NdA. Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei fare una piccola premessa. In genere tratto l’angst e le storie drammatiche senza problemi, poiché sono tematiche che mi piace indagare. Farlo con persone “reali” non è stato facile, perché auguro ad ognuno di loro ogni bene possibile (insomma, qui siamo tutti fan, no?). Però questa è una fan fiction, gli eventi narrati sono frutto della mia immaginazione e nient’altro. L’unica differenza è che ho voluto ambientarla nel “loro mondo”, quindi il tutto è divenuto un pochino più realistico. Che non me ne vogliano i Bangtan. Detto questo, vi auguro una buona lettura e vi ringrazio per aver dato una possibilità a questa fan fiction. È il mio secondo tentativo sul fandom: siate clementi e se vi va lasciatemi un commentino anche piccolo. Mi farebbe davvero tanto piacere.
(fighting!)Vavi
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«Quando
è successo?»
Il più
piccolo del gruppo si avvicina alla finestra con passo incerto,
scrutando le gocce di pioggia che picchiano ritmicamente sul vetro. La
mano destra che tormenta in modo nervoso i capelli dietro la nuca e la
mascella contratta rivelano uno stato d’animo inquieto e
scostante.
Yoongi alza gli occhi
dal suo portatile, getta uno sguardo verso Jungkook, per poi incrociare
le iridi con quelle di Namjoon, seduto su una poltrona
dall’altra parte del soggiorno. Hoseok si avvicina lentamente
a Jungkook, cerca un contatto visivo ma lui pare evitarlo, scuote la
testa e fa un breve cenno della mano per indicargli di aspettare. Jimin
ha smesso di tormentare Taehyung e ora entrambi sono in piedi, in
attesa del verdetto che il loro compagno annuncerà una volta
terminata la chiamata. Anche Jin, stupito dall’improvviso
silenzio che è calato in casa, spegne i fornelli per andare
a controllare cosa sta succedendo.
Quando Jungkook si
volta finalmente verso gli altri, i suoi movimenti sono incerti, quasi
scattosi. Hoseok gli stringe una spalla, confortandolo, e spera che
quel gesto lo spinga a dar voce a tutte le emozioni che nel giro di
pochi secondi gli hanno attraversato le iridi scure come un treno in
corsa.
«Mio nonno
ha avuto un infarto. È ricoverato all’Ospedale
Centrale di Seoul». Trapela quasi apatia da quelle poche
parole, maschera di una sofferenza che è giunta inaspettata
e troppo velocemente per essere compresa e assimilata in
così poco tempo.
Jin si avvicina
d’istinto, gli altri lo seguono quasi in automatico.
«Jungkookie» sussurra, e nel frattempo la stretta
di Hoseok comincia a far male, tanto è serrata.
Il respiro di Jungkook
non è più stabile come prima; sembra che
l’ossigeno presente nell’aria sia stato
completamente assorbito, avvolgendo la stanza in una bolla di totale
apnea.
Tutti loro, nessuno
escluso, sanno quanto quel nonno affettuoso e cagionevole di salute
abbia significato per Jungkook. Prima del fratello e dei genitori, fu
il padre di sua madre ad indirizzarlo verso una scuola che gli avrebbe
permesso di inseguire i suoi sogni; quando ancora ballare sembrava solo
un altro insignificante passatempo per evitare lo studio e cantare il
suo degno alleato, fu il nonno a credere nelle sue capacità
più di chiunque altro. Sorrideva sempre, diceva Jungkook, e
raccontava storie avventurose sulla sua adolescenza: che poi fossero
vere o meno, Jungkook non se l’era mai chiesto. A lui bastava
rimanere ore intere ad ascoltarlo per trovare quella forza che gli
mancava, la stessa che lo avrebbe guidato verso la giusta direzione da
prendere.
L’espressione
di Taehyung è distrutta quasi quanto la sua.
«Saranno sei ore di pullman da qui.Vai!»
