I tre bastardi
Arianne Rogers si
avvicinò alla
scrivania di Mckenzie recante due bicchieri di caffé. A
differenza
di altri suoi colleghi, la giovane agente non temeva mai di
avvicinarsi a Damien, nemmeno quando, torvo in viso, esaminava
archivi e files nella speranza di trovare una pista decente al caso a
cui stava accoratamente lavorando. Lo vide incollato al computer,
mentre cercava notizie inerenti agli omicidi seriali avvenuti negli
ultimi anni.
«Smith ha
chiesto di vederla.»
annunuciò la poliziotta.
Trovarono il dottor
Nathan Smith
completamente assorto nel guardare la pianta della città
affissa al
muro, su cui aveva messo dei post-it che segnavano i punti esatti nei
quali erano avvenuti i delitti.
« Il nostro
uomo non fa
distinzione sulla tipologia di vittime.» Esordì il
giovane
psichiatra « Sembra che esse siano selezionate a casaccio.
Ciò che
è interessante è la modalità con cui
uccide: non ci sono segni di
effrazione presso le abitazioni dei malcapitati, pare che trovi il
modo di entrare senza essere visto e agisce indisturbato nella
notte.»
« E'
possibile che segua le
vittime per giorni, ne studi i movimenti per poter agire nel momento
migliore» si inserì Arianne.
« Esatto.
L'altra cosa
interessante è l'arma del delitto, la scientifica parla di
un
oggetto tagliente che non è stato mai rinvenuto sulle scene
del
crimine, è probabile che si tratti di un suo cimelio. C'
è solo una
cosa che non mi convince...»
«
Cosa?»
«L' omicidio
Dewey. In quel caso
c'è stato un colpo d'arma da fuoco.»
Intervenne McKenzie:
« E'
probabile che l'omicida non volesse ucciderlo, o che abbia avuto
difficoltà ad usare la sua arma, così ha
improvvisato.»
« Non credo,
sceriffo. Rispetto
alla prima ipotesi, sappiamo che la vittima è stata seguita
dal suo
aggressore fino a casa, segno che vi era premeditazione; per quanto
riguarda la seconda ipotesi, invece, dobbiamo immaginare che
recuperare un fucile da una cristalliera richiede molto più
tempo
che abbattere l'avversario a colpi di fendente, cogliendolo magari
alle spalle. Inoltre, la modalità di
“esecuzione” del nostro
soggetto è sempre la stessa, nella sua psicopatia
è molto
organizzato, difficilmente romperebbe il suo
“schema”.»
« Mi sta
forse dicendo che a
uccidere Robert Dewey sia stata un'altra persona?»
«
Sì, è possibile.»
« Ma le
impronte delle scarpe
sono le stesse che abbiamo rinvenuto nell'appartamento della famiglia
di Wernick!» rispose stizzito lo sceriffo Mckenzie.
« Le mie
sono comunque ipotesi,
l'unica cosa certa sarà un'indagine più
approfondita da fare
nell'abitazione di Dewey.»
Quel
breve briefing
terminò, Damien fu lasciato solo a rimurginare sulle parole
di
Nathan Smith. Quello stupido strizzacervelli non aveva capito un
cazzo di niente: l'assassino di Bob era lo stesso che stava
tormentando Oldfield da settimane, non poteva essere altrimenti, e
Damien lo avrebbe dimostrato, scoperto, acciuffato e, se fosse stato
necessario, avrebbe egli stesso fatto giustizia per il suo migliore
amico. Le sue rabbiose elucubrazioni furono interrotte da una
segnalazione urgente: il ritrovamento di un cadavere alla stazione di
Oldfield. L'assassino aveva colpito di nuovo. Il particolare che gli
fu comunicato gli lasciò un barlume di speranza, forse la
risoluzione del caso non era poi così distante. Stavolta, la
vittima
in questione, John Mattews, 39 anni, era stata ritrovata con un
pugnale conficcato nel petto: quel bastardo aveva finalmente commesso
un passo falso.
Quella sera
circolò la voce di
un nuovo omicidio in città: di nuovo non si sapeva chi fosse
l'assassino, e di nuovo il Sandie's Bar era gremito di gente che,
invece di irretirsi di fronte ai pericoli, sembrò
incoraggiata a
rincorrerli disperatamente tra una sbronza e una scopata.
