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Autore: mikimac    25/09/2016    6 recensioni
Un cavaliere, due medici ed una ladra, alleati per salvare un amore e spezzare una maledizione.
Ladyhawke in chiave Johnlock.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Faccia a faccia
Faccia a faccia


Nel piccolo campo le attività giornaliere erano iniziate poco dopo il sorgere del sole. I tre facevano finta che non fosse accaduto nulla, che non si fosse ripetuto il dramma di ogni giorno. John era sparito e Sherlock non mostrava alcun segno del dolore, che aveva urlato al sole nascente. Nessuno parlava.
Sherlock stava sellando Golia, quando si sentì lo stridio di un rapace. All’orizzonte apparve il falco, dai riflessi dorati, che stava planando verso il piccolo accampamento. Sherlock distese le labbra in un lieve sorriso, quasi sollevato, ed alzò un braccio, pronto a fornire a John il solito appoggio, per salutarlo ed accarezzarlo, ma, con grande sorpresa di tutti, il rapace oltrepassò il cavaliere e si andò a posare sull’avambraccio di Mary, che si stava stiracchiando. Sherlock li fissò interdetto.
“Vai da Sherlock. Su. Fai il bravo falchetto. Vai da Sherlock. Lo sai che lui ti vuole bene. Vai, su!” Mentre sollecitava John ad andare dal cavaliere, Mary sbatteva energicamente il braccio su cui il rapace si era appollaiato, per sbilanciarlo e costringerlo a volare da Sherlock, ma il cocciuto falco non voleva saperne di andarsene. Un po’ irritata, un po’ spaventata ed un po’ lusingata, Mary continuò a parlare con il falco: “Vai da Sherlock, che ti ama tanto. Su, da bravo, vai!” La ragazza era quasi disperata, quando il falco saltò sul braccio di Sherlock, che gli accarezzò il petto candido, mentre fissava Mary con un sorriso divertito sulle labbra: “Si direbbe che siate diventati amici.”
“Non è successo nulla strano. Abbiamo ballato…”
“Avete ballato?” Sherlock aveva smesso di sorridere ed aveva assunto una espressione infastidita ed irritata, che preoccupò Mary: “Solo un po’, nella stalla, dopo che lui si era vestito…”
“Eri nella stalla, mentre John si trasformava?”
“Lui era dentro il box, non lo potevo vedere! Fuori diluviava! Cosa volevi, che prendessi una polmonite?”
Sherlock scosse la testa. La sua espressione si addolcì: “Cerca di capire Mary. Io ti invidio. Tu puoi trascorrere del tempo con John. Vederlo sorridere. Osservare le stelle nelle sue iridi. Sentire la sua pelle calda sotto le tue dita. Sai da quanto tempo io non posso fare nulla di tutto ciò?”
“Anche John sente la tua mancanza.”
“Davvero?” Un lampo di dolore attraversò gli occhi di Sherlock, facendo arretrare Mary. Il cavaliere fece un sospiro, spostò il falco sul pomello di Golia ed appoggiò una mano alla spalla della ragazza: “Non devi preoccuparti. Mi fa piacere, se mi parli di lui, ma stai attenta a quello che mi dici. Io capirò se siano davvero sue parole.”
Mary deglutì e si stropicciò nervosamente le mani, cercando di capire cosa potesse dire a Sherlock: “All’inizio era preoccupato che tu non mangiassi a sufficienza. Poi, ha sorriso e ha detto che ti ama, che ha fiducia in te e che sa che farai qualsiasi cosa per mettere fine alla maledizione, che vi ha colpito.”
“Grazie,” sussurrò Sherlock, stringendo la spalla di Mary, che fece una smorfia di dolore. Il cavaliere la studiò per qualche secondo: “Sei ferita,” concluse, attonito.
“Ieri notte ti ha tirato fuori dal torrente e tu la hai ferita,” intervenne Mike.
Sherlock fissò Mary, addolorato: “Mi dispiace averti ferita.”
“Oh, non è nulla. John mi ha curata. È un ottimo medico. Ha delle mani delicatissime e non ho…” si interruppe, quasi mordendosi la lingua. Non voleva causare altro dolore a Sherlock.
Il cavaliere si diresse verso Golia: “Sei libera, Mary. Vai per la tua strada.”
“Cosa vuoi dire?”
“Non c’è bisogno che tu torni con me a Londra. Sarebbe pericoloso. Troverò un modo per entrare in casa di Irene, anche senza di te. Vai. E buona fortuna.”
“No, aspetta! Oramai mi hai coinvolta in questa storia, non puoi lasciarmi indietro.”
Sherlock stava per montare in sella. Si voltò verso Mary, con un sorriso triste sulle labbra: “Non vuoi venire, credimi. Lo leggo in ogni parte del tuo essere. Sei giovane. Dimenticati di noi. Addio Mary.”
“Aspetta domani, Sherlock. – si intromise Mike – John crede che io abbia ragione e che la maledizione possa essere spezzata, come è scritto in quel libro che ho trovato. Il testo è molto preciso. Cosa ti costa aspettare un altro giorno?”
“Stai vaneggiando. Non esistono un giorno senza notte ed una notte senza giorno. Oggi tornerò a Londra ed ucciderò Irene. Solo così, tutto avrà fine.”
“Hai ragione, Sherlock, sicuramente Mike straparla. – Mary concordò con il cavaliere – Ricorda, però, che stai decidendo per te… e per John. Mike potrebbe sbagliarsi, ma se invece avesse ragione? Se tu ti comportassi in modo avventato, uccidendo oggi Irene Adler e condannando John a vivere in eterno la vostra maledizione, per poi scoprire che domani sarebbe stato il giorno giusto per spezzarla e permettervi di vivere insieme, felici per sempre, come ti sentiresti? John ti ama. Si fida di te e delle tue decisioni, però crede anche negli studi di Mike e ritiene che possiate attendere. Non vuoi ascoltare il suo parere? Non vuoi dare alcun peso a quello che John pensa? Sono solo ventiquattro ore. Un altro tramonto ed un’altra alba. Capisco che sia terribile, quello che vi succede. Lo ho visto questa mattina e non so come abbiate potuto sopportarlo per tanto tempo. Però, il tramonto di stasera e l’alba di domani mattina saranno comunque gli ultimi che vi divideranno. Cosa hai da perdere ad aspettare?”
Sherlock fissò Mary e Mike, valutando quello che gli stavano dicendo. Si girò verso il falco, che emise un delicato stridio, allungando il collo verso di lui. Con un profondo sospiro, Sherlock si allontanò da Golia: “E sia. Avete vinto. Aspetterò fino a domani.”
Mary saltò al collo di Sherlock, abbracciandolo. Il cavaliere rimase rigido e la ragazza si allontanò, rossa per l’imbarazzo: “Scusa, ma pensavo che non saremmo mai riusciti a farti cambiare idea. Sei un testone sai? Senza offesa, naturalmente.”
“Anche tu non scherzi, in quanto a cocciutaggine… sempre senza offesa. Dato che abbiamo del tempo da perdere, sarà meglio che vi insegni come si tratti con i lupi, in modo da non farsi artigliare.” I tre risero, mentre il falco si spostava sul braccio di Sherlock, come se volesse dare la propria approvazione a ciò che era accaduto sotto i suoi occhi azzurri, striati d’oro.


