eh?-
fece distratto, ma poi strinse la mano al dottore e la seguì
fuori.
Mentre
tornavano alla macchina, lei lo osservava sospettosa, notando che era
distratto
e assente.
Il
ragazzo cercava di scacciare quella imbarazzante fantasia di poco
prima; non
erano pensieri da farsi e totalmente inopportuni. Non provava nessuna
attrazione per lei, la considerava un’amica, ma allora che
significavano quei
pensieri?
-Davide
è tutto a posto?-
Si
sedettero nell’abitacolo, con lei che lo guardava strana.
-Eh?-
si accorse che lo stava fissando e arrossì.
-No
niente... pensavo...- liquidò l’argomento con
indifferenza simulata.
-Come
mai sei tutto rosso?-
-Boh.
Eh forse...faceva troppo caldo là dentro-
Il
che era vero, sotto alcuni punti di vista.
La
bionda non fece altre domande, ma continuò a tenerlo
d’occhio. Intanto aveva
altro a cui pensare: teneva fra le mani la piccola foto, la prova
concreta che
il bambino esisteva, come le ricordava ogni mattina lo specchio nel
quale si
guardava. E questo, implacabile, le restituiva un corpo ingrassato,
rotondo,
morbido e non più esile, aggraziato e piccolo.
Non
si piaceva più.
Prima,
quando usciva, camminava a testa alta sapendo che era bella, ma non per
vanità.
Si sentiva sicura di sé per quei mezzi, anzi doni, che la
natura le aveva
fatto. Ma ora, con quell’ingombrante peso che le gravava
sulla pancia, non si
sentiva a suo agio.
Aveva
iniziato a vestirsi più larga in modo da nascondere la
pancia anomala, ma ora
era così grande e sporgente che si vedeva lo stesso. Si
vedeva. Così anche se
aveva ripreso ad indossare gli abiti suoi consoni, si vergognava. Si
vergognava
terribilmente quando era costretta ad uscire e infatti cercava scuse su
scuse
per rimanere in casa. Sapeva che chiunque l’avesse vista con
quel pancione
l’avrebbe additata come una di quelle ragazze madri,
disprezzata e non le
piaceva.
Loro
non sapevano tutta la storia. Loro non sapevano nulla.
Eppure
si permettevano di giudicare.
Era
ormai una mamma da sei mesi inoltrati, e si avvicinava il momento. Da
quando
aveva deciso di tenersi il bambino si era un po’
più rilassata, ripetendosi che
ci voleva tempo. Un mese e più dopo, non la pensava allo
stesso modo. Il
momento si stava avvicinando, e lei aveva una paura matta.
Ma
non l’avrebbe ammesso per nulla al mondo.
Faceva
caldo, molto caldo e loro due erano nel letto. L’uno, vestito
solo di maglietta
e pantaloncini, dormiva sdraiato a destra, poggiato su un braccio, e
respirava
strano.
Francesca
era a sinistra, avvolta nel pigiama cortissimo e largo, e stretta fra
le
lenzuola. Guardava il soffitto, buio tranne per la luce soffusa e bassa
che lo
rischiarava. Si girò dalla parte del ragazzo, osservandolo
dormire. Aveva la
bocca schiusa e perciò ne usciva il respiro, pesante. Lo
invidiava da morire in
quel momento, lui addormentato beato fra le braccia di Morfeo, lei
infelice
insonne. Come detestava non dormire. Tutto era immobile e silenzioso e
per
quanto guardasse l’orologio quello non ne voleva sapere di
avanzare con le
lancette. Sbuffò, girandosi dall’altro lato. Non
poteva manco mettersi a pancia
in giù, e questo, anche se sembrava una sciocchezza, era un
sacrificio pesante.
Si
tormentò un poco i biondi ciuffi che aveva sulle spalle.
