Faccia a faccia
Faccia a faccia
Nel piccolo campo le
attività giornaliere erano iniziate poco dopo il sorgere del
sole. I tre facevano finta che non fosse accaduto nulla, che non si
fosse ripetuto il dramma di ogni giorno. John era sparito e Sherlock
non mostrava alcun segno del dolore, che aveva urlato al sole nascente.
Nessuno parlava.
Sherlock stava sellando Golia,
quando si sentì lo stridio di un rapace. All’orizzonte
apparve il falco, dai riflessi dorati, che stava planando verso il
piccolo accampamento. Sherlock distese le labbra in un lieve sorriso,
quasi sollevato, ed alzò un braccio, pronto a fornire a John il
solito appoggio, per salutarlo ed accarezzarlo, ma, con grande sorpresa
di tutti, il rapace oltrepassò il cavaliere e si andò a
posare sull’avambraccio di Mary, che si stava stiracchiando.
Sherlock li fissò interdetto.
“Vai da Sherlock. Su. Fai il
bravo falchetto. Vai da Sherlock. Lo sai che lui ti vuole bene. Vai,
su!” Mentre sollecitava John ad andare dal cavaliere, Mary
sbatteva energicamente il braccio su cui il rapace si era appollaiato,
per sbilanciarlo e costringerlo a volare da Sherlock, ma il cocciuto
falco non voleva saperne di andarsene. Un po’ irritata, un
po’ spaventata ed un po’ lusingata, Mary continuò a
parlare con il falco: “Vai da Sherlock, che ti ama tanto. Su, da
bravo, vai!” La ragazza era quasi disperata, quando il falco
saltò sul braccio di Sherlock, che gli accarezzò il petto
candido, mentre fissava Mary con un sorriso divertito sulle labbra:
“Si direbbe che siate diventati amici.”
“Non è successo nulla strano. Abbiamo ballato…”
“Avete ballato?”
Sherlock aveva smesso di sorridere ed aveva assunto una espressione
infastidita ed irritata, che preoccupò Mary: “Solo un
po’, nella stalla, dopo che lui si era vestito…”
“Eri nella stalla, mentre John si trasformava?”
“Lui era dentro il box, non lo potevo vedere! Fuori diluviava! Cosa volevi, che prendessi una polmonite?”
Sherlock scosse la testa. La sua
espressione si addolcì: “Cerca di capire Mary. Io ti
invidio. Tu puoi trascorrere del tempo con John. Vederlo sorridere.
Osservare le stelle nelle sue iridi. Sentire la sua pelle calda sotto
le tue dita. Sai da quanto tempo io non posso fare nulla di tutto
ciò?”
“Anche John sente la tua mancanza.”
“Davvero?” Un lampo di
dolore attraversò gli occhi di Sherlock, facendo arretrare Mary.
Il cavaliere fece un sospiro, spostò il falco sul pomello di
Golia ed appoggiò una mano alla spalla della ragazza: “Non
devi preoccuparti. Mi fa piacere, se mi parli di lui, ma stai attenta a
quello che mi dici. Io capirò se siano davvero sue parole.”
Mary deglutì e si
stropicciò nervosamente le mani, cercando di capire cosa potesse
dire a Sherlock: “All’inizio era preoccupato che tu non
mangiassi a sufficienza. Poi, ha sorriso e ha detto che ti ama, che ha
fiducia in te e che sa che farai qualsiasi cosa per mettere fine alla
maledizione, che vi ha colpito.”
“Grazie,”
sussurrò Sherlock, stringendo la spalla di Mary, che fece una
smorfia di dolore. Il cavaliere la studiò per qualche secondo:
“Sei ferita,” concluse, attonito.
“Ieri notte ti ha tirato fuori dal torrente e tu la hai ferita,” intervenne Mike.
Sherlock fissò Mary, addolorato: “Mi dispiace averti ferita.”
“Oh, non è nulla. John
mi ha curata. È un ottimo medico. Ha delle mani delicatissime e
non ho…” si interruppe, quasi mordendosi la lingua. Non
voleva causare altro dolore a Sherlock.
Il cavaliere si diresse verso Golia: “Sei libera, Mary. Vai per la tua strada.”
“Cosa vuoi dire?”
“Non c’è bisogno
che tu torni con me a Londra. Sarebbe pericoloso. Troverò un
modo per entrare in casa di Irene, anche senza di te. Vai. E buona
fortuna.”
“No, aspetta! Oramai mi hai coinvolta in questa storia, non puoi lasciarmi indietro.”
Sherlock stava per montare in
sella. Si voltò verso Mary, con un sorriso triste sulle labbra:
“Non vuoi venire, credimi. Lo leggo in ogni parte del tuo essere.
Sei giovane. Dimenticati di noi. Addio Mary.”
“Aspetta domani, Sherlock.
– si intromise Mike – John crede che io abbia ragione e che
la maledizione possa essere spezzata, come è scritto in quel
libro che ho trovato. Il testo è molto preciso. Cosa ti costa
aspettare un altro giorno?”
“Stai vaneggiando. Non
esistono un giorno senza notte ed una notte senza giorno. Oggi
tornerò a Londra ed ucciderò Irene. Solo così,
tutto avrà fine.”
