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Autore: Egomet    16/04/2009    9 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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g Giugno era scivolato via liscio, veloce e rapido senza inconvenienti, anzi alternando piacevoli momenti ad importanti svolte. Luglio fu anche meglio, a parte il caldo che implacabile iniziava a farsi sentire.
La loro vita di convivenza si manteneva su un rapporto stabile, dettato da regole ben precise: ognuno dei due conosceva la vita dell’altro, ma non vi si intrometteva, non si impicciava e non faceva domande strane. Davide di tanto in tanto la stuzzicava un po’ su suo padre, ma perché pensava che fosse l’unico modo per convincerla a farci pace. I primi mesi non aveva detto nulla perché non erano proprio amiconi, anzi, ma ora che iniziavano ad affiatarsi di più, doveva dirglielo. Non stava bene che non parlasse con suo padre, e che addirittura non lo considerasse tale.
-Ma a te cosa importa?- domandò nervosa.
-è giusto così, per te. Lui è tuo padre, e gli vuoi bene-
-Ti sbagli, a me non importa nulla di lui- ribatté ostinata, incrociando le braccia e guardandolo torva.
-Sì che ti importa- insistette lui.
Francesca lo guardò per un attimo lungo, facendo incrociare i loro occhi. Preparava una discreta contromossa, a quanto pareva.
-E tuo padre?-
-Cosa?- domandò il ragazzo distratto, chiamato in causa.
-Sì, tuo padre. Non mi parli mai di lui- disse osservando la strana reazione che aveva avuto.
Davide distolse lo sguardo, portandolo a terra; si appoggiò allo schienale del divano, incrociando le braccia e facendosi cupo.
-Non ne voglio parlare- disse.
La bionda notò il suo turbamento improvviso, ma questo, nonostante fosse insolito per Davide, non le impedì di rinunciare al suo vero scopo.
-Allora se non me lo dici io non faccio proprio un bel niente-
-Cosa dovrei dirti?-
-Di tuo padre-
-Non ho alcuna intenzione di parlarne con te- ribatté scorbutico.
-E allora io non vedo perché dovrei fare una cosa solo perché me la dici tu- replicò la ragazza.
Entrambi si guardarono male, poi distolsero lo sguardo, irritati ognuno nel suo modo. Lui perché lei gli aveva risvegliato brutti ricordi, lei perché lui non aveva ceduto e si era arrabbiato.
Per il bene del quieto vivere, tralasciarono l’argomento, promettendosi di riprenderlo in tempi migliori.
Una fotografia annerita con delle macchie bianche era sospesa a mezz’aria, reggendosi solo alle due dita del dottore.
Questo stava mostrando a Francesca, stesa come ogni mese sul lettino, la prima fotografia del suo bambino.
-Volete sapere se è un maschio o una femmina?-
Davide stava per rispondere di sì, ma la bionda scosse subito la testa.
-No grazie. Non mi interessa- disse –allora va tutto bene?-
-Perfetto. Sta così comodo che un altro po’ ci può mettere la tv e il divano là dentro-
Questa voleva essere una battuta mirata a sdrammatizzare, ma nessuno colse l’ironia.
La bionda si sedette, il camice che non riusciva a coprirle le gambe lisce. I capelli biondi le cadevano scomposti sulle spalle, alcuni ciuffi sul volto anche, e le due braccia che si poggiavano sul lettino erano anch’esse scoperte. Alcuni bottoni della camicia erano aperti, solo quelli sulla pancia per permettere l’ecografia.
Davide non voleva davvero guardarla, ma gli fu impossibile.
Osservò come se non avesse mai visto nulla del genere le gambe nude di lei che parlava interessata col dottore; risalì lentamente, come se la vedesse in un filmato, con la musica pure, fino ad arrivare a quei bottoni aperti.
Da sotto faceva la sua bella mostra un piccolo pancione rigonfio; era perfetto: rotondo, liscio, morbido almeno all’apparenza. Ormai non potendolo nascondere, era stata costretta ad accettarlo. Forse ci aveva provato, ma la ragazzina non ci era certo riuscita.
