15
Ariell,
immobile davanti allo specchio, scrutò il suo viso senza
riconoscerlo davvero.
Chi era
diventata?
Guardò
attentamente i suoi occhi, per la prima volta in vita sua si chiese
se era possibile avere una doppia personalità, chissà,
magari l'eterocromia era un segno del destino.
Ultimamente si
sentiva strana, come se non avesse più il controllo totale
della mente, come se stesse dividendo il suo corpo con qualcos'altro.
Un brivido le
corse lungo la schiena.
Il suo riflesso
ghignò compiaciuto.
Ariell urlò
balzando all'indietro, si stropicciò gli occhi prima di
guardare attentamente la propria immagine nello specchio.
Alzò la
mano destra e il riflesso la imitò, titubante si avvicinò
un poco e tornò a scrutare attentamente lo specchio.
Nulla sembrava
mutato.
“Fantastico,
ora ho anche le allucinazioni!” borbottò alla stanza
vuota.
Doveva essere
pazza.
Eppure non
sapeva come spiegarsi i poteri che crescevano in lei.
Poteri
pericolosi, se non fosse riuscita a tenerli sotto controllo, prima o
poi, avrebbe finito per fare del male a qualcuno.
Ripensò
a Lara, al professor Grey e si disse che, aveva già fatto del
male suo malgrado.
Che cosa
sarebbe successo se un giorno avesse finito per uccidere qualcuno?
Era possibile
che ciò accadesse, c'era arrivata molto vicina quello stesso
pomeriggio.
Se il
professore avesse parlato?
Era pensabile
che l'avrebbero preso per pazzo ma, se anche Lara avesse parlato,
allora sarebbe stata in guai seri.
L'avrebbero
trattata come un fenomeno da baraccone?
L'avrebbero
rinchiusa in qualche laboratorio e sottoposta a chissà quali
esperimenti?
Oppure
l'avrebbero semplicemente uccisa?
Scrollò
il capo come a voler scacciare i pensieri negativi che la stavano,
ormai da tempo, tormentando.
Si allontanò
dallo specchio e andò in cucina dove la madre stava preparando
la cena.
Si avvicinò
di soppiatto e le saltò addosso d'improvviso spaventandola.
La donna fece
un salto di lato facendo cadere a terra il cucchiaio, con quale stava
rimescolando il sugo, e sporcando il pavimento.
“Scusa
mamma...” si scusò la ragazza chinandosi a raccogliere
il cucchiaio e porgendolo alla madre con sguardo pentito.
Sapeva che
Joyce non poteva resistere a quello sguardo da cucciolo.
“Non
importa ma vedi di non farlo mai più se non vuoi farmi morire
giovane!” la minacciò col dito salvo poi ridere
divertita.
“Parola
di lupetto.” scherzò Ariell felice di vederla ridere.
Erano giorni
che la donna era triste, Norman si comportava in modo freddo con lei
dal giorno in cui Maria aveva fatto comparsa nella loro vita.
Non le aveva
perdonato il fatto che volesse aiutare la donna ad avvicinarsi alla
figlia.
Joyce aveva
provato più di una volta a spiegarsi ma lui semplicemente si
alzava e usciva dalla stanza rifiutandosi anche solo di cominciare il
discorso.
Sebbene
cercasse di non piangere davanti alla ragazza sapeva bene che la sua
tristezza non era passata inosservata ai suoi occhi.
Era sempre
stata una figlia attenta e sensibile ai cambiamenti umorali altrui.
“Dov'è
papà?” chiese aggrottando la fronte e intingendo un dito
nel sugo bollente senza nemmeno scomporsi.
“Attenta!
È ustionante!” l'avvertì la donna guardando
preoccupata il dito della figlia.
Per tutta
risposta la ragazza se lo mise in bocca assaporando il sugo.
“Ma no,
non è poi così caldo.” mormorò Ariell
rendendosi conto di aver appena messo a rischio il suo segreto.
Aveva scoperto
di essere diventata refrattaria al calore, era come se il fuoco
facesse parte di lei impedendole di scottarsi.
Joyce la
osservò confusa ma dopo un attimo di esitazione scrollò
le spalle.
“Allora,
è buono?” chiese curiosa.
“Sai di
essere la cuoca migliore al mondo, è buonissimo.” la
rassicurò desiderando intingere nuovamente il dito nel sugo.
Decise di
lasciar perdere onde evitare d'insospettire ulteriormente la donna.
“Dov'è
papà?” chiese nuovamente.
“Credo
sia in cantina.” rispose la madre concentrando lo sguardo sui
fornelli per evitare di guardarla.
“Va tutto
bene fra voi?” domandò la figlia puntando a sua volta lo
sguardo sui fornelli.
Non era facile
chiedere ai propri genitori se c'erano problemi in famiglia, sembrava
sempre di impicciarsi di cose che non riguardavano i figli.
“Sai che
papà è ancora scosso dalla visita di tua
madre...immagino abbia bisogno di tempo per digerire la situazione.”
la voce le si incrinò e cercò di mascherare la cosa
schiarendosela.
“Non
chiamarla così. Non è mia madre.” disse secca
Ariell.
“Tesoro,
a volte le persone non hanno scelta. Vorrei che riuscissi a capire
che è pentita di quello che ha fatto. Tutti hanno bisogno di
una seconda opportunità nella vita.” cercò di
farla ragionare con la solita dolcezza.
“Non so
se riuscirò mai a perdonarla per avermi abbandonata. Che razza
di persona è una che abbandona la propria figlia, sangue del
proprio sangue?” tuonò guardandola negli occhi.
