IV
– Affamato e amorevole
XXXI
Il Vampiro
O
tu, che come un coltello
sei
penetrata nel mio cuore in lacrime;
tu
che forte come un branco
di
demoni, venisti, folle ed abbellita
a
fare del mio spirito umiliato
il
tuo letto e il tuo regno;
-
Infame a cui sono legato
come
il forzato alla catena,
come
il giocatore testardo al gioco,
come
l’ubriaco alla bottiglia,
come
i vermi alla carogna,
-
Maledetta, che tu sia maledetta!
Ho
pregato la veloce lama
di
farmi riconquistare la libertà,
e
ho detto al perfido veleno
di
soccorrere la mia viltà.
Ahimè!
Il veleno e la lama
m’hanno
disdegnato e m’hanno detto:
“Tu
non sei degno di venir sottratto
alla
tua maledetta schiavitù,
imbecille!
Se i nostri sforzi
ti
liberassero da quel dominio,
i
tuoi stessi baci resusciterebbero
il
cadavere del tuo vampiro!”
Il
suo sguardo è chino. Sembra arrabbiato, corrucciato, eppure è
primavera.
Tutto
intorno alla magione sono sbocciati i fiori, la luce dorata di
mezzodì che entra dalle vetrate della sala da pranzo ne illumina i
colori accesi: le dorature del grosso tavolo in tipico stile inglese
accompagnato dalle sedie foderate di lampasso ciclamino, le appliques
metalliche verdastre che formano sostegni fioriti alle candele al
momento spente che si raccordano perfettamente al soffitto
completamente affrescato. Risplendono di vita i trompe
l’œil
architettonici e le scene di caccia! Sono talmente lucidi da sembrare
veri i manti di fagiani, galli forcelli, beccacce, starne, chiurli,
pernici bianche e rosse, galli cedroni e allodole, alcuni razzolanti
in uno sfondo bucolico, ed altri sul muro,cadaveri appesi come se
fossero vera selvaggina pronta per un immaginario banchetto. Sopra la
porta d’entrata una Diana armata di arco e vestita solo con un
drappeggio ocra insegue un flessuoso daino.
E’
primavera ovunque e per tutti evidentemente, tranne che per il
signorino.
Sebastian
Michaelis lo osserva mentre cammina lentamente trasportando un
carrello colmo di pietanze. Non ne è stupito, quella che legge è la
sua solita espressione tutt’altro che gioviale, che non accenna a
rallegrarsi nemmeno davanti al centro tavola che ha composto quella
mattina il maggiordomo stesso, utilizzando una grossa brocca di
cristallo a forma di anfora ellenica a collo distinto e riempiendola
di narcisi e rose borgogna e color corallo, fiori che Finnian ha
inavvertitamente strappato durante le cure al giardino e che il
demone ha deciso di riutilizzare in quel modo per adornare sia la
tavola che la giacca del conte stesso: un grosso bocciolo di rosa
rosso scuro si staglia ben assicurato all’occhiello della giacca di
velluto amaranto, ma quel fiore frivolo urta violentemente con il
malumore cesellato sul suo viso pallido e fine, incorniciato da una
benda nera sull’occhio destro. Sebastian è costretto ad ammettere
che purtroppo il suo piccolo tocco floreale dona un’aria
decisamente grottesca alla sua figura scontrosa. Ma il fragile Ciel
Phantomhive non è quasi mai di buonumore… Ormai ci è abituato,
potrebbe ammettere tranquillamente gli piace vederlo così, con le
sopracciglia aggrottate e il labbro inferiore insolente serrato tra
gli incisivi.
“Vi
ho fatto aspettare troppo per il pranzo? – chiede con tono
rispettoso posizionandosi alla sua sinistra – Sembrate nervoso,
signorino, è per caso successo qualcosa mentre andavo a prendere il
vostro pasto?”