“Hai ragione, Sherlock,
sicuramente Mike straparla. – Mary concordò con il
cavaliere – Ricorda, però, che stai decidendo per
te… e per John. Mike
potrebbe sbagliarsi, ma se invece avesse ragione? Se tu ti comportassi
in modo avventato, uccidendo oggi Irene Adler e condannando John a
vivere in eterno la vostra maledizione, per poi scoprire che domani
sarebbe stato il giorno giusto per spezzarla e permettervi di vivere
insieme, felici per sempre, come ti sentiresti? John ti ama. Si fida di
te e delle tue decisioni, però crede anche negli studi di Mike e
ritiene che possiate attendere. Non vuoi ascoltare il suo parere? Non
vuoi dare alcun peso a quello che John pensa? Sono solo ventiquattro
ore. Un altro tramonto ed un’altra alba. Capisco che sia
terribile, quello che vi succede. Lo ho visto questa mattina e non so
come abbiate potuto sopportarlo per tanto tempo. Però, il
tramonto di stasera e l’alba di domani mattina saranno comunque
gli ultimi che vi divideranno. Cosa hai da perdere ad aspettare?”
Sherlock fissò Mary e Mike,
valutando quello che gli stavano dicendo. Si girò verso il
falco, che emise un delicato stridio, allungando il collo verso di lui.
Con un profondo sospiro, Sherlock si allontanò da Golia:
“E sia. Avete vinto. Aspetterò fino a domani.”
Mary saltò al collo di
Sherlock, abbracciandolo. Il cavaliere rimase rigido e la ragazza si
allontanò, rossa per l’imbarazzo: “Scusa, ma pensavo
che non saremmo mai riusciti a farti cambiare idea. Sei un testone sai?
Senza offesa, naturalmente.”
“Anche tu non scherzi, in
quanto a cocciutaggine… sempre senza offesa. Dato che abbiamo
del tempo da perdere, sarà meglio che vi insegni come si tratti
con i lupi, in modo da non farsi artigliare.” I tre risero,
mentre il falco si spostava sul braccio di Sherlock, come se volesse
dare la propria approvazione a ciò che era accaduto sotto i suoi
occhi azzurri, striati d’oro.
Il sole aveva seguito il suo
normale percorso, illuminando un’altra giornata fredda, ma tersa.
I tre erano arrivati vicino a Londra, in attesa del tramonto. Poco
lontano da uno degli ingressi secondari, ripassarono il loro piano,
prima di dividersi.
“Ti lascerò degli abiti asciutti dove abbiamo concordato,” disse Mike, sorridendo rassicurante a Mary.
“In caso prendessi una
polmonite, avrò ben due medici a curarmi. Non posso che
ritenermi fortunata, non credi?” La ragazza ricambiò il
sorriso.
“Ti ricordi dove si trovi la casa di Irene, vero?” Intervenne Sherlock, impaziente.
“Certo. Domattina sarò lì e ti farò entrare dalla porta principale,” lo rassicurò Mary.
Sherlock alzò lo sguardo
verso il sole: “Il tramonto si sta avvicinando,”
sussurrò, accarezzando il falco.
“A domani, allora,” li salutò Mary, avviandosi per raggiungere il Tamigi.
“A domani,” ricambiò Mike.
La giovane si voltò
indietro, per osservare i suoi compagni d’avventura. Sherlock
aveva iniziato a svestirsi, piegando e riponendo gli abiti in una delle
sacche. Il falco lo guardava, appoggiato alle sbarre di una gabbia,
costruita in legno robusto, che si trovava sul carro di Mike e che
sarebbe servita per portare Sherlock all’interno di Londra, senza
che nessuno sapesse che lui stesse arrivando.
Il fuoco illuminava
l’ingresso del ponte levatoio. Le guardie, annoiate, fermavano
chiunque arrivasse, sottoponendolo ad una perquisizione anche troppo
minuziosa. Malgrado l’orario, si era formata una piccola coda.
Mike e John erano seduti a cassetta, con Golia attaccato al carro, come
se fosse stato un semplice cavallo da tiro. Nella gabbia, coperta da un
panno, il lupo era sdraiato, in modo apparentemente tranquillo. Quando,
finalmente, arrivò il loro turno, l’ufficiale a capo del
turno di guardia si avvicinò al carro: “Cosa abbiamo
qui?” domandò, in tono baldanzoso.
“Si tratta di una consegna
per Lord Mycroft Holmes,” rispose Mike, mentre John cercava di
celare il viso nel cappuccio del suo mantello. Erano trascorsi alcuni
anni, dall’inizio della maledizione. Probabilmente, i soldati si
erano scordati del suo volto, ma non poteva esserne sicuro. Doveva
stare attento a non essere riconosciuto e catturato. Mike, invece, non
era ricercato. Se anche qualcuno si fosse ricordato di lui, poteva dire
di avere avviato una nuova attività. Il militare si era
avvicinato alla gabbia, scoprendola. Il lupo era scattato in piedi,
ringhiando al soldato. L’uomo fece un salto indietro, sguainando
la spada, pronto ad usarla contro il lupo. Mike sentì il corpo
di John tendersi, pronto ad aggredire la guardia, ma lo afferrò
per un polso, affinché non si muovesse dal suo posto:
“Fallo, signor ufficiale. Usa pure la tua spada sul lupo. Tutti
sappiamo quanto sappia essere magnanimo Lord Holmes, con chi rompa i
suoi giocattoli.”
La guardia bloccò il colpo a
mezz’aria. Da quando il fratello minore era stato colpito da una
maledizione, Mycroft Holmes era diventato ancora più freddo ed
intollerante. Tutti lo avevano visto punire soldati o svergognare
civili, anche influenti, per i motivi più futili. Nessuno voleva
essere iscritto nella sua lista nera. Soprattutto se non aveva amicizie
influenti, a cui chiedere un eventuale intervento di mediazione. Con un
grugnito di rabbia, il soldato rinfoderò la spada:
“Vattene, portati via questa bestiaccia. Che si diverta Lord
Holmes a farla a pezzi.”
