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Dedicata al mio fratellino
Dedicata al mio
fratellino
Avrei voluto
pubblicarla per il tuo compleanno,
ma purtroppo
l’ispirazione non ha collaborato…
Ti voglio bene!
SIK
Lost & Found
Part I
Sangue e spade e
urla e morte… visioni troppo orrende per chiunque, anche sotto il sole tiepido
di aprile, mentre il vento stacca dai rami i petali di ciliegio e li fa cadere
sul terreno insanguinato, purezza rosa che si macchia di cruento carminio.
E un bambino di
forse sei, sette anni, con il kimono sporco e strappato, immobile in mezzo al
massacro, gli occhi vitrei spalancati sull’orrore, guarda senza più parole, non
trovando un perché a quello che è successo. Tutto attorno a lui ora tace, non
c’è più nemmeno lo stormire delle fronde a riempire il silenzio di morte che si
è creato: adesso che loro se ne sono andati, nel villaggio non c’è più anima
viva, ci sono solo lui e quell’uomo con quella strana croce.
Il bambino è in
piedi, sulla veranda ingombra di cadaveri. Ce ne sono tanti attorno a lui:
cadaveri di mostri deformi e spaventosi che gli sono comparsi davanti
all’improvviso, quasi squarciando dall’interno i corpi degli uomini che lo
stavano assalendo.
Il bambino è in
piedi, sulla veranda ingombra di cadaveri. Impugna una spada troppo grande per
lui, grondante sangue denso e nero, che cola lentamente a terra, scivolando
sulla lama ricurva, corrosa dal tempo. Eppure, tra le sue mani quella katana
rovinata è divenuta un’arma letale, quasi dotata di vita propria e il piccolo
spadaccino si è come sentito guidare da lei mentre combatteva contro quei
mostri.
Il bambino è in
piedi, sulla veranda ingombra di cadaveri. Alle sue spalle la parete della casa
è sfondata e la stanza completamente a soqquadro. Il prezioso sostegno d’ebano
della spada è spezzato in due e rovesciato sul tatami, accanto il fiore di loto
che il maestro teneva sempre in una ciotola, miracolosamente intatto, i suoi
petali bianco latte schizzati di sangue.
Il vento
scompiglia appena i capelli del piccolo e gli agita la cintura del kimono;
null’altro in lui si muove: neppure un battito di ciglia, nemmeno quando l’altro
gli si avvicina. L’uomo ha circa trent’anni e l’aria un po’ trasandata, ma non
cattiva; anche lui ha gli abiti sporchi di sangue e un po’ di fiatone – si è
battuto con tutte le sue forze contro quei mostri che hanno assalito il dojo,
nonostante lì non conoscesse nessuno.
Avanza
lentamente verso il bambino, sorridendogli per non spaventarlo, ma questi non dà
neppure segno di vederlo. Nei suoi occhi non c’è più traccia di emozione,
sembrano liquidi, come se trattenessero in sé tutte le lacrime che il piccolo
non riesce (o non vuole?) versare. Si ferma a qualche passo di distanza, senza
salire sui gradini della veranda, e rimane immobile cercando inutilmente di
catturare lo sguardo del ragazzino. Poi allunga lentamente la destra per
instaurare un qualche contatto con lui.
“Sei stato
davvero bravo, ometto. Ma adesso rilassati, è tutto finito… io sono Froi Tiedoll,
tu come ti chiami”?
Nessuna
reazione, come se le sue parole fossero state portate via dal vento; l’uomo,
preoccupato, scuote appena la testa, ma poi si fa attento quando vede la katana
tremare leggermente nella piccola mano e le iridi chiare allargarsi, come se il
bimbo d’istinto avesse percepito un pericolo imminente.
Quando anche
Tiedoll intuisce la minaccia, si getta verso di lui, ma non ha nemmeno il tempo
di lanciargli un avvertimento che una lama gli trapassa il petto, e subito ne
viene estratta dall’akuma che la manovra. Il piccolo spalanca le labbra in un
grido senza voce e le gambe gli cedono, mentre lascia la presa sulla spada.