Ricordava
che una volta un ragazzo le aveva affibbiato un buffo soprannome per
via dei
suoi perenni fermagli. Ma che poteva farci? Quei dannati capelli la
tormentavano in qualsiasi modo se li aggiustasse.
Rassegnata,
li lasciò andare e la sua mano scivolò lenta fra
le lenzuola. D’un tratto
avvertì un piccolo crampo alla pancia.
Sorrise
divertita, poi si toccò la pancia con le mani.
-Manco
tu riesci a dormire?-
Scosse
la testa, sorpresa dall’assurdità della sua
azione, e si sdraiò meglio. Sarebbe
molto meglio, almeno per me, se non ci fossi bambino, pensava.
Di
pensiero in pensiero, andò stranamente a ricordare la dedica
che Paola le aveva
fatto su un foglio.
Davide&Francesca=love4ever.
Non
seppe mai come, ma in qualche modo chiuse gli occhi e senza pensarci si
addormentò.
Sognò
un sogno strano. Sognò Bruno, sognò Elena, e
anche il suo professore di
matematica. Sognò una sala d’ospedale buia, e un
medico che le apriva le gambe
con forza. Sognò Damiano che le urlava contro, e un
corridoio lunghissimo che
non era altro che lo stesso del suo orfanotrofio. Lei correva e ad un
certo
punto, aperta la porta vide...
Non
ricordò cosa avesse visto, ma si spaventò tanto
da svegliarsi di soprassalto.
Si
drizzò a sedere, sudata e ansimante, con un scatto
così veloce che sorprese
anche il silenzio. Non urlò né gridò,
ma il movimento fu così brusco e il suo
respiro così forte e spaventato nel buio della stanza che
anche Davide si
svegliò.
-Oddio...-
mormorò, capacitandosi che era stato un sogno, lei.
-Che
c’è?- mugugnò assonnato lui,
rivoltandosi. Si protese in avanti, i capelli
tutti arruffati e gli occhi pesanti.
-Che
hai, Fra?- domandò mezzo addormentato guardandola.
-Un
brutto sogno- disse piano la ragazza, riprendendo un respiro regolare.
Poi
lo guardò, tutto assonnato e con gli occhi chiusi come se
fossero pesti
continuava ad osservarla, a metà fra la preoccupazione e
irritazione di essere
stato svegliato.
-Dai
dormi...- fece, rituffandosi fra i cuscini, affondandoci la faccia. La
sua mano
si poggiò sulla sua spalla, tirandola giù, e
scivolò giù verso la mano. La tirò
a sdraiarsi senza mollare la presa, e prima che se ne rendesse conto si
era già
riaddormentato.
Francesca
si ristese, appoggiandosi stanca e con la fronte sudata contro il
cuscino. La
sua mano era chissà come tenuta distrattamente fra quella di
lui.
Si
addormentò subito.
Francesca
aprì gli occhi poche ore dopo, stanca e seccata
perché non aveva dormito molto
quella notte. Guardò l’orologio ed erano le sette
e mezza. Abbastanza tardi per
potersi finalmente alzare da quel letto. Mosse la mano che stava
poggiata su
quella di lui, che ancora dormiva, e la sfregò sul suo
palmo. Lo guardò
dormire, aveva gli occhi chiusi e il corpo gli si abbassava
ritmicamente
scandito dal respiro.
Lei
si mise su un fianco, verso di lui, e gli prese la mano nella sua,
intrecciando
le loro dita. Ancora assonnata, si sdraiò sul cuscino
bagnato e chiuse gli
occhi. Come faceva a dirgli che Damiano le mancava, le mancava tanto e
che
aveva ragione lui? E soprattutto che non aveva la minima idea di che
cosa fare?
Lo
guardò a lungo senza paura di essere scoperta.
Lui
faceva sembrare tutto così facile e tranquillo; da quando lo
aveva conosciuto,
senza forse rendersene conto, le aveva risolto moltissimi problemi che
altrimenti
sarebbero rimasti perennemente irrisolvibili. E si fidava a confidargli
le sue
emozioni, i suoi pensieri, perché sapeva che avrebbe saputo
dargli buoni
consigli. Ciò che le piaceva di lui era il fatto che la
sapesse ascoltare e poi
dopo non abbandonarla lì così, indifferente.
