La maledizione
La maledizione
La notte aveva avvolto la torre nel
suo freddo abbraccio. Mary si girò, di nuovo, nel giaciglio
improvvisato, che Mike le aveva preparato, accanto al camino della
cucina. Dopo averle raccontato la storia dei due amanti sfortunati, il
medico la aveva lasciata sola, affinché potesse riposare. Lui
era tornato da John, per accertarsi che tutto stesse andando bene.
Malgrado fosse stanca, Mary non riusciva a prendere sonno, a causa
dell’adrenalina che le scorreva veloce nel sangue. Gli ultimi
giorni erano stati ricchi di avvenimenti e di scoperte, che stavano
mettendo in discussione tutte le decisioni, prese nella sua breve
esistenza.
Rimasta sola in giovane età,
Mary era cresciuta pensando esclusivamente a se stessa. Non si era mai
preoccupata per nessun altro. Non si era mai voluta legare a nessuno.
Affezionarsi o, Dio non volesse, innamorarsi era troppo pericoloso e
fuori discussione. Avrebbe voluto dire rinunciare alla propria
libertà e sacrificare una parte di sé per il bene di un
altro. Avrebbe significato prendersi cura di qualcuno ed assumersi
delle responsabilità nei suoi confronti, mettendo la propria
felicità nelle mani di uno sconosciuto ed esponendosi al rischio
di essere ferita ed ingannata. In poche parole, soffrire: “Non
succederà mai. Non permetterò mai a nessuno di avere
tanto potere sulla mia vita. L’unica persona importante sono io.
Gli altri non contano nulla.” Questa era stata la filosofia che
aveva sempre seguito, fino a quel momento.
Ora… ora, nella penombra del
fuoco morente, i suoi pensieri stavano prendendo una piega inaspettata
e sorprendente. Si era scoperta a considerare l’idea di
accompagnare Sherlock a Londra, per aiutarlo a spezzare la maledizione
e ricongiungersi con John, nonostante questo volesse dire mettere a
repentaglio la propria vita: “Per chi dovrei sacrificarmi,
Signore? Per un uomo che a malapena sorride e che mi considera
insignificante? Siamo sinceri, a Sherlock non importa cosa ne
sarà di me. Una volta che avrà raggiunto il proprio
scopo, lui avrà John, mentre io sarò sempre sola e mi
troverò in una città in cui vogliono appendermi ad una
corda. Perché dovrei rinunciare alla mia vita per loro, Signore?
Per il sorriso di John?”
A questo punto le si strinse il cuore.
John.
John aveva un bel sorriso. Dolce.
Sincero. Rassegnato. E stupendi occhi di un azzurro profondo, striati
d’oro, come non ne aveva mai visti. Le faceva male vedere
l’ombra che li offuscava, quando John pensava che lei non lo
stesse guardando.
Le prime luci del mattino avevano
trovato Mary in uno stato di agitato dormiveglia, popolato da lupi,
falchi, risate diaboliche e sorrisi tristi, quando venne svegliata da
un urlo.
Spalancò gli occhi,
mettendosi a sedere di scatto, le orecchie tese, ancora frastornata.
Dall’esterno arrivarono urla e ringhi feroci. Mary si alzò
e corse verso la porta, spalancandola ed uscendo. Non fece in tempo ad
oltrepassarne la soglia, che venne afferrata saldamente e spinta contro
il muro, mentre una mano le tappava la bocca ed un corpo la pressava,
affinché non si staccasse dalla parete.
“Non fiatare. Qualcuno
è entrato nella torre e non ha intenzioni amichevoli,”
sussurrò una voce conosciuta.
Mary alzò gli occhi ed
avvampò, mentre il suo cuore saltava un colpo. Era John, che la
stava tenendo contro il muro. L’uomo si era infilato una casacca
chiara su dei pantaloni marroni ed aveva una smorfia di dolore sul
viso. La mano, che premeva sulla bocca di Mary, era la sinistra.
Tenerla in quella posizione doveva fargli sentire male alla spalla
ferita. Nella destra stringeva una spada.
Mary si rese conto di essere
cosciente di ogni centimetro del corpo di John, che si trovava a
contatto del suo. Ne percepiva il calore. Il leggero profumo di erbe,
proveniente da qualche medicamento.
“Abbiamo dimenticato di alzare il ponte levatoio,” mormorò Mike, alle spalle di John.
Mary non osava muovere un muscolo.
Osservava John, la sua espressione seria ed attenta. Il suo corpo teso
e pronto all’azione. Dall’esterno, provennero altre urla ed
altri ringhi. John si staccò da Mary e fece per precipitarsi
verso la fonte dei suoni.
“Dove stai andando?” Gli chiese Mike, afferrandolo per il braccio, che impugnava la spada.
“Vado ad aiutare
Sherlock,” ribatté John, in tono irritato, liberandosi
dalla stretta dell’amico e correndo per le scale.
