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Autore: Egomet    02/05/2009    13 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Passò qualche ora, e il 27 settembre era cominciato.
Francesca dormiva silenziosa e tranquilla accanto a Davide, ormai immerso nel mondo dei sogni da tanto tempo.
La scenetta era insolita per le loro abitudini, eppure entrambi si erano addormentati subito.
Arrivò un evento inaspettato a rovinarla.
Francesca storse il naso nel sonno, infastidita da qualcosa. Mosse le palpebre, segno che aveva ripreso coscienza, e aprì gli occhi azzurri.
Sulle prime sentì solo una fitta dolorante e stavolta ben marcata alla pancia, che la fece gemere.
Però si sentiva strana, e dopo poco si accorse che era bagnata fra le gambe. Sussultò e sorpresa, messasi a sedere sul materasso, guardò giù.
Il lenzuolo era ornato ora da una macchia ben grande, fresca. Lei si spaventò e il secondo dopo capì cosa stava succedendo.
Il bambino stava arrivando.
Le si erano rotte le acque.
-Oddio!- esclamò a voce alta, e quel suo spavento suonò fortissimo nel silenzio notturno.
Subito, agitata ma lucida, scosse forte il corpo che stava accanto a lei.
-Davide? Davide?-
Frenetica e ansiosa lo rivoltò a pancia in su.
Il ragazzo gemette nel sonno, borbottando qualcosa.
-Davide il bambino!-  
Lui non rispose subito, ma prima sbadigliò; non aprì nemmeno gli occhi ma si limitò a dire con una voce bassissima e stanca
-Sì arrivo...-
-Davide!-
Notando che non aveva alcuna intenzione di alzarsi, Francesca si innervosì e come sempre, fece la prima cosa che le passò per la mente con l’intenzione di fargli male.
Afferrò la bottiglia d’acqua che stava sul suo comodino, veloce svitò il tappo e la rovesciò tutta sul ragazzo.
Davide, al sentire quella cascata gelida sulla schiena, colto alla sprovvista e tutto caldo per la dormita, gridò di sorpresa e si alzò immediatamente sui gomiti.
-Ma sei pazza? Che ca**o ti prende?- le urlò, senza badare ad abbassare la voce.
-Idiota, il bambino!-
-Il bambino che?-
-Sta arrivando ca**o!-
I due non si erano accorti di aver urlato tutto il tempo come se si trovassero agli estremi di un campo, per giunta nel bel mezzo della notte.
Davide non realizzò subito il senso della frase, troppo infastidito perché era stato svegliato di soprassalto. Quando però collegò le informazioni, impallidì.
-Oh ca**o! Oh porca pu**ana!- imprecò e nella foga di sbrigarsi scivolò giù dal letto.
Francesca sentiva il dolore farsi strada dentro di lei, e anche qualcos’altro, ma per fortuna, si disse, era riuscita a svegliarsi subito.
Il ragazzo si vestì a casaccio con le prime cose che gli capitarono sottomano, poi fra le proteste di lei impazzì letteralmente per trovare le chiavi della macchina e di casa.
Stavano facendo un tale casino che lui fu certo che i vicini avrebbero chiamato la polizia se non se ne fossero andati subito.
Francesca gemette molto più forte e fece una smorfia sofferente, ancora sdraiata sul letto, reggendosi il pancione.
-Dai forza...-
Vedendo che non ce la faceva a stare in piedi, Davide le avvolse con un braccio la schiena e con l’altro le prese le gambe, reggendola in braccio.
-Sbrigati!- lo incitò la ragazzina, sentendo il dolore acuirsi sempre di più.
-Ma perché diavolo ci sono tre piani di scale?- domandò lui al nulla, sforzandosi di essere veloce e di non farla cadere nello stesso tempo. Gli fu un po’ difficile anche perché la bionda continuava a contorcersi e agitata, e quelle dannate scale volevano a tutti i costi buttarlo giù.
Inoltre, dettaglio non trascurabile, lei non era certo una piuma.
Questo però, saggiamente, pensò di non dirglielo.
La bionda respirò forte per non gridare, chiudendo gli occhi e stringendo forte la maglietta di lui.
Finalmente scesero le scale e non senza imbarazzo uscirono fuori dal palazzo.
Il sole non era sorto e non sapevano che ora fosse, ma di certo era notte inoltrata. Il buio era avvolgente e non servivano i lampioni sparsi qua e là a farlo scomparire. La strada deserta non era invitante, ma per fortuna la macchina del ragazzo era parcheggiata sotto casa. Veloce lui aprì con una mano lo sportello e premuroso si assicurò che si sedesse comoda.
Poi corse dall’altro lato, salì e mise in moto.
Il rumore delle ruote che sgommavano per far retromarcia risuonò per tutto il quartiere, ma non se ne curarono.
Francesca chiuse d’istinto le gambe, sapendo che doveva trattenersi, ma gridò molto più forte delle altre volte.
Questo mise in agitazione, oltre che lei, anche Davide che premette di più sull’acceleratore.