“No,
non ho nemmeno guardato che ora sia.” Afferma Ciel con tono
petulante alzando una mano coperta da un fine guanto in pizzo
Chantilly nero e agitandola indolente davanti al volto.
“Bene,
sarebbe stato da parte mia un comportamento imperdonabile.”
“Il
fatto è che non ho fame. ”
“A
metà mattinata avete preteso che io vi servissi una seconda porzione
di RedVelvet e io vi avevo avvertito che vi avrebbe saziato. Non
avete voluto ascoltarmi.”
“Non
importa, non importa. – continua il giovane sventolando per la
seconda volta una mano molle davanti al viso come per scacciare un
insetto fastidioso ed invisibile – Vediamo cosa mi hai preparato.”
Oh,
ma come siete bugiardo… Ne avete mangiata troppa di quella torta,
vi siete ingozzato propria davanti a me come un’oca all’ingrasso,
lì seduto sulla vostra bella scrivania dondolando i piedi tutto
soddisfatto, leccandovi anche le dita sporche di panna con un’avidità
che pochi sanno esprimere come voi. Credete che io non vi abbia
sentito? Il mio udito è ben più fine del vostro, così come il mio
olfatto. L’odore ripugnante del vostro vomito arrivava fino alla
cucina. E’ strano pensare che una bambolina tanto graziosa quale
siete sia capace di generare una sostanza tanto maleodorante e di
emettere quei bavosi gorgoglii. Non capisco tuttavia perché me lo
teniate nascosto, avete spesso rimesso in mia presenza… A me non
interessa certo la lordura rigurgitata dal vostro corpo delicato, la
mia attrazione per voi trascende la materialità, la mera percezione
sensoriale umana. E quello che provo gli uomini non potranno mai
capirlo davvero, la mia preda può solo affidarsi alle mie parole,
proprio come dite di fare voi...
Sebastian
si limita ad annuire, lasciandosi sfuggire un lieve sorriso pensando
alla verità dei fatti, posando sulla tavola la prima pietanza. Una
cupola metallica la copre alla vista, ne conserva la fragranza e la
protegge. Il maggiordomo la solleva subito dopo mostrandone il
prelibato contenuto ben posizionato sul piatto in ceramica dal bordo
impreziosito da decori in monocromo color seppia, che alternano
articolati arabeschi a piccoli quadranti raffiguranti due cavalli in
corsa in una radura. Fa parte di un servizio Callepton&Sons
che non è di certo il più pregiato all’interno della magione, ma
più che sufficiente per un pasto solitario del padrone di casa. Il
colore si intona perfettamente con il centrotavola, con la rosa che
inizia a pendere intristita per la mancanza di linfa vitale puntata
all’occhiello del signorino, al suo umore corrucciato. Umore
color seppia
è una bella definizione.
“Per
antipasto oggi vi propongo dei canapésdi
foie
gras
in crosta con salsa di limone, sperando che sia di vostro
gradimento.”
L’unica
risposta che riceve è un sospiro d’irritazione e uno sguardo
annoiato interminabile. E’ così evidente che il suo piccolo e
presuntuoso padrone non sia soddisfatto alla vista del suo pranzo…
Lo vede da come abbassa il capo, da come afferra svogliato la
forchetta e il coltello d’argento e inizia a tagliare i canapés
in pezzi minuscoli con lentezza esacerbante.