Mary sentì improvvisamente
freddo. Senza riflettere, tornò nella cucina, afferrò un
attizzatoio e si precipitò dietro a John. Un piccolo gruppo di
soldati era entrato nel cortile della torre diroccata. Il lupo ne aveva
aggredito uno, procurandogli ferite mortali, ma altri tre, si erano
infilati lungo le ampie scale, che portavano ai piani superiori. John
affrontò il primo, ingaggiando uno scontro con le spade. Il lupo
aveva azzannato l’ultimo della fila, mentre Mary era sgattaiolata
oltre John ed il suo avversario, attaccando il soldato in mezzo,
brandendo l’attizzatoio, come se fosse stata una spada.
L’uomo, però, si dimostrò troppo abile, per lei.
Dopo averla disarmata, stava per colpire Mary, quando John, che aveva
ucciso il suo antagonista, intercettò l’arma del soldato e
ne bloccò la corsa verso la ragazza. I due uomini lottarono per
prendere il sopravvento l’uno sull’altro, finendo contro
un’ampia finestra, rimasta senza vetri, che dava sul cortile
interno della torre e portava luce alla scala. Nella foga della lotta
John riuscì a far cadere l’avversario fuori dalla
finestra, ma l’uomo si aggrappò al biondo medico,
trascinandolo con sé. L’armigero perse la presa,
urlò e si dibatté, ma nulla fermò la sua caduta.
John era riuscito ad afferrarsi al bordo della finestra, con la mano
destra, ma non riusciva ad alzare la sinistra. Mary afferrò il
braccio di John: “Resisti! Ti tiro su!” E cercò di
farlo, con tutte le proprie forze. La ragazza tentò di portare
John oltre il davanzale della finestra, ma il peso dell’uomo era
troppo, per lei. John scivolò lentamente, ma inesorabilmente,
dalle mani di Mary.
“Lasciami andare o cadrai con me!”
“Non ti mollo! Non ti lascerò mai andare! Io ti salverò!”
Il lupo, con l’aiuto di Mike,
aveva ucciso l’ultimo soldato. Accortosi di cosa stesse
accadendo, il medico corse ad aiutare Mary, ma arrivò tardi. Gli
sforzi della ragazza per impedire la caduta di John furono inutili.
L’uomo precipitò nel vuoto, senza agitarsi, senza urlare.
“NOOOOOOOOOO!”
gridò la giovane ladra, allungando le braccia, in un ultimo vano
e disperato tentativo di afferrare John. Mary, inorridita, fissò
gli occhi dell’uomo che stava cadendo. Erano calmi, sereni,
grati, pronti ad accogliere quella morte quasi fosse una liberazione.
C’era solo una piccola traccia di rimpianto, come se non avesse
avuto il tempo di fare qualcosa e ne fosse dispiaciuto.
Fu in quel momento che il primo
raggio di sole illuminò la giornata. Sotto lo sguardo allibito
di Mary, John si trasformò in falco e sbatté le ali,
giusto in tempo per evitare di schiantarsi a terra, mentre i suoi abiti
si libravano nell’aria, vuoti. Allo stesso tempo, una figura alta
e slanciata la spostò di peso dalla finestra, senza troppi
complimenti. Mary si girò verso il nuovo venuto e
spalancò la bocca per la sorpresa. Accanto a lei, Sherlock,
completamente nudo, si stava sporgendo alla finestra:
“JOHN!”
Il cavaliere allungò un
braccio ed il falco vi si posò sopra. Sherlock gli sorrise e lo
accarezzò, delicatamente: “Stai bene, sei salvo. Non so
cosa farei, se ti perdessi.” Il suo era un sussurro appena
udibile. Un mormorio colmo di amore e sollievo.
Mary non riusciva a staccare gli
occhi da Sherlock e John. Aveva visto la maledizione prendere forma
sotto i propri occhi. Una piccola parte di lei aveva creduto e sperato
che Mike le avesse raccontato una favola, una storia ben orchestrata
per convincerla a cooperare con loro. Ora sapeva quanto fosse tutto
vero.
“Ragazzina, vergognati! Torna in cucina! Di corsa!” la voce irata di Mike la fece sobbalzare.
Sherlock li ignorò
completamente, continuando ad accarezzare il falco, come se non ci
fosse nulla di strano o di inopportuno nell’essere nudo davanti
ad altre persone.
Mary arrossì, bofonchiò qualcosa di inintelligibile e corse in cucina.
Il cuore della giovane ladra
batteva all’impazzata, quando entrò nella stanza,
sbattendo la porta ed appoggiandovisi contro, con la schiena. Mary si
lasciò scivolare lungo il battente, sedendosi in terra, con le
gambe raccolte al petto e le braccia intorno, a stringerle forte. La
sua mente non riusciva a smettere di pensare alla trasformazione di
John ed al corpo nudo di Sherlock. “Signore, che cosa mi sta
succedendo? Perché mi stai sottoponendo a questa prova? Se
vuoi salvare la mia anima, non potresti farlo senza farmi correre il
rischio di perdere la vita o la mia sanità mentale? Capisco che
un’espiazione debba essere una specie di punizione, ma non ho mai
ucciso nessuno! Se tu dovessi castigare tutti coloro che si sono
comportati in modo egoista, passeresti l’eternità a punire
l’umanità intera, solo per questo motivo e dovresti
tralasciare peccatucci da nulla come l’omicidio o lo stupro
o…”
“MARY!”