Ha parlato senza
pensare, come sempre, dimenticandosi di consultarsi con Namjoon e
ignorando come se niente fosse la lunga scaletta di impegni previsti
per i giorni a seguire, incisi a caratteri grassetti sulle loro schedules.
Gli occhi di Jungkook
tradiscono un barlume di speranza che Namjoon non si fa sfuggire.
«Io..
» ci prova, sa che non è giusto e non vuole
approfittarsene, ma il leader è più veloce.
«Sono
d’accordo» conferma con un cenno del capo,
guardando poi gli altri membri e ricevendo anche da loro un cenno in
risposta.
«E gli
impegni di questa settimana? Domani abbiamo quell’intervista
con-».
«Non
preoccuparti, non è un problema».
«Ma il
manager, lui-».
«Ci
penseremo noi ad avvertirlo» interviene Jin, accennando un
debole sorriso.
Jimin gli afferra un
braccio, nell’esatto momento in cui Hoseok lascia la presa.
«Prepara i bagagli».
Jungkook lo guarda,
poi guarda gli altri e sente gli occhi pizzicare, ma sa che non
è il momento di piangere. Suo nonno gli ha insegnato anche
ad essere forte nelle situazioni difficili.
«Grazie»
riesce a dire, fuggendo in camera sua a testa a bassa per recuperare
ciò di cui avrà bisogno durante il viaggio.
*
Apre
l’armadio e prende qualche vestito a caso, poi lo infila
nello zaino. Probabilmente non potrà star via per
più di tre giorni, quindi recupera solo
l’essenziale, cercando di fare in fretta. Non sa ancora come
farà a trovare un pullman che lo porterà a Seoul
nel giro di qualche ora, ma ha la testa troppo dolorante per pensare.
Ancora non si rende conto di ciò che è appena
successo, per questo quasi sobbalza quando Taehyung bussa alla porta
appena accostata ed entra in stanza.
«Ti serve
aiuto?» domanda cauto, scrutando il disordine sul letto di
Jungkook. Non che non ci sia abituato, camera sua è
un’oasi di oggetti non ben identificati sparsi sul pavimento.
Il più
piccolo scuote la testa e prova a sorridere, ma i muscoli del suo volto
sono troppo contratti, così finisce per rinunciare.
«No, ho finito. Grazie».
«E
quello?» Taehyung indica un cavo nero abbandonato ai piedi
della scrivania. Il
caricabatterie del cellulare.
Jungkook si ferma sul
posto, lancia un’occhiata al più grande, poi
recupera la presa da terra.
«Devi farci
sapere» aggiunge l’altro, sventolando un dito per
aria. Questa volta Jungkook sorride. «Certo».
Quando tornano in
soggiorno Namjoon annuncia che il Manager avrebbe mandato un suo
collaboratore entro un’ora, il quale avrebbe accompagnato
Jungkook sino all’ospedale di Seoul, ma che poi per il
ritorno non poteva garantire nulla. In ogni caso si sarebbe occupato
personalmente di spedirgli i biglietti del pullman già
pagati.
«Ti avrebbe
accompagnato lui stesso, ma non si fida a lasciarci soli»
confessa il leader, alzando le spalle.
Il più
piccolo annuisce e poco dopo si siede assieme agli altri sui cuscini
del divano, ascoltando qualche commento dei compagni sulla comparsa a
sorpresa che avrebbero dovuto fare due giorni dopo in un programma
televisivo. Le parole, però, sembrano scivolargli addosso, e
riesce solo ad osservarli da lontano, come se quel corpo in cui vive
fosse divenuto improvvisamente non suo. Il citofono lo risveglia dallo
stato di trance e lo fa scattare in piedi, pronto a partire.
Abbraccia nervosamente
tutti, non si lamenta di qualche pacca sulla schiena troppo forte e
lascia l’appartamento ripensando alle ultime parole che gli
ha rivolto Taehyung: «Mi raccomando, appena si sveglia
salutamelo!»
