Passò
qualche ora, e il 27 settembre era cominciato.
Francesca
dormiva silenziosa e tranquilla accanto a Davide, ormai immerso nel
mondo dei
sogni da tanto tempo.
La
scenetta era insolita per le loro abitudini, eppure entrambi si erano
addormentati subito.
Arrivò
un evento inaspettato a rovinarla.
Francesca
storse il naso nel sonno, infastidita da qualcosa. Mosse le palpebre,
segno che
aveva ripreso coscienza, e aprì gli occhi azzurri.
Sulle
prime sentì solo una fitta dolorante e stavolta ben marcata
alla pancia, che la
fece gemere.
Però
si sentiva strana, e dopo poco si accorse che era bagnata fra le gambe.
Sussultò e sorpresa, messasi a sedere sul materasso,
guardò giù.
Il
lenzuolo era ornato ora da una macchia ben grande, fresca. Lei si
spaventò e il
secondo dopo capì cosa stava succedendo.
Il
bambino stava arrivando.
Le
si erano rotte le acque.
-Oddio!-
esclamò a voce alta, e quel suo spavento suonò
fortissimo nel silenzio
notturno.
Subito,
agitata ma lucida, scosse forte il corpo che stava accanto a lei.
-Davide?
Davide?-
Frenetica
e ansiosa lo rivoltò a pancia in su.
Il
ragazzo gemette nel sonno, borbottando qualcosa.
-Davide
il bambino!-
Lui
non rispose subito, ma prima sbadigliò; non aprì
nemmeno gli occhi ma si limitò
a dire con una voce bassissima e stanca
-Sì
arrivo...-
-Davide!-
Notando
che non aveva alcuna intenzione di alzarsi, Francesca si
innervosì e come sempre,
fece la prima cosa che le passò per la mente con
l’intenzione di fargli male.
Afferrò
la bottiglia d’acqua che stava sul suo comodino, veloce
svitò il tappo e la
rovesciò tutta sul ragazzo.
Davide,
al sentire quella cascata gelida sulla schiena, colto alla sprovvista e
tutto
caldo per la dormita, gridò di sorpresa e si alzò
immediatamente sui gomiti.
-Ma
sei pazza? Che ca**o ti prende?- le urlò, senza badare ad
abbassare la voce.
-Idiota,
il bambino!-
-Il
bambino che?-
-Sta
arrivando ca**o!-
I
due non si erano accorti di aver urlato tutto il tempo come se si
trovassero
agli estremi di un campo, per giunta nel bel mezzo della notte.
Davide
non realizzò subito il senso della frase, troppo infastidito
perché era stato
svegliato di soprassalto. Quando però collegò le
informazioni, impallidì.
-Oh
ca**o! Oh porca pu**ana!- imprecò e nella foga di sbrigarsi
scivolò giù dal
letto.
Francesca
sentiva il dolore farsi strada dentro di lei, e anche
qualcos’altro, ma per
fortuna, si disse, era riuscita a svegliarsi subito.
Il
ragazzo si vestì a casaccio con le prime cose che gli
capitarono sottomano, poi
fra le proteste di lei impazzì letteralmente per trovare le
chiavi della
macchina e di casa.
Stavano
facendo un tale casino che lui fu certo che i vicini avrebbero chiamato
la
polizia se non se ne fossero andati subito.
Francesca
gemette molto più forte e fece una smorfia sofferente,
ancora sdraiata sul
letto, reggendosi il pancione.
-Dai
forza...-
Vedendo
che non ce la faceva a stare in piedi, Davide le avvolse con un braccio
la
schiena e con l’altro le prese le gambe, reggendola in
braccio.
-Sbrigati!-
lo incitò la ragazzina, sentendo il dolore acuirsi sempre di
più.
-Ma
perché diavolo ci sono tre piani di scale?-
domandò lui al nulla, sforzandosi
di essere veloce e di non farla cadere nello stesso tempo. Gli fu un
po’
difficile anche perché la bionda continuava a contorcersi e
agitata, e quelle
dannate scale volevano a tutti i costi buttarlo giù.
Inoltre,
dettaglio non trascurabile, lei non era certo una piuma.
Questo
però, saggiamente, pensò di non dirglielo.
La
bionda respirò forte per non gridare, chiudendo gli occhi e
stringendo forte la
maglietta di lui.
Finalmente
scesero le scale e non senza imbarazzo uscirono fuori dal palazzo.