La ragazza irrigidì la
schiena. Non aveva senso non rispondere. Non poteva far finta di non
averlo sentito. Sherlock stava gridando praticamente dall’altra
parte della porta: “Mary dobbiamo andare. Non ho più molto
tempo. Mike mi ha detto che ti ha raccontato ogni cosa. Mi devi aiutare. Ti prometto che farò di tutto per farti lasciare Londra, senza che tu corra dei rischi.”
Mary si alzò ed aprì
la porta. Sherlock era perfettamente vestito, di nero, come al solito.
Evidentemente, doveva avere un cambio per sé e per John nelle
sacche da viaggio. Mary lo osservò, con aria critica: “Non
credi che le persone potrebbero trovarti più allegro e
simpatico, se, qualche volta, ti vestissi con colori più vivaci?
Il nero è così deprimente…”
Sherlock la osservò,
lievemente disorientato: “Il colore dei miei abiti non ha nulla a
che fare con quello che la gente può pensare di me.”
“Non hai molto senso dell’umorismo, vero?”
“Non ho molti motivi per fare battute di spirito.”
Mary annuì: “Posso fidarmi di te?”
“Capisco che tu non abbia
motivi per avere fiducia in me, ma ti dò la mia parola
d’onore che non ti tradirò.”
“Allora andiamo.”
Sherlock accennò un sorriso riconoscente e si avviò verso il cortile della torre.
Il sole splendeva alto in cielo.
Era una bella giornata invernale, fredda, ma limpida. Il falco si
trovava sul pomello della sella di Sherlock, in attesa che lo
raggiungessero. Mike accarezzava Golia, in modo pensieroso. Quando
Sherlock e Mary arrivarono in cortile, i due uomini non si scambiarono
uno sguardo. Il silenzio era teso.
“Mary, oggi starai dietro. Il falco non può sforzare l’ala e lo voglio tenere sul pomello.”
“Sherlock mi devi ascoltare,” lo supplicò Mike.
Il cavaliere ignorò il medico, salendo in groppa a Golia ed allungando un braccio per aiutare Mary.
“C’è un modo per
spezzare la maledizione. – insisté Mike – Non
è necessario uccidere Irene, per farlo. Anzi, lei deve essere
assolutamente viva.”
“Stai vaneggiando. Lascia andare le redini di Golia. Grazie per avere curato John, ma ora dobbiamo andare.”
“Concedimi la tua fiducia,
Sherlock. Aspetta solo tre giorni. Allora vi presenterete entrambi al
cospetto della strega che ha lanciato la maledizione, in un giorno
senza notte ed una notte senza giorno. In quel momento, la maledizione
sarà annullata e voi potrete tornare alla vostra vita di sempre.
”
Sherlock lanciò a Mike
un’occhiata furiosa: “Sei di nuovo ubriaco, Mike? Mio
fratello ti fornisce degli alcolici, invece di legna, per scaldarti
nelle notti fredde? Quello che dici non ha senso.”
Mike si ritrasse, come se fosse stato colpito da una sberla, in pieno viso.
“Smetti di cercare di aiutarci. Possiamo fare senza il tuo supporto. Hai già fatto abbastanza danni.”
Con uno strettone, Sherlock liberò le redini dalla mano di Mike, fece girare il cavallo ed uscì dalla torre.
Mentre attraversavano il ponte
levatoio, Mary si voltò indietro ad osservare il povero medico,
che si era accasciato nel cortile, con la testa abbassata. La ragazza
non poteva vederlo in viso, ma tutto dimostrava quanto Mike fosse
disperato e ferito. Sherlock era stato duro con lui. Certo, li aveva
traditi ed era colpa sua se erano in quella situazione assurda, ma Mike
stava cercando di rimediare agli errori che aveva commesso. Era giusto
dargli una possibilità di farlo. Tutti meritavano una seconda
occasione. E se avesse avuto ragione? Se avesse veramente scoperto come
spezzare la maledizione? Quello che aveva detto, però, era privo
di senso. Come ci poteva essere un giorno senza notte ed una notte
senza giorno? Forse Sherlock aveva ragione. Forse Mike era ubriaco.
Oppure era davvero impazzito. Eppure…
Cavalcarono in silenzio. Sherlock
sembrava tranquillo, ma Mary poteva sentire la tensione delle sue
spalle. Ogni tanto, il cavaliere accarezzava il falco, mormorandogli
qualche parola, che lei non capiva. Il rapace gli rispondeva, con
stridi sommessi. Appoggiata con il viso alla schiena di Sherlock, Mary
sorrideva, chiedendosi come facessero quei due a comprendersi, malgrado
la situazione in cui si trovavano: “Che l’amore sia questo? Capirsi sempre e comunque?”