-Se mi fai partorire in macchina giuro che è la volta buona che ti uccido!- rantolò sudata e tremante lei, ma ottenne comunque l’effetto minaccia.
-Più di così non posso! Vuoi morire per caso?- replicò irritato lui.
-Non me ne fo**e di quello che fai, basta che fai in fretta ca**o!-
-Ecco, abbiamo il premio Nobel all’educazione...- commentò il ragazzo.
-Stai zitto ti prego...-
Poteva sembrare quasi un’invocazione eccitante e oscena, ma il tono ansimante e supplichevole non era dovuto agli ormoni in subbuglio purtroppo. Lei si abbandonò respirando sempre più veloce allo schienale, chiudendo gli occhi.
Davide rinunciò a rispondere, vedendo che stava male sul serio e cercò di sbrigarsi.
L’ora anomala garantiva che per le strade non c’era anima viva. Era anche bello vedere la città così, dormiente e silenziosa, ed essere l’unico padrone delle strade; purtroppo non era possibile in quella situazione.
La macchina sfrecciò indisturbata fra le vie, dirigendosi in periferia dove si trovava l’ospedale.
Mentre oltrepassavano la rotatoria e imboccavano il viale fuori città, la bionda gridò di nuovo di dolore, mordendosi contemporaneamente il labbro. La grande costruzione bianca già si vedeva da lontano.
-Dai che siamo arrivati... dai forza...- le gettò un rapido sguardo molto preoccupato.
La macchina attraversò il casello con la sbarra e subito trovarono un posteggio vicino all’entrata, proprio davanti.
Davide spense la macchina e come prima fece il giro.
Anche se le mani gli tremavano ed era forse più agitato di lei, non poteva farsi vedere in difficoltà altrimenti per la ragazzina sarebbe stato peggio. Così anche se non aveva idea di dove mettere le mani la riprese in braccio.
La biondina indossava solo il pigiama, ovvero una maglietta a maniche corte slargata, e il pantaloncino arancione, ora tutto bagnato e umido.
Ciò la imbarazzava un poco, ma non le sembrava il momento più adatto per replicare e far capricci.
Davide entrò nell’atrio dove una donna sedeva dietro un banco; questa non appena li vide immediatamente si alzò in piedi.
Giusto in quel momento Francesca ebbe una nuova contrazione, più forte e dolorosa. La donna senza far domande capì subito la situazione e il ragazzo gliene fu molto grato.
Afferrò senza scomporsi il telefono che aveva sul banco.
-Dottor Sorrentino, in sala travaglio, c’è una ragazza che è appena arrivata-
Dopo qualche attimo una triade di infermiere li attorniarono e una di loro spingeva un letto.
Fecero sdraiare la ragazza sul letto, e parlando fra loro in termini che il ragazzo nemmeno ascoltò, chiamarono a gran voce un’altra donna.
Questa aveva i capelli racchiusi in un cappello bianco e indossava un camice. Davide non appena la vide sperò fosse una ginecologa, ma quella disse solo
-Presto dai, veloce!-
Francesca, da sopra il letto voltò il capo e guardò il ragazzo. Il suo sguardo era quasi implorante di non lasciarla sola con loro, di seguirla, di starle vicino e dagli occhi lucidi probabilmente presto le sarebbe colata qualche lacrima.
Ma lui, del tutto impotente e spaesato, non disse una parola mentre le infermiere cominciavano a trasportarla per il corridoio.
Però ricambiò il suo sguardo, seguendola finché poteva, finché non scomparve dietro un corridoio. Ebbe l’impressione che proprio alla fine lei avesse avuto un nuovo spasmo di dolore.
Si ritrovò improvvisamente solo, solo nel corridoio illuminato e senza la minima idea di cosa fare.
Un rumore di passi affrettati lo fece voltare, e vide un uomo, probabilmente un dottore perché aveva il camice, correre affannato per il corridoio, superandolo.
Quando gli passò accanto sentì una parolaccia accompagnata dalla frase
-Sala travaglio... dall’altra parte dell’ospedale-
Detto questo scomparve anche lui dietro lo spigolo del corridoio.
Davide non poté fare altro che sedersi su una delle tante sedie vuote laterali, e mettere un po’ d’ordine fra i pensieri. Immaginò ciò che stava succedendo.
Francesca era in sala travaglio; le infermiere l’avevano fatta sedere sul letto, dandole acqua e se voleva regolandole lo schienale del lettino; l’ostetrica la faceva aprire le gambe e il ginecologo controllava la situazione.
Poi rivide come in un flash il suo sguardo supplicante, lucido, sofferente. Poverina, si disse.
Era come se l’avesse abbandonata.
Abbandonata e lei testarda non l’avrebbe mai ammesso. Ma come per le cose importanti, ad un certo punto doveva riconoscere che non ce la poteva fare da sola e si aggrappava a lui come ultima salvezza.
Ebbe un momento di smarrimento.
Francesca l’aveva guardato. Non ce l’avrebbe mai fatta.
Aveva bisogno di lui.
E lui l’aveva lasciata sola.
 