Ma i suoi occhi proseguirono la tournée salendo ancora più su.
Non era mai stato un maniaco, uno di quelli che si dilettano su Red Tube, con i giornaletti e i filmati. Certo non era mica un ingenuo ignorante, qualcuno se l’era pure visto, ma non era tipo da certe cose.
Ma ora il suo assopito istinto si riaccese come un fuoco, e dalle ceneri si infiammò più potente di prima. Erano cambiate le situazioni, e le cause.
Prima lo faceva perché era quasi naturale, ora perché semplicemente se n’era accorto.
Prima la causa erano splendide modelle bionde, more, rosse; assolutamente perfette, ritoccate magari, ma che avevano il chissà quale potere nello sguardo che ti rimbambiva totalmente il cervello, e ti accendeva stimoli mai provati prima.
Ora la causa era una ragazzina. Una ragazzina bionda, testarda, scorbutica, acida. Ma Dio, che belle gambe che aveva.
Non voleva pensare affatto male quando lo sguardo gli salì più su della pancia. Quest’ultima, chissà perché, invece di fargli ribrezzo, lo eccitava parecchio. Le guance gli si tinsero di rosso, e si riprese in tempo per notare che lei gli stava mostrando la fotografia.
Subito, ma rimanendo rosso in viso, si sedette sul lettino per guardare. Caspita, era suo figlio quello!
Beh, per il momento era un piccolo fagotto che dormiva, pensò lui. Piccolo, bianco, raggomitolato. Ma chissà se era comoda, la pancia. Chissà se lui poteva sentirlo.
In quel momento, se avesse potuto parlargli, gli avrebbe detto ‘ehi, caspita che bella mamma che hai’.
Francesca purtroppo, furba e maliziosa, notò il rossore sulle sue guance.
Non disse nulla però.
Davide nel frattempo, spostatosi di nuovo di fronte al lettino, riprese il viaggio di prima. Era arrivato a sopra la pancia. Preferì non immaginare cosa ci fosse e andò più su. Lei stava silenziosa, con una smorfia concentrata e attenta sul viso, e guardava il dottore, che le stava gesticolando e sorridendo. I capelli, come aveva visto prima, le stavano sciolti sulle spalle. Lui si incantò e come un flash arrivato all’improvviso, desiderò trovarsi da solo, con lei e su quel letto. Ma non per farle un qualsiasi caspita di esame, no. Il desiderio tutto nuovo di toccarla e di sentire da vicino il suo respiro, ma non arrabbiato invece ansante, lo investì in pieno.
Si riprese ma non del tutto quando la vide alzarsi e recuperare le sue cose, dirigendosi verso la porta. La bionda si voltò accigliata, tirandolo per una manica.
-Ehi, ci sei? Andiamo?- domandò.
-Eh?- fece distratto, ma poi strinse la mano al dottore e la seguì fuori.
Mentre tornavano alla macchina, lei lo osservava sospettosa, notando che era distratto e assente.
Il ragazzo cercava di scacciare quella imbarazzante fantasia di poco prima; non erano pensieri da farsi e totalmente inopportuni. Non provava nessuna attrazione per lei, la considerava un’amica, ma allora che significavano quei pensieri?
-Davide è tutto a posto?-
Si sedettero nell’abitacolo, con lei che lo guardava strana.
-Eh?- si accorse che lo stava fissando e arrossì.
-No niente... pensavo...- liquidò l’argomento con indifferenza simulata.
-Come mai sei tutto rosso?-
-Boh. Eh forse...faceva troppo caldo là dentro-
Il che era vero, sotto alcuni punti di vista.
La bionda non fece altre domande, ma continuò a tenerlo d’occhio. Intanto aveva altro a cui pensare: teneva fra le mani la piccola foto, la prova concreta che il bambino esisteva, come le ricordava ogni mattina lo specchio nel quale si guardava. E questo, implacabile, le restituiva un corpo ingrassato, rotondo, morbido e non più esile, aggraziato e piccolo.
Non si piaceva più.