Nel primo pomeriggio, nuvole nere
offuscarono il cielo. L’aria profumava di pioggia ed era carica
di elettricità. Mary sentì la voce di Sherlock
riverberare attraverso il corpo: “Stanotte pioverà ed
anche molto. Non è il caso che vi accampiate all’aperto.
C’è una taverna nel bosco. Chiederemo all’oste di
poter dormire nella stalla, per non lasciare solo il cavallo. In questo
modo, non si accorgerà della comparsa di John e della mia
sparizione.”
“Va bene.”
Mary avvertì
un’esitazione nel respiro di Sherlock. Era come se volesse dire
qualcosa, ma non trovasse le parole giuste. La ragazza fece un sorriso
divertito. Non doveva capitare molto spesso che Sherlock Holmes
rimanesse a corto di parole. Avrebbe voluto vedere il suo viso, per
osservarne l’espressione, piena di dubbio. Quello che
l’uomo disse, però, fece svanire il sorriso dalle labbra
di Mary.
“Ho bisogno che tu faccia una
cosa. Non dire a John che Mike pensa di avere trovato un modo per
spezzare la maledizione. Io credo che Mike sia in buona fede, ma che
non sappia ciò che dice. Il suo disperato desiderio di aiutarci
ed il suo profondo senso di colpa lo fanno straparlare.”
“Perché non vuoi che
ne parli a John? È giusto che lui sappia che potrebbe esserci
una fine alla vostra maledizione.”
“Quella di Mike è una
falsa soluzione e John potrebbe illudersi. Non c’è nulla
di peggio di una speranza che viene distrutta.”
Il silenzio tornò a regnare
sovrano. Mary ricordò gli occhi di John, mentre precipitava. La
rassegnazione ed il sollievo presenti in essi. Quella non era vita.
Sherlock e John stavano sopravvivendo, perché sapevano che la
morte di uno avrebbe annientato l’altro. Stavano tenendo duro e
affrontando un giorno dopo l’altro, solo perché erano
insieme, malgrado tutto.
“Mary, posso contare su di te? Posso essere sicuro che non dirai nulla a John? Soffrirebbe inutilmente.”
“Te lo prometto, non gli
dirò nulla,” fu il sussurro della ragazza. Non poteva dire
altro. Non era sicura che la voce non le si spezzasse, mentre parlava.
Sherlock si era accordato con
l’oste per occupare la stalla, durante la notte. Aveva strigliato
Golia e preparato degli abiti di ricambio per John. Mary lo aveva
osservato svolgere quelle mansioni abitudinarie, con la mente persa nei
propri pensieri.
Era giusto non dire a John che
poteva esserci una speranza per loro? Era una menzogna non riferire
questa cosa? Oramai aveva promesso. Aveva fatto male? Se lei non avesse
mantenuto la propria parola, cosa poteva farle Sherlock? Aveva bisogno
di lei per il suo piano. Sherlock voleva uccidere quella Irene,
pensando di mettere fine alla maledizione. La cosa aveva un suo senso.
Una volta uccisa la strega che aveva lanciato il maleficio,
perché questo avrebbe dovuto continuare? Però…
però… e se questo fosse stato un incantesimo diverso
dagli altri? Se Mike avesse avuto ragione? Se per spezzarlo John e
Sherlock avessero dovuto essere davanti ad una Irene viva e vegeta? Se
uccidendola, Sherlock li avesse condannati ad un eterno dolore?
“Smetti di pensare, Mary!
Rimuginando in quel modo, non troverai la soluzione a qualcosa che non
è governato dalla logica.”
Mary alzò uno sguardo contrito su Sherlock, come se fosse stata colta a fare qualcosa di sbagliato.
“Mi hai promesso di non dire
nulla a John. Mantieni la tua parola. Fallo per lui. Soffre già
abbastanza così. Dargli una speranza, sarebbe crudele. Tu non
vuoi che lui soffra.”
Mary vide un’ombra dolorosa
offuscare gli occhi colore dell’acqua trasparente di Sherlock.
Ora era sicura che anche lui avesse i suoi stessi dubbi. Chi era lei
per decidere cosa fosse meglio? Cosa sapeva del mondo, della magia e
della scienza, lei? Era solo una piccola ladra, ignorante e senza arte
né parte: “Non gli dirò nulla,”
confermò, in tono convinto.
Sherlock uscì, lasciandola sola con il falco.
John si stava vestendo, quando dalla locanda iniziò a provenire della musica.
“Sherlock sta bene? –
domandò, mentre si infilava la maglia – È rimasto
ferito, nello scontro con i soldati?”
“No, puoi stare tranquillo John. Lui sta bene.”
John uscì da un box per
cavalli, il cui ingresso era stato chiuso con una coperta, in modo che
potesse trasformarsi e vestirsi senza mettere in imbarazzo Mary.
“Sta mangiando? Sai lui, non
mangia mai molto. Non vorrei che, preoccupato per questa situazione,
non mangiasse a sufficienza.”
“Se non mangia molto non
è certo per la preoccupazione. Sherlock è un cuoco
veramente pessimo, lo sai?”