Il
sole non era sorto e non sapevano che ora fosse, ma di certo era notte
inoltrata. Il buio era avvolgente e non servivano i lampioni sparsi qua
e là a
farlo scomparire. La strada deserta non era invitante, ma per fortuna
la
macchina del ragazzo era parcheggiata sotto casa. Veloce lui
aprì con una mano
lo sportello e premuroso si assicurò che si sedesse comoda.
Poi
corse dall’altro lato, salì e mise in moto.
Il
rumore delle ruote che sgommavano per far retromarcia
risuonò per tutto il
quartiere, ma non se ne curarono.
Francesca
chiuse d’istinto le gambe, sapendo che doveva trattenersi, ma
gridò molto più
forte delle altre volte.
Questo
mise in agitazione, oltre che lei, anche Davide che premette di
più
sull’acceleratore.
-Se
mi fai partorire in macchina giuro che è la volta buona che
ti uccido!- rantolò
sudata e tremante lei, ma ottenne comunque l’effetto minaccia.
-Più
di così non posso! Vuoi morire per caso?- replicò
irritato lui.
-Non
me ne fo**e di quello che fai, basta che fai in fretta ca**o!-
-Ecco,
abbiamo il premio Nobel all’educazione...-
commentò il ragazzo.
-Stai
zitto ti prego...-
Poteva
sembrare quasi un’invocazione eccitante e oscena, ma il tono
ansimante e
supplichevole non era dovuto agli ormoni in subbuglio purtroppo. Lei si
abbandonò respirando sempre più veloce allo
schienale, chiudendo gli occhi.
Davide
rinunciò a rispondere, vedendo che stava male sul serio e
cercò di sbrigarsi.
L’ora
anomala garantiva che per le strade non c’era anima viva. Era
anche bello
vedere la città così, dormiente e silenziosa, ed
essere l’unico padrone delle
strade; purtroppo non era possibile in quella situazione.
La
macchina sfrecciò indisturbata fra le vie, dirigendosi in
periferia dove si
trovava l’ospedale.
Mentre
oltrepassavano la rotatoria e imboccavano il viale fuori
città, la bionda gridò
di nuovo di dolore, mordendosi contemporaneamente il labbro. La grande
costruzione bianca già si vedeva da lontano.
-Dai
che siamo arrivati... dai forza...- le gettò un rapido
sguardo molto
preoccupato.
La
macchina attraversò il casello con la sbarra e subito
trovarono un posteggio
vicino all’entrata, proprio davanti.
Davide
spense la macchina e come prima fece il giro.
Anche
se le mani gli tremavano ed era forse più agitato di lei,
non poteva farsi
vedere in difficoltà altrimenti per la ragazzina sarebbe
stato peggio. Così
anche se non aveva idea di dove mettere le mani la riprese in braccio.
La
biondina indossava solo il pigiama, ovvero una maglietta a maniche
corte
slargata, e il pantaloncino arancione, ora tutto bagnato e umido.
Ciò
la imbarazzava un poco, ma non le sembrava il momento più
adatto per replicare
e far capricci.
Davide
entrò nell’atrio dove una donna sedeva dietro un
banco; questa non appena li
vide immediatamente si alzò in piedi.
Giusto
in quel momento Francesca ebbe una nuova contrazione, più
forte e dolorosa. La
donna senza far domande capì subito la situazione e il
ragazzo gliene fu molto
grato.
Afferrò
senza scomporsi il telefono che aveva sul banco.
-Dottor
Sorrentino, in sala travaglio, c’è una ragazza che
è appena arrivata-
Dopo
qualche attimo una triade di infermiere li attorniarono e una di loro
spingeva
un letto.
Fecero
sdraiare la ragazza sul letto, e parlando fra loro in termini che il
ragazzo
nemmeno ascoltò, chiamarono a gran voce un’altra
donna.
Questa
aveva i capelli racchiusi in un cappello bianco e indossava un camice.
Davide
non appena la vide sperò fosse una ginecologa, ma quella
disse solo
-Presto
dai, veloce!-
Francesca,
da sopra il letto voltò il capo e guardò il
ragazzo. Il suo sguardo era quasi
implorante di non lasciarla sola con loro, di seguirla, di starle
vicino e
dagli occhi lucidi probabilmente presto le sarebbe colata qualche
lacrima.