E sarai per me tutto.
 
Fu come se uno schiaffo lo avesse colpito in faccia e scosse la testa per riprendere coscienza.
Poi si alzò immediatamente, sfregandosi i palmi sul jeans.
Si diresse verso la donna dietro il banco.
-Mi scusi sa dirmi dove...-
-La mappa è lì- fece quella annoiata, indicandogli una pianta a lato dell’ingresso. Lì dove c’erano le macchinette delle merendine e delle bibite, Davide lesse veloce, scorrendo sul dito i nomi degli ambulatori, sala parto. Era all’opposto di dove si trovava lui.
Continuando a guardare il punto per non scordarselo indietreggiò verso lo spigolo da cui erano spariti il dottore e le tre infermiere.
Superato quello, prima andava a passo veloce. Poi dopo un po’ cominciò a correre.
I passi delle sue scarpe sbattevano forte contro il pavimento dell’ospedale. Tutte le stanze che sorpassava erano chiuse, alcune a chiave, altre che lasciavano intravedere l’interno. Ebbe l’impressione che una o due volte alcuni infermieri si fossero girati dalla sua parte, attirati dal rumore che faceva percorrendo a passo di corsa l’ospedale, e gli avessero rimproverato qualcosa.
Lui però non si fermò ad ascoltarli, proseguendo a correre.
Arrivò nel reparto.
Corse per tutte le sale finché non trovò quella chiusa.
Poi all’improvviso gli balenò in mente un’idea.
Afferrò il cellulare e premette veloce, quasi alla cieca, i tasti.
-Pronto?-
Una voce sonnacchiosa e grande gli rispose.
-Mi scusi se la disturbo a quest’ora, dottore. Sono... il ragazzo di Francesca, Francesca Daniele- spiegò in fretta, battendo il piede a terra per l’agitazione.
-No, non importa- subito la voce del dottore si accese d’interesse –che succede?-
-Ecco, le si sono rotte le acque-
-Che aspettate? Portala in ospedale-
-Siamo già qui. E adesso è in sala parto-
-Arrivo subito-
Il dottore troncò la conversazione. Il ragazzo non poteva capacitarsi di come uno, a quell’ora della notte, potesse essere così sveglio e pronto. Lui, per esempio, non ci sarebbe mai riuscito.
Probabilmente, si disse, quel dottore ci era abituato, a queste chiamate. Non sapeva se aveva fatto bene a chiamarlo, ma credeva che fosse importante per la ragazza avere accanto, soprattutto ora che non sapeva a chi rivolgersi, una persona di cui fidarsi.
Guardò la porta.
Non poteva entrare forse, ma da fuori si sentivano lamenti e voci concitate.
Riconoscendo come la sua voce un grido di dolore più forte degli altri, Davide ruppe gli indugi e aprì di slancio la porta.
La sala era piccola, e un letto era posto al centro. Lì era sdraiata Francesca, con la testa poggiata contro un cuscino; le gambe aperte e una coperta sopra. Era attorniata da una donna, probabilmente l’ostetrica, che le parlava e provvedeva ad eseguire gli ordini del medico. Lui, quel dottore che aveva visto prima corrergli affianco, aveva le mani sotto il lenzuolo e parlottava concitato con l’ostetrica.
-Forza dai, spingi adesso- la invogliò la donna con sguardo fiducioso.
La bionda sul letto strinse gli occhi, lasciandosi cadere due lacrime sulle guance già bagnate, poi contrasse il viso e diede la spinta, gridando forte per il dolore.
Davide subito aggirò il letto e si precipitò accanto alla ragazzina.
-Ehi- le prese una mano e la strinse nella sua –sto qua-
Lei lo guardò e grata provò a sorridere. Però una nuova contrazione le fece fare una smorfia. Strinse forte la mano di lui aggrappandovisi come se ne dipendesse la sua vita.
-Scusi non si può stare qui- un’infermiere provò a spostarlo, ma il ragazzo, già provato dal sonno e da tutti quegli avvenimenti successi troppo in fretta, vedendo la ragazzina bionda così sofferente e con le lacrime agli occhi, si alterò.
-Oh non mi rompere eh!-
-Lascialo, lascialo...- si affrettò a dire il dottore, togliendo di mezzo l’infermiere.
Il bambino doveva essere ormai infiltrato per l’uscita, si disse Francesca; quel dolore era inumano, insostenibile e lei non vedeva l’ora che tutto finisse. Ma per quanto provava a spingere, a far forza sui muscoli e pregasse dentro di sé che quel maledetto bambino uscisse fuori in un modo o nell’altro, sembrava che la cosa non fosse tanto semplice. Aveva visto il dottore (uno sconosciuto che non sapeva manco chi fosse) scoccare sguardi preoccupati all’ostetrica. La donna, per quanto la invogliasse fiduciosa, non pareva molto convinta.