John fissò Mary e vide un
lampo irridente, nei suoi occhi azzurri: “Ti sei lamentata con
lui della sua cucina?”
“Fossi matta! Sarebbe capace di costringermi a cucinare. Ed io sono una cuoca peggiore di lui!”
John scoppiò a ridere. Una
risata sincera e di gusto. Mary, felice di avere rallegrato il giovane
biondo, si unì alla sua risata. Quando smisero, nella stalla
risuonò ancora la musica. Mary era seduta su una balla di fieno.
Dondolava i piedi e muoveva la testa a tempo con il motivo,
canticchiando. John la osservò per qualche secondo, poi si
avvicinò a lei, allungando una mano ed esibendosi in un elegante
inchino: “Permette questo ballo, damigella?”
Mary lo fissò, arrossendo: “Non so ballare,” confessò a voce bassissima.
Con un sorriso complice, John
allungò di più la mano: “Confessione per
confessione. Nemmeno io sono un gran ballerino. Quello bravo è
Sherlock, ma, se ti accontenti, potremmo fare quattro salti.”
Il viso di Mary si aprì in
un sorriso raggiante. Saltò giù dalla balla e prese la
mano di John, ricambiando l’inchino: “Accetto volentieri,
cavaliere.”
John cinse Mary, circondandole i
fianchi con un braccio, ma mantenendo più distanza possibile fra
loro. Alzò l’altra mano e cominciò a muovere i
primi passi, seguendo la musica. All’inizio, i ballerini erano
impacciati, ma riuscirono a farsi trascinare dall’allegra
melodia, sciogliendosi e divertendosi. Mary osservava il viso
sorridente e disteso di John, ammirandone i profondi occhi azzurri ed i
lineamenti morbidi: “Cosa farebbe, se io lo baciassi? Mi ricambierebbe o mi tratterebbe come una donnaccia?”
Mary accorciò la distanza fra il suo corpo e quello di John,
decisa a tentare. Non c’era nulla di male in un bacio, no?
Nessuno avrebbe mai saputo nulla. Sarebbe stato un segreto fra loro
due. Lei non lo avrebbe certo detto Sherlock, mentre John non avrebbe
potuto farlo, nemmeno volendo. Forse John l’avrebbe biasimata, ma
se un suo bacio avesse spezzato la maledizione, non la avrebbe amata?
Almeno un po’? A causa dell’amore per Sherlock, John stava
soffrendo tanto. Non sarebbe stato più felice con lei? Non seppe
mai cosa sarebbe accaduto. La porta si spalancò. John si mise
fra la porta e Mary, staccandosi da lei, pronto a difenderla da un
eventuale assalitore: “Chi sei?” domandò, in tono
perentorio.
La pioggia aveva iniziato a cadere,
abbondante, poco prima del tramonto. L’uomo, non troppo alto e
grassoccio, che entrò, aveva il mantello ed il cappuccio bagnati
di pioggia.
“Sono io, John. Chi vuoi che
vada in giro con questo tempo da lupi, se non un pazzo come me?”
L’uomo scostò il cappuccio, rivelando il volto sorridente
di Stamford.
“Mike! Cosa ci fai qui? Non sapevo che Sherlock avesse deciso di farti venire con noi.”
“Infatti, Sherlock non sa che io sia qui. Se lo sapesse, sono certo che mi ucciderebbe.”
“Non capisco…”
“Credo che sia il caso che tu
vada alla locanda, Mike. – lo interruppe Mary, che aveva capito
perché il medico li avesse raggiunti – Sono sicura che
abbiano una stanza per te. Sarebbe sospetto se decidessimo di dormire
tutti nella stalla, invece che in comodi letti, non credi?”
“Gli hai detto che so come spezzare la maledizione?”
Nella stalla cadde il silenzio.
Persino la musica e la pioggia sembravano lontane, come se avessero
abbassato il volume dei loro suoni. Mary sbirciò il viso di
John, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi, che fino a pochi
secondi prima le avevano sorriso.
“Cosa… cosa stai
dicendo? Hai trovato un modo per spezzare il maleficio? Sherlock lo sa?
Perché non mi hai detto nulla, Mary?”
La ragazza era arrabbiata con Mike.
Aveva interrotto il ballo ed aveva rivelato a John quello che Sherlock
non voleva che lui sapesse. Mary vedeva la speranza, negli occhi John.
Come poteva spegnere quella luce?
“Mary, rispondimi! Perché non mi hai detto che avete trovato un modo per spezzare la maledizione?”
“Sherlock mi ha fatto promettere di non farlo.”
La speranza si gelò e svanì dagli occhi di John: “Sherlock… perché…”
“Pensa che Mike si sbagli e non voleva darti delle false speranze. Non voleva che tu soffrissi.”
John fissò lo sguardo spento lontano, nella notte: “Sì. Questo è da lui,” mormorò.
“Non mi sto sbagliando!
– intervenne Mike, con veemenza – Io sono sicuro di quello
che ho trovato. Solo perché è criptico e poco chiaro, non
significa che non sia la soluzione giusta.”
“Cosa è che non si capisce?” Chiese John.