Ma
lui, del tutto impotente e spaesato, non disse una parola mentre le
infermiere
cominciavano a trasportarla per il corridoio.
Però
ricambiò il suo sguardo, seguendola finché
poteva, finché non scomparve dietro
un corridoio. Ebbe l’impressione che proprio alla fine lei
avesse avuto un
nuovo spasmo di dolore.
Si
ritrovò improvvisamente solo, solo nel corridoio illuminato
e senza la minima
idea di cosa fare.
Un
rumore di passi affrettati lo fece voltare, e vide un uomo,
probabilmente un
dottore perché aveva il camice, correre affannato per il
corridoio,
superandolo.
Quando
gli passò accanto sentì una parolaccia
accompagnata dalla frase
-Sala
travaglio... dall’altra parte dell’ospedale-
Detto
questo scomparve anche lui dietro lo spigolo del corridoio.
Davide
non poté fare altro che sedersi su una delle tante sedie
vuote laterali, e
mettere un po’ d’ordine fra i pensieri.
Immaginò ciò che stava succedendo.
Francesca
era in sala travaglio; le infermiere l’avevano fatta sedere
sul letto, dandole
acqua e se voleva regolandole lo schienale del lettino;
l’ostetrica la faceva
aprire le gambe e il ginecologo controllava la situazione.
Poi
rivide come in un flash il suo sguardo supplicante, lucido, sofferente.
Poverina, si disse.
Era
come se l’avesse abbandonata.
Abbandonata
e lei testarda non l’avrebbe mai ammesso. Ma come per le cose
importanti, ad un
certo punto doveva riconoscere che non ce la poteva fare da sola e si
aggrappava a lui come ultima salvezza.
Ebbe
un momento di smarrimento.
Francesca
l’aveva guardato. Non ce l’avrebbe mai fatta.
Aveva
bisogno di lui.
E
lui l’aveva lasciata sola.
E
sarai per me tutto.
Fu
come se uno schiaffo lo avesse colpito in faccia e scosse la testa per
riprendere coscienza.
Poi
si alzò immediatamente, sfregandosi i palmi sul jeans.
Si
diresse verso la donna dietro il banco.
-Mi
scusi sa dirmi dove...-
-La
mappa è lì- fece quella annoiata, indicandogli
una pianta a lato dell’ingresso.
Lì dove c’erano le macchinette delle merendine e
delle bibite, Davide lesse
veloce, scorrendo sul dito i nomi degli ambulatori, sala parto. Era
all’opposto
di dove si trovava lui.
Continuando
a guardare il punto per non scordarselo indietreggiò verso
lo spigolo da cui
erano spariti il dottore e le tre infermiere.
Superato
quello, prima andava a passo veloce. Poi dopo un po’
cominciò a correre.
I
passi delle sue scarpe sbattevano forte contro il pavimento
dell’ospedale.
Tutte le stanze che sorpassava erano chiuse, alcune a chiave, altre che
lasciavano intravedere l’interno. Ebbe
l’impressione che una o due volte alcuni
infermieri si fossero girati dalla sua parte, attirati dal rumore che
faceva
percorrendo a passo di corsa l’ospedale, e gli avessero
rimproverato qualcosa.
Lui
però non si fermò ad ascoltarli, proseguendo a
correre.
Arrivò
nel reparto.
Corse
per tutte le sale finché non trovò quella chiusa.
Poi
all’improvviso gli balenò in mente
un’idea.
Afferrò
il cellulare e premette veloce, quasi alla cieca, i tasti.
-Pronto?-
Una
voce sonnacchiosa e grande gli rispose.
-Mi
scusi se la disturbo a quest’ora, dottore. Sono... il ragazzo
di Francesca,
Francesca Daniele- spiegò in fretta, battendo il piede a
terra per
l’agitazione.
-No,
non importa- subito la voce del dottore si accese d’interesse
–che succede?-
-Ecco,
le si sono rotte le acque-
-Che
aspettate? Portala in ospedale-
-Siamo
già qui. E adesso è in sala parto-
-Arrivo
subito-
Il
dottore troncò la conversazione. Il ragazzo non poteva
capacitarsi di come uno,
a quell’ora della notte, potesse essere così
sveglio e pronto. Lui, per
esempio, non ci sarebbe mai riuscito.