Certo,
se gli avesse portato un pasto leggero si sarebbe adirato, il
padroncino, gli avrebbe chiesto spiegazioni, si sarebbe infuriato
accusandolo di cercare di affamarlo. No, un lauto pasto non deve mai
mancare sotto il suo nobile naso, e poco importa se ogni volta sono
più gli avanzi che finiscono nei rifiuti rispetto a quello che mette
nello stomaco. Ciel si crogiola nelle consuetudini dilapidatrici
della propria nobiltà sprezzante, assuefatto al gusto dolce della
megalomania, e poco gli importa se con le eccedenze dei suoi tre
pasti principali potrebbe nutrire un’intera famiglia operaia per
qualche giorno. Non sta a Sebastian giudicare una tale condotta,
anzi, la alimenta con il proprio impeccabile servizio, assecondando i
suoi capricci egoisti. Lord Phantomhive manca di qualsiasi residuo di
misericordia e altruismo, gli sono stati strappati via da mani luride
e crudeli. Ma il diavolo non può che compiacersi dei suoi aguzzini,
delle sevizie e dello stupro che gli hanno permesso di incatenare a
sé un’anima tanto speciale, d’intraprendere quell’amabile
patimento che è il contratto con il giovane conte, il martire
dannato, soave nella sua verginità deflorata.
Quando
sono stato evocato ho avvertito il profumo squisito della vostra
sofferenza, la sofferenza di un innocente, di un’anima pura… Vi
prometto vi farò sprigionare un aroma ancora più forte,
torturandovi con lentezza e non mi fermerò fino a che non
raggiungerete un parossismo estatico… Facendovi provare un tale
strazio che nessuna mano umana sarebbe in grado di causarvi.
Le
posate stridono sulla porcellana. Il conte si sta impegnando a
provocare quel suono di proposito, indubbiamente… E quando
finalmente si decide a mettere in bocca una piccola porzione di
pietanza ormai distrutta e ridotta ad un informe poltiglia rosata di
foie
gras
e crosta di pane la mastica lento, ingoiando a fatica.
Mangia
nauseato, riduce l’antipasto ad un pastone per animali da cortile,
lo guarda come se gli avessi servito un bel piatto di merda
fumanteinvece di una pregiata pietanza francese. Forse un giorno
dovrei provare a servirgliela sul serio, la merda,
al mio piccolo despota capriccioso, tanto la sua faccia disgustata
sarebbe la medesima. Sarebbe divertente, ma un insulto del genere si
potrebbe considerare da parte mia una violazione del nostro patto a
tutti gli effetti. E’ quasi un peccato.
“Qualcosa
non va, signorino?”
Sapete
come viene fatto il foie
gras?
La tortura che deve subire una povera oca affinché il suo fegato
diventi la delizia che state mangiando? Credo che sia una pietanza
crudele che ben si adatta alla vostra personalità…
Fame.
La
fame mi divora, e non posso farci niente. Vi ricordate come ci si
sente quando si è affamati, o ve lo siete già dimenticato?
“Ti
ho detto che non ho fame. In che lingua te lo devo dire?”
E’
proprio bella quella vostra boccuccia arrogante mentre sbocconcella
quella roba… Mi viene voglia di morderla, di serrare il vostro
labbro inferiore tra i denti e strapparlo via.
Fame.
Oh
Ciel, siete troppo egoista ed ingenuo per capire… Rivolterei il
vostro apparato digerente come un calzino, e godrei nel vedere i
vostri bei dentini bianchi sporchi di schiuma rossastra che vi cola
giù per il mento…
Fame.
Squarciarvi
il ventre e vedere i vostri viscidi intestini che traboccano sul
pavimento, agnellino da macello, e poi scuoiarvi vivo lembo a lembo,
godendomi la melodia delle vostre urla. Sarete pure l’erede di un
lignaggio prestigioso, ma un altisonante titolo nobiliare non cambia
il fatto che sotto quella sensibile pelle d’alabastro siete solo un
piccolo e puzzolente sacco di organi, e dentro il piccolo e
puzzolente sacco di organi c’è il mio di pasto, la mia ricompensa.
Il resto lo lascerò in regalo ai vermi e alle mosche, saranno loro a
finire di banchettare con i vostri aristocratici visceri.
Fame.
La fame è proprio una sensazione terribile.
“Basta,
non ne voglio più.”
Il
conte lascia cadere le posate sul piatto in mezzo a quella triste
mistura che non assomiglia nemmeno più ad un antipasto.
