Attenzione! La
storia seguente presenta tematiche delicate. Vorrei precisare che non
promuovo
nessun tipo di disordine alimentare. Pertanto, se si è
facilmente influenzabile
sconsiglio la lettura, non voglio avervi nella coscienza.
V
Quarantasettepuntootto
**
Non si
può
dire che quella mattina Leo si svegliò di buon umore
perché non fu affatto
così, anzi una sorta di amarezza gli appesantiva il petto
quando con uno scatto
bloccò la sveglia prima che i suoi compagni di stanza
potessero sentirla.
Benvenuta
Domenica, pensò con stanchezza e sbuffò mentre si
districava dalle lenzuola
marroni. Sembrava che nella sua testa fosse stato organizzato un
mega-party
clandestino e quando chiudeva le palpebre pesanti poteva ancora vedere
Jason
che lo trovava seduto per terra nel retro del bar e gli diceva che era
ora di
tornare. Era triste, perché per quanto si sforzasse non
riusciva a ricordare i
lineamenti del volto di Echo nonostante ricordasse di essere stato
colpito
dalla sua bellezza.
Quindi
no,
non si può di certo dire che quella mattina Leo si fosse di
buon umore, ma si
finse di mostrarlo quando ammiccò alla propria immagine allo
specchio del
bagno. È
vero: in quel momento non era
felice, ma poteva fingerlo di esserlo.
Se
mostri
quanto ti fa male, hai perso. E in un gioco del genere non si
può perdere, c’era
gente che aveva scommesso su di lui. Sua madre, per esempio. Per questo
si
regalò un largo sorriso. Indossava ancora i vestiti della
sera precedente e la
stoffa era impregnata da una puzza mista sudore e fumo con quel
pizzicore acre
dell’alcool che punge le narici. I capelli si ingarbugliavano
sulla sua testa
in mille riccioli disordinati come al solito anche se nel lato sinistro
erano
leggermente schiacciati. Si passò una mano sul viso
stropicciandolo e
sbadigliò. Odiava svegliarsi così presto.
Per le
ciambelle calde questo e altro, si decise iniziando a slacciarsi i
jeans e
diede la schiena allo specchio quando fu il momento di sfilare la
maglia,
vedere le cicatrici sul suo torace allo specchio. Era strano, era
disturbante. Lo
turbava. Perché finché guardava quei tagli
direttamente non ne aveva una vera
coscienza perché era il suo corpo e quindi... non lo sa,
però non gli faceva
male, non lo faceva sentire in colpa. Invece lo specchio è
come, tipo, non so
come dire, un quadro. Un quadro al quale si vedeva la faccia e che
aveva la
sua, di faccia, ed è una cosa strana vedere una persona che
in teoria dovrebbe
essere sé stessa ridotta in quel modo.
(no, non
si
è spiegato, ma non importa. Fa lo stesso. È come
sempre. Quasi)
Si
lavò di
fretta e distrattamente, non si asciugò nemmeno i capelli e
i ricci gocciolavano
sulla maglietta rossa pulita ma alla fine non ci faceva nemmeno caso,
si regalò
solo l’ennesimo sorriso furbo alla specchio.
Uscì
e
camminò per il corridoio fischiettando e le mani ben
impiantate nelle tasche
dei jeans al ginocchio. Leo non era particolarmente felice, ma lo
sembrava ed
era questa la cosa importante. Il corridoio era deserto, tutti
approfittavano
della domenica per dormire. Tranne lui. E un’altra ragazza
che molto pratilmente
stava percorrendo un corridoi più basso verso la povere
segretaria per
stordirla a forza di richieste. Spesso si chiedeva se la segretaria
avesse una
vita al di fuori della reception, tipo un marito e una famiglia piena
di
poppanti urlanti. Se li immaginava:
“Come
è andato al lavoro, tesoro?”
“Il
solito, cara. E da te, nella scuola piena di
piccoli pazzi?”
“Il
solito, solo un ragazzino si è chiuso dentro una
classe convinto che il mondo cospirasse alle sue spalle”
“Capisco”
Se li
immaginava, e d’altronde era successo davvero qualche anno
fa. Uno dei ragazzi
aveva iniziato a urlare in piena notte e si era barricato
nell’aula di chimica
minacciando di creare un composto esplosivo se solo avessero tentato di
aprire
quella porta. Un tipo simpatico che soffriva di manie di persecuzioni e
ogni
tanto bisbigliava qualcosa contro tutti, Ottaviano se non sbagliava.