Probabilmente,
si disse, quel dottore ci era abituato, a queste chiamate. Non sapeva
se aveva
fatto bene a chiamarlo, ma credeva che fosse importante per la ragazza
avere
accanto, soprattutto ora che non sapeva a chi rivolgersi, una persona
di cui
fidarsi.
Guardò
la porta.
Non
poteva entrare forse, ma da fuori si sentivano lamenti e voci concitate.
Riconoscendo
come la sua voce un grido di dolore più forte degli altri,
Davide ruppe gli
indugi e aprì di slancio la porta.
La
sala era piccola, e un letto era posto al centro. Lì era
sdraiata Francesca,
con la testa poggiata contro un cuscino; le gambe aperte e una coperta
sopra.
Era attorniata da una donna, probabilmente l’ostetrica, che
le parlava e
provvedeva ad eseguire gli ordini del medico. Lui, quel dottore che
aveva visto
prima corrergli affianco, aveva le mani sotto il lenzuolo e parlottava
concitato
con l’ostetrica.
-Forza
dai, spingi adesso- la invogliò la donna con sguardo
fiducioso.
La
bionda sul letto strinse gli occhi, lasciandosi cadere due lacrime
sulle guance
già bagnate, poi contrasse il viso e diede la spinta,
gridando forte per il dolore.
Davide
subito aggirò il letto e si precipitò accanto
alla ragazzina.
-Ehi-
le prese una mano e la strinse nella sua –sto qua-
Lei
lo guardò e grata provò a sorridere.
Però una nuova contrazione le fece fare
una smorfia. Strinse forte la mano di lui aggrappandovisi come se ne
dipendesse
la sua vita.
-Scusi
non si può stare qui- un’infermiere
provò a spostarlo, ma il ragazzo, già
provato dal sonno e da tutti quegli avvenimenti successi troppo in
fretta,
vedendo la ragazzina bionda così sofferente e con le lacrime
agli occhi, si
alterò.
-Oh
non mi rompere eh!-
-Lascialo,
lascialo...- si affrettò a dire il dottore, togliendo di
mezzo l’infermiere.
Il
bambino doveva essere ormai infiltrato per l’uscita, si disse
Francesca; quel
dolore era inumano, insostenibile e lei non vedeva l’ora che
tutto finisse. Ma
per quanto provava a spingere, a far forza sui muscoli e pregasse
dentro di sé
che quel maledetto bambino uscisse fuori in un modo o
nell’altro, sembrava che
la cosa non fosse tanto semplice. Aveva visto il dottore (uno
sconosciuto che
non sapeva manco chi fosse) scoccare sguardi preoccupati
all’ostetrica. La
donna, per quanto la invogliasse fiduciosa, non pareva molto convinta.
Ebbe
la conferma alla sua teoria quando il dottore disse
-Non
ce la farà mai. Non ce la fa a passare-
Davide
guardò prima il dottore e poi vide il volto della biondina
diventare bianco e
la sua mano tremare. Si arrabbiò non poco.
Insomma,
lei stava partorendo ed era così in confusione, e quel
medico le dava il colpo
di grazia dicendole che non ce l’avrebbe mai fatta?
Si
chinò di più su di lei.
-Dai
Francesca... dai...- l’ostetrica le rivolse un sorriso
–respira-
La
bionda non sapeva se piangere o gridare; sentiva un groppo
all’altezza della
gola che non voleva sgonfiarsi, e tutte quelle parole, quelle
sensazioni, quel
dolore erano insostenibili.
Provò
a chiudere gli occhi per respirare, ma di calma non esisteva la minima
traccia.
-Ha
i fianchi troppo piccoli- sentenziò il dottore, abbandonando
l’esplorazione
della vagina – il bambino non ce la fa-
Poi
ci pensò e disse
-Possiamo
provare con l’episiotomia-
I
due ragazzi erano sempre più spaesati e impotenti davanti
all’operato del
medico. Lui stava trafficando con arnesi, siringhe, aiutato dagli
infermieri.
Francesca ebbe una nuova contrazione e sentì distintamente
che il bambino
voleva uscire, con la testa. Forse ce l’avevano fatta.
Un
attimo dopo, prima che potessero scoprire cosa fosse
l’episiotomia, la porta si
aprì.
Il
ginecologo che aveva visitato la ragazza nei mesi precedenti
osservò la
situazione, e senza perdere tempo spiegò al collega
-Me
ne occupo io, è una mia paziente-
Lui
fu ben felice di lavarsene le mani, e mentre se ne andava Davide gli
scoccò uno
sguardo truce, rabbioso.