Ebbe la conferma alla sua teoria quando il dottore disse
-Non ce la farà mai. Non ce la fa a passare-
Davide guardò prima il dottore e poi vide il volto della biondina diventare bianco e la sua mano tremare. Si arrabbiò non poco.
Insomma, lei stava partorendo ed era così in confusione, e quel medico le dava il colpo di grazia dicendole che non ce l’avrebbe mai fatta?
Si chinò di più su di lei.
-Dai Francesca... dai...- l’ostetrica le rivolse un sorriso –respira-
La bionda non sapeva se piangere o gridare; sentiva un groppo all’altezza della gola che non voleva sgonfiarsi, e tutte quelle parole, quelle sensazioni, quel dolore erano insostenibili.
Provò a chiudere gli occhi per respirare, ma di calma non esisteva la minima traccia.
-Ha i fianchi troppo piccoli- sentenziò il dottore, abbandonando l’esplorazione della vagina – il bambino non ce la fa-
Poi ci pensò e disse
-Possiamo provare con l’episiotomia-
I due ragazzi erano sempre più spaesati e impotenti davanti all’operato del medico. Lui stava trafficando con arnesi, siringhe, aiutato dagli infermieri. Francesca ebbe una nuova contrazione e sentì distintamente che il bambino voleva uscire, con la testa. Forse ce l’avevano fatta.
Un attimo dopo, prima che potessero scoprire cosa fosse l’episiotomia, la porta si aprì.
Il ginecologo che aveva visitato la ragazza nei mesi precedenti osservò la situazione, e senza perdere tempo spiegò al collega
-Me ne occupo io, è una mia paziente-
Lui fu ben felice di lavarsene le mani, e mentre se ne andava Davide gli scoccò uno sguardo truce, rabbioso.
-Allora tutto a posto?-
-Mi fa malissimo- gemette fra le lacrime la biondina.
Il dottore si chinò per controllare la situazione, e il ragazzo ne approfittò per parlare con lei.
-Dai, puoi farcela. Dai amore. Forza- le spostò i capelli sudati dalla fronte.
Francesca lo guardò con gli occhi rossi, lacrimanti e con un’espressione sofferente in viso. Strinse forte il suo braccio.
-Non mi lasciare- disse.
Forse per la prima volta, oltre al sentimento passionale che provava per lei, si fece largo in lui un qualcosa di più profondo. Un qualcosa di più. E quando ascoltò le sue parole capì che forse era più dell’attrazione fisica, più del bambino stesso a legarli. Per questo pensiero profondo, per quello che vedeva, poco ci mancò che anche a lui colasse una lacrima sul viso.
Le prese la mano nelle sue e ne baciò il dorso.
-E chi ti lascia?-
Si scambiarono uno sguardo, un’occhiata velocissima, ma così intensa e intima che lei fece un piccolo sorriso e l’attimo dopo spinse con più vigore di prima.
Il dottore la incoraggiava a spingere, diceva che mancava poco.
L’ostetrica la rassicurava e intanto osservava il bambino che premeva per uscire.
Davide era solo uno spettatore impotente ed emozionato, che non faceva nulla ma desiderava sentirsi partecipe del suo dolore.
Francesca sentì il bambino uscire con la testa e convinta di essere arrivata alla fine, pensando che più doloroso non poteva essere, desiderò nient’altro che spingere e assecondò l’istinto. Ma fu doloroso. Si sentiva spaccata in due, voleva finisse tutto subito e infatti gridò di dolore, forse il più forte che avesse fatto finora. Non ce la faceva più, voleva che fermassero tutto.
-Dai dai... eccolo!-
-L’ultima spinta!-
Chiuse gli occhi e prese fiato, ormai tutta un tremito per gli spasmi, le contrazioni. Spinse fortissimo, reggendosi alla sbarra del letto e alla mano di Davide, il quale gemette per la presa ferrea.
-Eccolo eccolo!-
L’ostetrica, con le mani abili e allenate dall’esperienza, aiutò il piccolo bimbo a farsi strada fuori. Tutto ad un tratto lo tirò via.
Per la bionda fu come liberarsi tutto ad una volta dell’ansia, della pressione, del dolore e si tutto. Esalò un respiro e si appoggiò contro il cuscino, chiudendo gli occhi.
Il pianto del bambino suonò come musica dolcissima nella stanza. Tutti gli infermieri applaudirono forte e l’ostetrica portò immediatamente il bimbo al primo bagnetto.
Davide si alzò, curioso di vedere il bimbo e sgomitando fra la gente.
Lasciò la mano di lei.
 