“Con molto piacere, signore. Riferirò a Lord Holmes quanto lei sia stato saggio,” lo salutò Mike.
John si rilassò. Erano riusciti ad entrare a Londra. Sperava che anche per Mary fosse andato tutto bene.
Aveva impiegato circa
mezz’ora per arrivare al Tamigi. Nella luce del sole morente,
Mary ammirò le mura di Londra, che si stagliavano imponenti,
contro l’orizzonte. Il Tamigi scorreva lento e pigro, nella sera
fredda. “Ed eccomi tornata al punto di partenza. Se in tutto
questo c’è un significato, Signore, devo confessare che mi
sfugge. Con ciò, non voglio dire che io mi tiri indietro. Come
ti ho detto, farò di tutto per aiutare John e Sherlock.
Solo… insomma… vabbé… è inutile
stare a rimuginare su tutto questo. Tanto vale buttarsi.”
Mary si tolse una parte dei
vestiti, affinché non la ostacolassero a nuotare, e si
lasciò scivolare nell’acqua gelida. Furono le luci delle
fiaccole a guidarla verso le mura. “Speriamo che a nessuno sia
venuto in mente di chiudere la grata o la mia parte finirà prima
ancora di cominciare.” Mary nuotò fino a ridosso delle
mura, verso il punto da cui ricordava di essere uscita. Preso fiato, si
immerse. Dopo poche bracciate, ritrovò la grata, ancora aperta,
come la aveva lasciata. Con un sorriso ed un “Grazie,
Signore,” gridato con la mente, vi passò attraverso,
rientrando nella città, da cui era fuggita solo pochi giorni
prima. Riemersa, nuotò contro una corrente tranquilla, facendo
attenzione a non sbattere la testa contro il basso soffitto, fino a
vedere una grata sopra la propria testa. Attraverso l’apertura,
poté ammirare le stelle. Dalle acque di scarico alla grata,
c’erano pochi metri da fare in salita. Mary valutò le
pareti e notò che si intravedevano diversi appigli.
Evidentemente, uno dei lampioni che illuminavano le strade di Londra si
doveva trovare proprio sopra l’apertura. Con grande fatica e
lentezza, Mary iniziò la scalata, attaccandosi ad ogni
sporgenza, anche minima, che la parete le permetteva di trovare.
Salendo verso la superficie, l’apertura si faceva sempre
più stretta. Mary poté, così, appoggiare la
schiena ad una parete e fare forza con le gambe sull’altra per
andare verso l’alto. Arrivata alla grata, ascoltò ogni
rumore e guardò attentamente fuori, per controllare che non
stesse giungendo nessuno, quindi uscì, nella notte gelida.
Infreddolita e bagnata, corse verso il luogo in cui Mike doveva
lasciarle il cambio. Insieme ai vestiti, c’era anche un po’
di cibo. Mary sorrise ed addentò il pezzo di carne secca, mentre
si toglieva gli abiti bagnati e si infilava quelli asciutti. Si
appoggiò alla parete di una casa, per riposare qualche ora,
prima di entrare in azione. Un sorriso le illuminò il volto.
Tutto stava andando come pianificato. Tutto sarebbe andato bene.
L’alba del nuovo giorno colse
John e Mike nella stalla di casa Stamford. I genitori di Mike avevano
una abitazione a Londra, che, di solito, usavano solo per qualche mese
all’anno, dato che preferivano stare lontani dalla ambigua vita
di corte, troppo piena di intrighi e macchinazioni per un piccolo
signore di campagna. Mike era vissuto nella casa, durante il periodo in
cui prestava servizio come medico per la Guardia Privata del Re. Dopo
la sua fuga da Londra, i genitori avevano preferito non venire
più in città, ma avevano tenuto l’abitazione, per
salvare le apparenze. Mike e John erano entrati nella stalla, celati
dal buio della notte, ed avevano liberato il lupo dalla gabbia. Mentre
la notte si trasformava in giorno, John prese il muso del lupo fra le
mani, con un sorriso pieno di speranza sulle labbra: “Fra qualche
ora accarezzerò il tuo viso, Sherlock. Bacerò le tue
labbra. Sentirò la tua pelle calda a contatto con la mia.
È così tanto tempo che non succede, che non so se
riuscirò a staccarmi da te. Ti starò così
appiccicato, che ti arrabbierai con me. – si interruppe, per una
breve risata – Farò qualsiasi cosa, affinché tu sia
felice. Nulla è più importante di te, Sherlock. Tu sei
tutto per me.”
Il sole comparve ad illuminare
Londra. Come ogni mattina, John si trasformò in falco, mentre
Sherlock tornò ad essere umano. Stavolta, però, nel breve
istante in cui si incrociarono, i loro sguardi non esprimevano dolore,
ma erano pieni di speranza, aspettative e promesse. Il rapace non si
allontanò, non volò via. Rimase accanto all’umano,
tranquillo. Sherlock lo accarezzò: “Questa è stata
l’ultima volta, John. Qualsiasi cosa dovesse accadere oggi, non
ci saranno altre trasformazioni. In un modo o in un altro,
metterò fine a questa maledizione. Farò qualsiasi cosa,
affinché tu sia felice. Nulla è più importante di
te, John. Tu sei tutto per me.”
Mary si sentiva piena di energia
positiva. Era sicura che, entro la fine della giornata, Sherlock e John
sarebbero finalmente stati insieme. Per sempre. Quando il sole sorse
sulla città assonnata, la giovane si diresse verso il palazzo di
Irene Adler. Sherlock glielo aveva descritto minuziosamente, in modo
che non si sbagliasse. Doveva trovare un modo per intrufolarvisi ed
aprire la porta principale, affinché Sherlock potesse entrare e
saldare i conti con la strega. Girando intorno alla costruzione, Mary
si accorse che c’era una fervente attività nelle cucine.