“Se tu la
incontrassi almeno una volta magari scopriresti cose che non puoi
nemmeno immaginare. Sembra molto giovane e immagino fosse appena una
ragazzina quando ti ha avuta. Ti chiedo solo di non giudicare ciò
che non conosci Ariell.”
“Non ci
riesco. Ha rovinato la nostra famiglia, papà nemmeno ti guarda
più in faccia perché continui a scusare quella donna.
Mamma io non so se ce la farò mai a considerarla un essere
umano. Al momento per me è un mostro.” concluse
duramente.
La donna
sospirò addolorata.
“Non sto
cercando di difenderla è solo che ho visto il dolore nel suo
sguardo, il pentimento. Sto ragionando come una mamma. Sei la persona
più importante della mia vita e mi fa stare male la tua
sofferenza ma penso che se tu la incontrassi riusciresti anche a
placarlo quel dolore dentro di te. A volte la verità, la
conoscenza può appianare ogni cosa.”
Ariell lasciò
che le parole attecchissero nella mente.
Sapeva che la
madre aveva ragione ma al momento sapeva di non essere pronta.
Aveva paura di
lasciare andare tutta la rabbia che sentiva comprimerle il petto,
sarebbe potuto succedere qualcosa di irrimediabile.
“Prometto
che ci penserò. Coi miei tempi. Non escludo che un giorno io
possa trovare la forza di conoscerla.” cercò di
rassicurarla.
Joyce la guardò
con orgoglio e affetto, gli occhi lucidi.
Ariell
d'istinto si buttò tra le sue braccia stringendola forte prima
di allontanarsi.
“Vado a
cercare papà.” disse uscendo di casa.
La cantina si
trovava proprio in fondo alle scale ed fiocamente illuminata da un
unica lampadina.
Scese le scale
facendo attenzione a non scivolare sulla superficie umida.
Giunta agli
ultimi due scalini Ariell si bloccò sentendo suo padre
singhiozzare.
Si sporse un
poco e vide la sagoma robusta dell'uomo.
Era seduto e
teneva sulle gambe una vecchia scatola di latta, all'interno Ariell
sapeva esserci vecchie foto di quando era piccola, in genere quelle
foto erano custodite nel cassetto del comò della madre.
Probabilmente
Norman le aveva prese e si era rifugiato lì per dar sfogo al
proprio dolore.
Il cuore le si
spezzò in due sentendo l'ennesimo singhiozzo del padre.
Una rabbia
cocente prese a scorrerle nelle vene diretta a quella donna che era
venuta a rovinarle la vita.
Era colpa di
Maria se i suoi genitori stavano soffrendo così tanto.
Promise a se
stessa che quella donna l'avrebbe pagata cara.
Antonio
Grey si era chiuso nel suo appartamento come un fuggitivo.
Purtroppo
non aveva trovato neppure un volo per quella sera così si era
rifugiato nell'unico posto in cui si sentiva sicuro.
Si
diresse verso lo specchio del bagno e osservò con cura i
profondi tagli dovuti all'esplosione dei neon.
Non
erano poi così gravi in fondo ma era certo che avrebbero
segnato la sua pelle per sempre.
Non
aveva tempo per curarli a dovere.
Notò
che avevano smesso finalmente di sanguinare per cui li disinfettò
mettendoci una mezz'ora buona.
Le
braccia erano quelle messe peggio, le aveva usate come scudo per il
viso.
Un
brivido gli corse lungo la schiena al ricordo di quella ragazza, il
ghigno malefico che le solcava il viso fino a stravolgerlo
completamente.
Antonio
aveva avuto la sensazione di trovarsi di fronte a qualcos'altro, non
poteva essere Ariell quell'essere che lo aveva aggredito.
Se
qualcuno gli avesse raccontato una storia simile lo avrebbe preso per
matto ma, ora che era capitato a lui, non poteva far altro che
rivivere quell'incubo.
Peccato
che i tagli sull'intero corpo gli dicessero che non era un incubo ma
bensì la realtà.
Domani
sarebbe partito per Caracas col primo volo, non aveva nessuno da
avvisare, nessuna famiglia da lasciare.
Avrebbe
scritto due righe per la cugina, l'unica parente che gli fosse
rimasta.
Nessuno
doveva sapere che fine avesse fatto ma sopratutto nessuno doveva
sapere cos'era accaduto quel giorno.
Aveva
paura per la propria vita.
“Non
farti mai più vedere.” la voce di Ariell riecheggiò
nella mente ghiacciandogli il sangue nelle vene.
Non
aveva il minimo dubbio che, se l'avesse rivisto, l'avrebbe ucciso.
La
mente tornò al momento in cui la ragazza aveva scostato le
mani dalla scrivania dove il legno appariva carbonizzato proprio nel
punto dove prima era a contatto con la sua pelle.
Com'era
possibile una cosa simile?
Che
poteri aveva la giovane?
Cosa
sarebbe successo se non si fosse trattenuta?
Erano
domande a cui non avrebbe mai trovato una risposta.
L'unica
cosa a cui doveva pensare ora era scappare il più lontano
possibile da quella cittadina senza lasciare traccia.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti.
Se
avete letto il capitolo vuol dire che state seguendo questa storia
strana.
So
che non ci sono stati ancora molti punti particolarmente paurosi ma
arriveranno a breve perché ci stiamo addentrando nel vivo
della storia.
Se
avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate e se avete delle idee da
propormi o cosa vi aspettate di leggere nei prossimi capitoli.
Se
avete consigli costruttivi non abbiate remore a scrivermeli.
Un
bacio da Fly90
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