Tutti gli altri, conoscendo la sua
indole facilmente infiammabile, la assecondavano nella maggior parte
delle
cose, quelle difficili e complicate, facendole credere che aveva
ragione per
non incappare nella sua ira. Davide non si era fatto problemi a dirle
veramente
cosa doveva fare, a consigliarla nel modo giusto. Lei, testarda, i
primi tempi
non gli voleva dar retta per niente, ferma nella convinzione di avere
ragione.
Ma poi, da quando avevano litigato e se n’era andata, si era
accorta che
seguendo quello che le diceva le cose andavano meglio, per lei e per
gli altri.
Sapeva
consigliarla bene, e lei si fidava di lui.
In
realtà non glielo diceva espressamente perché si
vergognava e poi aveva il suo
orgoglio, ma lo ascoltava molto.
Le
dava sicurezza.
Davide
non ricordò cosa avesse sognato quella notte, come spesso
gli succedeva, ma
sapeva solo, quando riprese coscienza, che era sudato e rotolato nel
letto.
Detestava quel caldo soffocante che regnava in città e
opprimeva il cielo come
una cappa. Alzò una palpebra, svogliato, e la richiuse. Poi
la riaprì, e anche
l’altra, stando per qualche minuto in stato di coma. Vedeva
solo le lenzuola
aggrovigliate e spostate, e poi la tenda che copriva la finestra. La
ragazzina
si era alzata. Lui si girò lentamente sull’altro
fianco, e poi la vide.
La
bionda era in piedi, vestita solo col pigiama davanti allo specchio, e
si
guardava attenta e seria. Il ragazzo aprì meglio gli occhi,
strizzando più
volte le palpebre, per distinguere meglio le figure.
C’era
un lungo specchio, attaccato alla parete, proprio affianco al letto, e
lì
Francesca si stava esaminando.
Sollevò
la maglietta del pigiama, scoprendo la pancia gonfia. Lei
sbuffò, girandosi a
destra e a sinistra per trovare un profilo che le andasse bene; ma a
quanto
pareva, non ne esistevano. Seccata e delusa, lasciò cadere
la maglietta sulla
pelle. Poi si guardò di lato per vedere di quanto sporgeva
la pancia. Si
notava.
Lei
scosse la testa, tastandosela infastidita di non poter fare nulla.
-Ma
cosa fai?-
La
voce arrochita e divertita di Davide le arrivò alle orecchie.
Arrossì
e lo guardò, smettendo di fissare il suo riflesso.
-Niente-
Lui
fece un gran sorriso divertito, e capendo che avrebbe iniziato a
sfotterla lei
aggiunse, tornando a guardarsi
-Sono
grassa-
Si
morse il labbro prima di sedersi sul pizzo del letto, lasciando cadere
le
speranze. Triste teneva piegata la testa di lato, fissandosi le gambe
che,
almeno, erano dritte e tornite come erano sempre state.
Si
sdraiò di schiena, mettendosi le braccia dietro la nuca.
-Non
sei grassa. Sarebbe strano il contrario- disse lui, alzandosi sui
gomiti per
guardarla.
-Parli
bene tu che sei uno stecco- ribatté lei.
Ma
il ragazzo non si scompose, tirandole scherzoso il cuscino. La ragazza
lo
afferrò e ci si nascose dentro.
-Stanotte
non hai dormito per niente. Ma a che pensavi?-
-A
niente- disse con voce ovattata.
-Sì
certo-
Francesca
si tirò a sedere e gattonò lenta fino ad arrivare
a lui, poi si appoggiò alla
testata del letto e lo guardò. Aveva le gambe rannicchiate
contro la pancia e
le mani a sorreggersi. Lui invece stava giù, sdraiato e
tirato su dai gomiti.