Il sole aveva seguito il suo normale percorso, illuminando un’altra giornata fredda, ma tersa. I tre erano arrivati vicino a Londra, in attesa del tramonto. Poco lontano da uno degli ingressi secondari, ripassarono il loro piano, prima di dividersi.
“Ti lascerò degli abiti asciutti dove abbiamo concordato,” disse Mike, sorridendo rassicurante a Mary.
“In caso prendessi una polmonite, avrò ben due medici a curarmi. Non posso che ritenermi fortunata, non credi?” La ragazza ricambiò il sorriso.
“Ti ricordi dove si trovi la casa di Irene, vero?” Intervenne Sherlock, impaziente.
“Certo. Domattina sarò lì e ti farò entrare dalla porta principale,” lo rassicurò Mary.
Sherlock alzò lo sguardo verso il sole: “Il tramonto si sta avvicinando,” sussurrò, accarezzando il falco.
“A domani, allora,” li salutò Mary, avviandosi per raggiungere il Tamigi.
“A domani,” ricambiò Mike.
La giovane si voltò indietro, per osservare i suoi compagni d’avventura. Sherlock aveva iniziato a svestirsi, piegando e riponendo gli abiti in una delle sacche. Il falco lo guardava, appoggiato alle sbarre di una gabbia, costruita in legno robusto, che si trovava sul carro di Mike e che sarebbe servita per portare Sherlock all’interno di Londra, senza che nessuno sapesse che lui stesse arrivando.


Il fuoco illuminava l’ingresso del ponte levatoio. Le guardie, annoiate, fermavano chiunque arrivasse, sottoponendolo ad una perquisizione anche troppo minuziosa. Malgrado l’orario, si era formata una piccola coda. Mike e John erano seduti a cassetta, con Golia attaccato al carro, come se fosse stato un semplice cavallo da tiro. Nella gabbia, coperta da un panno, il lupo era sdraiato, in modo apparentemente tranquillo. Quando, finalmente, arrivò il loro turno, l’ufficiale a capo del turno di guardia si avvicinò al carro: “Cosa abbiamo qui?” domandò, in tono baldanzoso.
“Si tratta di una consegna per Lord Mycroft Holmes,” rispose Mike, mentre John cercava di celare il viso nel cappuccio del suo mantello. Erano trascorsi alcuni anni, dall’inizio della maledizione. Probabilmente, i soldati si erano scordati del suo volto, ma non poteva esserne sicuro. Doveva stare attento a non essere riconosciuto e catturato. Mike, invece, non era ricercato. Se anche qualcuno si fosse ricordato di lui, poteva dire di avere avviato una nuova attività. Il militare si era avvicinato alla gabbia, scoprendola. Il lupo era scattato in piedi, ringhiando al soldato. L’uomo fece un salto indietro, sguainando la spada, pronto ad usarla contro il lupo. Mike sentì il corpo di John tendersi, pronto ad aggredire la guardia, ma lo afferrò per un polso, affinché non si muovesse dal suo posto: “Fallo, signor ufficiale. Usa pure la tua spada sul lupo. Tutti sappiamo quanto sappia essere magnanimo Lord Holmes, con chi rompa i suoi giocattoli.”
La guardia bloccò il colpo a mezz’aria. Da quando il fratello minore era stato colpito da una maledizione, Mycroft Holmes era diventato ancora più freddo ed intollerante. Tutti lo avevano visto punire soldati o svergognare civili, anche influenti, per i motivi più futili. Nessuno voleva essere iscritto nella sua lista nera. Soprattutto se non aveva amicizie influenti, a cui chiedere un eventuale intervento di mediazione. Con un grugnito di rabbia, il soldato rinfoderò la spada: “Vattene, portati via questa bestiaccia. Che si diverta Lord Holmes a farla a pezzi.”
“Con molto piacere, signore. Riferirò a Lord Holmes quanto lei sia stato saggio,” lo salutò Mike.
John si rilassò. Erano riusciti ad entrare a Londra. Sperava che anche per Mary fosse andato tutto bene.