Quella volta
avevano dovuto chiamare i vigili del fuoco, s’era fatto un
sacco di risate. Esilarante
era stato quando una bambina, Meg se non sbagliava, aveva provato a
rapinare
uno dei negozi di verdure usando una bomba fatta di deodoranti.
Ovviamente non
aveva funzionato ma era bastata la piccola a mandare
all’ospedale il vecchio
commesso. Quello, non era stata divertente.
Dalle
finestre del corridoio entravano raggi immobili di luce diretta e
dovette
socchiudere gli occhi perché davano davvero fastidio. Aveva
mal di testa, ma
dopo tanti post-sbornia era talmente abituato da non farci nemmeno
caso. Tolse una
mano dalla tasca appoggiandola sul corrimano e si apprestò a
scendere le scale
quando una voce femminile alle sue spalle chiamò il suo nome.
Irrigidì
immediatamente
alle spalle artigliano il corrimano riconoscendo la familiare
inclinazione
delle sue lettere nella pronuncia francese.
“Non
mi
saluti nemmeno?” continuò quella voce con
meraviglia distaccata. Era sempre
difficile inquadrare le sue emozioni, era sempre così
incolore.
“Non
ti
avevo visto” rispose sinceramente rilassando la schiena e
distendendo lo
sguardo in una smorfia malinconica, un leggero sorriso rassegnato sulle
labbra.
“E credevo che non ti avrei rivista mai
più” continuò.
“Lo
credevo
anch’io” la voce femminile si fece più
chiara come se si stesse avvicinando
alle sue spalle, la percepiva sempre più vicina ma non osava
girarsi. “Speravo
di non tornare più qui, ma mio padre riteneva...”
e lasciò la frase sospesa
allungando di poco la lettera a. Leo poteva immaginarla chiaramente
alzare gli
occhi al cielo, la cosa lo fece sorridere un poco.
“Sono
appena arrivata, comunque.” Ora la sentiva chiaramente dietro
di sé, ma ancora
non voleva voltarsi. “E’ ancora tutto uguale a come
ricordavo”
“Dici?”
le
domandò inarcando un sopracciglio, gli tremavano leggermente
le punta delle
dita nella tasca dei jeans.
La voce
scoppiò in una breve risata derisoria. “Non
è cambiato niente” ripeté
“Sei
rimasto lo stesso anche tu”
Fu a
quel
punto che decise di voltarsi, si mordeva nervosamente
l’interno di una guancia
ma si sforzò di mantenere una luce vispa negli occhi color
caffè. Allargò il
viso in un sorriso dispettoso quando mise a fuoco la figura snella
della
pallida ragazza che aveva davanti, sembrava Biancaneve. Capelli neri
come l’ebano,
pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue.
“Chi
lo sa”
disse vivacemente con una leggera punta di rammarico “Potrei
perfino stupirti,
Chione”
**
Appena
quel
suono acuto e trillante iniziò spalancò gli occhi
alzandosi di scatto talmente
velocemente che le sembrò di ricevere un pugno al centro
dello stomaco, la
vista le si appannò e nella bocca le si propagò
un gusto acre che sapeva di
vomito. Strizzò gli occhi mentre tirando giù
qualche santo dal paradiso Rachel
spegneva la sveglia di Hazel, l’unica che non
l’aveva sentita e continuava a
dormire beatamente.
“Brutta—
sono le sette!” sbraitò la rossa sbattendo
più volte le palpebre una volta
accertatasi dell’ora improponibile “Ed è
domenica!” aggiunse come per rimarcare
quanto indecente fosse il fatto di una sveglia accesa.
Calypso,
dal canto suo, si gettò nuovamente sul cuscino con un grande
respiro e
chiudendo gli occhi, quel sapore acre e nauseabondo ancora sulla
lingua. Adesso
che era sveglia si accorse che il suo letto sembrava essere una
barchetta e la
sua testa era stata assalita da saette di emicrania come se nella sua
testa la
sveglia stesse ancora suonando implacabile. Un tonfo la
informò che anche
Rachel aveva seguito il suo esempio rigettandosi fra le coperte
speranzosa di
riprendere il sonno interrotto, peccato che lei ormai fosse
completamente
vigile. Il cuore le batteva ancora forte per lo spavento e quella
insopportabile ostruzione alla gola le faceva ribaltare lo stomaco. E
il mal di
testa, diamine se doloroso! Come se avesse sbattuto con la fronte
contro
qualcosa. Socchiudendo gli occhi spiò sul suo comodino dove
stazionava la sua
sveglia – furbamente disattivata la sera prima –
segnare le sette e qualche
minuto, i numeri spigolosi erano visibili
nell’oscurità della stanza.