Prima, quando usciva, camminava a testa alta sapendo che era bella, ma non per vanità. Si sentiva sicura di sé per quei mezzi, anzi doni, che la natura le aveva fatto. Ma ora, con quell’ingombrante peso che le gravava sulla pancia, non si sentiva a suo agio.
Aveva iniziato a vestirsi più larga in modo da nascondere la pancia anomala, ma ora era così grande e sporgente che si vedeva lo stesso. Si vedeva. Così anche se aveva ripreso ad indossare gli abiti suoi consoni, si vergognava. Si vergognava terribilmente quando era costretta ad uscire e infatti cercava scuse su scuse per rimanere in casa. Sapeva che chiunque l’avesse vista con quel pancione l’avrebbe additata come una di quelle ragazze madri, disprezzata e non le piaceva.
Loro non sapevano tutta la storia. Loro non sapevano nulla.
Eppure si permettevano di giudicare.
Era ormai una mamma da sei mesi inoltrati, e si avvicinava il momento. Da quando aveva deciso di tenersi il bambino si era un po’ più rilassata, ripetendosi che ci voleva tempo. Un mese e più dopo, non la pensava allo stesso modo. Il momento si stava avvicinando, e lei aveva una paura matta.
Ma non l’avrebbe ammesso per nulla al mondo.
 
Faceva caldo, molto caldo e loro due erano nel letto. L’uno, vestito solo di maglietta e pantaloncini, dormiva sdraiato a destra, poggiato su un braccio, e respirava strano.
Francesca era a sinistra, avvolta nel pigiama cortissimo e largo, e stretta fra le lenzuola. Guardava il soffitto, buio tranne per la luce soffusa e bassa che lo rischiarava. Si girò dalla parte del ragazzo, osservandolo dormire. Aveva la bocca schiusa e perciò ne usciva il respiro, pesante. Lo invidiava da morire in quel momento, lui addormentato beato fra le braccia di Morfeo, lei infelice insonne. Come detestava non dormire. Tutto era immobile e silenzioso e per quanto guardasse l’orologio quello non ne voleva sapere di avanzare con le lancette. Sbuffò, girandosi dall’altro lato. Non poteva manco mettersi a pancia in giù, e questo, anche se sembrava una sciocchezza, era un sacrificio pesante.
Si tormentò un poco i biondi ciuffi che aveva sulle spalle.
Ricordava che una volta un ragazzo le aveva affibbiato un buffo soprannome per via dei suoi perenni fermagli. Ma che poteva farci? Quei dannati capelli la tormentavano in qualsiasi modo se li aggiustasse.
Rassegnata, li lasciò andare e la sua mano scivolò lenta fra le lenzuola. D’un tratto avvertì un piccolo crampo alla pancia.
Sorrise divertita, poi si toccò la pancia con le mani.
-Manco tu riesci a dormire?-
Scosse la testa, sorpresa dall’assurdità della sua azione, e si sdraiò meglio. Sarebbe molto meglio, almeno per me, se non ci fossi bambino, pensava.
Di pensiero in pensiero, andò stranamente a ricordare la dedica che Paola le aveva fatto su un foglio.
Davide&Francesca=love4ever.
Non seppe mai come, ma in qualche modo chiuse gli occhi e senza pensarci si addormentò.
Sognò un sogno strano. Sognò Bruno, sognò Elena, e anche il suo professore di matematica. Sognò una sala d’ospedale buia, e un medico che le apriva le gambe con forza. Sognò Damiano che le urlava contro, e un corridoio lunghissimo che non era altro che lo stesso del suo orfanotrofio. Lei correva e ad un certo punto, aperta la porta vide...
Non ricordò cosa avesse visto, ma si spaventò tanto da svegliarsi di soprassalto.
Si drizzò a sedere, sudata e ansimante, con un scatto così veloce che sorprese anche il silenzio. Non urlò né gridò, ma il movimento fu così brusco e il suo respiro così forte e spaventato nel buio della stanza che anche Davide si svegliò.
-Oddio...- mormorò, capacitandosi che era stato un sogno, lei.
-Che c’è?- mugugnò assonnato lui, rivoltandosi. Si protese in avanti, i capelli tutti arruffati e gli occhi pesanti.