-Allora
tutto a posto?-
-Mi
fa malissimo- gemette fra le lacrime la biondina.
Il
dottore si chinò per controllare la situazione, e il ragazzo
ne approfittò per
parlare con lei.
-Dai,
puoi farcela. Dai amore. Forza- le spostò i capelli sudati
dalla fronte.
Francesca
lo guardò con gli occhi rossi, lacrimanti e con
un’espressione sofferente in
viso. Strinse forte il suo braccio.
-Non
mi lasciare- disse.
Forse
per la prima volta, oltre al sentimento passionale che provava per lei,
si fece
largo in lui un qualcosa di più profondo. Un qualcosa di
più. E quando ascoltò
le sue parole capì che forse era più
dell’attrazione fisica, più del bambino
stesso a legarli. Per questo pensiero profondo, per quello che vedeva,
poco ci
mancò che anche a lui colasse una lacrima sul viso.
Le
prese la mano nelle sue e ne baciò il dorso.
-E
chi ti lascia?-
Si
scambiarono uno sguardo, un’occhiata velocissima, ma
così intensa e intima che
lei fece un piccolo sorriso e l’attimo dopo spinse con
più vigore di prima.
Il
dottore la incoraggiava a spingere, diceva che mancava poco.
L’ostetrica
la rassicurava e intanto osservava il bambino che premeva per uscire.
Davide
era solo uno spettatore impotente ed emozionato, che non faceva nulla
ma
desiderava sentirsi partecipe del suo dolore.
Francesca
sentì il bambino uscire con la testa e convinta di essere
arrivata alla fine,
pensando che più doloroso non poteva essere,
desiderò nient’altro che spingere
e assecondò l’istinto. Ma fu doloroso. Si sentiva
spaccata in due, voleva
finisse tutto subito e infatti gridò di dolore, forse il
più forte che avesse
fatto finora. Non ce la faceva più, voleva che fermassero
tutto.
-Dai
dai... eccolo!-
-L’ultima
spinta!-
Chiuse
gli occhi e prese fiato, ormai tutta un tremito per gli spasmi, le
contrazioni.
Spinse fortissimo, reggendosi alla sbarra del letto e alla mano di
Davide, il
quale gemette per la presa ferrea.
-Eccolo
eccolo!-
L’ostetrica,
con le mani abili e allenate dall’esperienza,
aiutò il piccolo bimbo a farsi
strada fuori. Tutto ad un tratto lo tirò via.
Per
la bionda fu come liberarsi tutto ad una volta dell’ansia,
della pressione, del
dolore e si tutto. Esalò un respiro e si appoggiò
contro il cuscino, chiudendo
gli occhi.
Il
pianto del bambino suonò come musica dolcissima nella
stanza. Tutti gli
infermieri applaudirono forte e l’ostetrica portò
immediatamente il bimbo al
primo bagnetto.
Davide
si alzò, curioso di vedere il bimbo e sgomitando fra la
gente.
Lasciò
la mano di lei.
Poi
a metà strada si ricordò.
Scosse
il braccio
stretto nella sua presa e cominciò a gridare.
-Tu
sei uguale a
tutti gli altri! A te non importa nulla di me! A te importa solo di
quello
stupido bambino! E sai cosa ti dico? Io lo odio!-
Davide
ascoltò
quelle parole, e lo colpirono in viso con la forza di un mattone.
-Cosa?-
mormorò
sconcertato.
Francesca
lo guardò
orgogliosa.
-Ancora
non l’hai
capito? Io un figlio non lo faccio-
Quei
medici che ora esultavano per la riuscita del parto, che
l’avevano incoraggiata
durante le doglie, non sapevano quanto le era costato. Non sapevano
cosa si
celava dietro quel bambino, quel pancione. Non sapevano quanto le era
costato
farlo.
Si
girò e la osservò seduta sul lettino. Aveva le
gambe aperte e non voleva
nemmeno immaginare quanto martoriata fosse là sotto. Aveva
gli occhi gonfi di
pianto, rossi e le guance bagnate. Ma soprattutto sul viso aveva
un’espressione
stanca, sofferta di chi ha dato tutto ed è arrivato al
traguardo.
Immaginò
fosse distrutta.
Gli
occhi fissi nei suoi lasciò perdere il bimbo neonato e le si
avvicinò.