Rapidamente
l’esorcista conficca nel terreno lo scalpello che porta alla vita e lo colpisce
con forza.
“Maker of Eden, attivazione! Art!”
Un rigoglioso
albero, avvolto da una luce biancastra, germoglia in pochi istanti alle sue
spalle e da esso si forma un gigantesco burattino, che il generale manda ad
occuparsi dell’akuma sopravvissuto. Lui invece vuole prendersi cura del bambino,
cercare di fare qualcosa per lui, anche se deve ammettere che teme per la sua
vita. Il piccolo è inginocchiato a terra e respira pesantemente, un rivolo di
sangue che gli cola dalla bocca.
Tiedoll gli si
accosta e accenna a prenderlo per le spalle per farlo sdraiare ma, prima che
possa fare il minimo gesto, viene investito da un’esplosione di sangue
proveniente dal petto del piccolo. Preoccupato, gli scosta il kimono e,
all’altezza del cuore, vede scurirsi un simbolo tracciato sulla pelle chiara,
una sorta di tatuaggio. Quello strano segno sembra brillare di luce propria,
quasi fosse vivo… fa distendere a terra il bambino, che ora ha perso
completamente conoscenza, e gli apre la casacca, osservando allibito la ferita
aperta dalla lama del mostro rimarginarsi lentamente.
Tiedoll non sa
cosa pensare: un momento prima, quando aveva visto il piccolo venir quasi
manovrato dalla sua spada e abbattere gli akuma che lo assalivano, non aveva
avuto dubbi che si trattasse di un’Innocence che aveva trovato il suo
compatibile.
Ora però non sa
come spiegare questo fenomeno, cui si aggiunge un dettaglio incomprensibile e
per certi versi inquietante: quando l’esorcista alza gli occhi, vede infatti il
fiore di loto dai petali insanguinati rilucere dello stesso sinistro bagliore
del tatuaggio sul petto del ragazzino, il quale ancora giace incosciente con il
capo sulle sue ginocchia.
Riporta lo
sguardo sul piccolo, sulla sua pelle chiarissima, ora perfettamente intatta
sotto lo sporco e il sangue rappreso, e sul suo viso dai tratti così delicati,
quasi femminili. Il tatuaggio sul suo petto ha smesso di brillare, così come il
loto, e il suo corpo è scosso da lievi movimenti e contrazioni involontarie dei
muscoli: sta riprendendo conoscenza e probabilmente il dolore comincia a farsi
forte, adesso che la tensione si è sciolta.
“Ehi, riesci a
sentirmi?”
Gli accarezza
delicatamente la fronte, scostandogli dal viso la lunga frangia scura, che il
sangue e il sudore hanno appiccicato alla pelle; subito però il bambino spalanca
gli occhi, ora non più liquidi, ma freddi come il ghiaccio, e con un movimento
rapidissimo si tira su e si allontana da lui, puntandogli contro la spada. Ha il
respiro affannato e non riesce ad alzarsi in piedi, ma nello sguardo con cui
fissa Tiedoll non c’è una briciola del tremore (dovuto forse alla fatica) con
cui pure impugna la katana: sembra una giovane pantera ferita, pronta a tutto
per difendersi dai cacciatori.
L’esorcista lo
guarda allibito: non si aspettava una reazione del genere, ma soprattutto è
rimasto colpito dalla velocità dei suoi movimenti. Alza entrambe le mani, per
dimostrargli che non ha intenzioni ostili e nel frattempo allunga lo sguardo
dietro le sue spalle, per accertarsi che non ci siano altri akuma in agguato.
“Calmati,
ragazzo mio: non c’è alcun bisogno di puntarmi contro la spada. Non voglio farti
del male…”
Il bimbo sembra
non sentirlo nemmeno. Non abbassa la katana, né stacca gli occhi da lui, pur
continuando a far saettare lo sguardo attorno, per tenere sotto controllo la
situazione: è visibilmente spaventato, di questo l’esorcista se ne rende conto,
e la cosa lo addolora. Tiedoll prende un respiro profondo, cercando le parole
adatte per spiegarsi, ma il piccolo lo previene.