“Il brano che ho trovato,
dice che questa maledizione sarà spezzata, se entrambi vi
troverete al cospetto di chi la abbia pronunciata in un giorno senza
notte ed in una notte senza giorno.”
John aggrottò la fronte:
“Quello che dici non ha senso. Come può esistere un giorno
senza notte ed una notte senza giorno?”
“Lo so che sembra assurdo, ma
il testo è scritto da un esperto, che indica le date in cui
sarà possibile spezzare il maleficio! Una di queste cadrà
fra due giorni.”
“Ne sei sicuro, Mike? –
il tono di John era disperato – Se ti dovessi sbagliare e
cadessimo nelle mani degli uomini del re, sarebbe la fine delle nostre
esistenze. Se questo lo possiamo definire vivere. In realtà,
è un trascinare avanti le nostre vite, in attesa che qualcosa ci
permetta di tornare normali. Vorrei che quella freccia mi avesse ucciso
o che quel raggio di non sole non fosse giunto in tempo a salvarmi.
Forse, se io morissi, la maledizione si spezzerebbe e Sherlock
potrebbe, finalmente, tornare a Londra, alla sua vita.”
“Non dire queste cose! – lo rimproverò Mary – Sherlock morirebbe, se ti accadesse qualcosa.”
“Cosa ne sai tu di cosa proverebbe Sherlock, ragazzina?” sbottò John, irritato.
Era la prima volta che John
rispondeva male a Mary. Il tono le strinse il cuore, ma la giovane
ladra non si offese. Poteva solo lontanamente immaginare quanto
soffrisse John… e Sherlock, certo… anche Sherlock.
“Io non lo conosco, ma so quanto tenga a te. Quando il falco
è stato ferito, mi ha detto di portarlo in salvo, perché,
senza di lui, la sua vita non aveva più motivo di essere
vissuta. Mi ha fatto promettere di non dirti nulla per evitarti il
dolore di una speranza spazzata via dalla dura realtà. I suoi
occhi si illuminano solo quando parla con te… di te. Forse non
saprò molto di Sherlock, ma conoscono le persone e so che lui
non sopporterebbe di vivere senza di te.”
“Scusami, hai ragione.
– sospirò John – Questo è il motivo per cui
non ho ancora messo fine alla mia vita, pur avendone avuto tante
occasioni. Come io non potrei vivere senza di lui, se gli accadesse
qualcosa, so che per lui sarebbe la stessa cosa.”
“Devi aiutarmi a convincerlo che la mia soluzione sia quella giusta,” lo sollecitò Mike.
Lo sguardo angosciato di John
spezzò il cuore di Mike e Mary: “Se anche pensassi che tu
abbia ragione, come posso convincere Sherlock che deve darti
retta?”
La discussione venne interrotta
dalle urla che, improvvisamente, arrivarono dalla locanda. Attraverso
la porta aperta, anche i tre nella stalla poterono sentire quello che
veniva detto: “Vi dico che c’è un lupo enorme, che
si aggira nei paraggi. Dobbiamo ucciderlo, prima che arrivi ai nostri
figli ed al nostro bestiame.”
“Andiamo! Prendiamo le balestre, le spade e le lance. Uccidiamo la bestia giunta dall’inferno.”
“Sherlock…” sussurrò John, precipitandosi fuori dalla stalla.
“John, fermati! Potrebbe
essere pericoloso!” urlò Mary, ma l’uomo biondo era
scomparso nel bosco. La ragazza lo seguì, mentre Mike raccolse
velocemente le loro cose, le caricò sul carro, con cui era
arrivato, e prese Golia. Radunato tutto, li seguì.
“SHERLOCK!” urlava
John, incurante della pioggia, che gli cadeva addosso da ogni dove. La
paura che quei contadini potessero trovare il lupo ed ucciderlo, gli
faceva battere il cuore all’impazzata. Lui sapeva che Sherlock
gli stava sempre vicino, ovunque lui si trovasse. Era cosciente che
fosse pericoloso per Sherlock, aggirarsi nei pressi di villaggi e
fattorie, quando era un lupo, ma non aveva mai potuto parlargli, per
convincerlo a stare lontano ed i messaggi, che gli aveva lasciato, non
avevano mai sortito l’effetto desiderato. Ora, doveva tenere al
sicuro il lupo, lottando contro chiunque avesse tentato di ucciderlo.
Lungo il percorso, si trovò davanti un torrente, le cui acque
erano impetuose, a causa delle abbondanti piogge di quel periodo. Un
tronco, posto di traverso sul torrente, gli permise di attraversarlo.
Mary fece lo stesso, raggiungendolo: “Devi tornare indietro. Non
possiamo trovarlo, in questo modo. Vedrai che Sherlock sarà al
sicuro, fino al momento della trasformazione.”
“Quegli uomini sono decisi a
scovarlo ed ucciderlo. Non si fermeranno fino a quando non lo avranno
fatto. Non permetterò che accada.”