Aveva impiegato circa mezz’ora per arrivare al Tamigi. Nella luce del sole morente, Mary ammirò le mura di Londra, che si stagliavano imponenti, contro l’orizzonte. Il Tamigi scorreva lento e pigro, nella sera fredda. “Ed eccomi tornata al punto di partenza. Se in tutto questo c’è un significato, Signore, devo confessare che mi sfugge. Con ciò, non voglio dire che io mi tiri indietro. Come ti ho detto, farò di tutto per aiutare John e Sherlock. Solo… insomma… vabbé… è inutile stare a rimuginare su tutto questo. Tanto vale buttarsi.”
Mary si tolse una parte dei vestiti, affinché non la ostacolassero a nuotare, e si lasciò scivolare nell’acqua gelida. Furono le luci delle fiaccole a guidarla verso le mura. “Speriamo che a nessuno sia venuto in mente di chiudere la grata o la mia parte finirà prima ancora di cominciare.” Mary nuotò fino a ridosso delle mura, verso il punto da cui ricordava di essere uscita. Preso fiato, si immerse. Dopo poche bracciate, ritrovò la grata, ancora aperta, come la aveva lasciata. Con un sorriso ed un “Grazie, Signore,” gridato con la mente, vi passò attraverso, rientrando nella città, da cui era fuggita solo pochi giorni prima. Riemersa, nuotò contro una corrente tranquilla, facendo attenzione a non sbattere la testa contro il basso soffitto, fino a vedere una grata sopra la propria testa. Attraverso l’apertura, poté ammirare le stelle. Dalle acque di scarico alla grata, c’erano pochi metri da fare in salita. Mary valutò le pareti e notò che si intravedevano diversi appigli. Evidentemente, uno dei lampioni che illuminavano le strade di Londra si doveva trovare proprio sopra l’apertura. Con grande fatica e lentezza, Mary iniziò la scalata, attaccandosi ad ogni sporgenza, anche minima, che la parete le permetteva di trovare. Salendo verso la superficie, l’apertura si faceva sempre più stretta. Mary poté, così, appoggiare la schiena ad una parete e fare forza con le gambe sull’altra per andare verso l’alto. Arrivata alla grata, ascoltò ogni rumore e guardò attentamente fuori, per controllare che non stesse giungendo nessuno, quindi uscì, nella notte gelida. Infreddolita e bagnata, corse verso il luogo in cui Mike doveva lasciarle il cambio. Insieme ai vestiti, c’era anche un po’ di cibo. Mary sorrise ed addentò il pezzo di carne secca, mentre si toglieva gli abiti bagnati e si infilava quelli asciutti. Si appoggiò alla parete di una casa, per riposare qualche ora, prima di entrare in azione. Un sorriso le illuminò il volto. Tutto stava andando come pianificato. Tutto sarebbe andato bene.


L’alba del nuovo giorno colse John e Mike nella stalla di casa Stamford. I genitori di Mike avevano una abitazione a Londra, che, di solito, usavano solo per qualche mese all’anno, dato che preferivano stare lontani dalla ambigua vita di corte, troppo piena di intrighi e macchinazioni per un piccolo signore di campagna. Mike era vissuto nella casa, durante il periodo in cui prestava servizio come medico per la Guardia Privata del Re. Dopo la sua fuga da Londra, i genitori avevano preferito non venire più in città, ma avevano tenuto l’abitazione, per salvare le apparenze. Mike e John erano entrati nella stalla, celati dal buio della notte, ed avevano liberato il lupo dalla gabbia. Mentre la notte si trasformava in giorno, John prese il muso del lupo fra le mani, con un sorriso pieno di speranza sulle labbra: “Fra qualche ora accarezzerò il tuo viso, Sherlock. Bacerò le tue labbra. Sentirò la tua pelle calda a contatto con la mia. È così tanto tempo che non succede, che non so se riuscirò a staccarmi da te. Ti starò così appiccicato, che ti arrabbierai con me. – si interruppe, per una breve risata – Farò qualsiasi cosa, affinché tu sia felice. Nulla è più importante di te, Sherlock. Tu sei tutto per me.”
Il sole comparve ad illuminare Londra. Come ogni mattina, John si trasformò in falco, mentre Sherlock tornò ad essere umano. Stavolta, però, nel breve istante in cui si incrociarono, i loro sguardi non esprimevano dolore, ma erano pieni di speranza, aspettative e promesse. Il rapace non si allontanò, non volò via. Rimase accanto all’umano, tranquillo. Sherlock lo accarezzò: “Questa è stata l’ultima volta, John. Qualsiasi cosa dovesse accadere oggi, non ci saranno altre trasformazioni. In un modo o in un altro, metterò fine a questa maledizione. Farò qualsiasi cosa, affinché tu sia felice. Nulla è più importante di te, John. Tu sei tutto per me.”