Diligente,
Sebastian non muta la sua espressione mentre scosta la stoviglia e
subito ne appoggia un’altra al suo posto, e non si scompone nemmeno
quando il suo padrone arriccia violentemente il naso.
“Come
portata principale ho pensato di servirvi un filetto di puledro
rigorosamente al sangue, insaporito con alloro e pepe nero.”
“Sono
sazio, Sebastian.”
“Con
tutto il rispetto, ho scelto appositamente il taglio migliore che ho
trovato, quello che mi sembrava più tenero e appetibile. Potreste
almeno assaggiarlo, ho sentito dire che la carne equina irrobustisce
i muscoli e fa buon sangue, sarebbe un vero toccasana per la vostra
salute.”
“Smettila
con queste idiozie, mi sembra di sentir parlare la zia Angelina. E se
c’è una cosa che non mi manca di lei sono i suoi consigli non
richiesti.”
“In
realtà lo ha detto Baldroy questa mattina quando sono tornato e ho
preso il controllo della cucina prima che si cimentasse in uno dei
suoi disastri trasformandola in un campo di battaglia… Oggi mi ha
dato l’impressione di essere, come dire, più carburato
del solito, ma credo sia la primavera. Tutta la servitù è
incontenibile a pensarci bene. Non vi dico Finnian quanto fosse di
buon umore, mentre potava i roseti, o almeno, mentre ci provava. E
Meirin… Oh, lasciamo perdere, non voglio imbarazzarvi raccontandovi
i suoi teatrini quando l’ho aiutata mentre stava finendo per terra
tenendo in mano una montagna di biancheria pulita.”
“Per
quanto siano ineccepibili nel difendere le mie proprietà dai
malintenzionati, si dimostrano sempre dei completi incapaci nelle
incombenze quotidiane. Devi tenerli d’occhio, non voglio vedere la
mia magione messa a soqquadro da quei tre incompetenti. Cerca di dare
un freno alla loro eccitazione, o ti considererò responsabile di
ogni loro guaio. In particolare per quanto riguarda Meirin… Per
fortuna che non hai bisogno di dormire, non sarei stupito se prima o
poi te la ritrovassi nascosta tra le lenzuola.”
“Suvvia,
Meirin è una fanciulla maldestra e molto timida, il gesto più
spregiudicato che potrebbe compiere quella sciocchina nei miei
confronti è aggrapparsi a me mentre incespica nei suoi stessi
piedi…”
“Io
ho l’impressione che inciampi un po’ troppe volte quando tu sei
nei paraggi, lo sai anche tu che è più furba di quanto sembri. Ti
proibisco nel modo più assoluto di darle troppa confidenza e di
assecondare la sua stupida infatuazione nei tuoi confronti. E’ già
abbastanza inutile così come domestica, non oso immaginare se
dovesse restare incinta, dato che non sono così sicuro che tu non
sia in grado di ingravidare una donna, e mi irriterebbe parecchio
scoprirlo in questo modo. Oltretutto agli occhi della buona società
sarei io il responsabile, dovrei trattarlo come il figlio illegittimo
di due svergognati membri della mia servitù su cui non ho vigilato
abbastanza, peso che sarei costretto ad accogliere sotto il mio
stesso tetto, a cui dovrei dare da mangiare, da vestire, un minimo di
istruzione ed educazione del tutto a mie spese, nell’attesa che
diventi abbastanza grande perché possa assolvere una qualche
mansione… E che magari ripagherebbe il mio buon cuore creando
scompiglio con qualche strano potere demoniaco, facendomi rimpiangere
di non averti ordinato di buttarlo nel Tamigi appena venuto al mondo.
No, non ho nessuna intenzione di accollarmi il mantenimento di un
vostro eventuale mostriciattolo.”