Un ringhio sommesso provenne
dall’altra parte del torrente. Pochi secondi dopo, il lupo nero
dagli occhi chiari apparve al limitare del bosco. Senza esitazione, il
grosso animale iniziò ad attraversare il torrente, passando sul
tronco. La pioggia, però, lo aveva reso scivoloso. A metà
percorso, il lupo scivolò giù dal tronco, con la parte
posteriore del corpo. La forza dell’acqua gli impediva di tornare
sul tronco, minacciando di trascinarlo via. Il lupo cominciò a
guaire, per la paura e la disperazione.
“NO! SHERLOCK!”
urlò John, andando verso lui, ma Mary lo fermò:
“Quel tronco non reggerà entrambi. Lascia andare me.
Tienimi saldamente per i fianchi, in modo che non cada anche io nel
torrente. Lo tirerò fuori.” Avrebbe voluto aggiungere
“Per te,” ma non lo fece. John annuì.
Mary si sdraiò sul tronco ed
afferrò il lupo al collo, saldamente, tirandolo su, mentre
faceva forza sulla schiena e sulle gambe. John la teneva stretta, in
modo che non scivolasse nel torrente. Il lupo era terrorizzato e
cercò di arrampicarsi sulla ragazza, per mettersi al sicuro,
conficcando gli artigli nella schiena di Mary, che urlò per il
dolore, ma continuò a mantenere la presa sull’animale,
che, lentamente, riuscì a tornare sul tronco e finì di
attraversare il torrente.
John aiutò Mary a rimettersi in piedi: “Fammi vedere cosa ti ha fatto.”
“Non è nulla.”
“Sei un medico, ora?”
John la fece girare, in modo da
poterle esaminare la schiena. Mani delicate e gentili si mossero
prudentemente sul corpo di Mary, facendola rabbrividire. Il lupo si
accucciò al loro fianco.
“Dobbiamo tornare alla taverna. Nelle sacche di Golia c’è qualche medicamento.”
“Non possiamo tornare
là. – lo contraddisse Mary – Sherlock ci seguirebbe
e sarebbe in pericolo. Dobbiamo rimanere nel bosco.”
John stava per ribattere, quando si
sentì il cigolio di un carro. Mike li aveva raggiunti. Aveva
anche smesso di piovere. Sembrava quasi che il cielo avesse deciso di
stare dalla loro parte.
John medicò Mary, mentre
Mike accese il fuoco e preparò qualcosa da mangiare, oltre che i
giacigli, per la notte. Il lupo non abbandonava il fianco di John,
appoggiando il muso sulle sue gambe, ogni volta che ne avesse
l’occasione. John lo accarezzava, immerso nei propri pensieri. Si
alzò, per raggiungere il proprio giaciglio, ma si voltò
verso Mike, fissandolo intensamente: “Stiamo per mettere, di
nuovo, le nostre vite nelle tue mani, amico mio. Spero tanto che tu non
ti stia sbagliando. Dì a Sherlock, da parte mia, che io voglio
crederti, che possiamo aspettare un giorno in più, se
tutto avrà fine, ma aggiungi che ho piena fiducia nella sua
capacità di giudizio e scelta. Quello che lui deciderà,
andrà bene anche per me.”
“Grazie John. Non te ne pentirai. Te lo giuro.”
“Lo spero, Mike. Lo spero, per Sherlock… per me… questa non è vita.”
“Andrà bene. – intervenne Mary, con un sorriso – Convinceremo Sherlock.”
John annuì e si allontanò dal fuoco, con il lupo sempre al suo fianco.
Da quando aveva incontrato Sherlock
e John, la vita di Mary era divenuta molto complicata. Era diventato
difficile persino prendere sonno. Quella notte non fece eccezione. John
era un ottimo medico, ma il dolore per le ferite, riportate sulla
schiena, non accennava a diminuire. Mary cercava una posizione che le
permettesse di addormentarsi, ma le era impossibile trovarla. Lei e
Mike erano vicino al fuoco, mentre John ed il lupo erano più
distanti. John si era appisolato con un braccio sul lupo, che era
accucciato accanto a lui e non si muoveva. Mary li osservava, stupita
ed un po’ invidiosa: “Quanto
amore ci vuole, per restare insieme anche in queste condizioni? Quanto
amore si deve provare, per non scappare lontano da chi è la
causa del tuo dolore? È sempre così l’amore? Oppure
sono loro due ad essere così speciali?”
L’alba si stava avvicinando.
La luce del sole stava rischiarando la notte buia. Non c’erano
più nubi che oscurassero il cielo.
John si mosse. Si era svegliato,
quasi avvertisse l’approssimarsi del nuovo giorno. Il cielo era
sempre più chiaro. Il giovane medico biondo si tolse la coperta
di dosso e coprì il lupo. Mary pensò che la mossa di John
fosse insensata, ma capì perché lo avesse fatto, quando
lo vide accadere.
Il lupo cominciò a tremare,
come se fosse vittima di una forte febbre. Lo stesso accadde a John. Le
due figure si sfuocarono, come se fossero circondate da un banco di
nebbia, ma di una innaturale luce bianca.