Mary si sentiva piena di energia positiva. Era sicura che, entro la fine della giornata, Sherlock e John sarebbero finalmente stati insieme. Per sempre. Quando il sole sorse sulla città assonnata, la giovane si diresse verso il palazzo di Irene Adler. Sherlock glielo aveva descritto minuziosamente, in modo che non si sbagliasse. Doveva trovare un modo per intrufolarvisi ed aprire la porta principale, affinché Sherlock potesse entrare e saldare i conti con la strega. Girando intorno alla costruzione, Mary si accorse che c’era una fervente attività nelle cucine.
“Quella piccola scansafatiche me la pagherà cara! – stava urlando quella che sembrava essere la cuoca – Scommetto che ieri sera è andata a bere con quel poco di buono di Benton ed ora se la dorme tranquilla. Questa, però, è l’ultima che mi fa! Potrà strisciare ai miei piedi, ma non la riprenderò mai più a lavorare in questa casa! Farmi questo scherzo proprio stasera, che Lady Adler ha organizzato il banchetto per il compleanno della regina. Chi laverà i piatti? Il re in persona?” La donna era veramente furiosa. Mary fece un sorriso soddisfatto e si presentò alla porta della cucina con un’aria dimessa ed affranta, schiarendosi la gola, in modo da attirare l’attenzione della cuoca: “Buongiorno, signora. Non ho potuto fare a meno di sentire quello che avete detto. Potrei lavare io piatti e pentole. Ho tanto bisogno di lavorare, signora. Non ho nessuno che si prenda cura di me. Sono giorni che non mangio. Se lei non mi aiuterà, l’unica soluzione che mi resterà, sarà trovare un posto in cui vendere il mio corpo. La prego, signora… io… io…” Le lacrime scesero lungo le guance, silenziose e piene di dignità.
La cuoca osservò la giovane, che aveva davanti, socchiudendo gli occhi: “Ho bisogno di una sguattera, quindi ti darò questa possibilità. Se oggi ti comporterai bene, ti sarai sistemata a vita. Deludimi, ragazzina, e farai fatica a trovare un lavoro anche come prostituta, in questa città. Sono stata chiara?”
“Chiarissima, signora. Grazie, signora. Non la deluderò, signora. Non si pentirà di avermi aiutata, signora…”
“Poche parole e vai al lavoro! C’è già tutta quella roba da lavare. E fallo bene!”
Mary si rimboccò le maniche e si mise al lavoro. Se tutto fosse andato come sperava lei, la cuoca non la avrebbe più considerata, dopo averla sorvegliata per un paio d’ore. E lei avrebbe potuto agire proprio nell’orario per cui si era accordata con Sherlock.


Il sole era alto in cielo. La giornata stava procedendo come di consueto. Sherlock si era vestito ed aveva sellato Golia, pronto ad andare alla casa di Irene, per mettere fine alla maledizione.
Nella stalla, il silenzio era opprimente. Il sole brillante ed il cielo azzurro, privo di nubi, sembravano uno schiaffo alle parole scritte nell’antico testo, che spiegava come spezzare il maleficio. Mike non osava guardare Sherlock, per timore di vedere il biasimo nei suoi occhi.
“Non aspetterò oltre. Non posso lasciare Mary in casa di Irene per tanto tempo. – esordì Sherlock, con un sospiro – Non te ne faccio una colpa, Mike. So che tu eri in buona fede. Ti chiedo solo una cosa. Se la campana di Southwark dovesse suonare le due ed io non fossi ancora tornato… uccidi il falco.”
“Cosa…? Tu non puoi aspettarti che io uccida il falco! Lui è…”
“So meglio di te chi sia il falco, Mike. Ed è proprio per questo che ti chiedo di porre fine alla sua vita. Se non dovessi tornare, vorrebbe dire che ho fallito. Potrei essere stato ucciso io stesso. In ogni caso, non permettere che questa maledizione continui a rovinare la vita di John. Uccidendo il falco, non farai altro che rendere John finalmente libero.”
Mike abbassò il capo, sconvolto: “Come vuoi tu, Sherlock.”
Il cavaliere accarezzò per l’ultima volta il falco. Salì in sella a Golia ed uscì, incontro al proprio destino.


Mary aveva lavorato a testa bassa, senza fermarsi ed eseguendo prontamente ogni ordine, che le venisse impartito, senza lamentarsi. Quando sentì la mano della cuoca sulla spalla, Mary capì di avere raggiunto il proprio obbiettivo: “Riposati, ragazzina. Sei stata brava, ma persino tu hai bisogno di fermarti. Prendi questo piatto. Ci sono pane e formaggio. Ti rivoglio al tuo posto fra dieci minuti. Poi, parleremo anche del lavoro per i prossimi giorni.”
Mary si esibì in un sorriso radioso, pieno di riconoscenza: “Grazie, signora! Grazie! Non se ne pentirà!”
“Helen. Puoi chiamarmi Helen…”
“Molly. Mi chiamo Molly.”
“Dieci minuti, Molly,” le ricordò la cuoca, dandole un buffetto sulla guancia.
Mary addentò il pane, masticando con gusto. Senza dare nell’occhio, sgattaiolò verso il corridoio che portava verso l’interno della casa e la porta di ingresso. Dal salotto giungevano le voci di un uomo e di una donna, che stavano discutendo, ma Mary non riuscì a capire cosa dicessero. Controllando che nessuno la vedesse, la ragazza andò alla porta e la aprì, giusto in tempo per permettere a Sherlock di entrare.
“Grazie per il tuo aiuto, Mary. Ora vai a casa di Mike. Lui ti aiuterà a lasciare la città. Buona fortuna.” Sherlock le fece un sorriso tirato, poi si diresse, con passo deciso, verso la porta della stanza da cui provenivano le voci irate.


