L’Ordine Oscuro era stato
vandalizzato.
Sicuramente non c’era altra
spiegazione.
Miranda, seduta compìta nel Refettorio accanto a Marie, sembrava esserne
particolarmente turbata. Da qualche notte i rumori la tenevano sveglia – ‘ma
no, Miranda, no, sei paranoica, come sempre, Miranda, Miranda’ si ripeteva –
ma quella mattina erano andati a raccogliere i (pochi) effetti personali
del fu Yu Kanda, e… ed avevano trovato tutto sottosopra.
Come le lenzuola strappate.
Come l’asettica sedia
rovesciata.
Come i cassetti dell’austero
comodino aperti, contenuto disperso sul pavimento. Schizzato lì, come sangue
schizzato via da una ferita particolarmente copiosa.
E pezzi di vetro e pozze
d’acqua, per terra.
Vicino alla porta. Sulla porta.
Lenalee abbassò lo sguardo sul
piatto ancora pieno ed ormai freddo, labbra di bocciolo ormai eternamente
piegate all’ingiù. Occhi iniettati di rosso – come sempre, da quando
Allen li aveva abbandonati lì passando a miglior vita.
Lavi si ritrovò a domandarsi distrattamente se sarebbero mai riusciti a vederli
limpidi come un tempo.
Limpidi, sereni.
I Noah erano ancora in
circolazione, ma il Conte non più.
Si poteva tranquillamente affermare che la guerra avrebbe finalmente trovato
una fine. Finalmente.
Lenalee avrebbe dovuto sorridere
ed essere felice.
Lenalee guardava il cibo e
serrava le labbra, cercando invece di combattere la nausea.
“E’ una cosa orribile,” mormorò,
infine, infrangendo il silenzio troppo a lungo protratto. Miranda annuì,
miserabile come suo solito, mentre Marie rimase in silenzio, con i suoi occhi
ciechi che guardavano il vuoto. Imperturbabile – lo sembrava sempre,
dopotutto.
Lavi, d’altro canto, sentì quella rabbia infida farsi strada nelle vene, far
fremere le mani.
La sentiva sempre più spesso, ultimamente – in particolare, quando gli capitava
di sentir il nome di Kanda dalle labbra dei finders.
Una tacita regola, vecchia come il mondo, implica che tutti parlano bene
dei morti.
L’Ordine oscuro sembrava esserne
esente.
Forse, non gli era arrivata la comunicazione.
Chissà.
Forse erano tutti al bagno,
nel momento in cui quell’implicita legge era stata approvata.
Si ritrovò a pensare che Yu
sarebbe stato veramente fiero del suo piccolo
c a p o l a v o r o operato in
vita.
Veramente, veramente fiero.
“Non se lo merita,” continuava
intanto Lenalee, voce infranta. Non si fermò neppure a riflettere abbastanza a
lungo dal cogliere il suo errore, nell’aver usato il presente.
Seguì il silenzio.
Sarà che nessuno ormai sapeva
più esattamente di cosa parlare con la cinese, che sembrava ogni
momento un passo più vicina ad un crollo psicotico.
Disagio.
“Kanda…” esordì Marie, e la sua
espressione rimase distante. Parve per un attimo che volesse aggiungere
qualcosa.
Si fermò a metà strada, labbra schiuse, espressione crucciata appena.
Lavi non si domandò neppure il
perché. Il respiro irregolare di Lenalee era perfettamente udibile anche
senza il finissimo udito dell’esorcista austriaco.
Finirono di pranzare in
silenzio.
oOoOoOo
Komui sembrò essere turbato da
quegli atti vandalici almeno quanto Lenalee e Miranda.
Non si arrabbiò, però, tanto intensamente come Lavi.
(Lavi ne rimase leggermente
deluso, perché si ritrovò appunto costretto ad arrabbiarsi anche al posto suo)
Con una serietà ed una severità
del tutto aliene al suo carattere, si premurò di parlare con le unità dei
finders. Lo fece nel refettorio, all’ora di cena della stessa giornata.