“Direi
che siete stato più che trasparente su questo argomento, signorino,
ma dovreste sapere che non dovrete preoccuparvi mai di nulla del
genere, le vostre sono supposizioni fantasiose suggerite dal vostro
livore... Adesso non distraetevi più e mangiate quella carne.
Saranno dieci minuti che è lì davanti a voi e non avete fatto altro
che parlare.”
“Sebastian…
Non credo che tu sia nella posizione di potermi dare degli ordini.”
Ciel
si appoggia allo schienale della sedia lasciandosi scivolare in
avanti e incrocia le braccia sul petto, sbuffando sonoramente,
sdegnato. Tuttavia, poco dopo Sebastian vede un lieve sorriso
dipingersi sul suo volto.
“Perché
non te lo mangi tu?”
Il
maggiordomo si trattiene a stento dallo spalancare gli occhi. Il
padroncino riesce di tanto in tanto a spiazzarlo, non lo può negare.
Per questo è così
interessante,
come un piatto dal sapore agrodolce.
“Davvero,
Sebastian, ha un’aria deliziosa, assaggia. Prendi una forchetta.”
“Al
contrario di quanto accade alla servitù, a quanto pare la primavera
non vi rende meno irascibile. Se state però cercando di innervosirmi
di proposito perché volete sfogare su di me le vostre frustrazioni,
vi informo che non ci riuscirete con metodi tanto banali, accusandomi
dapprima di compiacere volontariamente gli appetiti di un’ingenua
cameriera, e infine offrendomi del cibo che sapete perfettamente non
essere in grado di appagare la mia dolorosa fame, mentre la vostra
anima succulenta è così spaventosamente vicina. – risponde il
maggiordomo sorridendo nella maniera più amabile possibile –
Dunque, ditemi… Perché siete tanto arrabbiato? Perché state
trasformando un semplice pranzo solitario in un numero da circo di
dubbio gusto? Posso aiutarvi in qualche modo a sentirvi meglio? Sono
qui per servirvi, chiedetemi qualsiasi cosa e io vi accontenterò.”
Il
viso del giovane si acciglia nuovamente. Tace, abbassa lo sguardo,
emette dalle narici un piccolo soffio risentito e ingoia un nodo di
saliva. Tutto compunto, afferra le posate pulite e incomincia a
tagliare il filetto di puledro. La carne è di un vivace cremisi,
trasudante di sangue, talmente tenera che il coltello vi scivola
attraverso come se fosse burro. Ne mangia un primo boccone, lo
mastica lentamente, per poi passare ad un secondo e ad un terzo,
mentre il silenzio lo avvolge. Un impertinente stilla vermiglia tutto
d’un tratto cola dall’angolo sinistro della sua bocca e costringe
il conte ad asciugarla con un movimento rapido e nervoso.
“Non
mi sento molto bene. Ho la nausea da questa mattina, non mi dà
tregua.” Confessa coprendosi la bocca con il tovagliolo finendo di
masticare.
“Lo
so.”
“Mi
hai sentito, vero?”
“Avevate
dei dubbi?”
“No,
certo che no. – risponde laconico alzando le spalle - E’ stata
tutta colpa di quella torta, mi sono lasciato andare.”
“Posso
rinnovare il mio invito a rivelarmi cosa posso fare per alleviare il
vostro malessere?”
“Ho
bisogno di riposare almeno finché non mi passa questo maledetto
voltastomaco. Avverti quei tre buoni a nulla che oggi sono indisposto
e non voglio sentire rumori molesti né essere importunato, che non
entrino nella mia camera per nessun motivo.”
“Provvederò
a tenerli impegnati in attività poco pericolose il più lontano
possibile da voi.”
“No,
non hai capito un bel niente. Che sia Tanaka a sorvegliarli, tu
starai con me. Questo è un ordine, Sebastian.”
Che
bizzarra richiesta, ma Ciel Phantomhive ci sguazza nella stravaganza.
“Yes,
my lord.”