Sherlock spalancò la porta, che andò a sbattere contro il muro.
Mary intravide una bellissima donna mora, altera e sicura, che indossava l’abito più bello che avesse mai visto, seduta su una poltrona, accanto ad un camino acceso. Le sue labbra si piegarono in un sorriso irriverente, mentre i suoi occhi rimanevano di ghiaccio: “Non c’è bisogno di buttare giù la parete, per avere la mia attenzione, caro Sherlock. Sai cosa devi dirmi e ti darò anche quello che non sai di volere,” sussurrò suadente Irene Adler. Prima che Sherlock potesse ribattere, la porta d’ingresso si spalancò. Un piccolo drappello di soldati entrò in casa a passo marziale, facendo spazio a due uomini, che Mary fissò con curiosità. Entrambi dovevano avere passato i trentacinque anni, ma avevano un fisico atletico ed asciutto, vestiti con abiti raffinati, che sembravano molto costosi. Entrambi si muovevano come se fossero i padroni del mondo. Sicuri, quasi arroganti. Quando entrarono nel salotto, Irene si alzò dalla poltrona e fece un elegante inchino, ma il sorriso beffardo non scomparve dal viso: “Quale onore mi fate a visitare la mia umile casa, sire. In compagnia del Primo Consigliere, oltretutto. È una bella riunione di famiglia, non credete?”
Sherlock si voltò verso i nuovi venuti: “Questa donna è una strega. Ha lanciato una maledizione su me e su John Watson. È giunto il tempo di porre fine a tutto.”
“Non uccidendola. – ribatté il più basso dei due uomini, con i capelli e gli occhi neri – Siete ancora il comandante della nostra guardia, Capitano Sherlock Holmes. In qualità di vostro re, noi vi ordiniamo di non estrarre la spada.”
“Sire, non capite. Solo così avrà fine il maleficio che questa strega…”
“Non osare chiamarla in quel modo, cane!” sbottò l’uomo che si trovava nella stanza con Irene.
Sherlock si voltò appena verso di lui, squadrandolo sprezzante: “Dimmock, non intrometterti in cose che il tuo limitato cervello non potrebbe capire nemmeno in cento anni.”
“L’accusa che rivolge a Lady Irene è grave. – intervenne il re, prima che i due uomini si prendessero a pugni – Capitano Holmes, ha delle prove a suffragio della sua tesi?”
“No, sire. Non ho prove materiali, ma sono convinto che siano in questa casa e…”
“Mi sento oltraggiata. Voglio che la mia innocenza sia provata da una tenzone,” lo interruppe Irene.
Tutti si voltarono verso di lei. Mary poteva intravederla, essendo riuscita ad infilare la testa fra due dei soldati del re. La donna non era per nulla intimorita dalla situazione. Anzi. Sembrava assolutamente a proprio agio. Quasi divertita.
“Se è ciò che vuole, Lady Irene, stabilisca un quando, un dove e nomini un suo campione.”
“Ora, qui e nomino Mycroft Holmes come mio difensore.”
“NO!” strillò l’uomo che Sherlock aveva chiamato Dimmock.
Sherlock si voltò verso il fratello, sorpreso. Mary osservò attentamente l’altro uomo elegante, che non aveva ancora detto una parola. Freddo e distaccato, sembrava non essere interessato da quello che stava accadendo, come se tutto ciò non lo riguardasse. Eppure, Mary avrebbe quasi giurato di avere intravisto un leggero tremore, quando la strega lo aveva nominato suo difensore. Paura? Rabbia? Preoccupazione? Indignazione? Se quel tremore c’era mai stato, era stato troppo rapido, per capire cosa lo avesse causato.
“Solo io ho il diritto di difendere il tuo onore, Irene,” continuò ad urlare Dimmock, ma nessuno gli dava retta.
“Voglio che sia uno scontro al…”
“Al primo sangue, naturalmente,” concluse il re, al posto della donna.
Fu la prima volta che Mary vide l’ira balenare negli occhi di Irene. Non aveva previsto che il re potesse anticipare la sua mossa e ne era furiosa, ma si controllò: “Sire, mi permetto di dissentire. Lord Mycroft potrebbe lasciarsi sconfiggere dal fratello solo per farmi dispetto. In uno scontro all’ultimo sangue, invece, sarebbe costretto a lottare veramente, per dimostrare la mia innocenza. Il duello sarebbe più regolare.”
“Noi non torneremo sulla nostra decisione, Lady Irene. Non abbiamo intenzione di perdere un fidato Primo Consigliere o un ottimo comandante della Guardia, solo per provare che voi non siate una strega. Se non vi fidate di Mycroft, non avreste dovuto sceglierlo come campione. Ormai lo avete nominato e non potete più tirarvi indietro. Del resto, noi contiamo sul senso dell’onore del Primo Consigliere. Siamo sicuri che non farà nulla per coprire di biasimo la propria persona, soprattutto ai nostri occhi. Che il duello abbia inizio.”
I due fratelli si fissarono negli occhi. Mary aveva pensato che non si somigliassero molto. Ora, però, vide la stessa determinazione, lo stesso orgoglio e la stessa fiducia in se stesso, nello sguardo dei due uomini.
“Che sia come Dio vorrà, fratello caro,” disse Mycroft, levandosi il mantello.