Era una cosa or-ri-bi-le
da fare. Non capivano che Yu Kanda non è stato altro che uno dei troppi
sacrifici fatti per questa guerra? Che ha
s p r e c a t o la sua vita per
l’Ordine, e che alla fine non ha mai – maimaimai - avuto scelta? E che
il loro è un atteggiamento così puerile ed ingrato, ingrato, ingrato,
ingrato...
Quella parola sembrava piacergli.
La ripetè a lungo.
Lavi li avrebbe semplicemente chiamati bastardi, pensò.
Lo distrasse un mormorio, dietro
le sue spalle, dalla tavolata vicino a quella dove sedevano i pochi esorcisti
rimasti.
“… mentre mangio, mi rovina il
gusto del cibo…”
Parole troppo ripetute da Yu,
parole talmente ripetute da Yu che chiunque le avrebbe sempre e comunque
ricondotte a lui.
La voce, però, non era quella di
Yu. Yu non c’è più.
La voce era quella di un finder. Lavi ne ricordava il nome. Maxwell.
Maxwell. Una brava persona, di
solito. Un po’ ottusa, ma brava.
Una delle tante vittime della tagliente lingua del giapponese.
Alle sue spalle, quel commento
sommesso fu seguito da una risata.
Una risata celata troppo male.
Sommessa anche lei.
Se Yu fosse stato vivo, se Yu
fosse ancora in processo di morire, probabilmente un commento del genere non
avrebbe punzecchiato il sempre più sensibile non-cuore di Lavi.
Lavi l’avrebbe catalogato,
sarebbe andato al capezzale del morente, e glielo avrebbe raccontato.
Si sarebbe fermato a guardare
quegli sfuggenti occhi a mandorla inasprirsi, mostrare barlumi di vita
prima di riperdersi in quel modo che apparteneva solo a lui. Il mondo riflesso
negli occhi di Yu, un mondo di cui Lavi faceva sempre meno parte.
Si sarebbe fermato ad ascoltare
quella voce un po’ tumefatta e roca inasprirsi, in caustici commenti e
improperi assortiti. L’avrebbe persino ascoltato mentre la lingua scivolava
dall’inglese al cinese al giapponese, sempre più lieve, sempre più fievole,
finchè non fosse scemata nel silenzio. Sapeva che il giapponese non si sarebbe
neppure accorto d’aver smesso di parlare.
L’avrebbe guardato, poi, mentre
Yu guardava il nulla.
Se Yu fosse stato ancora
miserabilmente vivo, quel pessimo commento gli avrebbe regalato qualche attimo
di vita. Un pretesto per tornare ad essere, per qualche attimo, il vecchio Yu
di prima.
Per illudersi che non era
cambiato niente, e che il suo corpo sarebbe guarito. Come sempre.
Ma Yu era morto.
Niente commenti caustici.
Niente borbottii inconsulti.
Niente minacce di morte.
Niente
calore sotto le coperte, durante le missioni nei Paesi del Nord.
Niente
sguardi onesti, e niente “questo non significa niente”.
Niente labbra sulle sue, niente pelle contro pelle, niente rassicurazioni –
siamo ancora esseri umani…
(che
ironia, per bookman!)
(…
che ironia, per Kanda…)
Niente Kanda.
Niente Yu.
Lavi abbassò lo sguardo,
stringendo la forchetta con più forza del dovuto.
Lenalee si alzò e corse via dalla
stanza.
Komui corse via dietro di lei,
chiamandola a gran voce.
Pover’uomo – pensò Lavi,
con distacco forzato. Pover’uomo.
Tutto, pur di non pensare ‘povero
Lavi’.