Improvvisamente,
si accorse di avere la vescica piena. Sbuffò serrando gli
occhi con la speranza
di ignorare quel fastidiosissimo bisogno e si strinse ancora di
più nelle
coperte cercando una posizione che non le gravasse sulla pancia gonfia.
Ma
ormai il pensiero della pipì si era fatto pressante nella
sua mente forte e
doloroso quanto l’emicrania e combatterlo era assolutamente
inutile. Strizzando
gli occhi nel tentativo di mettere ben a fuoco la realtà si
alzò lentamente dal
letto abbandonando il calore delle coperte chiare; la prima cosa che
notò fu
che la sensazione di leggerezza che aveva provato per buona parte delle
notte
era sparita lasciando invece una pesantezza dolorosa come se qualcosa
l’avesse
appena investita, per contro il pavimento ondeggiava ancora un pochino
ma meno.
Forse era ancora la stanchezza sommata al frastorno per il brusco
risveglio.
Cercando le pareti con le mani (non voleva accendere la luce per
svegliare le
altre, anche se Hazel se lo meritava per non aver spento la sveglia e
non
essersene nemmeno accorta!) raggiunse la porta del bagno,
l’aprì e si intrufolò
dentro richiudendolo alle proprie spalle senza far rumore.
Subito
dopo, seduta sulla tazza con le mutande calate, pensò che
valesse la pena
vivere anche solo per fare la pipì, specialmente quando
l’avevi tenuta una
notte intera: che sensazione meravigliosa!
Una
volta
esaudito il bisogno si lavò le mani e guardandosi allo
specchio sopra il
lavandino notò di aver l’aspetto di una straccia
per pavimenti, aveva davvero
un aspetto orribile. Anche le ossa le facevano male come se un tir le
fosse
passato sopra, senza contare la sensazione di nausea che le comprimeva
lo
stomaco e la gola. Si gettò l’acqua gelata sulla
faccia e incastro le mani fra
le ciocche annodate sulla testa, quando le tolse si portò
via molte fili
castani. Li guardò con noncuranza appoggiandosi con tutto il
peso sul lavandino
e strizzando gli occhi ancora una volta, quel mal di testa non riusciva
a farla
pensare.
Prese un
grosso respiro e poi buttò fuori l’aria tutto in
un colpo, ripeté la cosa più
volte finché la vista non si snebbiò. Fatto
questo lasciò la presa dal
lavandino rizzandosi con la schiena, la spina dorsale
scricchiolò, la maglietta
si alzò lasciando scoperta un lembo di pelle chiara del
ventre con le ossa dei
fianchi sporgenti che sembravano sul punto di bucarla.
Afferrò l’orlo con le
dita e la tolse, sotto la pelle si vedeva il guizzo delle costole e dei
piccoli
muscoli.
Si
fissò
con un attenzione chirurgica allo specchio sfiorandosi con i
polpastrelli della
mano. Si toccò gli zigomi alti segnando una linea sulla
guancia come se li
volesse ancora più affilati, passò il dito lungo
il collo fino alla clavicola
sporgente, aveva le spalle ossute e i seni piccolissimi e bianchissimi,
si
intravedevano le costole ad ogni respiro e le gambe erano lunghe e affilate come le zampe di un
ragno. Passò la
mano sul bacino sentendolo più gonfio del solito e poi
guardò con criticità le
cosce.
Erano
ancora troppo grosse.
Si mise
di
profilo sempre con la mano sulla pancia e studiò la curva
della sua schiena,
trattenne il respiro facendo ritirare la pancia e marcando ancor di
più le
costole. Si morse il labbro mentre dal naso buttava fuori tutta
l’aria. Era così
che avrebbe dovuto essere, era così che sarebbe diventata.
Ci sarebbe riuscita,
a qualsiasi costo. Si studiò i polsi delle mani
così fini dai sempre fin troppo
fragili, fatti di un qualche cristallo. Accucciandosi tirò
fuori la bilancia e
ci salì per guardare a che punto fosse.
Quando
vide
il numeretto spigoloso il respiro le si mozzò nei polmoni.