“Quella piccola scansafatiche
me la pagherà cara! – stava urlando quella che sembrava
essere la cuoca – Scommetto che ieri sera è andata a bere
con quel poco di buono di Benton ed ora se la dorme tranquilla. Questa,
però, è l’ultima che mi fa! Potrà strisciare
ai miei piedi, ma non la riprenderò mai più a lavorare in
questa casa! Farmi questo scherzo proprio stasera, che Lady Adler ha
organizzato il banchetto per il compleanno della regina. Chi
laverà i piatti? Il re in persona?” La donna era veramente
furiosa. Mary fece un sorriso soddisfatto e si presentò alla
porta della cucina con un’aria dimessa ed affranta, schiarendosi
la gola, in modo da attirare l’attenzione della cuoca:
“Buongiorno, signora. Non ho potuto fare a meno di sentire quello
che avete detto. Potrei lavare io piatti e pentole. Ho tanto bisogno di
lavorare, signora. Non ho nessuno che si prenda cura di me. Sono giorni
che non mangio. Se lei non mi aiuterà, l’unica soluzione
che mi resterà, sarà trovare un posto in cui vendere il
mio corpo. La prego, signora… io… io…” Le
lacrime scesero lungo le guance, silenziose e piene di dignità.
La cuoca osservò la giovane,
che aveva davanti, socchiudendo gli occhi: “Ho bisogno di una
sguattera, quindi ti darò questa possibilità. Se oggi ti
comporterai bene, ti sarai sistemata a vita. Deludimi, ragazzina, e
farai fatica a trovare un lavoro anche come prostituta, in questa
città. Sono stata chiara?”
“Chiarissima, signora.
Grazie, signora. Non la deluderò, signora. Non si pentirà
di avermi aiutata, signora…”
“Poche parole e vai al lavoro! C’è già tutta quella roba da lavare. E fallo bene!”
Mary si rimboccò le maniche
e si mise al lavoro. Se tutto fosse andato come sperava lei, la cuoca
non la avrebbe più considerata, dopo averla sorvegliata per un
paio d’ore. E lei avrebbe potuto agire proprio nell’orario
per cui si era accordata con Sherlock.
Il sole era alto in cielo. La
giornata stava procedendo come di consueto. Sherlock si era vestito ed
aveva sellato Golia, pronto ad andare alla casa di Irene, per mettere
fine alla maledizione.
Nella stalla, il silenzio era
opprimente. Il sole brillante ed il cielo azzurro, privo di nubi,
sembravano uno schiaffo alle parole scritte nell’antico testo,
che spiegava come spezzare il maleficio. Mike non osava guardare
Sherlock, per timore di vedere il biasimo nei suoi occhi.
“Non aspetterò oltre.
Non posso lasciare Mary in casa di Irene per tanto tempo. –
esordì Sherlock, con un sospiro – Non te ne faccio una
colpa, Mike. So che tu eri in buona fede. Ti chiedo solo una cosa. Se
la campana di Southwark dovesse suonare le due ed io non fossi ancora
tornato… uccidi il falco.”
“Cosa…? Tu non puoi aspettarti che io uccida il falco! Lui è…”
“So meglio di te chi sia il
falco, Mike. Ed è proprio per questo che ti chiedo di porre fine
alla sua vita. Se non dovessi tornare, vorrebbe dire che ho fallito.
Potrei essere stato ucciso io stesso. In ogni caso, non permettere che
questa maledizione continui a rovinare la vita di John. Uccidendo il
falco, non farai altro che rendere John finalmente libero.”
Mike abbassò il capo, sconvolto: “Come vuoi tu, Sherlock.”
Il cavaliere accarezzò per
l’ultima volta il falco. Salì in sella a Golia ed
uscì, incontro al proprio destino.
Mary aveva lavorato a testa bassa,
senza fermarsi ed eseguendo prontamente ogni ordine, che le venisse
impartito, senza lamentarsi. Quando sentì la mano della cuoca
sulla spalla, Mary capì di avere raggiunto il proprio
obbiettivo: “Riposati, ragazzina. Sei stata brava, ma persino tu
hai bisogno di fermarti. Prendi questo piatto. Ci sono pane e
formaggio. Ti rivoglio al tuo posto fra dieci minuti. Poi, parleremo
anche del lavoro per i prossimi giorni.”
Mary si esibì in un sorriso
radioso, pieno di riconoscenza: “Grazie, signora! Grazie! Non se
ne pentirà!”
“Helen. Puoi chiamarmi Helen…”
“Molly. Mi chiamo Molly.”
“Dieci minuti, Molly,” le ricordò la cuoca, dandole un buffetto sulla guancia.
Mary addentò il pane,
masticando con gusto. Senza dare nell’occhio, sgattaiolò
verso il corridoio che portava verso l’interno della casa e la
porta di ingresso. Dal salotto giungevano le voci di un uomo e di una
donna, che stavano discutendo, ma Mary non riuscì a capire cosa
dicessero. Controllando che nessuno la vedesse, la ragazza andò
alla porta e la aprì, giusto in tempo per permettere a Sherlock
di entrare.
“Grazie per il tuo aiuto,
Mary. Ora vai a casa di Mike. Lui ti aiuterà a lasciare la
città. Buona fortuna.” Sherlock le fece un sorriso tirato,
poi si diresse, con passo deciso, verso la porta della stanza da cui
provenivano le voci irate.