La vita andò ugualmente avanti,
dispotica come al solito. Apparentemente, un finder di nome Gozu doveva la vita
a Kanda. Si lanciò pertanto in una difesa accorata, strenua e particolarmente
appassionata della memoria del defunto. Parlò di dedizione alla
missione, e di sacrificio di sé, e di altruismo – salvo la prima,
qualità che mai erano state attribuite al giapponese. Non ad alta voce.
Non da un finder.
Lavi seguì con disinteresse la
discussione-lite che scaturì da quell’intervento – semplicemente troppo stanco
per sputare veleno su quei poveri finders che, in fondo, non avevano motivo
di essere infelici.
Non sentivano il peso del lutto.
Kanda era stato per loro quello
che può rappresentare un bullo pluribocciato per una classe di tremanti ed
insicuri bambini di prima media.
Un lupo affamato, pronto a sbranarli al minimo errore. Pronto a
schiacciarli alla prima occasione.
Davvero un piccolo capolavoro,
Yu.
Lavi non riusciva a costringersi a
tenere alto l’onore del ricordo di Yu.
Yu non lo avrebbe mai voluto. Yu le sue battaglie le combatteva sempre da solo.
E poi, Bookman i ricordi li serba
dentro di sé. Li trascrive su carta, li consegna all’eternità.
Yu sarà per sempre con noi.
Li consegna all’eternità, e li
custodisce per sé. Non c’è bisogno che gli altri sappiano.
Io so. Lenalee sa. Marie sa. Komui sa. Tiedoll sa.
... è sufficiente, tornò a
ripetersi, scostando il piatto ed alzandosi dal tavolo con un movimento
involontariamente brusco. Dedicò una perfetta imitazione di sorriso a Marie e
Miranda, e decise di andare in biblioteca.
Leggere gli annali gli avrebbe
portato un po’ di sana alienazione dal suo non-cuore-però-cuore-in-fieri,
un’alienazione che non poteva non giovargli.
Passò la notte lì, e finì per
addormentarsi sullo scrittoio macchiato d’inchiostro.
oOoOoOo
Nonostante il trambusto del giorno
prima, durante la notte il vandalo era tornato ad agire.
Miranda si svegliò di soprassalto,
ed era notte fonda.
Una debole luce, pallida e spettrale, filtrava da uno spiraglio della finestra
sfuggito al sipario delle tende.
Ben più vivido era stato il rumore
di vetro infranto al di là del muro. Non l’aveva immaginato. Era stato proprio
rumore di vetro.
Come la sera prima. Vetro. Infranto.
Miranda, Miranda, povera
Miranda~
Strinse convulsamente le coperte
nei pugni pallidi, capelli madidi di sudore incollati alla fronte. Trattenne il
respiro.
Poi, di nuovo. Nel silenzio, il rumore
dei cocci di vetro risuonò cristallino.
No, no, non l’aveva immaginato. Sarebbe dovuta andare a controllare? No.
No, no, no, non ne aveva il coraggio.
Miranda, Miranda, povera
Miranda~
E se il vandalo l’avesse
attaccata? Buona a nulla, buona a nulla Miranda, se l’avesse attaccata,
lei…
Lei…
Serrò ostinatamente le palpebre,
strinse la stretta sulla lenzuola, raccogliendole sul petto.
Rimase così per troppo tempo. Alla
fine, con un assordante tonfo, i rumori cessarono. Incerta, la donna schiuse un
occhio, cercando di tendere l’orecchio ed affinare l’udito.
Ma la notte era nuovamente
piombata nel silenzio. Non sentì la porta aprirsi e chiudersi.
Non sentì più nulla, e per un
attimo le parve di essere diventata sorda. Rischiò ancora una volta di cadere
nel panico.
Le ci volle un po’, per recuperare
coscienza di sé e della situazione.
No, la porta non s’era aperta e
non s’era chiusa. Il vandalo era ancora lì.
Miranda, Miranda~
Deglutì. Una, due volte.