-Che hai, Fra?- domandò mezzo addormentato guardandola.
-Un brutto sogno- disse piano la ragazza, riprendendo un respiro regolare.
Poi lo guardò, tutto assonnato e con gli occhi chiusi come se fossero pesti continuava ad osservarla, a metà fra la preoccupazione e irritazione di essere stato svegliato.
-Dai dormi...- fece, rituffandosi fra i cuscini, affondandoci la faccia. La sua mano si poggiò sulla sua spalla, tirandola giù, e scivolò giù verso la mano. La tirò a sdraiarsi senza mollare la presa, e prima che se ne rendesse conto si era già riaddormentato.
Francesca si ristese, appoggiandosi stanca e con la fronte sudata contro il cuscino. La sua mano era chissà come tenuta distrattamente fra quella di lui.
Si addormentò subito.
Francesca aprì gli occhi poche ore dopo, stanca e seccata perché non aveva dormito molto quella notte. Guardò l’orologio ed erano le sette e mezza. Abbastanza tardi per potersi finalmente alzare da quel letto. Mosse la mano che stava poggiata su quella di lui, che ancora dormiva, e la sfregò sul suo palmo. Lo guardò dormire, aveva gli occhi chiusi e il corpo gli si abbassava ritmicamente scandito dal respiro.
Lei si mise su un fianco, verso di lui, e gli prese la mano nella sua, intrecciando le loro dita. Ancora assonnata, si sdraiò sul cuscino bagnato e chiuse gli occhi. Come faceva a dirgli che Damiano le mancava, le mancava tanto e che aveva ragione lui? E soprattutto che non aveva la minima idea di che cosa fare?
Lo guardò a lungo senza paura di essere scoperta.
Lui faceva sembrare tutto così facile e tranquillo; da quando lo aveva conosciuto, senza forse rendersene conto, le aveva risolto moltissimi problemi che altrimenti sarebbero rimasti perennemente irrisolvibili. E si fidava a confidargli le sue emozioni, i suoi pensieri, perché sapeva che avrebbe saputo dargli buoni consigli. Ciò che le piaceva di lui era il fatto che la sapesse ascoltare e poi dopo non abbandonarla lì così, indifferente. Tutti gli altri, conoscendo la sua indole facilmente infiammabile, la assecondavano nella maggior parte delle cose, quelle difficili e complicate, facendole credere che aveva ragione per non incappare nella sua ira. Davide non si era fatto problemi a dirle veramente cosa doveva fare, a consigliarla nel modo giusto. Lei, testarda, i primi tempi non gli voleva dar retta per niente, ferma nella convinzione di avere ragione. Ma poi, da quando avevano litigato e se n’era andata, si era accorta che seguendo quello che le diceva le cose andavano meglio, per lei e per gli altri.
Sapeva consigliarla bene, e lei si fidava di lui.
In realtà non glielo diceva espressamente perché si vergognava e poi aveva il suo orgoglio, ma lo ascoltava molto.
Le dava sicurezza.
Davide non ricordò cosa avesse sognato quella notte, come spesso gli succedeva, ma sapeva solo, quando riprese coscienza, che era sudato e rotolato nel letto. Detestava quel caldo soffocante che regnava in città e opprimeva il cielo come una cappa. Alzò una palpebra, svogliato, e la richiuse. Poi la riaprì, e anche l’altra, stando per qualche minuto in stato di coma. Vedeva solo le lenzuola aggrovigliate e spostate, e poi la tenda che copriva la finestra. La ragazzina si era alzata. Lui si girò lentamente sull’altro fianco, e poi la vide.
La bionda era in piedi, vestita solo col pigiama davanti allo specchio, e si guardava attenta e seria. Il ragazzo aprì meglio gli occhi, strizzando più volte le palpebre, per distinguere meglio le figure.
C’era un lungo specchio, attaccato alla parete, proprio affianco al letto, e lì Francesca si stava esaminando.
Sollevò la maglietta del pigiama, scoprendo la pancia gonfia. Lei sbuffò, girandosi a destra e a sinistra per trovare un profilo che le andasse bene; ma a quanto pareva, non ne esistevano. Seccata e delusa, lasciò cadere la maglietta sulla pelle. Poi si guardò di lato per vedere di quanto sporgeva la pancia. Si notava.