“Chi sei? Cosa
vuoi da me?” Il tono è deciso, sebbene la voce sia debole, come se avesse urlato
tanto da non avere più forza di parlare.
Il generale
ignora senza fatica la palese ostilità e diffidenza che sente irradiarsi dal
ragazzino: è abituato a trattare con i bambini e sa quanto sia difficile
conquistarsi la loro fiducia. E con lui non sarà diverso, anzi, sarà forse un
compito ancora più arduo, visto cosa gli è capitato. Sorride di nuovo e si
sistema i grandi occhiali rotondi.
“Mi chiamo Froi
Tiedoll e sono un generale della Dark Religious. Sono in missione per cercare
delle persone speciali che siano in grado di usare un’arma molto potente,
chiamata Innocence… e, da quel che ho visto, tu sei uno di loro. Posso sapere il
tuo nome?”
L’uomo si rende
conto, con una punta di soddisfazione, che il bimbo ha seguito con un certo
interesse il suo discorso. Lo vede alzarsi in piedi, un po’ insicuro sulle
gambe, e abbassare appena la spada. Stringe gli occhi e lancia uno sguardo di
sfuggita al burattino bianco alle spalle dell’esorcista, ma la sua espressione
non si rilassa minimamente. Tiedoll deve riconoscergli che ha un carattere
davvero forte: un qualunque altro suo coetaneo (e non solo) al suo posto sarebbe
già crollato.
“Questa…
Innocence di cui parli… a cosa serve?”
L’esorcista
abbozza un sorriso. “È un po’ complicato da spiegare. Comunque, per farla breve,
possiamo dire che serve per distruggere delle creature chiamate akuma…” davanti
all’occhiata poco convinta del bambino, aggiunge riluttante “I mostri che ti
hanno attaccato, quelli erano tutti akuma”
A quelle parole,
il ragazzino stringe la presa sull’elsa della katana e la consapevolezza di quel
che è accaduto, forse troppo atroce per essere già interamente presente ai suoi
occhi, si fa strada prepotente in lui, contraendogli i lineamenti in una smorfia
dolorosa, repressa a fatica.
Vedendolo in
quello stato, Tiedoll vorrebbe far cadere quel discorso (non ritiene che il
piccolo sia pronto a parlare del massacro da cui è appena scampato), ma per
rispetto alla determinazione e alla forza che gli legge nello sguardo, continua
a spiegare.
“L’Innocence è
un’arma potente, ma molto esigente: sono pochi quelli che la possono utilizzare
e comunque anche un compatibile deve faticare per imparare a dominare la propria
Innocence. Ecco, guarda, la mia è questa…” Muovendo appena lo scalpello, fa
avvicinare l’enorme burattino bianco al bambino, il quale per tutta risposta gli
punta contro la spada.
“Io non voglio
combattere con questi cosi!”
Quella risposta
stizzita prende il generale in contropiede; una mezza risata maschera la sua
sorpresa per la reazione del piccolo e la constatazione ammirata di trovarsi di
fronte ad un ragazzino eccezionale: non aveva mai incontrato nessuno che alla
sua età non fosse rimasto affascinato dai suoi burattini.
“Ma tu non
dovrai utilizzarli” lo rassicura con un sorriso “Loro sono la mia Innocence…”
aggiunge poi, disattivando il Maker of Eden e risistemandosi lo scalpello alla
cintura “…la tua, a quanto ho potuto vedere, risiede nella tua spada e sarà con
quella che combatterai”
Quando Tiedoll
tace, si aspetta che il bimbo sia felice di sapere che potrà continuare ad
utilizzare la sua katana. Invece lui lo sorprende di nuovo, oscurandosi in volto
e scuotendo la testa. Alza la spada davanti a sé e la fissa con quei suoi occhi
di ghiaccio, induriti da un dolore troppo grande per i suoi pochi anni.