-Allora
stavo pensando a tutto- disse.
-A
tutto?- il ragazzo la guardò scettico.
Poi
si fece serio.
-E
raccontamelo questo tutto, dai-
Lo
aveva detto con quel tono di voce profondo, serio, maturo che tanto le
piaceva
e sembrava capace di sciogliere un iceberg.
-Mi
chiamo Francesca. E sono orfana di mamma e papà-
cominciò per scherzo lei
sorridendo.
Davide
si stese sul materasso, con le mani dietro la testa, in attesa di una
lunga
storia.
-Mi
ha adottato uno che si chiama Damiano- proseguì, poi
guardò lui, furba –ora tu-
-Io?
E che devo dire?-
-Tu
sai quasi tutto di me. Parlami di te-
Si
girò verso di lui, stando sempre seduta.
Si
guardarono negli occhi, ma non aprirono bocca; Francesca non voleva
perdere
l’occasione e insistette
-Tua
madre ha detto che hai una sorella-
-Sì.
Si chiama Miriam- rispose lui.
Quando
la vide sorridere capì che aveva fatto il suo gioco e allora
si rassegnò.
Cominciò a raccontare.
-Nella
mia famiglia siamo tre figli. Io, mio fratello e Miriam. Lei ha la tua
stessa
età, mentre mio fratello ne ha circa ventuno, mi sa-
elencò, contandoli sulle
dita.
-Si
chiama Rosario. Fa l’università adesso, a Roma-
-La
Sapienza?- domandò lei.
-No,
alla Cattolica. È una specie di genio. La mamma è
molto contenta di lui-
-E
tuo papà? Com’è?-
Davide
deglutì, lasciando in sospeso la frase. Poi si
ricordò che lei, la ragazzina,
era l’ultima persona a cui poteva dire di avere una vita
migliore. Mosso a
compassione, sorrise, ma un sorriso triste, e rispose.
-Mio
padre faceva il medico. Ha sempre pensato che uno di noi dovesse
seguire le sue
orme. Lui voleva che io andassi al liceo, ma di latino e greco io non
volevo
capirne nulla. La matematica era l’unica cosa che mi piaceva-
-Così
poi ho fatto la ragioneria. Papà non la prese bene, ma stava
attento a non
farsi vedere da me. Io ero bravino, a scuola. Poi però...-
-Però?-
incalzò Francesca.
-...poi
mio fratello andò al liceo. E allora iniziò a
prendere ottimi voti. I miei
scomparivano a confronto dei suoi. D’un tratto, andare a
scuola non mi piaceva
più. Anche se prendevo buoni voti, lui se ne arrivava sempre
con altri
migliori. E papà era più contento di lui-
-Poi
un giorno, io e papà litigammo. Litigammo di brutto. Io non
volevo andare all’università
a prendere medicina. Io volevo diventare un perito informatico o un
ragioniere,
come mio zio. Ma lui non voleva. Allora litigammo. Ci siamo detti tante
di
quelle cose, mia madre che ci diceva di stare zitti, mio fratello
studiava in
camera sua e mia sorella piccola ci guardava. Alla fine io me ne andai
in
camera mia, volevo andarmene via-
Davide
sorrise furbo d’un tratto prima di riprendere a parlare.
-Mia
sorella preferiva me. Dopo la litigata venne in camera mia; stava
seduta sul
letto e mi guardava mentre tutto incavolato cercavo le mie cose-
-Aveva
solo undici anni. Mi ha guardato e mi ha detto: “Non te ne
andare, altrimenti
mamma si mette a piangere”. Lo aveva detto così
convinta, così seria che le ho
creduto. Chiesi scusa a mio padre-
Il
ragazzo si interruppe, arricciando le labbra in una smorfia.