Poi a metà strada si ricordò.
 
Scosse il braccio stretto nella sua presa e cominciò a gridare.
-Tu sei uguale a tutti gli altri! A te non importa nulla di me! A te importa solo di quello stupido bambino! E sai cosa ti dico? Io lo odio!-
Davide ascoltò quelle parole, e lo colpirono in viso con la forza di un mattone.
-Cosa?- mormorò sconcertato.
Francesca lo guardò orgogliosa.
-Ancora non l’hai capito? Io un figlio non lo faccio-
 
Quei medici che ora esultavano per la riuscita del parto, che l’avevano incoraggiata durante le doglie, non sapevano quanto le era costato. Non sapevano cosa si celava dietro quel bambino, quel pancione. Non sapevano quanto le era costato farlo.
Si girò e la osservò seduta sul lettino. Aveva le gambe aperte e non voleva nemmeno immaginare quanto martoriata fosse là sotto. Aveva gli occhi gonfi di pianto, rossi e le guance bagnate. Ma soprattutto sul viso aveva un’espressione stanca, sofferta di chi ha dato tutto ed è arrivato al traguardo.
Immaginò fosse distrutta.
Gli occhi fissi nei suoi lasciò perdere il bimbo neonato e le si avvicinò.
Si sedette sul letto e aspettò la sua mossa.
Francesca si gettò letteralmente contro di lui, la fronte schiacciata sulla sua spalla e le braccia che gli stringevano la maglia.
Respirava forte, ansimante e presto Davide sentì la maglietta bagnarsi di lacrime.
 