Appena arrivati,
Jungkook insiste a voler proseguire da solo, ma il collaboratore del
Manager è categorico: sarà scortato da due
guardie del corpo almeno fino all’entrata
dell’ospedale. Inforca gli occhiali da sole anche se fuori
diluvia e tira su il cappuccio della felpa perché non ha
voglia di aprire l’ombrello. Quando arriva nella sala
d’aspetto è zuppo dalla testa ai piedi e china
più volte il capo per chiedere scusa alla guardia che gli
aveva intimato ripetutamente di non bagnarsi e prendere freddo. La
sua salute, in questo momento, è
l’ultima cosa che gli interessa.
Quando finalmente
raggiunge il reparto, vede sua madre in fondo al corridoio aprire le
braccia e correre verso di lui, seguita dal padre e dal fratello
maggiore. Si sente stritolare e ricambia l’abbraccio con
foga; dall’ultima volta che li ha visti non è
passato poi molto rispetto al solito, forse due mesi, eppure la gioia
di poterli sentire di nuovo vicini è sempre inestimabile.
Jungkook dice spesso che i ragazzi del gruppo sono la sua famiglia, ma
ognuno di loro, in cuor suo, sa che certi affetti non si possono
rimpiazzare in alcun modo.
«Il nonno
dov’è?» chiede subito, guardando alle
spalle di suo padre come se potesse vederlo zoppicare per il corridoio
da un momento all’altro.
La madre tira fuori un
fazzoletto della borsa e si soffia il naso. «In sala
rianimazione».
«Posso
vederlo?»
«No
tesoro» risponde la donna mestamente. «Ancora non
abbiamo saputo molto, sono ore che è lì
dentro».
Il padre spiega
brevemente a Jungkook l’accaduto, dice che i paramedici sono
stati molto efficienti nel soccorrerlo e l’operazione
è durata parecchie ore; ora non resta loro che aspettare e
vedere come il nonno reagirà all’intervento.
«Ci hanno
detto che è stabile, ma sarà in pericolo fin
quando non si sveglierà» gli sussurra il fratello,
cingendogli una spalla.
Jungkook non replica,
sente che le corde vocali non lavorano come dovrebbero.
«Tu come
stai? I ragazzi?» chiede la madre cercando di cambiare
discorso, lasciandogli una carezza sul capo.
«Bene.
Stanno tutti bene». Evita la prima domanda perché
obiettivamente non sa rispondere. Ringrazia con un cenno suo padre che
gli passa una bottiglietta d’acqua e beve fino a sentire il
liquido rinfrescargli la gola arida.
Verso sera i medici
accordano loro il permesso di vedere il nonno entrando uno per volta
con gli opportuni indumenti sterili. Jungkook è
l’ultimo: non sa bene come comportarsi, il chirurgo gli ha
detto che se vuole può parlargli, ma la sua presenza gli
sarà molto più d’aiuto nel momento in
cui questi si sveglierà. E Jungkook continua a domandarselo
dal momento in cui ha messo piede in ospedale, se davvero gli
sarà concesso tornare a scrutare gli occhi piccoli e vispi
del nonno. Non è cinico, ma cerca sempre di essere realista,
nonostante spesso fatichi a camuffare quei sentimenti che si
manifestano in lui con così tanta irruenza.
«Tu
sei una persona sensibile, Jungkook. È una
qualità che devi imparare ad accettare, in modo che anche
gli altri imparino ad amarla».
Ma nonostante le
incitazioni del nonno, Jungkook aveva sempre cercato di limitare quel
lato di se stesso, credendo che porre un freno alle proprie emozioni
fosse un buon modo per superare le difficoltà uscendone
indenni. La vita, ovviamente, gli aveva sbattuto in faccia esattamente
il contrario, e così, pian piano, aveva iniziato ad aprirsi
con qualcuno, confessando talvolta le sue paure a Taehyung o chiedendo
consiglio a Jin.
«Hai tre
giorni per svegliarti, nonno. Lo sai quant’è
categorico il Manager».