-Scusa-
sorrise alla ragazza bionda che aveva ascoltato in silenzio senza
battere
ciglio –ti sto annoiando-
-No
no- si affrettò a rispondere Francesca –continua-
gli sorrise.
Davide
arrossì un po’, poi guardò le lenzuola
che lo coprivano e parlò a loro
-Finita
la scuola non ce la facevo più a stare a casa. Mio padre mi
guardava e vedevo
che era deluso. Non volevo essere il suo fallimento, ma
l’avevo deluso. Così
sono andato a dormire per una settimana da un mio amico. Tornavo a casa
quando
lui aveva il turno in ospedale-
-Poi
un giorno ho provato a cercar lavoro. Ho trovato quel bar. Io non
sapevo fare
nulla, ma Bruto mi prese lo stesso a lavorare. Diceva che lui mi
avrebbe
insegnato tutto, e in effetti per me era tutto, quel lavoro. Me ne
andai di
casa a diciannove anni compiuti da poco, in questa casa. Era di mio
zio, quello
che faceva il perito informatico-
-E
poi... tre anni fa, quando mio fratello è stato ammesso
all’università, mio
padre ebbe un attacco-
-In
che senso?- chiese lei.
-Aveva
un problema al fegato. Ma lui non ci badava, diceva che era solo una
sciocchezza per tranquillizzare mia madre. Ma quella volta fu grave. Fu
così
grave che lo ricoverarono con urgenza-
-Sono
ormai tre anni che è morto-
-Tu
sei andato a parlarci, dopo che te ne sei andato di casa?-
-Sì.
Ma anche se mi ha abbracciato si vedeva che non era proprio felice che
io
lavorassi solo in un misero bar, con una misera paga-
-Il
mio rimpianto è quello di non essere riuscito a renderlo
fiero di me- concluse
malinconico, abbassando lo sguardo.
Francesca
stava in silenzio ad assimilare quella triste storia, e guardava lui,
sdraiato
accanto a lei ma così distante e scoraggiato.
Pensò che ci volesse qualcosa per
tirarlo su.
-Sai
Davide... quando ti ho conosciuto, pensavo fossi solo uno sciocco
ragazzo, uno
stupido che va in discoteca con le ragazzine solo per divertimento e
non
combina nulla nella vita-
-Ma
non è vero- si affrettò ad aggiungere
–non solo non sei uno stupido ragazzino,
ma non è vero nemmeno che non hai combinato nulla nella
vita. Guarda me. Senza
di te chissà come avrei fatto. Sei così buono-
sorrise.
Visto
che lui non sorrideva, ma era sempre triste, fece scorrere piano una
mano fra i
suoi capelli, costringendolo così a guardarla negli occhi.
-Anche
io vorrei essere buona come te- disse sorridendogli affettuosa.
Stavolta
Davide sorrise.
-Tu
non sei cattiva- disse, tirandosi su, accanto a lei.
-Ma
non sono buona- replicò con un sorriso la bionda, facendo
tornare la mano al
suo posto.
Ora
toccava a lei, che fece un bel respiro prima di cominciare.
-Mi
ricordo soltanto poche cose dell’orfanotrofio. Mi ricordo che
una volta la
suora mi disse che ero una bambina davvero bellissima, e che ero la
più brava
delle femmine. Ma non era vero- sorrise –io non sorridevo
mai, e spesso facevo
i dispetti ad un bambino. Gli tiravo i capelli- rise.
-Perché?-
-Boh.
Lui un giorno mi aveva rotto una scatola di colori. Erano belli, sai,
erano
tutti miei perché ero stata la più brava a fare
un qualcosa... boh. Comunque
lui me li aveva rotti, e non gliel’ho mai perdonato.
Così gli facevo i
dispetti-
Francesca
scivolò più giù, immergendosi nei suoi
ricordi.
-Poi
un giorno arrivò Damiano. Era gentile con me, e mi portava
con lui. Sai, noi
non potevamo uscire fuori, ma lui mi portava in giro. Mi piaceva stare
con lui
molto più che con le suore, perché ascoltava
tutto quello che dicevo. E mi
faceva mangiare tante cose buone, che noi alla mensa nemmeno ce le
sognavamo.
