L’invisibile conquista
Da
quando era
tornata nel proprio corpo, Tashigi si era trovata in molte situazioni
imbarazzanti e difficili sull’isola di Punk Hazard: prima il
rischio di
respirare il gas mortifero di Caesar Clown, poi la donna-arpia nella
Stanza dei
Biscotti – e perfino farsi portare in spalla da Roronoa.
Tutte situazioni
decisamente seccanti e che l’avevano provata profondamente,
insomma: per di
più, si era ritrovata ad affrontare tutti questi problemi
senza uno dei suoi
più fedeli alleati, perché quell’insensibile
(aveva evitato di pensare troppo male del proprio superiore, dopotutto
Tashigi
sapeva bene che aveva una scala di priorità molto rigida)
del signor Smoker,
nel momento in cui Law li aveva scambiati di corpo, si era tolto un
indumento
che per Tashigi era essenziale, vitale,
fondamentale—cioè il suo reggiseno.
Così, restituita al proprio corpo, Tashigi aveva sentito
distintamente ciò che
aveva ipotizzato quando s’era vista così discinta:
il suo reggiseno doveva
essere finito nella neve o chissà dove e non c’era
speranza di trovarne un
altro, visto che la loro nave era stata resa inagibile (in modo anche
artistico, per certi versi) da Law.
In
quanto soldato,
Tashigi sarebbe riuscita a resistere fino all’isola
successiva o all’arrivo
degli aiuti; in quanto donna abituata al senso di sicurezza che un
reggiseno le
dava, averne uno addosso l’avrebbe aiutata a sopportare
meglio sia una
sconfitta sia i propri soldati. Stava pensando alla propria misera
situazione
valutando gli aspetti positivi e negativi della condizione di tutto il
G-5,
quando si rese conto di non essere l’unica donna
sull’isola. Se il
viceammiraglio Tsuru e il suo equipaggio di sole marine fosse stato nei
dintorni, avrebbe preferito chiedere a loro: tuttavia la Gatta Ladra e
l’archeologa di Ohara erano pur sempre donne, prima ancora
che piratesse, per
cui rivolgersi a loro sarebbe costato solo un po’ del suo
onore di marine,
non di ragazza.
Nami
sembrava più
disponibile a parlare con Tashigi, rispetto a Robin: forse per natura,
forse
per il passato che insisteva nel risalire a galla, questo la marine non
poteva
saperlo. La promessa che Tashigi le aveva fatto (quella di riportare a
casa i
bambini prigionieri di Caesar Clown) doveva aver reso Nami
più propensa ad
ascoltare una piccola richiesta di aiuto, complice anche il fatto che
pirati e
soldati sembravano festeggiare insieme senza troppi problemi, in quel
momento.
«I
bambini stanno
bene?»
Tashigi
annuì.
«Sì. Non è per loro che sono
qui.» Poi diventò un po’ rossa in viso,
si mise
gli occhiali sul naso, si ricordò che erano rotti e nel
toglierseli inciampò
nei propri piedi. Si trovava davvero a disagio, constatò
Nami. «Avrei
bisogno—quando siamo stati imprigionati con il vostro
capitano, io mi trovavo
nel corpo del mio superiore, e lui nel mio. Ci aveva scambiati
Trafalgar Law.»
«Non
me ne
parlare!» Sorrise Nami, che preferì ridere invece
di piangere (più che Sanji
nel suo corpo, l’aveva inquietata Franky in quello di
Chopper: era stato un
incubo in terra!).
«E
mentre eravamo
scambiati, ecco, si è liberato del mio reggiseno. Non so
dove sia finito e non
so dove procurarmene un altro. Visto che tu e la tua compagna siete le
uniche
sull’isola, ho pensato di chiedervene uno. Anche uno vecchio,
che non vi sta
più: non riesco a—mi dà molto fastidio
essere senza.»
Nami
divenne seria.
Si scambiò un’occhiata con Robin, lì
accanto, e l’archeologa annuì.
«Da
donna a
donna,» disse Nami, sorridendo a Tashigi, «va
bene?»
«Sì.»
«Vado a
vedere se ce n’è uno che ti può
stare.»
«Avremmo
potuto
chiedere al samurai, ma non credo fosse una buona idea,»
disse Nami, tornata
dalla camera che condivideva con Robin fino a terra, dove Tashigi la
stava
aspettando, «ne ho presi alcuni che potrebbero andarti bene.
Provali e poi
riportami quelli che non ti stanno.»
«Il
samurai?»
Nami
le diede la borsa
in cui aveva riposto alcuni reggiseni presi direttamente dal proprio
armadio.
«Un tipo un po’ strano, ma non parliamone. Scegline
uno: sarà il compenso per
la promessa che mi hai fatto, d’accordo?»
«Grazie.»
Tashigi
era arrossita di nuovo (per il freddo, per l’imbarazzo) e si
era allontanata
dai festeggiamenti e dal resto del grande gruppo di pirati e marine,
camminando
a passo di marcia. Nami e Robin non potevano lasciarla salire sulla
Sunny, e
Tashigi non avrebbe accettato tutti questi permessi – forse,
come tutti i
soldati del G-5, si sarebbe sentita in debito con delle piratesse, e
non
sarebbe riuscita a sopportarlo.
«Da
donna a
donna?» Chiese Robin.
«Già.