47.8
Spalancò
gli occhi scendendo e allontanandosi, scuoteva la testa dicendosi che
non era
possibile. Era semplicemente impossibile. Attese un po’, poi
salì ancora e
quando il risultato fu lo stesso sentì un grido bloccarsi in
gola e gli occhi inumidirsi.
Si sedette per terra prendendosi la testa con le mani, aveva voglia di
urlare e
singhiozzare e sbattere la testa contro il muro. Si morde le labbra a
sangue
per non farlo, come può essere diventata improvvisamente
così cicciona? Per forza
aveva quella pancia e quelle cosce da tacchino. Era impossibile, fino
al giorno
prima era 46 chili, come aveva fatto a prendere più di un
chilo in una notte
soltanto?
Aveva
cenato, e dopo le avevano fatto mangiare la pizza. La pizza. Quante
calorie ci
sono in una sola fetta di pizza? Tante, troppo e ora erano
lì a manifestarsi in
quella ciccia sporgente. E i due bicchieri di alcool che aveva bevuto.
Gesù,
perché si era messa a bere? Eppure lo sapeva bene quanto
potesse essere calorico
e dannoso per il fisico, si era documentata. Stupida, stupida, stupida.
Come poteva
essere stata così incosciente? Aveva rovinato tutto il
lavoro che stava
facendo. In una sola notte. Iniziò a piangere desiderando di
mettersi a correre
e correre finché nono stramazzava al suo priva di energia,
cancellare quel
numero così alto e insopportabile e... voleva vomitare.
Devo vomitare.
Si
asciugò
le guance con il dorso della mano, si strofinò il viso e
gattonò verso la tazza
del wc. Non aveva
mai vomitato
volontariamente e non sapeva nemmeno bene come si facesse, ma quella
era un’emergenza
e doveva fare qualcosa. Si sporse verso il cesso e fissò
l’acqua, poi si
portò l’indice e il medio dentro nella
bocca appoggiandoli sulla lingua e li fece scorrere verso la gola. Era
una
sensazione bruttissima, le veniva quasi difficile respirare. Quando
toccò la
gola strinse gli occhi e spinse verso il basso con la punta delle dita,
fu
sgradevole e qualcosa le si mosse nello stomaco. Si stuzzicò
la gola con le
dita finché un forte conato non la fece quasi soffocare e
sfilò velocemente le
dita protendendosi ancor di più verso la tazza.
Vomitò una sostanza disgustosa
e salivata dall’odore nauseabondo, quasi bastò
quella a farla rimettere un’altra
volta. Ma aveva lo stomaco vuoto, ormai era troppo tardi.
Aveva
già
assorbito tutte le calorie.
La
faccia
si deformò in una smorfia orribile mentre riprendeva a
piangere e questa volta
senza nemmeno preoccuparsi di far piano, aveva ancora in gola quel
saporaccio
orribile e la sensazione di qualcosa che la soffocava e sul mento un
rivolo
della sostanza appiccicosa che aveva rimesso ma non se ne
curò, si sporcò la
faccia con le lacrime e quella saliva mentre si passava le mani sul
volto per
nascondere gli occhi. Si sentiva così ripugnante e in colpa
da non riuscire a
pensare, c’era solo un ceco terrore nella sua mente. Era come
se la avessero
tolto ogni forza. Era la stessa sensazione che aveva provato anche alla
clinica
specializzata ma qui era peggio. Lì aveva ripreso il peso
non per colpa sua, ma
dei medici che la ingozzavano in ogni modo come un maiale al macello,
invece
qui era stata lei. Nessuno l’aveva costretta a mangiare,
nessuno l’aveva
attaccata a degli integratori. Era colpa sua.
Era
colpa
sua se in quel momento era una balena piaggiata. Era stata lei a
buttare in una
solo sera tutti quei mesi di controllo, non aveva saputo controllare.
Si era
ingozzata come un’animale. Singhiozzò
più forte con le spalle ossute che
tremavano e le labbra martoriate mentre le stringeva negli incisivi per
non
urlare. Era una persona orribile, una persona grasse e orribile e
incapace di
controllarsi.
Quasi
non
si accorse della porta del bagno che si apriva finché non
sentì la compagna di
stanza lanciare un gridolino sorpreso facendola sussultare
più forte.
“Calypso!”
la chiamò Rachel immobilizzata al tuo posto “Va
tutto bene?!”