Lei scosse la testa, tastandosela infastidita di non poter fare nulla.
-Ma cosa fai?-
La voce arrochita e divertita di Davide le arrivò alle orecchie.
Arrossì e lo guardò, smettendo di fissare il suo riflesso.
-Niente-
Lui fece un gran sorriso divertito, e capendo che avrebbe iniziato a sfotterla lei aggiunse, tornando a guardarsi
-Sono grassa-
Si morse il labbro prima di sedersi sul pizzo del letto, lasciando cadere le speranze. Triste teneva piegata la testa di lato, fissandosi le gambe che, almeno, erano dritte e tornite come erano sempre state.
Si sdraiò di schiena, mettendosi le braccia dietro la nuca.
-Non sei grassa. Sarebbe strano il contrario- disse lui, alzandosi sui gomiti per guardarla.
-Parli bene tu che sei uno stecco- ribatté lei.
Ma il ragazzo non si scompose, tirandole scherzoso il cuscino. La ragazza lo afferrò e ci si nascose dentro.
-Stanotte non hai dormito per niente. Ma a che pensavi?-
-A niente- disse con voce ovattata.
-Sì certo-
Francesca si tirò a sedere e gattonò lenta fino ad arrivare a lui, poi si appoggiò alla testata del letto e lo guardò. Aveva le gambe rannicchiate contro la pancia e le mani a sorreggersi. Lui invece stava giù, sdraiato e tirato su dai gomiti.
-Allora stavo pensando a tutto- disse.
-A tutto?- il ragazzo la guardò scettico.
Poi si fece serio.
-E raccontamelo questo tutto, dai-
Lo aveva detto con quel tono di voce profondo, serio, maturo che tanto le piaceva e sembrava capace di sciogliere un iceberg.
-Mi chiamo Francesca. E sono orfana di mamma e papà- cominciò per scherzo lei sorridendo.
Davide si stese sul materasso, con le mani dietro la testa, in attesa di una lunga storia.
-Mi ha adottato uno che si chiama Damiano- proseguì, poi guardò lui, furba –ora tu-
-Io? E che devo dire?-
-Tu sai quasi tutto di me. Parlami di te-
Si girò verso di lui, stando sempre seduta.
Si guardarono negli occhi, ma non aprirono bocca; Francesca non voleva perdere l’occasione e insistette
-Tua madre ha detto che hai una sorella-
-Sì. Si chiama Miriam- rispose lui.
Quando la vide sorridere capì che aveva fatto il suo gioco e allora si rassegnò. Cominciò a raccontare.
-Nella mia famiglia siamo tre figli. Io, mio fratello e Miriam. Lei ha la tua stessa età, mentre mio fratello ne ha circa ventuno, mi sa- elencò, contandoli sulle dita.
-Si chiama Rosario. Fa l’università adesso, a Roma-
-La Sapienza?- domandò lei.
-No, alla Cattolica. È una specie di genio. La mamma è molto contenta di lui-
-E tuo papà? Com’è?-
Davide deglutì, lasciando in sospeso la frase. Poi si ricordò che lei, la ragazzina, era l’ultima persona a cui poteva dire di avere una vita migliore. Mosso a compassione, sorrise, ma un sorriso triste, e rispose.
-Mio padre faceva il medico. Ha sempre pensato che uno di noi dovesse seguire le sue orme. Lui voleva che io andassi al liceo, ma di latino e greco io non volevo capirne nulla. La matematica era l’unica cosa che mi piaceva-
-Così poi ho fatto la ragioneria. Papà non la prese bene, ma stava attento a non farsi vedere da me. Io ero bravino, a scuola. Poi però...-
-Però?- incalzò Francesca.