Poi, posò i piedi nudi sulla
fredda e liscia superficie del pavimento, sopprimendo un brivido. Gettandosi
sulla camicia da notte uno scuro e liso cardigan di lana – un tempo doveva
essere stata soffice – con passi incerti e gambe tremanti si diresse verso la
porta della stanza.
La schiuse, si affacciò sul
corridoio.
E gettò un grido.
oOoOoOo
Marie non era riuscito a
prendere sonno.
Nonostante fosse molto tardi,
aveva già rinunciato a cercare di dormire. Di riposare (in pace, amen).
A volte, la sua innocence era
una vera e propria maledizione. Lo aiutava certamente a convivere con il suo
handicap alla vista, ma il costante brusio di piccole voci che gli riempivano
la mente diveniva alle volte insopportabile.
I battiti del cuore delle
persone a lui vicine divenivano quasi un caotico ritmo tribale, che gli
ricordava delle missioni intraprese in Africa con Daisya – pace all’anima
sua – e Kanda – bis. Quello delle persone più lontane, un debole
richiamo che tuttavia ne risvegliava i sensi, e richiedeva d’essere ascoltato.
Alle volte, diveniva insopportabile
cogliere anche i più fievoli rumori.
Ma non erano i fievoli rumori a tenerlo sveglio.
Erano i singhiozzi di Lenalee a farlo.
Quella poverina non aveva retto
ad un cuore doppiamente infranto – così fragile, era sempre stato fragile,
il battito del suo cuore. Era ridotta ormai all’ombra di sé stessa.
Kanda le aveva voluto bene, a
suo modo. Questo Marie lo sapeva.
La cosa lo avrebbe distrutto – in quel modo silenzioso e invisibile in
cui Kanda si lasciava distruggere, giorno dopo giorno. Dignitosamente,
orgogliosamente, testardamente silenzioso ed invisibile.
Forse avrebbe dovuto cercare di
assicurarsi che Lenalee recuperasse, che stesse bene.
Kanda gli aveva salvato la vita, una volta.
Un debito che Marie, nonostante fosse un uomo forte, non era mai riuscito a
ricambiare.
Kanda non glielo aveva m a i permesso.
Con ancora addosso gli abiti
della giornata, l’uomo si rigirò sul letto, ponderando o meno sull’andare a
cercare un posto più silenzioso dove distendere i nervi e far passare il
principio di mal di testa. Non fu, tuttavia, in grado di prendere una decisione
autonoma: cristallino, il rumore di vetro infranto riverberò nella sua stessa
anima, si espanse, e si zittì. I suoi echi, tuttavia, continuarono a scuoterlo
per un po’.
Un rumore talmente vivido che, per un momento, temette che qualcuno fosse
entrato nella sua stanza e avesse rotto qualcosa.
Ma no, non sentiva nessuno nella
sua stanza.
L’unico battito di cuore, lì, era il suo. Come suo era l’unico respiro.
Si risollevò seduto sul letto,
corrugando appena la fronte.
Nuovamente, il rumore di vetro
infranto riecheggiò graffiante nel silenzio notturno.
Vandalismo.
Il vandalo.
Il vandalo era di nuovo lì –
nella foga di alzarsi, Marie finì per inciampare nelle lenzuola sfatte. Non
chiuse neppure la porta alle sue spalle, nell’abbandonare la stanza.
Durante la sua corsa verso la
stanza del compagno di squadra, tuttavia, una delle porte sul suo tragitto si
aprì di scatto – repentino rumore di cardini, violento spostamento d’aria –
e fu costretto a fermarsi.
Seguì un grido, un grido
innaturale da banshee irlandese - un cuore che salta un battito - ed un
tonfo per terra.
“Uh… Miranda?”
oOoOoOo
Per il resto della notte,
Miranda non aveva accennato a riprendersi dallo shock di essersi ritrovata nel
buio del corridoio l’enorme figura di Marie davanti alla porta, proprio nel
momento in cui, tremante, aveva avuto il coraggio di aprirla. Marie si premurò
tuttavia di controllare la stanza di Kanda, dopo aver adagiato Miranda sul suo
letto – e nulla da fare, la stanza era nuovamente vuota.