Sherlock spalancò la porta, che andò a sbattere contro il muro.
Mary intravide una bellissima donna
mora, altera e sicura, che indossava l’abito più bello che
avesse mai visto, seduta su una poltrona, accanto ad un camino acceso.
Le sue labbra si piegarono in un sorriso irriverente, mentre i suoi
occhi rimanevano di ghiaccio: “Non c’è bisogno di
buttare giù la parete, per avere la mia attenzione, caro
Sherlock. Sai cosa devi dirmi e ti darò anche quello che non sai
di volere,” sussurrò suadente Irene Adler. Prima che
Sherlock potesse ribattere, la porta d’ingresso si
spalancò. Un piccolo drappello di soldati entrò in casa a
passo marziale, facendo spazio a due uomini, che Mary fissò con
curiosità. Entrambi dovevano avere passato i trentacinque anni,
ma avevano un fisico atletico ed asciutto, vestiti con abiti raffinati,
che sembravano molto costosi. Entrambi si muovevano come se fossero i
padroni del mondo. Sicuri, quasi arroganti. Quando entrarono nel
salotto, Irene si alzò dalla poltrona e fece un elegante
inchino, ma il sorriso beffardo non scomparve dal viso: “Quale
onore mi fate a visitare la mia umile casa, sire. In compagnia del
Primo Consigliere, oltretutto. È una bella riunione di famiglia,
non credete?”
Sherlock si voltò verso i
nuovi venuti: “Questa donna è una strega. Ha lanciato una
maledizione su me e su John Watson. È giunto il tempo di porre
fine a tutto.”
“Non uccidendola. –
ribatté il più basso dei due uomini, con i capelli e gli
occhi neri – Siete ancora il comandante della nostra guardia,
Capitano Sherlock Holmes. In qualità di vostro re, noi vi
ordiniamo di non estrarre la spada.”
“Sire, non capite. Solo così avrà fine il maleficio che questa strega…”
“Non osare chiamarla in quel modo, cane!” sbottò l’uomo che si trovava nella stanza con Irene.
Sherlock si voltò appena
verso di lui, squadrandolo sprezzante: “Dimmock, non
intrometterti in cose che il tuo limitato cervello non potrebbe capire
nemmeno in cento anni.”
“L’accusa che rivolge a
Lady Irene è grave. – intervenne il re, prima che i due
uomini si prendessero a pugni – Capitano Holmes, ha delle prove a
suffragio della sua tesi?”
“No, sire. Non ho prove materiali, ma sono convinto che siano in questa casa e…”
“Mi sento oltraggiata. Voglio che la mia innocenza sia provata da una tenzone,” lo interruppe Irene.
Tutti si voltarono verso di lei.
Mary poteva intravederla, essendo riuscita ad infilare la testa fra due
dei soldati del re. La donna non era per nulla intimorita dalla
situazione. Anzi. Sembrava assolutamente a proprio agio. Quasi
divertita.
“Se è ciò che vuole, Lady Irene, stabilisca un quando, un dove e nomini un suo campione.”
“Ora, qui e nomino Mycroft Holmes come mio difensore.”
“NO!” strillò l’uomo che Sherlock aveva chiamato Dimmock.
Sherlock si voltò verso il
fratello, sorpreso. Mary osservò attentamente l’altro uomo
elegante, che non aveva ancora detto una parola. Freddo e distaccato,
sembrava non essere interessato da quello che stava accadendo, come se
tutto ciò non lo riguardasse. Eppure, Mary avrebbe quasi giurato
di avere intravisto un leggero tremore, quando la strega lo aveva
nominato suo difensore. Paura? Rabbia? Preoccupazione? Indignazione? Se
quel tremore c’era mai stato, era stato troppo rapido, per capire
cosa lo avesse causato.
“Solo io ho il diritto di difendere il tuo onore, Irene,” continuò ad urlare Dimmock, ma nessuno gli dava retta.
“Voglio che sia uno scontro al…”
“Al primo sangue, naturalmente,” concluse il re, al posto della donna.
Fu la prima volta che Mary vide
l’ira balenare negli occhi di Irene. Non aveva previsto che il re
potesse anticipare la sua mossa e ne era furiosa, ma si
controllò: “Sire, mi permetto di dissentire. Lord Mycroft
potrebbe lasciarsi sconfiggere dal fratello solo per farmi dispetto. In
uno scontro all’ultimo sangue, invece, sarebbe costretto a
lottare veramente, per dimostrare la mia innocenza. Il duello sarebbe
più regolare.”
“Noi non torneremo sulla
nostra decisione, Lady Irene. Non abbiamo intenzione di perdere un
fidato Primo Consigliere o un ottimo comandante della Guardia, solo per
provare che voi non siate una strega. Se non vi fidate di Mycroft, non
avreste dovuto sceglierlo come campione. Ormai lo avete nominato e non
potete più tirarvi indietro. Del resto, noi contiamo sul senso
dell’onore del Primo Consigliere. Siamo sicuri che non
farà nulla per coprire di biasimo la propria persona,
soprattutto ai nostri occhi. Che il duello abbia inizio.”
I due fratelli si fissarono negli
occhi. Mary aveva pensato che non si somigliassero molto. Ora,
però, vide la stessa determinazione, lo stesso orgoglio e la
stessa fiducia in se stesso, nello sguardo dei due uomini.
“Che sia come Dio vorrà, fratello caro,” disse Mycroft, levandosi il mantello.