Domanda
stupida, no che va tutto bene, sono una cicciona obesa e sono
ingrassata ed è
colpa mia, sono una stupida obesa.
Si
portò le
mani al volto per asciugarsi gli occhi dalle lacrime nel tentativo di
apparire
meno miserabile ma l’unico risultato fu quello di sporcarsi
ancor di più la
faccia.
“M-m-i
v-vie-vien-e d-da... da vom-i-mitare-re—“
singhiozzò traballante inciampando in
ogni sillaba. Avrebbe
tanto voluto
vomitare tutto quello schifoso grasso che le appesantiva il corpo.
La rossa
spalancò gli occhi e si affacciò nuovamente nella
stanza chiamando Hazel a gran
voce, poi si accucciò accanto a lei cercando di tirarle
dietro i capelli.
“Va
tutto
bene, non preoccuparti” cercò di rassicurarla a
disagio, la vista di quel viso
sporco di lacrime e vomito la turbava tantissimo, soprattutto
perché aveva gli
occhi così rossi che sembravano sul punto di sciogliersi in
sangue. “Se devi
vomitare, fallo. Meglio fuori che dentro”
“Che
succede?” biascicò Hazel appoggiandosi assonnata
allo stipite della porta ma
appena vide l’amica accucciata con la testa nel cesso divenne
immediatamente
vigile. “Cal, cos’hai?”
“Le
viene da
vomitare” rispose al suo posto Rachel continuando a
pettinarle i capelli all’indietro
con le dita.
“Buon
Dio!”
esclamò Hazel con un lampo di comprensione negli occhi
“Cosa l’avete fatta bere?!”
e subito dopo sbadigliò.
“Ma
niente”
sbottò Rachel. Calypso intanto continuava tremare per quanto
si stesse
sforzando di trattenersi ma quel numero comparso sulla bilancia
appariva
davanti a lei ogni volta che sbatteva le palpebre e una voce maligna le
canticchiava nelle orecchie ‘cicciona’ in mille
tonalità diverse; dapprima
acuto, poi strascicata, in maniera beffarda, veloce e lapidaria,
delusa,
robotica, sprezzante. Quella di suo padre.
Ciicciooona.
“E’
strano
che le venga da vomitare adesso” sentì dire dalla
rossa “Solitamente non passa
tutto quel tempo”
Hazel
annuì
come se stesse ricordando qualcosa. “Hai già
vomitato?” le domandò.
Annuì,
non
aveva neanche un respiro di voce per parlare. Se avesse aperto lo
bocca, lo
sapeva, avrebbe urlato fino a svenire.
Ciicciooona.
“Ed
era...
ehm, consistente?”
Scosse
la
testa, aveva vomitato per lo più saliva e succhi gastrici.
“Forse
è
solo sfinita” ipotizzò Rachel continuando ad
accarezzarle la testa “Magari deve
mangiare qualcosa”
“Possiamo
andare a fare colazione” concordò Hazel.
A quelle
parole la mente di Calypso fu letteralmente invasa dal panico e smise
di
pensare lucidamente. Non poteva andare a mangiare, era già
abbastanza obesa
così, non doveva mangiare, non doveva mangiare, non doveva
mangiare, non doveva
mangiare! La sola idea il suo stomaco faceva mille capriole e la
sgradevole
sensazione dei conati tornava alla sua gola bloccandole il respiro come
se
stesse per vomitare ancora. Era soffocante. Si sentì
claustrofobica in quel
bagno.
“No”
ma
aveva la voce talmente roca che dovette tossire e ripeterlo
“No” la fissarono
perplessa e lei cercò di spiegarsi
“L’idea del cibo mi fa tornare la nausea”
il
che era del tutto vero. La sola idea del profumo della brioche la
faceva
rimettere.
“E
se fosse
un’influenza?” domandò retoricamente la
più piccola “Forse si è presa un virus.
Non lo so...”
“Bisognerebbe
chiamare la mamma di Percy” costatò nervosamente
l’altra.
“Sei
proprio sicura di non voler qualcosa? Magari potrebbe
aiutare...” la guardava
con gli occhi dorati ricolmi di preoccupazione come se fossero sorelle.
Fu un
pensiero che la fece stare sia bene che male allo stesso tempo, era da
tanto
che qualcuno non la guardava così.
Scosse
la
testa con forza.
“Con
la
nausea?” le domandò Rachel “Se si
è attenuata credo che tu debba tornare a
letto. Ma prima è la caso di pulirti un po’ il
viso”.