“Non
li caveresti via da qui neanche se sapessero che c'è una
bomba”
pensò Andrea sorniona, mentre uno sfigato cinquantenne
dall'alito di
fogna le sussurrò all'orecchio:
«Quanto?».
Avrebbe voluta
metterla sul serio
una bomba, precisamente sotto il bancone del bar, per vedere quel
bastardo di Frank esplodere in mille pezzi o semplicemente mutilarsi
le gambe.
Il motivo di tutto
questo era
Laura: negli ultimi giorni si era incupita parecchio, parlando quasi
a monosillabi. Non fece in tempo a domandarle cosa fosse accaduto,
che Laura scoppiò in lacrime. Le raccontò di aver
visto Frank con
un'altra. Qualche giorno a seguire, il barman aveva portato la sua
nuova fiamma al bar: ne ottenne che la ragazza in questione,
inorridita dalla gentaglia che frequentava quel posto, non volle mai
più mettere piede lì dentro; continuò
ad uscire con lui,
proponendogli di sbarazzarsi quanto prima del bar e di acquisirne uno
in centro, nei quartieri alti. In questo modo, ad ubriacarsi, a fare
risse e andare a puttane sarebbe stata gente per bene. Andrea seppe
di questi particolari grazie a Sandy, la quale, orgogliosa dell'ormai
imminente fidanzamento del figlio con una così brava
ragazza, aveva
spiattellato tutto proprio in presenza di Laura, guardandola con
sadica soddisfazione.
Andrea
rimproverò mentalmente
anche la sua amica, che si era lasciata soggiogare da quattro
stronzate che Frank le aveva detto, forse per rimediare qualche
scopata gratis: le aveva detto di amarla, le promise che l'avrebbe
portata via da Paul, e lei stupidamente gli credette.
Altrettanto stupida fu
la sua
amica Mary, il cui corpo divenne cibo per i ratti della discarica,
solo per inseguire le sue fantasie.
Le brillarono gli
occhi nel
ripensare a Mary e allo sguardo spento di Laura, a cui rivolse
un'ultima occhiata prima di appartarsi con il suo cinquantenne
sfigato dall'alito di fogna.
L'unico appartamento
le cui luci
erano ancora accese alle due di notte si trovava al terzo piano di un
antico palazzo.
C'era
un placido viavai di gente che, dal vecchio portone, passava accanto
a una corona di fiori e un manifesto funebre: Susan
Mathers, di anni 34.
Jeff stette a lungo a
fissare nel
vuoto di quelle lettere stampate a caratteri cubitali, celato da
sciarpa e cappuccio, suoi fedeli compagni di viaggio.
Un brusio che
contornava
quell'assordante silenzio raccontò la dipartita della
giovane
avvocatessa: quella mattina non si presentò in tribunale.
Ciò aveva
suscitato le preoccupazioni dei suoi colleghi, i quali andarono a
casa della giovane che sapevano non godesse di buona salute. Dopo
varie insistenze fecero aprire la porta dell'appartamento di Susan
dal portinaio, che aveva una copia delle chiavi. Trovarono Susan che
dormiva beatamente, di quel sonno da cui ti svegliano solo gli
angeli. Era fredda, il suo volto era disteso, le sue labbra
sembravano accennare a un lieve sorriso, come quello di chi dice
addio senza rimpianto alcuno.
Dire che fosse morta
sola era
sbagliato: Jeff la vegliò in ogni singolo momento,
affacciato alla
finestra di un appartamento vuoto, che si trovava proprio nel palazzo
di fronte. La vide rantolare nel sonno e fermarsi. Per sempre.
Tornò
a dormire da sola, vegliata da Jeff Alan Woods e dall'unico killer in
grado di uccidere le sue vittime dall'interno, silenzioso ed
efferato, inafferrabile come la sabbia. Lo chiamano “il male
del
secolo”, “il bastardo”,
“l'alieno”, o semplicemente
“cancro”, tanti i nomi ma nessuno è mai
stato in grado di
sconfiggerlo o condannarlo a morte.
Con questi pensieri,
preda di un
cordoglio quanto mai alieno al suo modo di essere, prese il primo bus
per la periferia di Oldfield.
Il pulman era quasi
derserto, ma
né la vecchietta che si sedette accanto a lui, né
tantomeno il
pingue e ignaro autista furono per il killer una beata fonte
d'ispirazione per i suoi impulsi omicidi. Jeff ignorò tutto
ciò che
non era il volto di Susan, impresso come marchio a fuoco nella
memoria.
|