I due fratelli Holmes si misero al
centro del salotto, che i soldati avevano provveduto a sgombrare
dell’arredamento. Entrambi estrassero la spada e la portarono al
viso, in segno di saluto. Iniziarono a girare in cerchio,
fronteggiandosi ad arma abbassata, come se ognuno dei due stesse
attendendo che fosse l’altro, a fare la prima mossa. Si
conoscevano molto bene. Avevano trascorso ore intere ad allenarsi
insieme. Mycroft era stato l’unico avversario che avesse mai dato
veramente del filo da torcere a Sherlock. All’inizio, era sempre
stato il fratello maggiore a vincere i duelli. Solo con il tempo,
Sherlock aveva capito quali fossero i suoi punti deboli e li aveva
sfruttati per batterlo, anche se non sempre ci riusciva.
Nessuno fiatava. Persino Mary li osservava, trattenendo il respiro.
Sherlock e Mycroft alzarono le
spade insieme, facendo battere le lame l’una contro
l’altra. Una serie di colpi rapidi ruppe il silenzio della
stanza. L’aria si riempì di scintille. I duellanti si
allontanarono, riprendendo a studiarsi. Seguì un altro scambio,
che non portò nessuno dei due a prevalere sull’altro.
Stavano per ricominciare, quando l’attenzione di Sherlock venne
attratta dal sole, che si intravedeva da una delle finestre. Una parte
dell’astro era oscurata da qualcosa di tondo, che gli stava
passando davanti. La luce solare diminuì, come se si stesse
avvicinando il tramonto, ma era troppo presto. I presenti seguirono il
suo sguardo e videro il prodigio compiersi davanti ai loro occhi: il
sole era stato coperto dalla luna. La luce si era attenuata, gli
uccellini avevano smesso di cinguettare, quasi stessero preparandosi
per la notte. Sherlock stesso percepì ciò che stava
avvenendo, in ogni parte del proprio essere, come se dovesse
trasformarsi in lupo, a causa della maledizione. Allo stesso tempo,
però, non accadde nulla.
“Un giorno senza notte ed una
notte senza giorno,” mormorò Mycroft. Proprio come era
stato annunciato dall’autore del testo che Mike aveva trovato.
Sherlock si voltò verso il
fratello, incredulo. La maledizione poteva essere spezzata, ma John
avrebbe dovuto giungere in fretta. Non potevano sapere quanto sarebbe
durato quello strano fenomeno. La gioia di Sherlock si trasformò
in orrore, quando sentì il primo rintocco della campana di
Southwark. Non si era reso conto che fosse trascorso tanto tempo:
“Mike! NO!” gridò, disperato. Sherlock
ascoltò il secondo rintocco, con gli occhi pieni di sgomento.
Mentre la campana continuava a suonare in modo lugubre, il cavaliere
cercò di correre verso la porta, ma trovò il cammino
sbarrato dai soldati della Guardia, che non capivano perché il
loro comandante si stesse comportando come un vigliacco.
“Sherlock… cosa stai facendo?” domandò Mycroft, allibito.
Quando l’ultimo rintocco
vibrò nell’aria, Sherlock si lasciò cadere in
terra, la testa bassa: “Mike. Non lo fare, ti prego. Non darmi
retta.”
Nessuno osava avvicinarsi al
giovane Holmes. Tutti avevano compreso che fosse accaduto qualcosa di
terribile, ma non sapevano cosa fare. Mycroft fece un passo verso il
fratello, quasi esitante: “Non continuiamo il duello? Vuoi che
Irene sia la vincitrice di questa disfida?”
“Nulla ha più
importanza. John è morto. Ho detto a Mike di uccidere il falco,
se non fossi tornato prima che la campana di Southwark suonasse le
due.”
Mary si portò una mano alla
bocca, per sopprimere l’urlo che le stava salendo direttamente
dal cuore. Non poteva essere vero. John non poteva essere morto. Non
ora. Non nel momento in cui il loro dolore stava, finalmente, per avere
fine. Non poteva essere vero. Non poteva… non poteva… non
poteva…
“Per fortuna Mike non ti dà mai retta,” sussurrò una voce alle spalle di tutti.
Mary si voltò di scatto
verso la porta d’ingresso, rimasta aperta dopo l’entrata
del re e del suo seguito. Sherlock alzò la testa, incredulo e
pieno di speranza. Mycroft spostò lo sguardo verso l’uomo
che, al tempo stesso, aveva salvato e condannato suo fratello, grato
che fosse ancora vivo. Solo Irene Adler fissò John con occhi
pieni d’odio.
Il giovane medico indossava una
semplice casacca chiara, sui pantaloni marroni. Si avvicinò ai
soldati, che si allargarono, per lasciarlo passare. John superò
Sherlock, senza guardarlo, senza dire un’altra parola.
Sorpassò anche Mycroft, sempre tenendo gli occhi fissi sulla
persona più importante, in quell’istante. Arrivato davanti
ad Irene, John alzò un braccio e le mostrò i lacci, che
venivano attaccati alle zampe dei falchi addomesticati, simboli della
sua maledizione. Con un gesto lento, John li lasciò cadere a
terra: “Hai perso,” disse con voce sicura.
La donna non reagì. Si
limitò a fissare John, con uno sguardo che avrebbe potuto
incenerirlo. Il giovane, però, non si fece intimorire. Le
sorrise e le girò le spalle, per andare da Sherlock.
Il cavaliere si era alzato,
incredulo. Non riusciva a credere di avere davanti a sé John, in
carne ed ossa. Di avere sentito la sua voce.
John sorrideva, con una mano protesa in avanti, pronto a sfiorare, toccare, accarezzare, il viso di Sherlock.
Nella mano di Irene brillò
un pugnale, dalla lama lunga e sottile. La donna alzò di scatto
il braccio, lanciandosi contro John: “Io non perdo mai,”
sibilò, in tono tagliente.