Nel momento in cui lo
dice, immagina suo nonno rimproverarlo per quell’ingenua
arroganza che talvolta manifestava quand’era piccolo e che
tutt’oggi torna a fare capolino al momento giusto.
Non trattiene una
lacrima che gli bagna la guancia e si estingue subito tra le pieghe
della mascherina verde. Vorrebbe lasciarsi andare, ma sente che non
è ancora il momento: lì fuori
c’è sua madre che lo guarda e sa di dover essere
forte anche per lei. Si volta e la scorge appoggiata al vetro, le fa un
cenno con la mano, poi saluta il nonno con un bacio sulla fronte e
raggiunge il resto della famiglia.
*
Casa Jeon è esattamente come
la ricordava. Tornare a dormire nella sua vecchia camera gli procura
un’ondata di malinconia rivestita di bei ricordi.
Si china a contemplare
la pila di videogiochi riposti ordinatamente – da sua madre,
immagina - sotto il televisore: quei mondi fantastici rappresentavano
per lui una valvola di sfogo, un luogo in cui nascondersi quando ancora
spiegarsi non era facile. Aveva solo bisogno di tempo, Jungkook,
perché mai, neanche per un secondo, aveva pensato di
rinunciare a quella vita che inizialmente sembrava tanto
irraggiungibile.
Accende la consolle e
pensa quasi di farsi una partita, quando il cellulare squilla.
È già passato più di un giorno dalla
sua partenza, ma i ragazzi sanno che a Jungkook servono i suoi spazi:
ha ricevuto solo un messaggio da Namjoon, al quale ha risposto quasi
nell’immediato, con poche parole.
«Pronto».
«Jungkookie!».
La voce di Jimin suona forte e chiara dall’altra parte del
telefono.
«Ciao
Hyung».
«Che
fai?»
Jungkook ringrazia
mentalmente Jimin per non aver chiesto informazioni sul suo stato di
salute.
«Stavo
curiosando in camera. Sembra esattamente come l’avevo
lasciata».
«E
com’è?» Stare di nuovo lì,
intende.
«È
strano» confessa Jungkook. «Ma bello».
«Ci
sono novità!?» Questa non è la
voce di Jimin, Jungkook ne è sicuro.
«Tae,
avevi promesso che mi avresti lasciato parlare, non rompere!»
«Voglio
solo sapere del nonno, poi te lo lascio».
«Gliel’avrei
chiesto io, se avessi almeno la pazienza di aspettare!»
«La
tiri troppo per le lunghe».
A quel punto Jungkook
pensa di interrompere lo scambio di battute tra i due amici con una
scusa qualsiasi e chiudere la chiamata, ma sente un rumore strano
seguito da un lamento e immagina che Jimin abbia spintonato Taehyung
riprendendo possesso del telefono.
«Scusa,
Jungkook».
Vorrebbe attaccare, ma
un po’ gli viene da ridere. «Gli altri
come stanno?»
«Bene, ma
non sarà lo stesso senza di te, domani».
È sincero
Jimin, però si rende conto di non aver detto la cosa giusta.
«In ogni caso, non è così importante
quell'intervista. Facci sapere se hai notizie, mi raccomando».
«Contaci».
Jungkook saluta e chiude la chiamata. Scocca un’ultima
occhiata alla consolle, poi una all’orologio e propende per
il letto: l’indomani lo avrebbe aspettato un’altra
lunghissima giornata in ospedale.
*
Un ombrello, il solito
paio di occhiali, una sciarpa e un cappotto pesante convincono la
guardia del corpo a lasciarlo andare da solo assieme ai suoi. La
mattina stessa lo aveva chiamato il Manager, tranquillizzandolo sulla
data del ritorno: per ora avrebbe potuto rimanere con suo nonno il
tempo che serviva, ci avrebbe pensato lui ad avvertirlo se fosse stato
necessario. Jungkook aveva ringraziato, ma conosceva quasi a memoria
gli impegni incisi a fuoco sulla sua schedule e di certo non si sarebbe
potuto permettere una vacanza tanto lunga. Cerca di non pensarci mentre
raggiunge la madre fuori dalla sala rianimazione, pronto ad affiancarla
in quella tacita sofferenza che ha colpito la famiglia Jeon. Suo
fratello maggiore, invece, è a casa assieme al padre:
entrambi li avrebbero raggiunti nel pomeriggio, non appena fosse stato
possibile entrare in sala.