-Alzati, forza- proseguì lui, tendendole la mano.
Lei afferrò il palmo e si tirò su, ancora debole e tremante, mettendosi di fronte a lui.
Come se in quel momento vedesse anche la sua ultima speranza scivolare via veloce, irraggiungibile, il magone che si teneva stretto si gonfiò ancora. Stavolta non fu brava come prima a frenarlo. Di nuovo strinse gli occhi, riempiendoli di lacrime.
Un fremito la travolse, e siccome non aveva sostegno, sbatté contro il torace del ragazzo per reggersi in piedi e ricominciò a piangere.
 
Stavolta non ebbe esitazioni e la abbracciò con forza, sfregandosi contro la sua maglia sudata. Francesca pianse tutte le lacrime che si era trattenuta, tutto il dolore e l’agitazione che aveva provato, ben nascosta dal ragazzo.
Lui le accarezzò i capelli, baciandola sulla tempia e sussurrandole parole all’orecchio.
-Sei stata bravissima amore...-
Sentendo che la ragazza si stringeva di più e respirava più forte, anche lui la abbracciò di più. Quasi quasi poteva sentire il suo cuore battere agitato come lei, che piangeva silenziosa.
-è finita. È finita, ce l’hai fatta...-
Lei ebbe un singulto maggiore e Davide chiuse gli occhi; la sentiva, la sentiva sua.
-Il bambino è nato. Ce l’hai fatta-
Aspettò un altro bel po’ prima di lasciarla andare, assicurandosi che fosse tranquilla, e poi si sciolse dalla sua presa. Lei si asciugò con una mano le lacrime e respirò per calmarsi, scossa dai singhiozzi. Alzò gli occhi sulla scena alle loro spalle.
L’ostetrica reggeva fra le mani una coperta calda, e dentro quella era rannicchiato un piccolo fagotto gonfio. Stava aspettando il momento giusto per metterlo fra le braccia della mamma.
Davide si allontanò da lei, osservando curioso e in soggezione la coperta, rendendosi conto che era una scena sacra e inviolabile.
Francesca si mise più dritta e anche lei incapace di dire nulla guardò il piccolo bimbo che le veniva messo fra le mani.
Non ritrasse le mani quando la donna glielo porse, ma lo prese senza quel tipico sorriso delle madri che appena partorienti non vedono l’ora di stringere il loro bambino fra le braccia.
Lei era esitante, non sapeva come fare, ma accolse il peso che le passava la donna.
Davide osservò col respiro trattenuto la ragazza e il bambino.
-È una femmina- disse con un sorriso l’ostetrica.
Errata corrige, ergo.
Davide osservò col respiro trattenuto la ragazza e la bambina.
Improvvisamente gli venne la tremenda paura che lei la rifiutasse. Dopotutto l’aveva sempre detto che il bambino non lo voleva. Cosa avrebbe fatto ora?
Sembrò che tutta la stanza si fosse fermata in attesa di una sua reazione.
Francesca fissò le iridi azzurre sulla bambina che teneva fra le mani.
La bimba era avvolta da quella coperta ma l’effetto di non farle sentire freddo non avveniva, perché cominciava ad avere le labbra violette. La pelle aveva ancora qualche residuo del liquido embrionale in cui era stata rinchiusa, e la testa era cosparsa di capelli scuri, sparati in tutte le direzioni, appiccicati alla cute.
Teneva gli occhi chiusi, la piccola bocca schiusa che dava i primissimi respiri, e le braccine abbandonate sul petto, i pugni stretti.
Quel momento in cui la bionda ragazzina fissò la bimba sembrò infinito, come imperscrutabile era il suo viso. Non si riusciva a capire cosa stesse pensando, se fosse contenta o desiderasse solo liberarsene al più presto. Lui immaginò che nemmeno lei riuscisse a capacitarsi di cosa teneva in braccio.
Ad un certo punto sollevò il braccio sinistro, su cui era poggiata la testa,  per veder meglio il corpicino. Chissà cosa le passava per la testa, si domandò Davide, ma ancora non si poteva dire che fosse finita.
Finalmente la lunga attesa finì, e con quale finale migliore, quando Francesca alzò la testa verso la sala e poi guardò lui, sulle labbra un gran sorriso
-È bellissima, assomiglia tutta a me!-
L’intera sala ed equipe di infermieri, il dottore e l’ostetrica cominciarono a battere le mani, e Davide e Francesca si guardarono.
Lui scosse la testa divertito, ma lei ostentò un’espressione strafottente, delle sue solite. Nemmeno ora osò avvicinarsi, temendo di rovinare quel momento che sembrava così perfetto, naturale.
La biondina guardò nuovamente la bimba, tornando a mettere sulle labbra quel sorriso dolcissimo che il ragazzo, anche se non lo diede a vedere, invidiò un po’.
Invidiò perché non era lui la causa di esso, e perché un sorriso così non gliel’aveva mai visto addosso. Nei successivi confusionari minuti lei non lo degnò di un solo sguardo, troppo impegnata ad occuparsi della bambina.
Un infermiere domandò come si chiamasse.
Entrambi si guardarono, un po’ sorpresi.
-Come?-
-Il nome della bambina- spiegò l’infermiere.
Francesca guardò Davide e Davide guardò Francesca.
Poco ci mancò che non si mettessero a ridere.
Possibile che non ci avessero minimamente pensato, al suo nome?
Non si erano mai posti questo problema. La bionda arrossì molto, imbarazzata.