“Questa spada
non è mia” lo informa poi, con un tono che vorrebbe essere neutro ma che non
riesce a celare un sottofondo indefinibile, tra il rammaricato e l’angosciato “È
del maestro e lui ha sempre proibito a chiunque di usarla, quindi non posso
tenerla”
“Ma lei ha
scelto te” replica pacato l’esorcista “Vuole che sia tu ad impugnarla in
battaglia. E sono certo che anche il tuo maestro lo vorrebbe, perché era un uomo
saggio”
Forse è quel
verbo al passato che sottintende una realtà troppo dura da accettare, o forse
semplicemente i troppi riferimenti a quel maestro che il bambino potrebbe aver
visto morire davanti ai suoi occhi – questo Tiedoll sa che non lo saprà mai, ma
di certo anche la resistenza pur notevole del piccolo sta per spezzarsi. Lo vede
stringere i denti e tremare, poi di scatto si gira e inizia a correre verso
l’edificio principale.
Il generale lo
segue, pur senza sforzarsi di raggiungerlo, costringendosi a stare un passo
indietro anche quando il ragazzino, chiaramente sotto shock, tenta
ossessivamente di rimettere in piedi, al suo posto sull’armadietto, il supporto
d’ebano della katana, spezzatosi in due durante l’attacco degli akuma. Ma le
mani gli tremano troppo e i frammenti mancanti, sparpagliati sul tatami, fanno
il resto.
Alla fine riesce
in qualche modo nel suo intento, ma quando prova a posare la spada sul
palchetto, dopo avervi collocato accanto anche il loto, la fragile struttura
cede di nuovo, trascinando a terra sia la katana che il fiore.
Il bambino
assiste sgomento, non trovando più la forza fare nulla; rimane immobile per
qualche istante, poi fulmineo colpisce con un calcio l’armadietto in legno,
sfondandolo completamente. L’uomo a quello scatto d’ira sussulta e accenna ad
abbracciare il piccolo per calmarlo, ma questi rovescia indietro la testa,
lasciandosi andare ad un urlo straziante e all’apparenza interminabile, che gela
Tiedoll sul posto per il carico di angoscia che porta con sé.
Quando la voce
lo abbandona, il suo grido si trasforma in un lamento sommesso e infine il
ragazzino sembra calmarsi. L’esorcista gli posa delicatamente una mano sulla
spalla e cerca di confortarlo, sorridendogli rassicurante.
“Ora basta,
giovanotto… lo so che è dura, ma devi…”
“Cosa ne vuoi
sapere tu?!”
Tiedoll vorrebbe
provare a rispondere, ma le parole gli muoiono sulle labbra di fronte a quella
replica rabbiosa del bambino e all’occhiata agghiacciante che gli lancia subito
prima di scappare via, portando con sé la katana, l’unica cosa in questo mondo
di cui sembra gli importi ancora.
Il generale tira
un profondo sospiro, però non accenna a seguirlo: è palese che il piccolo sta
negando con tutte le sue forze quello che pure è sicuramente ben chiaro anche ai
suoi occhi, e che in questo momento vuole stare da solo. L’esorcista adesso può
soltanto aspettare che il bimbo si calmi e che gli permetta di farsi aiutare a
superare quel trauma.
Tiedoll si alza
in piedi spolverandosi la veste e scuote la testa.
Nel frattempo,
la cosa migliore che può fare è cercare di cancellare il più possibile i segni
della carneficina: anche quello potrebbe essere un modo per dare una mano al
ragazzino.
Lo sguardo gli
cade sul loto insanguinato, ancora perfetto come se fosse stato appena raccolto,
nonostante ormai da qualche ora non sia più immerso nell’acqua. Quel fiore ha
qualcosa di strano, l’esorcista ne è convinto. E poi quel bagliore che l’ha
avvolto mentre quell’altrettanto strano tatuaggio sul petto del bambino gli
salvava la vita… quando lo raccoglie da terra con delicatezza, uno dei petali,
colorato interamente di rosso dal sangue del piccolo spadaccino, si stacca dal
loto. Il generale lo osserva cadere disegnando una lenta spirale nell’aria e
rinsecchire non appena toccato il tatami: sì, decisamente non si tratta di un
fiore qualsiasi. Lo poggia con attenzione su quel che rimane dell’armadietto e
inizia a riordinare il dojo devastato.
Sik
è il nome del simbolo tatuato sul
petto di Kanda che, nella religione induista, è uno dei quattro mantra
principali.