Avevo quattro anni, o forse cinque...-
-Un
giorno arrivò e disse, entrando in camera mia:
“Oggi ti faccio conoscere la mia
casa”. Mi portò a casa sua, e a me piacque
tantissimo. Stetti a dormire lì per
una notte, e non volevo andarmene, perché sai...
all’orfanotrofio quelle suore
dovevano ascoltare a milioni di bambini. Invece lui era mio, era venuto
solo
per me. E le cose che mi diceva, che mi faceva vedere, erano solo per
me e non
per gli altri bambini-
-Mi
sentivo, per la prima volta... non so...-
-...a
casa- completò Davide con un sorriso gentile.
Lei
arrossì, e precisò
-Lo
so che sembra una storia strappalacrime, ma è la
verità!- sorrise.
-Eh
ma io non ho detto nulla. Continua dai- si voltò su un
fianco e stette in
attesa del resto.
-Comunque...-
sospirò prima di riprendere.
Non
era triste, ma ricordava tutto con un certo divertimento, compiaciuta
di aver
vissuto quelle esperienze. Non era in cerca di compatimento, cercava
solo
qualcuno che la ascoltasse.
-Sai,
siccome anche Damiano ha gli occhi azzurri, per un periodo avevo
veramente creduto
che lui fosse mio padre- sorrise imbarazzata. Com’era
più bella quando
sorrideva e quando arrossiva, presa alla sprovvista, pensò
Davide, incantandosi
per un attimo.
-Ci
rimasi malissimo quando scoprii che non era lui il mio papà.
Ci avevo sperato sul
serio- qui piegò la testa da un lato, intristendosi un
attimo.
-Avevo
sempre pensato che mia madre avrebbe dovuto avere dei capelli biondi
come i
miei, ma nessuna signora bionda veniva a cercarmi, così ci
persi le speranze.
Damiano non mi ha proprio adottato. Lui si conosceva con la direttrice
e
siccome gli stava simpatico lei lasciò che mi prendesse
così, fidandosi di lui-
-Da
quando, circa ad otto anni, scoprii che non era mio padre, smisi di
considerarlo tale. Prima lo chiamavo Damiano, forse per rispetto...
boh... ma
non l’ ho mai chiamato papà-
-Il
resto direi che più o meno lo sai-
Davide
restò in silenzio a guardarla.
-Hai
mai pensato a come potessero essere i tuoi genitori veri?-
Francesca
ricambiò il suo sguardo.
-No,
e sinceramente non mi importa nulla- rispose decisa –una
mamma non l’ho mai
cercata. Gli amici li ho e li ho avuti. Un papà...-
lasciò cadere la frase nel
nulla.
Era
un argomento un po’ personale, forse troppo e il ragazzo
preferì deviarlo.
-Ti
invidio molto, lo sai Francesca?-
-Perché?-
-Non
è vero che non sei una donna coraggiosa. Tu sei
più coraggiosa di tutte le
altre donne messe insieme che io abbia mai conosciuto. Anche se hai una
storia
difficile, non ti lamenti mai. Non vuoi essere commiserata-
-Perciò
non voglio che i miei amici e nessuno sappia che sono orfana. Non
voglio che
siano miei amici solo perché gli faccio pena. Come credi che
mi sentirei?-
-Questo
l’avevo capito- le sorrise.
-Avrei
voluto avere il tuo stesso coraggio mentre parlavo a mio padre, testa
bionda-
le disse.
Cadde
il silenzio fra loro due. La mattina sembrava secoli fa, quando ormai
si erano
inoltrati l’uno nei pensieri più intimi
dell’altra. Si erano detti tutto,
davvero tutto.
-Sei
la prima persona a cui dico tutto questo. Nemmeno i miei fidanzati
sapevano
tante cose di me- confessò arrossendo la ragazza.