I due fratelli Holmes si misero al centro del salotto, che i soldati avevano provveduto a sgombrare dell’arredamento. Entrambi estrassero la spada e la portarono al viso, in segno di saluto. Iniziarono a girare in cerchio, fronteggiandosi ad arma abbassata, come se ognuno dei due stesse attendendo che fosse l’altro, a fare la prima mossa. Si conoscevano molto bene. Avevano trascorso ore intere ad allenarsi insieme. Mycroft era stato l’unico avversario che avesse mai dato veramente del filo da torcere a Sherlock. All’inizio, era sempre stato il fratello maggiore a vincere i duelli. Solo con il tempo, Sherlock aveva capito quali fossero i suoi punti deboli e li aveva sfruttati per batterlo, anche se non sempre ci riusciva.
Nessuno fiatava. Persino Mary li osservava, trattenendo il respiro.
Sherlock e Mycroft alzarono le spade insieme, facendo battere le lame l’una contro l’altra. Una serie di colpi rapidi ruppe il silenzio della stanza. L’aria si riempì di scintille. I duellanti si allontanarono, riprendendo a studiarsi. Seguì un altro scambio, che non portò nessuno dei due a prevalere sull’altro. Stavano per ricominciare, quando l’attenzione di Sherlock venne attratta dal sole, che si intravedeva da una delle finestre. Una parte dell’astro era oscurata da qualcosa di tondo, che gli stava passando davanti. La luce solare diminuì, come se si stesse avvicinando il tramonto, ma era troppo presto. I presenti seguirono il suo sguardo e videro il prodigio compiersi davanti ai loro occhi: il sole era stato coperto dalla luna. La luce si era attenuata, gli uccellini avevano smesso di cinguettare, quasi stessero preparandosi per la notte. Sherlock stesso percepì ciò che stava avvenendo, in ogni parte del proprio essere, come se dovesse trasformarsi in lupo, a causa della maledizione. Allo stesso tempo, però, non accadde nulla.
“Un giorno senza notte ed una notte senza giorno,” mormorò Mycroft. Proprio come era stato annunciato dall’autore del testo che Mike aveva trovato.
Sherlock si voltò verso il fratello, incredulo. La maledizione poteva essere spezzata, ma John avrebbe dovuto giungere in fretta. Non potevano sapere quanto sarebbe durato quello strano fenomeno. La gioia di Sherlock si trasformò in orrore, quando sentì il primo rintocco della campana di Southwark. Non si era reso conto che fosse trascorso tanto tempo: “Mike! NO!” gridò, disperato. Sherlock ascoltò il secondo rintocco, con gli occhi pieni di sgomento. Mentre la campana continuava a suonare in modo lugubre, il cavaliere cercò di correre verso la porta, ma trovò il cammino sbarrato dai soldati della Guardia, che non capivano perché il loro comandante si stesse comportando come un vigliacco.
“Sherlock… cosa stai facendo?” domandò Mycroft, allibito.
Quando l’ultimo rintocco vibrò nell’aria, Sherlock si lasciò cadere in terra, la testa bassa: “Mike. Non lo fare, ti prego. Non darmi retta.”
Nessuno osava avvicinarsi al giovane Holmes. Tutti avevano compreso che fosse accaduto qualcosa di terribile, ma non sapevano cosa fare. Mycroft fece un passo verso il fratello, quasi esitante: “Non continuiamo il duello? Vuoi che Irene sia la vincitrice di questa disfida?”
“Nulla ha più importanza. John è morto. Ho detto a Mike di uccidere il falco, se non fossi tornato prima che la campana di Southwark suonasse le due.”
Mary si portò una mano alla bocca, per sopprimere l’urlo che le stava salendo direttamente dal cuore. Non poteva essere vero. John non poteva essere morto. Non ora. Non nel momento in cui il loro dolore stava, finalmente, per avere fine. Non poteva essere vero. Non poteva… non poteva… non poteva…
“Per fortuna Mike non ti dà mai retta,” sussurrò una voce alle spalle di tutti.
Mary si voltò di scatto verso la porta d’ingresso, rimasta aperta dopo l’entrata del re e del suo seguito. Sherlock alzò la testa, incredulo e pieno di speranza. Mycroft spostò lo sguardo verso l’uomo che, al tempo stesso, aveva salvato e condannato suo fratello, grato che fosse ancora vivo. Solo Irene Adler fissò John con occhi pieni d’odio.


Il giovane medico indossava una semplice casacca chiara, sui pantaloni marroni. Si avvicinò ai soldati, che si allargarono, per lasciarlo passare. John superò Sherlock, senza guardarlo, senza dire un’altra parola. Sorpassò anche Mycroft, sempre tenendo gli occhi fissi sulla persona più importante, in quell’istante. Arrivato davanti ad Irene, John alzò un braccio e le mostrò i lacci, che venivano attaccati alle zampe dei falchi addomesticati, simboli della sua maledizione. Con un gesto lento, John li lasciò cadere a terra: “Hai perso,” disse con voce sicura.
La donna non reagì. Si limitò a fissare John, con uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo. Il giovane, però, non si fece intimorire. Le sorrise e le girò le spalle, per andare da Sherlock.
Il cavaliere si era alzato, incredulo. Non riusciva a credere di avere davanti a sé John, in carne ed ossa. Di avere sentito la sua voce.
John sorrideva, con una mano protesa in avanti, pronto a sfiorare, toccare, accarezzare, il viso di Sherlock.
Nella mano di Irene brillò un pugnale, dalla lama lunga e sottile. La donna alzò di scatto il braccio, lanciandosi contro John: “Io non perdo mai,” sibilò, in tono tagliente.
Mycroft si frappose fra John ed Irene, infilzando la donna con la propria spada.
Irene lasciò cadere il pugnale a terra, guardando il maggiore dei fratelli Holmes dritto negli occhi, sorpresa. Senza dire una parola, Irene Adler spirò fra le braccia di Mycroft Holmes, mentre l’ombra che oscurava il sole si spostava, permettendo all’astro di tornare a splendere, alto nel cielo, come sempre.


“SÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌ!” L’urlo provenne dalle spalle dei soldati. Tutti si voltarono, trovandosi davanti una ragazzina minuta e bionda che saltellava, felice. Rendendosi conto di avere attirato troppo l’attenzione, Mary si schiarì la gola: “Ehm… scusate… non volevo… solo… ecco… “
“Noi ci conosciamo,” la interruppe uno dei soldati. Mary lo fissò e riconobbe nell’uomo una delle guardie della prigione. La giovane impallidì notevolmente, biascicando: “Non credo. Ho un viso molto comune,” che non suonò molto convincente. Il soldato la fissò dritto negli occhi, sicuro di quello che stava dicendo: “Tu sei Mary Morstan. Sei la ladra fuggita dalla prigione alcuni giorni fa. È giunto il tempo di farti pendere da una forca, come meriti.”
“Soldato, non so come tu possa dire una cosa del genere. Conosco benissimo questa giovane donzella e ti assicuro che non sia una ladra. Si chiama Sarah… Sarah Sawyer ed è la mia aiutante,” intervenne Mike, entrando con passo disinvolto e lanciando un’occhiata d’intesa a Mycroft.
“Non so chi sia lei, buon uomo, ma questa ragazza è una pericolosa ladra,” insisté il soldato.
“Tu non sai chi sia io?” sbottò Mike, oltraggiato.
“Il dottor Mike Stamford è stato medico della Guardia Privata del Re, molto prima che vi entrassi tu. Anche se ha lasciato il servizio, è un uomo di comprovata fedeltà al re e degno di fiducia,” si intromise Mycroft.
Il militare osservò ancora la ragazza, non molto convinto delle parole dei due uomini.
“Stai mettendo in dubbio la mia parola, soldato?” chiese il Primo Consigliere del Re, in tono gelido. Il soldato si irrigidì visibilmente. Per quanto fosse appena stato trasferito alla Guardia Privata, sapeva benissimo quanto fosse poco opportuno contraddire il Primo Consigliere: “Certo che no, signore. Mi devo essere sbagliato,” ribatté velocemente, girandosi verso il suo superiore. Mary sospirò di sollievo, mentre Mike le stringeva un braccio, in modo rassicurante.
“Veniamo a cose più importanti. – si intromise il re – La strega è morta. Il comandante della Guardia ed uno dei nostri medici sono stati liberati dalla maledizione. Vi concediamo di riprendere il vostro posto, se lo desiderate,” concluse, cercando di celare un sorriso divertito.


Sherlock e John erano inconsapevoli di ciò che stava accadendo intorno a loro. John aveva appoggiato il palmo della mano destra sulla guancia sinistra di Sherlock e lo stava accarezzando. Sherlock, aveva inclinato la testa, per mettere più pelle possibile a contatto con quella di John. Con gli occhi chiusi, ancora incredulo, si godeva il calore del dottore. Non osava aprirli, timoroso che tutto fosse un sogno e di scoprire, al risveglio, che John fosse morto.
“Apri gli occhi,” sussurrò John, avvicinandosi ulteriormente a Sherlock, quasi toccandolo con il proprio corpo. Sherlock li aprì lentamente. E si perse nel profondo oceano, che erano gli occhi azzurri di John.


“Crediamo che i dettagli possano essere decisi anche domani… o dopo. Ci farete sapere tutto voi, vero, nostro fidato consigliere?” Ridacchiò il re.
“Naturalmente, sire,” rispose Mycroft, accennando un inchino con il capo.
“Non vi saranno conseguenze per l’uccisione della strega.”
“Cosa? Mycroft Holmes non sarà perseguito per l’omicidio di Lady Adler? Non è giusto maestà…”
“State difendendo una strega, Dimmock? Sapete che vi aspetta il rogo, se scopriamo che siete un complice della strega,” lo prevenne il re, in tono volutamente minaccioso.
Dimmock indietreggiò, terrorizzato: “Non sia mai, maestà. Quello che voi decidete è legge, per me.”
“Non abbiamo altro da fare in questo luogo maledetto. Pensate voi a tutto, consigliere. Occupatevi del cadavere della strega, fate mettere in sicurezza questa casa ed assicuratevi che niente di pericoloso possa cadere in mano a chi potrebbe sfruttarlo per fini indegni. Poi fateci rapporto. Noi andiamo a comunicare alla regina, che la donna che la spaventava tanto non ha più alcun potere. Né su di lei né su nessun altro.”
“Sarà fatto come voi ordinate, maestà,” si inchinò Mycroft.
Il re lasciò il salotto, seguito dagli uomini della Guardia Privata. Dimmock si dileguò, approfittando del fatto che nessuno lo stesse considerando. Nella stanza rimasero solo Sherlock, John, Mycroft, Mike e Mary.