In mondi
come i nostri, spesso cose semplici e indispensabili come un reggiseno
vengono
dimenticate o messe in un angolo. Sono felice di poter aiutare. Nessuna
dovrebbe mai sentirsi a disagio solo perché è una
donna, no, Robin?»
«Hai
ragione.»
«E
poi l’ho detto,
ho un debole per gli occhi delle marine fin da quando ero
piccola.»
«Che
forse nel
tempo è cambiato, o mi sbaglio?»
Le
due si
guardarono e Nami si mise a ridere, prima di pettinarsi i capelli con
una mano
e di risponderle: «Forse, forse.»
Forse
non sono le
cose più comode del mondo, forse sono solo un impaccio: ma
per una ragazza come
Tashigi, che viveva su una nave di uomini che non capivano
granché degli
oggetti di cui una donna ha bisogno per vivere bene con se stessa, un
reggiseno
era una grande conquista, benché inutile agli occhi del
proprio equipaggio e
del proprio superiore. Forse pensavano che la sua giacca rosa fosse un
tentativo di mostrare la propria essenza femminile: la
verità, però, era che
Tashigi si sentiva bene con se stessa e con il proprio corpo
soprattutto quando
poteva indossare la propria conquista invisibile. Era quando si sentiva
a
proprio agio che riusciva ad affrontare meglio tutte le sottili
difficoltà dell’essere donna. (Tanto sottili che
spesso
Tashigi non riusciva a tagliarle nemmeno con un colpo preciso di spada:
avrebbe
dovuto allenarsi ancora a lungo.)
Per
questo, quando
tornò davanti alla nave di Cappello di Paglia,
restituì la borsa a Nami con uno
sguardo serio e la bocca sorridente, nell’espressione di
gratitudine che meglio
le riuscì. «Grazie. Ho preso quello
bianco.»
«Ce
n’erano altri
della stessa taglia ma molto più carini: perché
non quelli?»
«Gli
altri erano
un po’ troppo sgargianti per me.»
«Va
bene, va bene,
non essere in imbarazzo, marine che si mette una camicia viola
a fiori e una giacca rosa
con i guanti rosa.»
Tashigi
incassò il
colpo incassando la testa tra le spalle, sbuffando senza risentimento
dal
momento che, a essere sincere, la Gatta Ladra non aveva tutti i torti.
«Il
debito che
avevo nei tuoi confronti è stato saldato,» disse
Nami, recuperando serietà e
attenzione, «ora tocca a te rispettare la promessa e
riportare i bambini dai
loro genitori.»
«Lo
farò. Grazie.»
In
quanto
piratesse e marine, Nami, Robin e Tashigi avrebbero continuato a
combattere le
une contro l’altra; in quanto donne, già sapevano
che le migliori alleate
sarebbero state altre donne, e che se il ciclo si fosse perpetuato
secondo
questa piccola piega del tempo e del pensiero—allora la
speranza non sarebbe
stata malriposta.
Note Autrice:
Questa
storia è
uno di quei pensieri fulminanti, detti da doccia:
“ehi, ma Tashigi
non ha più il reggiseno a Punk Hazard, visto che Smoker se
l’è levato quando
sono stati scambiati di corpo! E se avesse chiesto aiuto a Nami e
Robin, le
uniche donne sull’isola?” e questo è il
risultato. In queste note possono
esserci parole pesanti, ma credo che ormai tutti le conoscano
(purtroppo):
avviso nel caso potessero dar fastidio a qualcuno.
Come
per le
drabble di I’m Headed Straight For
The
Castle, si parla qui soltanto di donne – di tre
delle mie creaturine (???) preferite
dell’opera originale. Ripensando al passato, ricordo che
odiavo tanto – ma tanto
tanto! – Nami, all’inizio, per motivi che non
scrivo perché erano veramente
vili e non vorrei che altri si mettessero in testa cose che avevo in
mente
quando ero una rincoglionita cattiva (ora sono rincoglionita, ma
fondamentalmente
buona). Bon, dopo essere tornata su questi lidi, mi sono resa conto che
quello
che ho avuto io è uno dei casi di donne che odiano le donne:
una di quelle
brutte cose che vengono messe in testa alle bambine e alle ragazze, che
diventeranno
donne in un futuro non così distante. Ecco, davvero, passate
per quella fase,
passateci: poi usciteci e ditemi che era uno schifo, sul serio, ho
bisogno che
qualcuno mi dica che è solo una fase e che fa
schifo, anche se dura poco. (È la fase a essere brutta, non chi la subisce.)
Considerando
tutto
questo, è saltata fuori questa storia, in meno di un
pomeriggio. Mi piace l’idea
che Nami e Tashigi (e poi Robin, a modo suo ;D) possano aiutarsi anche
in
questa maniera. Se le donne fossero le prime alleate delle donne, tante
cose
brutte e terrificanti non succederebbero – mentre potrebbero
nascerne di belle
e di utili per tutti. Io ci provo: spesso sbaglio e ho paura di tornare
in
quella fase schifosa. Cerco di migliorarmi come posso.
Spero
di non aver
offeso nessuno in queste note, non è mia intenzione: vorrei che fossero uno spunto di
riflessione. E
poi spero che vi sia piaciuta la storia! (Scusate il momento NamiTash,
è stato
più forte di me—)
Grazie
per aver
letto.
claws_Jo
Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di
Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno
scopo di lucro.
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