Si
sedette sul letto e aspettò la sua mossa.
Francesca
si gettò letteralmente contro di lui, la fronte schiacciata
sulla sua spalla e
le braccia che gli stringevano la maglia.
Respirava
forte, ansimante e presto Davide sentì la maglietta bagnarsi
di lacrime.
-Alzati,
forza-
proseguì lui, tendendole la mano.
Lei
afferrò il
palmo e si tirò su, ancora debole e tremante, mettendosi di
fronte a lui.
Come
se in quel
momento vedesse anche la sua ultima speranza scivolare via veloce,
irraggiungibile, il magone che si teneva stretto si gonfiò
ancora. Stavolta non
fu brava come prima a frenarlo. Di nuovo strinse gli occhi,
riempiendoli di
lacrime.
Un
fremito la
travolse, e siccome non aveva sostegno, sbatté contro il
torace del ragazzo per
reggersi in piedi e ricominciò a piangere.
Stavolta
non ebbe esitazioni e la abbracciò con forza, sfregandosi
contro la sua maglia
sudata. Francesca pianse tutte le lacrime che si era trattenuta, tutto
il
dolore e l’agitazione che aveva provato, ben nascosta dal
ragazzo.
Lui
le accarezzò i capelli, baciandola sulla tempia e
sussurrandole parole
all’orecchio.
-Sei
stata bravissima amore...-
Sentendo
che la ragazza si stringeva di più e respirava
più forte, anche lui la
abbracciò di più. Quasi quasi poteva sentire il
suo cuore battere agitato come
lei, che piangeva silenziosa.
-è
finita. È finita, ce l’hai fatta...-
Lei
ebbe un singulto maggiore e Davide chiuse gli occhi; la sentiva, la
sentiva
sua.
-Il
bambino è nato. Ce l’hai fatta-
Aspettò
un altro bel po’ prima di lasciarla andare, assicurandosi che
fosse tranquilla,
e poi si sciolse dalla sua presa. Lei si asciugò con una
mano le lacrime e
respirò per calmarsi, scossa dai singhiozzi. Alzò
gli occhi sulla scena alle
loro spalle.
L’ostetrica
reggeva fra le mani una coperta calda, e dentro quella era rannicchiato
un
piccolo fagotto gonfio. Stava aspettando il momento giusto per metterlo
fra le
braccia della mamma.
Davide
si allontanò da lei, osservando curioso e in soggezione la
coperta, rendendosi
conto che era una scena sacra e inviolabile.
Francesca
si mise più dritta e anche lei incapace di dire nulla
guardò il piccolo bimbo
che le veniva messo fra le mani.
Non
ritrasse le mani quando la donna glielo porse, ma lo prese senza quel
tipico
sorriso delle madri che appena partorienti non vedono l’ora
di stringere il
loro bambino fra le braccia.
Lei
era esitante, non sapeva come fare, ma accolse il peso che le passava
la donna.
Davide
osservò col respiro trattenuto la ragazza e il bambino.
-È
una femmina- disse con un sorriso l’ostetrica.
Errata
corrige, ergo.
Davide
osservò col respiro trattenuto la ragazza e la bambina.
Improvvisamente
gli venne la tremenda paura che lei la rifiutasse. Dopotutto
l’aveva sempre
detto che il bambino non lo voleva. Cosa avrebbe fatto ora?
Sembrò
che tutta la stanza si fosse fermata in attesa di una sua reazione.
Francesca
fissò le iridi azzurre sulla bambina che teneva fra le mani.
La
bimba era avvolta da quella coperta ma l’effetto di non farle
sentire freddo
non avveniva, perché cominciava ad avere le labbra violette.
La pelle aveva
ancora qualche residuo del liquido embrionale in cui era stata
rinchiusa, e la
testa era cosparsa di capelli scuri, sparati in tutte le direzioni,
appiccicati
alla cute.
Teneva
gli occhi chiusi, la piccola bocca schiusa che dava i primissimi
respiri, e le
braccine abbandonate sul petto, i pugni stretti.
Quel
momento in cui la bionda ragazzina fissò la bimba
sembrò infinito, come
imperscrutabile era il suo viso. Non si riusciva a capire cosa stesse
pensando,
se fosse contenta o desiderasse solo liberarsene al più
presto. Lui immaginò
che nemmeno lei riuscisse a capacitarsi di cosa teneva in braccio.