-Anche
tu. Non avevo mai raccontato questo a nessuno- anche lui
diventò rosso.
E
imbarazzati stettero in silenzio.
Davide
fece un respiro.
-Allora
andiamo da tuo padre?- domandò rivolgendosi a lei.
Francesca
si spostò una ciocca bionda che come sempre la tormentava. I
suoi occhi azzurri
incontrarono quelli verdi del ragazzo.
Si
fidava di lui. Non le avrebbe mai fatto nulla di male.
-Sì-
Come avete notato, ora la
storia è un po' meno...intensa per
quanto riguarda le situazioni, il che è legato anche al
cambio
di stagione. Io credo sia anche un po' così,
perchè
l'estate ti fa vedere tutto in modo più rilassato, no?
Dunque ringraziamo tutti
i lettori, i preferiti, e le recensitrici.
Jiuliet: ti ringrazio.
No, non sei sconclusionata, mi fa piacere che
Davide e Francesca siano espressi in maniera così viva da
farteli immaginare quasi "reali". Grazie, per gli auguri di Pasqua che
ovviamente ti rimando, anche se in ritardo. Grande, allora siamo due
sudisti...e sì, da bravo meridionale ho anche io una
famiglia
numerosissima.
wanda nessie:
sì vero, Francesca si è un attimo rilassata... il
finale ti ha sorpreso? In che senso?
GinTB: ecco Francesca 2
-la vendetta-... Scherzo. Buonasera.
Cos'è che intravedi? Perchè non si può
mai sapere.
Ma cercherò di intravedere anche io quello che intravedi tu,
non
vorrei mai causare uno scatto omicida. Felice anche io che tu sia
felice. Ah ma tu avvertimi sempre, se combino guai.
Marty McGonagall: ti
perdono, ti perdono e non hai di che scusarti, perchè non
sei l'unica ad essere smielosa (ora posso usare anche io questa parola
neonata?).
Sì, l'estate
sta arrivando ma considera che io scrivevo questa parte a
metà febbraio, quindi immagina quanto mi sentivo
frustrato...
marghepepe: "Questa ff
tocca l'anima!". Allora, commento molto esagerato ma
graditissimo...credo proprio che alla fine il mio ego ne
uscirà incredibilmente (e ingiustamente) ingigantito. "Una
storia del tutto originale e non scontata, ed, in certi punti,
ironica". Ti ringrazio tanto di questa analisi.
vero15star: ti prego
dimmelo se non riesco ad esprimere bene le situazioni. Sarebbe una
pecca enorme e io desidererei tanto correggerla. Grazie per la
recensione.
FeFeRoNZa: Ci ho pensato, ci ho pensato e...caspita, devo ammettere che
è davvero un bel piano, soprattutto considerando che io non
finisco tra le grinfie di Francesca (perchè credimi,
è
pericoloso e sconsigliabile). Però non hai calcolato una
cosa: io
soffro di vertigini! Ho una paura terribile dell'altezza quindi non
credo sosterrei il volo... Va bè, mi fa piacere che apprezzi
così tanto Davide, anche se non sono proprio uguale a lui, e
come vedi in questo capitolo la situazione
Damiano si è sbloccata...
Emily Doyle: temo che dovrai aspettare un poco...";">
MissQueen: la pratica
Damiano comincia ad avviarsi, come puoi leggere. E grazie nuovamente
per la recensione. Davide non è proprio uguale a me...
è un ritratto uscito molto più bello. Cavoli,
credo di essermi immischiato in una brutta situazione...
com'è? All'inizio avevo solo una fidanzata. Ora ho una
fidanzata, una moglie e pure l'amante?
E il bello è
che io non ho fatto assolutamente nulla... ma dov'erano questi
superpoteri quando mi servivano?
(wow non credevo di poter
ricevere complimenti anche per come rispondo alle recensioni......)
|