La finestra era rotta in due
punti – cosa che effettivamente spiegava i rumori di vetro infranto. Il
giorno seguente, seduto accanto ad una Miranda talmente rossa da sembrare sul
punto dell’autocombustione spontanea, raccontò l’accaduto a Lavi.
Approfittando, in un certo senso, del ritardo di Lenalee a recarsi in
Refettorio.
“Non può continuare così. Ha
persino distrutto la clessidra di vetro,” concluse l’austriaco, cipiglio
preoccupato sul volto. Voce calda e pacata, se non leggermente affranta. “Non
può neanche permettere al suo ricordo di riposare in pace? C’era qualcuno che
lo odiava davvero così tanto?”
Domande senza risposta. Apparentemente.
Così vuole la retorica.
Lavi avrebbe azzardato un bel
“sì” in risposta ad entrambe. Era stato sempre fin troppo facile, odiare
Yu.
Oltre a questo pensiero,
tuttavia, nella sua mente non se ne aggiravano molti altri – questa calma apparente,
questa piatta indifferenza che gli attanagliava l’animo lo spaventava un poco.
L’alienazione della notte prima, operata consciamente immergendosi nelle
letture della Storia – quella con la S maiuscola – aveva sortito il suo
effetto.
Tuttavia, era come una visita indesiderata
dell’altrettanto indesiderato quarantottesimo alias nella sua coscienza.
Indesiderata, non benvenuta.
Scosse il capo – schifo,
schifo, che schifo quell’indifferenza, ma Bookman ne ha bisogno, vedi cosa
succede se…? – ma d’altronde Yu non si trova in quella stanza, ed il
suo ricordo non c’entra niente con quella stanza, ed in fondo
quella stanza diventerà di qualcun altro, qualche nuovo finder o qualche
nuovo membro della scientifica o qualche nuovo esorcista che la farà sua
e cancellerà tutte le tracce dell’esistenza di Yu.
Yu non è lì, Yu è un
mucchio di cenere raccolto in un urna senza nome, fra tante altre urne
senza nome.
A prova di Conte, a prova di Akuma.
Che idiozia, ora che il
Conte… ora che Allen…
… che idiozia.
La Chiesa è fatta di
Idioti. Idioti. Yu non è neanche lì.
Distrattamente, si ritrovò a
domandarsi se anche Lenalee stesse cercando ovunque tracce di Allen. Tracce di
Kanda. Tracce della passata felicità.
Ricordi, oggetti importanti. Un
mazzo di carte con cui si cercava di imparare il poker. Un elastico per capelli
prestato e mai restituito.
Una
sciarpa avvolta attorno al collo slanciato quando fa freddo.
Una
statuina della Marianne come souvenir della missione svolta in Francia.
Quel
braccialetto di perline che da quel giorno Yu portava sempre più di
rado.
L’odore
del sapone sulla federa del cuscino.
Chissà.
Chissà dove sei, Yu.
Chissà perché Lenalee non è
venuta a mangiare, oggi.
OOoOoOo
Di Lenalee non si ebbero
notizie per tutta la giornata.
Komui disse che era in
infermeria. Lo disse con un tono talmente desolato ed infranto, che nessuno
ebbe il coraggio di approfondire l’argomento.
Lavi protestò dicendo che
voleva andarla a trovare.
Komui disse che stava
riposando, e al momento non si sarebbe potuta svegliare comunque.
Domani, magari.
Domani.
Quella notte Lavi, Marie ed una
tremante Miranda si appostarono nel corridoio di fronte alle stanze della
tedesca e di Kanda. Con un sottile senso di inquietudine, attesero
pazientemente che qualcuno si affacciasse nel corridoio. Lavi e Marie finirono
per intrattenersi parlando di inezie e sciocchezze, mentre Miranda – con le
mani giunte di fronte al petto – fissava con troppo impegno la porta chiusa
della stanza vandalizzata. Battendo ciglio il minimo possibile, sul viso
un’espressione che rendeva ancora più evidenti le occhiaie delle poche ore di
sonno godute in questi ultimi giorni.