Fame.
La
fame mi renderà fin troppo crudele con il mio bel signorino.
LXIII
Lo Spettro
Come
gli angeli dall’occhio fulvo,
tornerò
nella tua alcova
e
scivolerò silenzioso verso di te
con
le ombre della notte;
E
ti darò, o mia bruna,
baci
freddi come la luna
e
le carezze di un serpente
che
striscia attorno alla fossa.
Quando
giungerà il livido mattino,
troverai
il mio posto vuoto
e
resterà freddo fino alla sera.
C’è
chi usa la tenerezza,
ma
io regnerò sulla tua vita
e
la tua giovinezza con il terrore!
Il
corpo di Ciel Phantomhive è fiaccamente adagiato contro il busto del
suo maggiordomo. Il suo braccio destro circonda le sue spalle larghe,
le gambette scarne sono abbandonate sul copriletto, le testa è
nascosta contro il suo petto, come se i raggi solari potessero ferire
quel suo intenso occhio blu. Non si è nemmeno fatto togliere le
scarpette ornate da un fiocco nero.
Pesa
come un passerotto, questo Sebastian non può fare a meno di pensarlo
tutte le volte che gli capita di tenerlo tra le braccia per un
qualche motivo. Così piccolo e fragile, eppure nello stesso tempo
sfrontato e risoluto, nell’insieme stuzzicante... Il demone
affamato è cosciente di sottoporsi ad una tortura insana e non può
esimersi dall’elogiarsi intimamente della propria capacità di
controllo.
Cosa
ci vorrebbe a lasciarmi andare? Mi basterebbe sporgermi appena in
avanti e affondare le zanne nella sua nuca, stringere le fauci fino a
fargli schioccare le vertebre cervicali… Solo un assaggio… No…
Un assaggio lo ucciderebbe, non posso spezzargli il collo in questo
modo. Io sono un demone di parola… Un patto è un patto…
La
stanza del conte è silenziosa, la porta è chiusa a chiave.
Il
demone abbassa la testa lentamente socchiudendo gli occhi diventati
tutto d’un tratto ferini, le sue labbra lambiscono la nuca
profumata del giovane, sfiorandolo con quello che potrebbe quasi
essere un bacio. La sua cute è morbida e sottile, tanto sensibile
che basta quel soffio affinché si copra di brividi…
“Sebastian…
Io lo so cosa stai pensando, e allora dimmi… Dimmi com’è la tua
fame.”
“Oh,
la mia fame non potreste nemmeno immaginarla.” Gli sussurra a fior
di pelle, prima di sollevare di nuovo il capo, sorridendo.
“Tu
descrivimela. Provaci.”
“E’
una sensazione che non mi abbandona mai, io non mangio da troppo
tempo. Per spiegarlo in termini umani… Sento i miei visceri
contrarsi, come se avessi i crampi, crampi fisici, crampi spirituali…
Non è un semplice bisogno fisiologico come per voi umani, è
qualcosa di molto più intimo, difficile da controllare... Avete
ancora mal di stomaco?”
Ciel
annuisce. La mano destra di Sebastian si accosta lentamente al suo
ventre iniziando a sbottonare la giacca. La rosa borgogna puntata
all’occhiello è ormai sciupata, i petali malandati si sono tutti
sgualciti.
“Più
siete vicino a me e più è faticoso trattenermi. Per non parlare di
quando siete ferito o piangete… Il sangue e le lacrime sono
particolarmente appetitose per noi demoni, ogni vostro fluido
corporeo è una nettare allettante che mi attrae e mi tenta.”
“Quindi
anche adesso avresti voglia di farmi del male, vero?”
Dopo
la giacca è il turno della camicia. I bottoni fuoriescono
velocemente dalle asole.
“Non
vi posso certo mentire, quindi sì, ho una gran voglia di
assaporarvi…”
“E
come mi divoreresti?”