Mary sbatté le palpebre
diverse volte, per cercare di mettere a fuoco le immagini, ma non
servì a nulla. Più il giorno si faceva chiaro, più
quella strana nebbia circondava i due esseri che aveva davanti.
Improvvisamente, la figura del lupo venne sostituita da Sherlock.
Il cavaliere era lì.
Davanti a John.
E si guardavano.
Occhi chiari come l’acqua trasparente in occhi del colore dell’oceano.
Il cuore di Mary fece un salto ed
il suo viso si illuminò in un sorriso di gioia. I due amanti si
erano riuniti! La maledizione era stata cancellata! Forse Mycroft
Holmes aveva trovato un modo per sconfiggere Irene Adler e tutto era
finalmente finito!
John alzò una mano, con il
palmo aperto rivolto verso Sherlock. Il suo sorriso era triste, gli
occhi pieni di una malinconica rassegnazione. Sherlock alzò una
mano, per toccare quella di John. Il dolore e la disperazione, che
colmavano gli occhi del giovane Holmes, sembravano senza fine. Le loro
mani si avvicinarono desiderose ed bramose di toccarsi.
Mary era perplessa. Non capiva la
tristezza e la disperazione presenti negli occhi dei due uomini. Si
stavano vedendo, nella loro forma reale! In pochi istanti si sarebbero
toccati! Era tutto finito!
La strana foschia avvolgeva sempre
più i corpi di John e Sherlock, rendendoli quasi splendenti, in
modo magico. Le dita cercavano di sfiorarsi, di afferrarsi, ma erano
ancora immateriali, trasparenti. Era come se cercassero di prendere e
stringere la nebbia.
Il cuore di Mary iniziò a
battere sempre più velocemente. Il sorriso si spense, mentre un
nodo le stringeva la gola, impedendole di deglutire. C’era
qualcosa che non andava.
Le figure di Sherlock e John
stavano diventando più materiali, meno evanescenti, ma loro non
erano felici. Le loro dita stavano finalmente per toccarsi, quando il
primo raggio di sole illuminò il cielo.
John sparì, mentre il falco volò via, stridendo per il dolore.
Sherlock, nudo sotto la coperta,
sfogò la rabbia e la disperazione, con un urlo furioso,
picchiando il terreno con i pugni chiusi.
Il falco era lontano, in alto nel cielo.
Mary si chiese se sarebbe tornato indietro o se avrebbe deciso di fuggire via.
Sherlock rimase immobile, i pugni
piantati in terra, le spalle e la testa piegate, sotto un peso
insopportabile da sostenere, per non mostrare il dolore, che gli stava
devastando il cuore.
Mary sentì le lacrime,
inarrestabili, solcarle le guance. Non tentò di fermarle. Non le
asciugò: “Signore, tutto questo si ripete ogni mattina? Ad
ogni alba John e Sherlock si vedono per pochi secondi, senza potersi
nemmeno toccare? Senza potere sentire il calore emanato dal corpo
dell’altro? Signore, tutto ciò non è giusto!
È crudele e disumano. Nessuno merita una punizione così,
qualsiasi sia la colpa che debba scontare. Soprattutto, non due persone
il cui unico peccato sia amarsi tanto, come si amano John e Sherlock.
Ti prometto che farò qualsiasi cosa in mio potere per aiutarli a
tornare insieme, mettendo fine a questa tragedia. E stavolta non ci
saranno sotterfugi. Non mi rimangerò la parola che ti ho dato.
Non cercherò un modo per aggirare la promessa che ti ho fatto.
Dovessi impiegare tutta la vita, dovessi sacrificare la mia stessa
esistenza, farò di tutto affinché quella strega paghi per
quello che ha fatto. Romperemo la maledizione. Fosse l’ultima
cosa che farò, nella mia inutile vita, John e Sherlock
torneranno insieme.”
Angolo dell’autrice
Per prima cosa, sono imperdonabile,
lo so, ma domenica scorsa mi sono dimenticata di ringraziare chi stia
leggendo e segnando la storia in qualche categoria e chi abbia
lasciato un commento. Purtroppo, me ne sono accorta troppo tardi, per
rimediare. Cosa volete? L’età che avanza non è una
cosa da poco!
I ringraziamenti non sono una
formalità, per me, ma sono fatti con il cuore, perché
è grazie a voi che io continuo a divertirmi, scrivendo racconti
sui nostri personaggi preferiti.
Quindi, grazie a chi stia leggendo
la storia, a chi la stia segnando in qualche categoria e grazie a
0803Anna, Blablia87, AkaNagashima, adlerlock,, naisia, emerenziano,
klonoa75 e Koa_ per i commenti ai vari capitoli precedenti.
Mary si è infatuata di John, ma, state tranquilli, qui non lo sposerà!
L’ultima scena è
presente nel film. Ho sempre pensato che fosse la scena più
romantica ed angst, che avessi mai visto. Spero di essere riuscita a
trasporla su carta come merita.
Chi volesse lasciare un commento, è sempre benvenuto.
A domenica prossima, per la fine della storia.
Ciao! 😊
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