Se ne erano andati. Le persone rimaste nella stanza potevano non approvare quello che John e Sherlock provavano l’uno per l’altro, ma non li avrebbero biasimati, vedendoli esprimere apertamente i loro sentimenti. John si avvicinò ulteriormente a Sherlock ed appoggiò le labbra su quelle dell’altro. Un bacio casto, delicato, tenero, dolce, quasi avesse paura di fare del male a chi lo ricevesse. Le loro labbra si sfiorarono, ancora incerte se credere che quella fosse la realtà o temere che non si trattasse altro che di un sogno. Sherlock strinse John fra le braccia, in modo che i loro corpi venissero a contatto. Completamente. Il bacio si fece più profondo, colmo di desiderio e passione.
“Ehm… va bene, direi che così possa bastare. Abbiamo tutti visto anche più di quello che avremmo voluto vedere. Siamo felici che siate tornati normali, ma non mi sembra proprio il caso che facciate… questo ed altro davanti a noi. Sei d’accordo, fratello caro?” Malgrado cercasse di esprimere fastidio, la voce di Mycroft aveva una nota sollevata, che la rendeva quasi dolce.
Con molta riluttanza, John e Sherlock staccarono le labbra, ma rimasero ancora abbracciati: “Sai sempre essere seccante, Mycroft,” sbuffò il minore degli Holmes.
“Scusa se ti ricordo una cosa così superflua come l’educazione.”
Sherlock, improvvisamente si separò da John, per affrontare il fratello: “Come mai siete venuti qui proprio oggi? Mike ti ha avvisato, dicendoti cosa vi fosse scritto nel testo, che aveva trovato.”
“Mike mi ha lasciato un messaggio alla torre, prima di seguirti. Ogni settimana inviavo un mio uomo di fiducia, per avere un rapporto. Mike sapeva che sarebbe arrivato il giorno dopo la sua partenza. Mi ha spiegato quello che aveva scoperto, così ho fatto sorvegliare la casa di Irene. Il resto, penso che sia facilmente deducibile.”
“Cosa è successo al sole?” domandò Mary.
“Un’eclissi di sole,” risposero John, Mike e Mycroft, all’unisono. Sherlock li fissò interdetto.
“Naturalmente, tu non sai di cosa stiamo parlando,” sospirò Mycroft, alzando gli occhi al soffitto.
“Se anche ho letto qualcosa al riguardo, è una nozione che ho ritenuto superfluo ricordare. Bisogna essere selettivi, quando si tratta di decidere con che cosa riempire la propria mente. L’astronomia è una scienza nebulosa e di nessuna utilità pratica. È inutile sprecare energie per conservarne la memoria.”
“Si tratta di un fenomeno che capita ogni tanto, per cui la Luna passa davanti al Sole e lo oscura,” spiegò Mike.
“Niente stregonerie?” Insisté Mary.
“Solo scienza,” confermò John.
“Ed io? Cosa faccio, ora?” Chiese Mary.
“Che ne dici di venire a parlare con me, Sarah Sawyer? O dovrei dire Mary Morstan…” propose Mycroft.
Mary scrollò le spalle: “Un nome vale un altro. Non è quello a fare una persona. Che cosa hai da propormi?”
“Un lavoro che sfrutti le tue innate ed innumerevoli capacità,” continuò Mycroft, avviandosi verso la porta.
“Mi pagherai, vero?”
“Certamente.”
“E sarà… avventuroso?”
“Assolutamente sì!”
“Allora si può fare.” Mycroft e Mary uscirono, continuando a parlare del futuro lavoro della ragazza.
Mike sospirò: “Mycroft ha sempre detto che mi avrebbe ridato il mio lavoro di medico per la Guardia Privata del Re. Speriamo che se lo ricordi.”
“Mio fratello ricorda sempre tutto. Manterrà la sua parola,” lo rassicurò Sherlock.
“Grazie per quello che hai fatto per noi, Mike. – gli disse John – Hai sacrificato una parte della tua vita per aiutarci. Non potremo mai sdebitarci con te, per questo.”
“Era il minimo che potessi fare. Se io non fossi stato così stupido…”
“Il passato è passato. – lo interruppe Sherlock – Non hai più nessun motivo, per sentirti in colpa. Se siamo qui, lo dobbiamo a te. Grazie, Mike.”
L’uomo era imbarazzato, ma felice: “Ora cosa farete?”
Sherlock allungò una mano per prenderne una di John: “Credo che sia ora di tornare a casa. Abbiamo tanto tempo da recuperare.”
John strinse forte la mano di Sherlock: “Ovunque, con te.”
Il sole splendeva alto in cielo, riscaldando la fredda giornata ed illuminando i volti felici di John e Sherlock.
Finalmente riuniti.
Finalmente insieme.
Per sempre.


Angolo dell’autrice

N.B. Soutwark è una Cattedrale, ristrutturata nel corso dei secoli, che esisteva nella Londra del XIII secolo.

Innanzitutto, spero che nessuno sia troppo dispiaciuto per la morte di Irene. Questa è la fine che fa il Vescovo nel film e ho deciso di mantenerla. Naturalmente, non possono esserci troppi abbracci e baci in pubblico, per John e Sherlock, visto che nel XIII secolo non sarebbero stati troppo apprezzati, anche da chi simpatizzasse per loro.

Ringrazio chi abbia letto la storia e chi la abbia segnata in qualche categoria.
Un enorme grazie a Blablia87, adlerlock, Koa_, AkaNagashima ed emerenziano per le stupende recensioni lasciate allo scorso capitolo.

Spero che la storia ed il suo finale vi siano piaciute e ringrazio fin da ora chi lasci un commento.

Ciao! 😊
   
 
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