Mycroft si frappose fra John ed Irene, infilzando la donna con la propria spada.
Irene lasciò cadere il
pugnale a terra, guardando il maggiore dei fratelli Holmes dritto negli
occhi, sorpresa. Senza dire una parola, Irene Adler spirò fra le
braccia di Mycroft Holmes, mentre l’ombra che oscurava il sole si
spostava, permettendo all’astro di tornare a splendere, alto nel
cielo, come sempre.
“SÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌ!”
L’urlo provenne dalle spalle dei soldati. Tutti si voltarono,
trovandosi davanti una ragazzina minuta e bionda che saltellava,
felice. Rendendosi conto di avere attirato troppo l’attenzione,
Mary si schiarì la gola: “Ehm… scusate… non
volevo… solo… ecco… “
“Noi ci conosciamo,” la
interruppe uno dei soldati. Mary lo fissò e riconobbe
nell’uomo una delle guardie della prigione. La giovane
impallidì notevolmente, biascicando: “Non credo. Ho un
viso molto comune,” che non suonò molto convincente. Il
soldato la fissò dritto negli occhi, sicuro di quello che stava
dicendo: “Tu sei Mary Morstan. Sei la ladra fuggita dalla
prigione alcuni giorni fa. È giunto il tempo di farti pendere da
una forca, come meriti.”
“Soldato, non so come tu
possa dire una cosa del genere. Conosco benissimo questa giovane
donzella e ti assicuro che non sia una ladra. Si chiama Sarah…
Sarah Sawyer ed è la mia aiutante,” intervenne Mike,
entrando con passo disinvolto e lanciando un’occhiata
d’intesa a Mycroft.
“Non so chi sia lei, buon uomo, ma questa ragazza è una pericolosa ladra,” insisté il soldato.
“Tu non sai chi sia io?” sbottò Mike, oltraggiato.
“Il dottor Mike Stamford
è stato medico della Guardia Privata del Re, molto prima che vi
entrassi tu. Anche se ha lasciato il servizio, è un uomo di
comprovata fedeltà al re e degno di fiducia,” si intromise
Mycroft.
Il militare osservò ancora la ragazza, non molto convinto delle parole dei due uomini.
“Stai mettendo in dubbio la
mia parola, soldato?” chiese il Primo Consigliere del Re, in tono
gelido. Il soldato si irrigidì visibilmente. Per quanto fosse
appena stato trasferito alla Guardia Privata, sapeva benissimo quanto
fosse poco opportuno contraddire il Primo Consigliere: “Certo che
no, signore. Mi devo essere sbagliato,” ribatté
velocemente, girandosi verso il suo superiore. Mary sospirò di
sollievo, mentre Mike le stringeva un braccio, in modo rassicurante.
“Veniamo a cose più
importanti. – si intromise il re – La strega è
morta. Il comandante della Guardia ed uno dei nostri medici sono stati
liberati dalla maledizione. Vi concediamo di riprendere il vostro
posto, se lo desiderate,” concluse, cercando di celare un sorriso
divertito.
Sherlock e John erano inconsapevoli
di ciò che stava accadendo intorno a loro. John aveva appoggiato
il palmo della mano destra sulla guancia sinistra di Sherlock e lo
stava accarezzando. Sherlock, aveva inclinato la testa, per mettere
più pelle possibile a contatto con quella di John. Con gli occhi
chiusi, ancora incredulo, si godeva il calore del dottore. Non osava
aprirli, timoroso che tutto fosse un sogno e di scoprire, al risveglio,
che John fosse morto.
“Apri gli occhi,”
sussurrò John, avvicinandosi ulteriormente a Sherlock, quasi
toccandolo con il proprio corpo. Sherlock li aprì lentamente. E
si perse nel profondo oceano, che erano gli occhi azzurri di John.
“Crediamo che i dettagli
possano essere decisi anche domani… o dopo. Ci farete sapere
tutto voi, vero, nostro fidato consigliere?” Ridacchiò il
re.
“Naturalmente, sire,” rispose Mycroft, accennando un inchino con il capo.
“Non vi saranno conseguenze per l’uccisione della strega.”
“Cosa? Mycroft Holmes non
sarà perseguito per l’omicidio di Lady Adler? Non è
giusto maestà…”
“State difendendo una strega,
Dimmock? Sapete che vi aspetta il rogo, se scopriamo che siete un
complice della strega,” lo prevenne il re, in tono volutamente
minaccioso.
Dimmock indietreggiò,
terrorizzato: “Non sia mai, maestà. Quello che voi
decidete è legge, per me.”
“Non abbiamo altro da fare in
questo luogo maledetto. Pensate voi a tutto, consigliere. Occupatevi
del cadavere della strega, fate mettere in sicurezza questa casa ed
assicuratevi che niente di pericoloso possa cadere in mano a chi
potrebbe sfruttarlo per fini indegni. Poi fateci rapporto. Noi andiamo
a comunicare alla regina, che la donna che la spaventava tanto non ha
più alcun potere. Né su di lei né su nessun
altro.”
“Sarà fatto come voi ordinate, maestà,” si inchinò Mycroft.
Il re lasciò il salotto,
seguito dagli uomini della Guardia Privata. Dimmock si dileguò,
approfittando del fatto che nessuno lo stesse considerando. Nella
stanza rimasero solo Sherlock, John, Mycroft, Mike e Mary.
