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Autore: claws    18/07/2016    3 recensioni
Missing moment ambientato durante la saga di Punk Hazard, riguardante Tashigi e un suo problema che solo Nami e Robin possono risolvere.
Se il viceammiraglio Tsuru e il suo equipaggio di sole marine fosse stato nei dintorni, avrebbe preferito chiedere a loro: tuttavia la Gatta Ladra e l’archeologa di Ohara erano pur sempre donne, prima ancora che piratesse, per cui rivolgersi a loro sarebbe costato solo un po’ del suo onore di marine, non di ragazza.
[≈1200 parole]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nami, Nico Robin, Tashiji
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’invisibile conquista

 

Da quando era tornata nel proprio corpo, Tashigi si era trovata in molte situazioni imbarazzanti e difficili sull’isola di Punk Hazard: prima il rischio di respirare il gas mortifero di Caesar Clown, poi la donna-arpia nella Stanza dei Biscotti – e perfino farsi portare in spalla da Roronoa. Tutte situazioni decisamente seccanti e che l’avevano provata profondamente, insomma: per di più, si era ritrovata ad affrontare tutti questi problemi senza uno dei suoi più fedeli alleati, perché quell’insensibile (aveva evitato di pensare troppo male del proprio superiore, dopotutto Tashigi sapeva bene che aveva una scala di priorità molto rigida) del signor Smoker, nel momento in cui Law li aveva scambiati di corpo, si era tolto un indumento che per Tashigi era essenziale, vitale, fondamentale—cioè il suo reggiseno. Così, restituita al proprio corpo, Tashigi aveva sentito distintamente ciò che aveva ipotizzato quando s’era vista così discinta: il suo reggiseno doveva essere finito nella neve o chissà dove e non c’era speranza di trovarne un altro, visto che la loro nave era stata resa inagibile (in modo anche artistico, per certi versi) da Law.

In quanto soldato, Tashigi sarebbe riuscita a resistere fino all’isola successiva o all’arrivo degli aiuti; in quanto donna abituata al senso di sicurezza che un reggiseno le dava, averne uno addosso l’avrebbe aiutata a sopportare meglio sia una sconfitta sia i propri soldati. Stava pensando alla propria misera situazione valutando gli aspetti positivi e negativi della condizione di tutto il G-5, quando si rese conto di non essere l’unica donna sull’isola. Se il viceammiraglio Tsuru e il suo equipaggio di sole marine fosse stato nei dintorni, avrebbe preferito chiedere a loro: tuttavia la Gatta Ladra e l’archeologa di Ohara erano pur sempre donne, prima ancora che piratesse, per cui rivolgersi a loro sarebbe costato solo un po’ del suo onore di marine, non di ragazza.

 

Nami sembrava più disponibile a parlare con Tashigi, rispetto a Robin: forse per natura, forse per il passato che insisteva nel risalire a galla, questo la marine non poteva saperlo. La promessa che Tashigi le aveva fatto (quella di riportare a casa i bambini prigionieri di Caesar Clown) doveva aver reso Nami più propensa ad ascoltare una piccola richiesta di aiuto, complice anche il fatto che pirati e soldati sembravano festeggiare insieme senza troppi problemi, in quel momento.

«I bambini stanno bene?»

Tashigi annuì. «Sì. Non è per loro che sono qui.» Poi diventò un po’ rossa in viso, si mise gli occhiali sul naso, si ricordò che erano rotti e nel toglierseli inciampò nei propri piedi. Si trovava davvero a disagio, constatò Nami. «Avrei bisogno—quando siamo stati imprigionati con il vostro capitano, io mi trovavo nel corpo del mio superiore, e lui nel mio. Ci aveva scambiati Trafalgar Law.»

«Non me ne parlare!» Sorrise Nami, che preferì ridere invece di piangere (più che Sanji nel suo corpo, l’aveva inquietata Franky in quello di Chopper: era stato un incubo in terra!).

«E mentre eravamo scambiati, ecco, si è liberato del mio reggiseno. Non so dove sia finito e non so dove procurarmene un altro. Visto che tu e la tua compagna siete le uniche sull’isola, ho pensato di chiedervene uno. Anche uno vecchio, che non vi sta più: non riesco a—mi dà molto fastidio essere senza.»

Nami divenne seria. Si scambiò un’occhiata con Robin, lì accanto, e l’archeologa annuì.

«Da donna a donna,» disse Nami, sorridendo a Tashigi, «va bene?»

«Sì.»

«Vado a vedere se ce n’è uno che ti può stare.»

 

«Avremmo potuto chiedere al samurai, ma non credo fosse una buona idea,» disse Nami, tornata dalla camera che condivideva con Robin fino a terra, dove Tashigi la stava aspettando, «ne ho presi alcuni che potrebbero andarti bene. Provali e poi riportami quelli che non ti stanno.»

«Il samurai?»

Nami le diede la borsa in cui aveva riposto alcuni reggiseni presi direttamente dal proprio armadio. «Un tipo un po’ strano, ma non parliamone. Scegline uno: sarà il compenso per la promessa che mi hai fatto, d’accordo?»

«Grazie.» Tashigi era arrossita di nuovo (per il freddo, per l’imbarazzo) e si era allontanata dai festeggiamenti e dal resto del grande gruppo di pirati e marine, camminando a passo di marcia. Nami e Robin non potevano lasciarla salire sulla Sunny, e Tashigi non avrebbe accettato tutti questi permessi – forse, come tutti i soldati del G-5, si sarebbe sentita in debito con delle piratesse, e non sarebbe riuscita a sopportarlo.