Mentre sono seduti
davanti al vetro ora oscurato, Jungkook inizia a farsi prendere da
quell’ansia che per una giornata intera si era illuso di aver
scacciato. Al momento il suo unico interesse è il nonno, ma
non riesce ad allontanare i sensi di colpa per quei doveri che la sua
splendida professione comporta. Aveva giurato a se stesso che avrebbe
fatto qualunque tipo di sacrificio e rinuncia pur di arrivare alla
vetta assieme ai suoi amici; poi la strada si era rivelata
più impervia del previsto, ma lui non aveva mollato e
neanche loro. Ricorda bene i video girati dopo appena due ore di sonno,
le esibizioni portate a termine anche con la febbre o con i muscoli a
pezzi, le lacrime di stanchezza e disperazione quando qualcosa proprio
non riusciva neanche dopo interminabili tentativi. L’aveva
promesso ai suoi amici, ai suoi genitori e anche a suo nonno che mai
sarebbe venuto meno a ciò che lo aspettava: era per
quello, allora, che si sentiva così male?
«Tesoro, sei
tanto pallido. Vuoi qualcosa da bere?»
Jungkook guarda sua
madre e si massaggia le tempie. «Sì, vado a
prendere una bibita alle macchinette. Per te?»
La donna gli sorride.
«Solo acqua, grazie».
Le quattro arrivano in
fretta, Jungkook ha tanto da raccontare e sua madre ha voglia di
ascoltare. È difficile all’inizio,
perché tutti e due hanno altri pensieri per la testa, ma
basta un semplice pretesto ed ecco che il discorso nasce spontaneo, si
amplia e si vivacizza in alcuni punti, è più
lento in altri, eppure non si ferma. La mamma annuisce, sorride,
è contenta per suo figlio e vorrebbe dirgli che è
fiera di lui, di ciò che sta facendo e di come lo sta
facendo, ma il medico li vince sul tempo facendo la sua comparsa con
una cartellina in mano. I due si alzano di scatto, Jungkook fa uno
squillo a suo fratello e stavolta è pronto ad entrare per
primo, se non fosse per qualcosa di inaspettato che lo costringe a
ritardare l’incontro con il nonno. Non si accorge della madre
che ha parlato con il dottore ed è scoppiata a piangere,
perché nel frattempo l’infermiere ha fatto il suo
nome e lui si è girato, notando una scia di sei persone
seguire il professionista. I suoi piedi hanno cominciato a muoversi in
automatico, gli occhi spalancati non credono a ciò che
vedono e di nuovo sente quel fastidioso bruciore al condotto lacrimale.
Prima che possa avere il tempo di dire qualcosa, Taehyung gli corre
incontro e gli butta le braccia al collo, lo stesso fa Jimin mezzo
secondo dopo e Hoseok si fionda con loro per ampliare
l’abbraccio. Namjoon, Yoongi e Jin lo lasciano respirare, gli
stringono le spalle e gli scompigliano affettuosamente i capelli.
«Hai visto?
Siamo venuti a salutarlo di persona!» esclama Taehyung,
beccandosi un’occhiataccia da Yoongi e un cordiale invito ad
abbassare la voce da parte di Jin.
«Voi siete
pazzi» biascica Jungkook, e stavolta non ha paura di farlo
tra le lacrime, perché sono lacrime di gioia e forse anche
di sfogo.
«Non lo
soffocate» interviene Yoongi, cercando di allontanare i tre
del gruppo che hanno letteralmente inglobato Jungkook.