Ad
un certo punto sollevò il braccio sinistro, su cui era
poggiata la testa, per
veder meglio il corpicino. Chissà cosa le
passava per la testa, si domandò Davide, ma ancora non si
poteva dire che fosse
finita.
Finalmente
la lunga attesa finì, e con quale finale migliore, quando
Francesca alzò la
testa verso la sala e poi guardò lui, sulle labbra un gran
sorriso
-È
bellissima, assomiglia tutta a me!-
L’intera
sala ed equipe di infermieri, il dottore e l’ostetrica
cominciarono a battere
le mani, e Davide e Francesca si guardarono.
Lui
scosse la testa divertito, ma lei ostentò
un’espressione strafottente, delle
sue solite. Nemmeno ora osò avvicinarsi, temendo di rovinare
quel momento che sembrava
così perfetto, naturale.
La
biondina guardò nuovamente la bimba, tornando a mettere
sulle labbra quel
sorriso dolcissimo che il ragazzo, anche se non lo diede a vedere,
invidiò un
po’.
Invidiò
perché non era lui la causa di esso, e perché un
sorriso così non gliel’aveva
mai visto addosso. Nei successivi confusionari minuti lei non lo
degnò di un
solo sguardo, troppo impegnata ad occuparsi della bambina.
Un
infermiere domandò come si chiamasse.
Entrambi
si guardarono, un po’ sorpresi.
-Come?-
-Il
nome della bambina- spiegò l’infermiere.
Francesca
guardò Davide e Davide guardò Francesca.
Poco
ci mancò che non si mettessero a ridere.
Possibile
che non ci avessero minimamente pensato, al suo nome?
Non si erano mai posti questo problema. La bionda arrossì
molto, imbarazzata.
-Ehm...-
cominciò lui, facendosi scappare un sorriso da sotto le
labbra.
Un
nome gli era venuto alla mente, immediato come se esistesse da tempo,
ma
incerto fissò la ragazzina. Voleva dirlo, ma al momento di
pronunciarlo stette
zitto.
Sorrise.
Credeva
che spettasse, dopo tutta la fatica fatta, decidere a lei.
Provò a farle capire
con lo sguardo che aveva carta bianca. Lei intercettò i suoi
occhi verdi.
Poi
stette un attimo in riflessione.
-Emanuela-
decretò.
Davide
non udì che il suono della sua voce, senza realmente capire
subito il nome che
aveva deciso. Fu solo felice e fece un gran sorriso.
Felice
di avergliela data vinta per quella volta. E aveva intenzione di farla
vincere
ancora, e ancora.
Dunque, ringraziamo i
preferiti, i recensori, quelli che leggono soltanto e chi segue la
storia.
Per scrivere al meglio
questo capitolo mi sono avvalso di un tomo di medicina.
Emily Doyle:
non è che non sono tifoso del Napoli, anzi essendo una
squadra del sud la prendo in simpatia, il fatto è che
giocava contro l'Inter, capisci? Va be', chiuso argomento fuorviante.
Esattamente, il povero Davide è stato costretto a svegliarsi
nel cuore della notte.
Devilgirl89:
una statua alta 30 metri? Ahahaha scusa se rido ma se ci penso... per
quanto è alta basterebbero un metro e cinquanta. Ecco il
nuovo personaggio, e io... non so, continua a leggere e poi dimmi tu a
chi assomiglia.
Marty
McGonagall: grazie mille, Martina. Be', vedi un po' tu com'è
andata col bambino... anzi, bambina.
MissQueen: dunque, ho letto un libro al riguardo... roba di mia madre,
e ne sono rimasto talmente schifato (perdonami la parola) che ho
immaginato come si dovesse sentire Francesca (secondo il mio punto di
vista, naturalmente). Beh, per una "letterata" come te mi pare che
sette non sia un cattivo voto in matematica. Sei una genietta... (dove
l'ho già sentita sta frase?)
Urdi: felice di averti rallegrato la giornata, grande artista! Davide e
Francesca? te li puoi prendere quando vuoi, la smetteranno di rompermi
almeno. E se vuoi ti regalo anche la bambina. Grazie di aver recensito.
FeFeRoNzA: Buonasera a te. "Povera Francesca che doloooreee"
è esattamente ciò che penso io. Ora dimmi che ne
pensi del 'fatidico' capitolo.
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