«Da donna a donna?» Chiese Robin.

«Già. In mondi come i nostri, spesso cose semplici e indispensabili come un reggiseno vengono dimenticate o messe in un angolo. Sono felice di poter aiutare. Nessuna dovrebbe mai sentirsi a disagio solo perché è una donna, no, Robin?»

«Hai ragione.»

«E poi l’ho detto, ho un debole per gli occhi delle marine fin da quando ero piccola.»

«Che forse nel tempo è cambiato, o mi sbaglio?»

Le due si guardarono e Nami si mise a ridere, prima di pettinarsi i capelli con una mano e di risponderle: «Forse, forse.»

 

Forse non sono le cose più comode del mondo, forse sono solo un impaccio: ma per una ragazza come Tashigi, che viveva su una nave di uomini che non capivano granché degli oggetti di cui una donna ha bisogno per vivere bene con se stessa, un reggiseno era una grande conquista, benché inutile agli occhi del proprio equipaggio e del proprio superiore. Forse pensavano che la sua giacca rosa fosse un tentativo di mostrare la propria essenza femminile: la verità, però, era che Tashigi si sentiva bene con se stessa e con il proprio corpo soprattutto quando poteva indossare la propria conquista invisibile. Era quando si sentiva a proprio agio che riusciva ad affrontare meglio tutte le sottili difficoltà dell’essere donna. (Tanto sottili che spesso Tashigi non riusciva a tagliarle nemmeno con un colpo preciso di spada: avrebbe dovuto allenarsi ancora a lungo.)

Per questo, quando tornò davanti alla nave di Cappello di Paglia, restituì la borsa a Nami con uno sguardo serio e la bocca sorridente, nell’espressione di gratitudine che meglio le riuscì. «Grazie. Ho preso quello bianco.»

«Ce n’erano altri della stessa taglia ma molto più carini: perché non quelli?»

«Gli altri erano un po’ troppo sgargianti per me.»

«Va bene, va bene, non essere in imbarazzo, marine che si mette una camicia viola a fiori e una giacca rosa con i guanti rosa

Tashigi incassò il colpo incassando la testa tra le spalle, sbuffando senza risentimento dal momento che, a essere sincere, la Gatta Ladra non aveva tutti i torti.

«Il debito che avevo nei tuoi confronti è stato saldato,» disse Nami, recuperando serietà e attenzione, «ora tocca a te rispettare la promessa e riportare i bambini dai loro genitori.»

«Lo farò. Grazie.»

 

In quanto piratesse e marine, Nami, Robin e Tashigi avrebbero continuato a combattere le une contro l’altra; in quanto donne, già sapevano che le migliori alleate sarebbero state altre donne, e che se il ciclo si fosse perpetuato secondo questa piccola piega del tempo e del pensiero—allora la speranza non sarebbe stata malriposta.

 

 

 

 

 

 

 

Note Autrice:

Questa storia è uno di quei pensieri fulminanti, detti da doccia: “ehi, ma Tashigi non ha più il reggiseno a Punk Hazard, visto che Smoker se l’è levato quando sono stati scambiati di corpo! E se avesse chiesto aiuto a Nami e Robin, le uniche donne sull’isola?” e questo è il risultato. In queste note possono esserci parole pesanti, ma credo che ormai tutti le conoscano (purtroppo): avviso nel caso potessero dar fastidio a qualcuno.

Come per le drabble di I’m Headed Straight For The Castle, si parla qui soltanto di donne – di tre delle mie creaturine (???) preferite dell’opera originale. Ripensando al passato, ricordo che odiavo tanto – ma tanto tanto! – Nami, all’inizio, per motivi che non scrivo perché erano veramente vili e non vorrei che altri si mettessero in testa cose che avevo in mente quando ero una rincoglionita cattiva (ora sono rincoglionita, ma fondamentalmente buona). Bon, dopo essere tornata su questi lidi, mi sono resa conto che quello che ho avuto io è uno dei casi di donne che odiano le donne: una di quelle brutte cose che vengono messe in testa alle bambine e alle ragazze, che diventeranno donne in un futuro non così distante. Ecco, davvero, passate per quella fase, passateci: poi usciteci e ditemi che era uno schifo, sul serio, ho bisogno che qualcuno mi dica che è solo una fase e che fa schifo, anche se dura poco. (È la fase a essere brutta, non chi la subisce.)

Considerando tutto questo, è saltata fuori questa storia, in meno di un pomeriggio. Mi piace l’idea che Nami e Tashigi (e poi Robin, a modo suo ;D) possano aiutarsi anche in questa maniera. Se le donne fossero le prime alleate delle donne, tante cose brutte e terrificanti non succederebbero – mentre potrebbero nascerne di belle e di utili per tutti. Io ci provo: spesso sbaglio e ho paura di tornare in quella fase schifosa. Cerco di migliorarmi come posso.

Spero di non aver offeso nessuno in queste note, non è mia intenzione: vorrei che fossero uno spunto di riflessione. E poi spero che vi sia piaciuta la storia! (Scusate il momento NamiTash, è stato più forte di me—)

Grazie per aver letto.

claws_Jo





Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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