-Ehm...- cominciò lui, facendosi scappare un sorriso da sotto le labbra.
Un nome gli era venuto alla mente, immediato come se esistesse da tempo, ma incerto fissò la ragazzina. Voleva dirlo, ma al momento di pronunciarlo stette zitto.
Sorrise.
Credeva che spettasse, dopo tutta la fatica fatta, decidere a lei. Provò a farle capire con lo sguardo che aveva carta bianca. Lei intercettò i suoi occhi verdi.
Poi stette un attimo in riflessione.
-Emanuela- decretò.
Davide non udì che il suono della sua voce, senza realmente capire subito il nome che aveva deciso. Fu solo felice e fece un gran sorriso.
Felice di avergliela data vinta per quella volta. E aveva intenzione di farla vincere ancora, e ancora.







Dunque, ringraziamo i preferiti, i recensori, quelli che leggono soltanto e chi segue la storia.
Per scrivere al meglio questo capitolo mi sono avvalso di un tomo di medicina.

Emily Doyle: non è che non sono tifoso del Napoli, anzi essendo una squadra del sud la prendo in simpatia, il fatto è che giocava contro l'Inter, capisci? Va be', chiuso argomento fuorviante. Esattamente, il povero Davide è stato costretto a svegliarsi nel cuore della notte.

Devilgirl89: una statua alta 30 metri? Ahahaha scusa se rido ma se ci penso... per quanto è alta basterebbero un metro e cinquanta. Ecco il nuovo personaggio, e io... non so, continua a leggere e poi dimmi tu a chi assomiglia.

Marty McGonagall: grazie mille, Martina. Be', vedi un po' tu com'è andata col bambino... anzi, bambina.

MissQueen: dunque, ho letto un libro al riguardo... roba di mia madre, e ne sono rimasto talmente schifato (perdonami la parola) che ho immaginato come si dovesse sentire Francesca (secondo il mio punto di vista, naturalmente). Beh, per una "letterata" come te mi pare che sette non sia un cattivo voto in matematica. Sei una genietta... (dove l'ho già sentita sta frase?)


Urdi: felice di averti rallegrato la giornata, grande artista! Davide e Francesca? te li puoi prendere quando vuoi, la smetteranno di rompermi almeno. E se vuoi ti regalo anche la bambina. Grazie di aver recensito.


FeFeRoNzA: Buonasera a te. "Povera Francesca che doloooreee" è esattamente ciò che penso io. Ora dimmi che ne pensi del 'fatidico' capitolo.

  
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