-...poi mio fratello andò al liceo. E allora iniziò a prendere ottimi voti. I miei scomparivano a confronto dei suoi. D’un tratto, andare a scuola non mi piaceva più. Anche se prendevo buoni voti, lui se ne arrivava sempre con altri migliori. E papà era più contento di lui-
-Poi un giorno, io e papà litigammo. Litigammo di brutto. Io non volevo andare all’università a prendere medicina. Io volevo diventare un perito informatico o un ragioniere, come mio zio. Ma lui non voleva. Allora litigammo. Ci siamo detti tante di quelle cose, mia madre che ci diceva di stare zitti, mio fratello studiava in camera sua e mia sorella piccola ci guardava. Alla fine io me ne andai in camera mia, volevo andarmene via-
Davide sorrise furbo d’un tratto prima di riprendere a parlare.
-Mia sorella preferiva me. Dopo la litigata venne in camera mia; stava seduta sul letto e mi guardava mentre tutto incavolato cercavo le mie cose-
-Aveva solo undici anni. Mi ha guardato e mi ha detto: “Non te ne andare, altrimenti mamma si mette a piangere”. Lo aveva detto così convinta, così seria che le ho creduto. Chiesi scusa a mio padre-
Il ragazzo si interruppe, arricciando le labbra in una smorfia.
-Scusa- sorrise alla ragazza bionda che aveva ascoltato in silenzio senza battere ciglio –ti sto annoiando-
-No no- si affrettò a rispondere Francesca –continua- gli sorrise.
Davide arrossì un po’, poi guardò le lenzuola che lo coprivano e parlò a loro
-Finita la scuola non ce la facevo più a stare a casa. Mio padre mi guardava e vedevo che era deluso. Non volevo essere il suo fallimento, ma l’avevo deluso. Così sono andato a dormire per una settimana da un mio amico. Tornavo a casa quando lui aveva il turno in ospedale-
-Poi un giorno ho provato a cercar lavoro. Ho trovato quel bar. Io non sapevo fare nulla, ma Bruto mi prese lo stesso a lavorare. Diceva che lui mi avrebbe insegnato tutto, e in effetti per me era tutto, quel lavoro. Me ne andai di casa a diciannove anni compiuti da poco, in questa casa. Era di mio zio, quello che faceva il perito informatico-
-E poi... tre anni fa, quando mio fratello è stato ammesso all’università, mio padre ebbe un attacco-
-In che senso?- chiese lei.
-Aveva un problema al fegato. Ma lui non ci badava, diceva che era solo una sciocchezza per tranquillizzare mia madre. Ma quella volta fu grave. Fu così grave che lo ricoverarono con urgenza-
-Sono ormai tre anni che è morto-
-Tu sei andato a parlarci, dopo che te ne sei andato di casa?-
-Sì. Ma anche se mi ha abbracciato si vedeva che non era proprio felice che io lavorassi solo in un misero bar, con una misera paga-
-Il mio rimpianto è quello di non essere riuscito a renderlo fiero di me- concluse malinconico, abbassando lo sguardo.
Francesca stava in silenzio ad assimilare quella triste storia, e guardava lui, sdraiato accanto a lei ma così distante e scoraggiato. Pensò che ci volesse qualcosa per tirarlo su.
-Sai Davide... quando ti ho conosciuto, pensavo fossi solo uno sciocco ragazzo, uno stupido che va in discoteca con le ragazzine solo per divertimento e non combina nulla nella vita-
-Ma non è vero- si affrettò ad aggiungere –non solo non sei uno stupido ragazzino, ma non è vero nemmeno che non hai combinato nulla nella vita. Guarda me. Senza di te chissà come avrei fatto. Sei così buono- sorrise.
Visto che lui non sorrideva, ma era sempre triste, fece scorrere piano una mano fra i suoi capelli, costringendolo così a guardarla negli occhi.
-Anche io vorrei essere buona come te- disse sorridendogli affettuosa.
Stavolta Davide sorrise.
-Tu non sei cattiva- disse, tirandosi su, accanto a lei.
-Ma non sono buona- replicò con un sorriso la bionda, facendo tornare la mano al suo posto.
Ora toccava a lei, che fece un bel respiro prima di cominciare.