Se ne erano andati. Le persone
rimaste nella stanza potevano non approvare quello che John e Sherlock
provavano l’uno per l’altro, ma non li avrebbero biasimati,
vedendoli esprimere apertamente i loro sentimenti. John si
avvicinò ulteriormente a Sherlock ed appoggiò le labbra
su quelle dell’altro. Un bacio casto, delicato, tenero, dolce,
quasi avesse paura di fare del male a chi lo ricevesse. Le loro labbra
si sfiorarono, ancora incerte se credere che quella fosse la
realtà o temere che non si trattasse altro che di un sogno.
Sherlock strinse John fra le braccia, in modo che i loro corpi
venissero a contatto. Completamente. Il bacio si fece più
profondo, colmo di desiderio e passione.
“Ehm… va bene, direi
che così possa bastare. Abbiamo tutti visto anche più di
quello che avremmo voluto vedere. Siamo felici che siate tornati
normali, ma non mi sembra proprio il caso che facciate… questo
ed altro davanti a noi. Sei d’accordo, fratello caro?”
Malgrado cercasse di esprimere fastidio, la voce di Mycroft aveva una
nota sollevata, che la rendeva quasi dolce.
Con molta riluttanza, John e
Sherlock staccarono le labbra, ma rimasero ancora abbracciati:
“Sai sempre essere seccante, Mycroft,” sbuffò il
minore degli Holmes.
“Scusa se ti ricordo una cosa così superflua come l’educazione.”
Sherlock, improvvisamente si
separò da John, per affrontare il fratello: “Come mai
siete venuti qui proprio oggi? Mike ti ha avvisato, dicendoti cosa vi
fosse scritto nel testo, che aveva trovato.”
“Mike mi ha lasciato un
messaggio alla torre, prima di seguirti. Ogni settimana inviavo un mio
uomo di fiducia, per avere un rapporto. Mike sapeva che sarebbe
arrivato il giorno dopo la sua partenza. Mi ha spiegato quello che
aveva scoperto, così ho fatto sorvegliare la casa di Irene. Il
resto, penso che sia facilmente deducibile.”
“Cosa è successo al sole?” domandò Mary.
“Un’eclissi di sole,” risposero John, Mike e Mycroft, all’unisono. Sherlock li fissò interdetto.
“Naturalmente, tu non sai di cosa stiamo parlando,” sospirò Mycroft, alzando gli occhi al soffitto.
“Se anche ho letto qualcosa
al riguardo, è una nozione che ho ritenuto superfluo ricordare.
Bisogna essere selettivi, quando si tratta di decidere con che cosa
riempire la propria mente. L’astronomia è una scienza
nebulosa e di nessuna utilità pratica. È inutile sprecare
energie per conservarne la memoria.”
“Si tratta di un fenomeno che
capita ogni tanto, per cui la Luna passa davanti al Sole e lo
oscura,” spiegò Mike.
“Niente stregonerie?” Insisté Mary.
“Solo scienza,” confermò John.
“Ed io? Cosa faccio, ora?” Chiese Mary.
“Che ne dici di venire a parlare con me, Sarah Sawyer? O dovrei dire Mary Morstan…” propose Mycroft.
Mary scrollò le spalle:
“Un nome vale un altro. Non è quello a fare una persona.
Che cosa hai da propormi?”
“Un lavoro che sfrutti le tue
innate ed innumerevoli capacità,” continuò Mycroft,
avviandosi verso la porta.
“Mi pagherai, vero?”
“Certamente.”
“E sarà… avventuroso?”
“Assolutamente sì!”
“Allora si può fare.” Mycroft e Mary uscirono, continuando a parlare del futuro lavoro della ragazza.
Mike sospirò: “Mycroft
ha sempre detto che mi avrebbe ridato il mio lavoro di medico per la
Guardia Privata del Re. Speriamo che se lo ricordi.”
“Mio fratello ricorda sempre tutto. Manterrà la sua parola,” lo rassicurò Sherlock.
“Grazie per quello che hai
fatto per noi, Mike. – gli disse John – Hai sacrificato una
parte della tua vita per aiutarci. Non potremo mai sdebitarci con te,
per questo.”
“Era il minimo che potessi fare. Se io non fossi stato così stupido…”
“Il passato è passato.
– lo interruppe Sherlock – Non hai più nessun
motivo, per sentirti in colpa. Se siamo qui, lo dobbiamo a te. Grazie,
Mike.”
L’uomo era imbarazzato, ma felice: “Ora cosa farete?”
Sherlock allungò una mano
per prenderne una di John: “Credo che sia ora di tornare a casa.
Abbiamo tanto tempo da recuperare.”
John strinse forte la mano di Sherlock: “Ovunque, con te.”
Il sole splendeva alto in cielo, riscaldando la fredda giornata ed illuminando i volti felici di John e Sherlock.
Finalmente riuniti.
Finalmente insieme.
Per sempre.
Angolo dell’autrice
N.B. Soutwark è una Cattedrale, ristrutturata nel corso dei secoli, che esisteva nella Londra del XIII secolo.
Innanzitutto, spero che nessuno sia
troppo dispiaciuto per la morte di Irene. Questa è la fine che
fa il Vescovo nel film e ho deciso di mantenerla. Naturalmente, non
possono esserci troppi abbracci e baci in pubblico, per John e
Sherlock, visto che nel XIII secolo non sarebbero stati troppo
apprezzati, anche da chi simpatizzasse per loro.
Ringrazio chi abbia letto la storia e chi la abbia segnata in qualche categoria.
Un enorme grazie a Blablia87,
adlerlock, Koa_, AkaNagashima ed emerenziano per le stupende recensioni
lasciate allo scorso capitolo.
Spero che la storia ed il suo finale vi siano piaciute e ringrazio fin da ora chi lasci un commento.
Ciao! 😊
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