“Volete
davvero saperlo?”
“Sì.
Voglio che mi racconti le tue fantasie. Sai che non ho paura di te.”
La
stoffa scostata offre finalmente alla vista di Sebastian una porzione
dell’addome del suo padrone: un ventre pallido, glabro, asciutto,
appena incavato, incorniciato da un bacino stretto. Posa il palmo
della mano appena al di sopra dell’ombelico, iniziando a
massaggiare con lievi movimenti circolari, lenti e calcolati,
premendo sulla carne con la punta dei polpastrelli.
“Potrei
affondare la mia mano nella vostra pancia e nemmeno ve ne
accorgereste. E vorrei tanto poterlo fare, non illudetevi. Mi
piacerebbe squartarvi ed eviscerarvi qui sul letto, come si fa con le
bestie nei macelli, in modo graduale per evitare un vostro attacco
d’asma, sarebbe disdicevole vedervi morire così.”
“E
poi?”
La
voce del giovane lord è estatica. Potrebbe fermarlo, eppure non si
oppone, anzi, pare godere appieno di quelle gradevoli carezze e di
quelle parole terribili. Addirittura appoggia una mano sul suo polso,
come per incitarlo a continuare, a premere di più sul suo tenero
corpicino. E come lo guarda… Il suo è lo sguardo di un figlio che
assapora avido le attenzioni di un genitore, di una madre amorevole
di cui sente la mancanza.
Era
questa la cura di lady Phantomhive per il mal di stomaco del suo
adorato figlioletto dalla salute cagionevole? Che donna ingenua… Mi
piacerebbe poterla incontrare solo per mostrarle cos’è diventato
il suo dolce bambino e a quale destino ha scelto di andare incontro
consegnandosi a me…
“E
poi aspetterei che il dolore raggiunga l’acme, e appena prima della
perdita dei sensi inizierei a mangiarvi. Vorrei che ne foste del
tutto cosciente, che avvertiste per bene la consunzione della vostra
anima.”
Fosse
un gatto farebbe le fusa. E poi c’è ancora qualcuno che non si
rende conto di quanto sia straordinario Ciel Phantomhive… Io gli
dico come vorrei ucciderlo al momento ed egli se ne compiace, ma non
certo per follia… Sa perfettamente che io non posso fare nulla
contro di lui per ora… Solo accarezzare questo suo stomaco dolente,
appagarlo fisicamente.
L’occhio
del padroncino inizia a socchiudersi, è sul punto di addormentarsi.
Sebastian sente le spinte regolari del diaframma contro il palmo ad
ogni suo pacato respiro.
Vi
mancano i vostri genitori? Siete troppo orgoglioso per ammettere di
sentire il bisogno di un gesto affettuoso nei vostri confronti… Che
cosa cerca un ragazzino con il mal di stomaco, se non qualche carezza
e un poco di conforto? Mi avete praticamente supplicato con lo
sguardo di coccolarvi il pancino… Sapere che sono legato a voi da
questa mia fame smaniosa vi tranquillizza, ne sono sicuro senza che
me lo confessiate. Del resto avete solo me di cui fidarvi ciecamente,
mi avete dato un aspetto che vi ricorda vostro padre… State
pensando che io sia Vincent Phantomhive, mentre vi assopite? Ma sì,
ma sì, sicuramente è così! Povero, povero piccolo sfortunato Ciel,
cucciolo solo e disperato, che mostra a tutti i suoi dentini da latte
cercando di fare paura…
“Sogni
d’oro, piccolino… Amore di mamma e papà…”
Il
giovane lord non si scompone al sussurro soffiato nel suo orecchio.
Dorme, con le labbra umide di saliva leggermente schiuse, sibilando
piano nell’espirazione.
Sebastian
Michaelis sogghigna pensando a ciò che è appena successo.
Fame.
La
fame mi renderà fin troppo crudele con il mio bel signorino.
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