-Mi ricordo soltanto poche cose dell’orfanotrofio. Mi ricordo che una volta la suora mi disse che ero una bambina davvero bellissima, e che ero la più brava delle femmine. Ma non era vero- sorrise –io non sorridevo mai, e spesso facevo i dispetti ad un bambino. Gli tiravo i capelli- rise.
-Perché?-
-Boh. Lui un giorno mi aveva rotto una scatola di colori. Erano belli, sai, erano tutti miei perché ero stata la più brava a fare un qualcosa... boh. Comunque lui me li aveva rotti, e non gliel’ho mai perdonato. Così gli facevo i dispetti-
Francesca scivolò più giù, immergendosi nei suoi ricordi.
-Poi un giorno arrivò Damiano. Era gentile con me, e mi portava con lui. Sai, noi non potevamo uscire fuori, ma lui mi portava in giro. Mi piaceva stare con lui molto più che con le suore, perché ascoltava tutto quello che dicevo. E mi faceva mangiare tante cose buone, che noi alla mensa nemmeno ce le sognavamo. Avevo quattro anni, o forse cinque...-
-Un giorno arrivò e disse, entrando in camera mia: “Oggi ti faccio conoscere la mia casa”. Mi portò a casa sua, e a me piacque tantissimo. Stetti a dormire lì per una notte, e non volevo andarmene, perché sai... all’orfanotrofio quelle suore dovevano ascoltare a milioni di bambini. Invece lui era mio, era venuto solo per me. E le cose che mi diceva, che mi faceva vedere, erano solo per me e non per gli altri bambini-
-Mi sentivo, per la prima volta... non so...-
-...a casa- completò Davide con un sorriso gentile.
Lei arrossì, e precisò
-Lo so che sembra una storia strappalacrime, ma è la verità!- sorrise.
-Eh ma io non ho detto nulla. Continua dai- si voltò su un fianco e stette in attesa del resto.
-Comunque...- sospirò prima di riprendere.
Non era triste, ma ricordava tutto con un certo divertimento, compiaciuta di aver vissuto quelle esperienze. Non era in cerca di compatimento, cercava solo qualcuno che la ascoltasse.
-Sai, siccome anche Damiano ha gli occhi azzurri, per un periodo avevo veramente creduto che lui fosse mio padre- sorrise imbarazzata. Com’era più bella quando sorrideva e quando arrossiva, presa alla sprovvista, pensò Davide, incantandosi per un attimo.
-Ci rimasi malissimo quando scoprii che non era lui il mio papà. Ci avevo sperato sul serio- qui piegò la testa da un lato, intristendosi un attimo.
-Avevo sempre pensato che mia madre avrebbe dovuto avere dei capelli biondi come i miei, ma nessuna signora bionda veniva a cercarmi, così ci persi le speranze. Damiano non mi ha proprio adottato. Lui si conosceva con la direttrice e siccome gli stava simpatico lei lasciò che mi prendesse così, fidandosi di lui-
-Da quando, circa ad otto anni, scoprii che non era mio padre, smisi di considerarlo tale. Prima lo chiamavo Damiano, forse per rispetto... boh... ma non l’ ho mai chiamato papà-
-Il resto direi che più o meno lo sai-
Davide restò in silenzio a guardarla.
-Hai mai pensato a come potessero essere i tuoi genitori veri?-
Francesca ricambiò il suo sguardo.
-No, e sinceramente non mi importa nulla- rispose decisa –una mamma non l’ho mai cercata. Gli amici li ho e li ho avuti. Un papà...- lasciò cadere la frase nel nulla.
Era un argomento un po’ personale, forse troppo e il ragazzo preferì deviarlo.
-Ti invidio molto, lo sai Francesca?-
-Perché?-
-Non è vero che non sei una donna coraggiosa. Tu sei più coraggiosa di tutte le altre donne messe insieme che io abbia mai conosciuto. Anche se hai una storia difficile, non ti lamenti mai. Non vuoi essere commiserata-
-Perciò non voglio che i miei amici e nessuno sappia che sono orfana. Non voglio che siano miei amici solo perché gli faccio pena. Come credi che mi sentirei?-
-Questo l’avevo capito- le sorrise.
-Avrei voluto avere il tuo stesso coraggio mentre parlavo a mio padre, testa bionda- le disse.