Non successe nulla.
A loro insaputa, l’Orologio
dell’edificio scoccò le tre di notte. Ma nessuno s’era affacciato ancora al
corridoio – nonostante, la sera prima, i rumori fossero cominciati attorno a
quell’orario.
I secondi si susseguirono,
l’uno dopo l’altro. La mente di Lavi, disillusione personificata, in
competizione con il cuore-in-fieri, decise di dichiarare arbitrariamente
il caso chiuso. “Non sembra tornerà, oggi.”
“Ci avrà visti qui fuori?” tentò
Marie, tono vagamente incupito dalla riflessione.
“No, no, non si… non si è
affacciato nessuno. Ho guardato, ho guardato tutto il tempo!”
protestò Miranda, stringendo i pugni contro il petto e serrando le labbra. Come
dichiarato, tuttavia, nel parlare non scostò affatto lo sguardo dall’imbocco
del corridoio.
Com’era sentita, questa
sua ricerca del colpevole.
E pensare che Yu, lei, neanche
lo conosceva. Se non di vista. Chissà cosa pensava di lui.
Forse vuole solo dormire.
Forse sono troppo cinico.
Forse…
… un tonfo sordo interruppe il
filo dei suoi pensieri.
Un tonfo sordo proveniente dalla
stanza chiusa.
Stanza chiusa in cui non era
entrato nessuno.
Com’era possibile, allora, che
questo nessuno la stesse vandalizzando?
Miranda sbiancò del tutto, sguardo
vacuo fisso sulla porta. Un nuovo tonfo la fece sobbalzare.
Marie sembrava, invece,
semplicemente perplesso. Rimase in silenzio, chiudendo gli occhi annebbiati,
quasi concentrandosi ad ascoltare qualcosa.
Lavi prese in mano i redini
della situazione, e scattò verso la porta.
Non appena Miranda se ne accorse, con preoccupazione tutta materna si precipitò
a seguirlo a ruota, tirandolo appena per la manica della maglietta.
“A-aspetta, Lavi! Non… non è
entrato nessuno, lì, l’abbiamo visto… e…”
“Appunto! Appunto, non è entrato
nessuno e voglio sapere cosa ca…”
“… no… non è saggio!” protestò
la donna, un sussurro urgente che sibilò nella penombra del corridoio. Sembrava
tremare come una foglia. “Non è affatto…”
“… non c’è nessuno lì dentro,”
mormorò la voce stranita di Marie.
Nessun respiro. Nessun battito di cuore?
Nessuno.
Ma ancora, come può nessuno…?
Un ulteriore tonfo li distrasse
dalla piccola discussione. In tre sobbalzarono.
Poi, l’espressione sul volto di Bookman Jr si contrasse nell’espressione più
dura che il quarantanovesimo alias avesse mai vestito.
Perché,
perché ti arrabbi?
Yu
non è lì!
Lavi posò la mano sulla
maniglia, e Miranda posò la mano sulla mano di Lavi. “Aspett---“
Ma Lavi non aveva proprio
intenzione di aspettare nessuno.
Scostandosi appena di lato, guadagnò lo spazio necessario per aprire ugualmente
la porta.
La quale, di scatto, si ritrovò spalancata.
Miranda si ritrovò
davanti alla soglia.
Un cassetto vuoto si ritrovò
a volare in direzione di Miranda.
La fronte di Miranda si ritrovò
sulla traiettoria del cassetto.
Non ebbe neppure il tempo di
reagire, la donna: svenne più o meno sull’impatto.
Indubbiamente, Miranda era sempre
stata una donna sfortunata.
Fine
Capitolo Primo