«Non so cosa
dire» continua il più piccolo, asciugandosi
velocemente gli occhi. «Cosa avete detto al Manager? E gli
impegni che avevamo per oggi?»
«Tutto in
regola, tranquillo».
Per poco a Jungkook
non viene un infarto: è proprio la voce del Manager ad
averlo rassicurato. Piccolo di statura e mingherlino, non lo aveva
neanche notato. Piega il busto mille volte, congiunge le mani e lo
ringrazia, mentre qualche lacrima scappa ancora al suo controllo.
«Junkookie,
tua madre ti sta chiamando» interviene Jimin, mentre
appiccica un fazzoletto sulla guancia di Hoseok e lo invita a
recuperare un certo contegno.
La donna avanza a
passo veloce verso di loro, ha ancora gli occhi lucidi, li saluta
velocemente, fa loro qualche carezza, poi prende il figlio
per le spalle e alza il volto per guardarlo negli occhi.
«Tesoro, il
nonno si è svegliato. Ha chiesto di te».
Jungkook apre la
bocca, vuole rispondere ma il tentativo fallisce: sono le sue pupille
dilatate e l’ampio sorriso che mostra apertamente i denti a
parlare per lui. Gli amici gli danno qualche spinta per incoraggiarlo,
gli fanno segno di sbrigarsi, di raggiungere subito suo nonno e
dimostrano nei gesti e nel tono di voce il medesimo stupore del loro
maknae.
Quando entra, Jungkook
procede in modo cauto, ha quasi paura di rompere quella che sembra
essere un’illusione frutto di una mente troppo sconvolta.
Invece suo nonno è proprio lì, intubato da far
venir la nausea, ma sveglio e cosciente. Ha gli occhi socchiusi, eppure
l’espressione che rivolge al giovane nipotino la dice lunga
sul fatto che l’abbia riconosciuto subito.
«Hai pianto,
Jungkookie?» Parla con voce roca, mentre sfiora la
guancia del ragazzo con i polpastrelli ruvidi, segnati dalla vecchiaia
e dal duro lavoro.
Jungkook non ricorda
quante volte, in passato, il nonno gli abbia fatto quella domanda;
però ricorda il broncio che metteva su ogni volta e
l’ostentata sicurezza con la quale proferiva sempre la stessa
risposta: «NO!». No, no, no e ancora no,
nonostante il ginocchio sbucciato, il giocattolo rotto e le guance
bagnate, il verdetto era sempre lo stesso. E il nonno sorrideva, alzava
le spalle e gli dava qualche buffetto sul capo, sussurrandogli parole
dolci e sagge.
Ma oggi Jungkook non
è più un bambino e ha imparato a convivere con il
suo essere, prendendone poco a poco gli aspetti positivi.
«Sì
– ammette allora, finalmente, dopo tanti anni – ho
pianto ». Abbassa il capo e tiene le mani in grembo, strizza
gli occhi perché ormai è abbastanza ma non ha
più bisogno di nascondersi. Quando rialza lo sguardo vede il
nonno sorridere e, con un dito, gli indica la parete in vetro al lato
della stanza: in quel momento sei teste si chinano nello stesso momento
e sei mani sventolano in aria subito dopo.
Taehyung solleva un
fazzoletto con dei caratteri arrangiati e tutti storti, uniti a formare
la frase:
“Bentornato, nonno di Jungkookie!”.
Ci sono anche i suoi
genitori e suo fratello maggiore.
Il nonno alterna una
risata ad un colpo di tosse e con una pacca invita Jungkook a
raggiungerli. «Mica vorrai farli entrare tutti qui dentro,
spero» biascica poi, cercando di togliersi la mascherina per
respirare. Il nipote gli fa segno di lasciarla al suo posto e scuote la
testa. A parte Taehyung, è sicuro che i suoi amici non
vogliano fare irruzione in sala; d’altronde a lui basta
sapere di averli lì, dove sono sempre stati quando aveva
bisogno di loro: al suo
fianco.
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