Cadde il silenzio fra loro due. La mattina sembrava secoli fa, quando ormai si erano inoltrati l’uno nei pensieri più intimi dell’altra. Si erano detti tutto, davvero tutto.
-Sei la prima persona a cui dico tutto questo. Nemmeno i miei fidanzati sapevano tante cose di me- confessò arrossendo la ragazza.
-Anche tu. Non avevo mai raccontato questo a nessuno- anche lui diventò rosso.
E imbarazzati stettero in silenzio.
Davide fece un respiro.
-Allora andiamo da tuo padre?- domandò rivolgendosi a lei.
Francesca si spostò una ciocca bionda che come sempre la tormentava. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli verdi del ragazzo.
Si fidava di lui. Non le avrebbe mai fatto nulla di male.
-Sì-












Come avete notato, ora la storia è un po' meno...intensa per quanto riguarda le situazioni, il che è legato anche al cambio di stagione. Io credo sia anche un po' così, perchè l'estate ti fa vedere tutto in modo più rilassato, no?

Dunque ringraziamo tutti i lettori, i preferiti, e le recensitrici.

Jiuliet: ti ringrazio. No, non sei sconclusionata, mi fa piacere che Davide e Francesca siano espressi in maniera così viva da farteli immaginare quasi "reali". Grazie, per gli auguri di Pasqua che ovviamente ti rimando, anche se in ritardo. Grande, allora siamo due sudisti...e sì, da bravo meridionale ho anche io una famiglia numerosissima.

wanda nessie: sì vero, Francesca si è un attimo rilassata... il finale ti ha sorpreso? In che senso?

GinTB: ecco Francesca 2 -la vendetta-... Scherzo. Buonasera. Cos'è che intravedi? Perchè non si può mai sapere. Ma cercherò di intravedere anche io quello che intravedi tu, non vorrei mai causare uno scatto omicida. Felice anche io che tu sia felice. Ah ma tu avvertimi sempre, se combino guai.

Marty McGonagall: ti perdono, ti perdono e non hai di che scusarti, perchè non sei l'unica ad essere smielosa (ora posso usare anche io questa parola neonata?).
Sì, l'estate sta arrivando ma considera che io scrivevo questa parte a metà febbraio, quindi immagina quanto mi sentivo frustrato...

marghepepe: "Questa ff tocca l'anima!". Allora, commento molto esagerato ma graditissimo...credo proprio che alla fine il mio ego ne uscirà incredibilmente (e ingiustamente) ingigantito. "Una storia del tutto originale e non scontata, ed, in certi punti, ironica". Ti ringrazio tanto di questa analisi.

vero15star: ti prego dimmelo se non riesco ad esprimere bene le situazioni. Sarebbe una pecca enorme e io desidererei tanto correggerla. Grazie per la recensione.

FeFeRoNZa: Ci ho pensato, ci ho pensato e...caspita, devo ammettere che è davvero un bel piano, soprattutto considerando che io non finisco tra le grinfie di Francesca (perchè credimi, è pericoloso e sconsigliabile). Però non hai calcolato una cosa: io soffro di vertigini! Ho una paura terribile dell'altezza quindi non credo sosterrei il volo... Va bè, mi fa piacere che apprezzi così tanto Davide, anche se non sono proprio uguale a lui, e come vedi in questo capitolo la situazione Damiano si è sbloccata...



Emily Doyle: temo che dovrai aspettare un poco...";">

MissQueen: la pratica Damiano comincia ad avviarsi, come puoi leggere. E grazie nuovamente per la recensione. Davide non è proprio uguale a me... è un ritratto uscito molto più bello. Cavoli, credo di essermi immischiato in una brutta situazione... com'è? All'inizio avevo solo una fidanzata. Ora ho una fidanzata, una moglie e pure l'amante?
E il bello è che io non ho fatto assolutamente nulla... ma dov'erano questi superpoteri quando mi servivano?
(wow non credevo di poter ricevere complimenti anche per come rispondo alle recensioni......)
  
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