L’acqua
gelato fu un po’ un sollievo anche se la fece rabbrividire ma
almeno si tolse
quei succhi gastrici dalla faccia, si risciacquò anche la
bocca per scacciare
quel saporaccio. Quando Hazel le porse la sua maglia del pigiama si
accorse di
essere stata per tutto quel tempo solo negli slip e abbassò
lo sguardo
vergognandosi tantissimo. Non era abituata a girare senza vestiti, la
nudità la
facevano sentire esposta; nei vestiti poteva nascondersi.
“Cosa
facciamo, noi?” chiese Rachel mentre Calypso tornava fra le
lenzuola,
desiderava tirarle fin sopra la testa e nascondersi lì sotto
per sempre.
“Scendiamo,
tanto vale” rispose l’altra “E magari
passiamo per l’infermeria”
Quando
le
due compagne di stanza finirono si sistemarsi e uscirono dalla camera,
lei
ricominciò a piangere. Si promise che non sarebbe mai
successo mai più, che
avrebbe rimediato e tutto si sarebbe risolto, avrebbe saltato sia il
pranzo che
la cena e avrebbe fatto un po’ di sport.
Voleva
solo
scomparire.
**
Mentre
camminava con passo spedito e allegro per i corridoi, Piper si
intrecciava
distrattamente una ciocca di capelli e un sorriso timido le incurvava
le labbra
verso l’alto. Sentiva che quella era la domenica giusta,
sicuramente suo padre
le aveva spedito qualcosa. Forse
le
aveva scritto che aveva prenotato una vacanza solo per loro due lontano
dai
paparazzi e tutti i problemi. Sicuramente era così.
Pensò
distrattamente che se avesse trovato quella lettera lo avrebbe
perdonato, gli
avrebbe perdonato tutti quei mesi di silenzio e tutto sarebbe tornato a
posto.
Lo
pensava
con quel bellissimo sorriso timido e le dita che formavano una piccola
treccina
quando alzando gli occhi mise a fuoco una figura alla reception.
Una
ragazza
dalla camicetta bianca e una rigogliosa chioma
nera e lucente parlava con la segretaria inclinando la
testa di lato di
tanto in tanto. Era di spalle, ma non le ci volle molto per
riconoscerla.
Proprio
in
quel momento la ragazza si voltò e sembrò notarla
anche lei da come sogghignò.
Con passo sicuro la raggiunse, le labbra rosso scure distese in una
finta
espressione benevole.
“Vedo
che
anche tu sei ancora qui” le cinguettò quando le fu
vicino “McLean”
“Boreade”
costatò stringendo i pugni “Sei tornata”
Chione
fece
una smorfia come se avesse appena ingoiato qualcosa di schifoso come un
cavolino di bruxells. “Non che io ne sia felice,
l’ho già detto al piccolo
piromane”
Piper
spalancò gli occhi rendendosi conto di chi si riferiva.
“Sì,
anche
lui ha fatto quella faccia sconvolta” la informò
noncurante, poi la superò
altera iniziando a salire la scale “Ci vediamo”
Lei
rimase
qualche secondo immobile a fissare la reception con sguardo smarrito,
poi capì
cosa fare e si girò tornando indietro. Doveva cercare Leo.
**
NDA:
Questo
capitolo doveva essere più lungo, ma ho pensato di tagliarlo
in due perché...
be’, qui la situazione si fa un po’ più
seria e non vorrei appesantire troppo
la narrazione. Non lo so, avendo messo il rating arancione non vorrei
andare troppo
sul pesante, anche perché questa storia dovrebbe avere anche
un contorno fluff.
E nulla,
ditemi voi, qui compaiono solo i nostri due protagonisti alla fine. E
non lo
so, mi piacerebbe un pochino sapere anche l’idea generale che
vi siete fatti su
tutti i personaggi. Lo sapete, no, che sono paranoica e ogni tanto ho
davvero
la sensazione di star scrivendo una grande stupidata e/o di star
parlando in
maniera del tutto inappropriata.
Mi
dispiace
l’ora tarda ma con la scuola sono iniziati anche i mille
impegni c_c
E nel
caso
a qualcuno interessasse, ho anche pubblicato una piccola one-shot sulla
Caleo,
la trovate nel mio profilo se la volete^^
Spero di
leggere qualche vostro commento,
con
affetto
Hatta
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