Tu ed io, contro il Mondo, contro il Tempo di Lory221B (/viewuser.php?uid=660415)
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L'avventura del porto -
parte seconda
John strisciò a fatica sul pavimento di quel magazzino, ogni
metro era un’agonia a causa della ferita, ma non sentiva
più niente, tutto era sparito davanti al terrore
che
Sherlock non ci fosse più. La suoneria continuava a
rimbombare
in quello spazio vuoto e ad insinuarsi in ogni angolo più
nascosto di quel luogo desolato, finché non partì
la
segreteria.
Ancora qualche metro e sarebbe riuscito ad aggirare gli scatoloni e
raggiungere il cellulare. Non poteva pensare che Sherlock fosse morto,
che non avrebbe più rivisto i suoi occhi, di quella
sfumatura
che ancora non era riuscito a decifrare, che non avrebbe più
potuto prenderlo a pugni ogni volta che se lo meritava, che non lo
avrebbe più coperto con un plaid quando si addormentava sul
divano. In effetti, quest’ultima cosa non la faceva
più da
anni.
Si trascinò pesantemente, sentiva che era sempre
più
debole e non poteva che provare ancora più dolore
al solo
ricordo delle ultime parole che si erano scambiati. In un altro tempo,
in un’altra vita, forse sarebbe stato diverso. Se solo
Sherlock
non avesse dovuto fingere la sua morte, se non fosse sparito per due
anni, se John non avesse incontrato Mary, se non avesse avuto una
figlia o semplicemente se avesse avuto il coraggio di accantonare tutto
e dire a Sherlock le uniche due parole che sarebbero contate:
“ti
amo”, allora tutto si sarebbe risolto.
Troppi “se”, evidentemente non era destino un happy
ending
per loro due e ormai sembrava troppo tardi. Superò gli
scatoloni
e quello che gli apparve davanti, rischiò di farlo morire
d’infarto. Il detective era steso a terra, con una ferita da
proiettile che stava grondando sangue, molto simile a quella che gli
aveva causato Mary. Gli occhi chiusi, i capelli scompostamente
appoggiati sul pavimento, ma John, da bravo medico, si accorse che la
cassa toracica si alzava ancora: respirava a fatica ma era vivo.
« Sherlock » sussurrò John, accostando
una mano al
volto del moro. Il leggero tocco caldo delle dita del dottore
sembrarono ridestare il detective che mormorò appena il nome
di
John.
« Sherlock » riprovò in maniera
più energica « Ti prego »
Il detective aprì piano gli occhi « John
»
sussurrò il detective con un leggerissimo sorriso
« Stai
bene? »
Il dottore emise una flebile risata “Perché devi preoccuparti per
me anche in un momento del genere?”
si ritrovò a pensare, ormai conscio di tutto, come se il
blocco
che aveva in testa e nel cuore, finalmente lo avesse abbandonato.
« Cosa c’è da ridere? » chiese
Sherlock,
cercando di girarsi su un fianco « Ho avvisato Lestrade prima
di
svenire, comunque »
« Sherlock, mi spiace per prima » ammise John,
trattenendosi dallo stringere i denti dal dolore che la ferita gli
stava causando.
« Siamo già alle ultime parole? » chiese
Sherlock, in un disperato tentativo di alleggerire la situazione.
« Vorrei fare un discoro serio, ti spiace? »
Il detective abbassò lo sguardo verso il pavimento gelido,
per
non essere scrutato dagli occhi blu di John, temendo che la vista del
dottore sarebbe riuscito a fargli dire qualcosa di cui si sarebbe poi
pentito se fossero rimasti vivi.
« Sherlock, ti ho detto che questa sarebbe stata la nostra
ultima
avventura insieme » iniziò John, ricordando il
battibecco
che avevano avuto prima di iniziare il folle inseguimento nel magazzino.
« Sei stato profetico »
« Mi hai chiesto “perché”
»
continuò il dottore, ignorando il tentativo di sarcasmo del
detective.
« Non voglio saperlo, John »
« Invece mi ascolterai » quasi gridò,
avvicinandosi
ancora di più, al punto che Sherlock sentì il
calore del
corpo di John avvolgerlo, finché non lo
abbracciò
per davvero. Una leggera lacrima uscì dal suo occhio, ma non
gli
importava più se sembrava la cosa sbagliata.
« John, cosa? » chiese il detective, cercando di
ignorare
quello che stava leggendo negli occhi del dottore, quel leggero
luccichio mentre lo guardava, il tremore del labbro inferiore, le dita
che continuavano ad accarezzarlo, trascurando le rispettive ferite.
« Ho detto così perché non posso
più
ignorare quello che provo, non posso più fingere che tutto
vada
bene, mi sento spaccato in due e non so più cosa fare. Ma ho
detto una cosa stupida. Scegliere Mary è stato sbagliato
da sempre, allontanarmi da te sarebbe peggio »
affermò
serio, con la voce più ferma che potesse avere in quella
situazione.
« L’hai capito mentre strisciavi verso di me?
»
chiese Sherlock con un tono che voleva essere sarcastico, ma invece
trapelava soltanto emozione.
« Pessimo tempismo, non credi? »
« John, non era destino. Forse in un’altra vita
saremo
felici » quell’affermazione, rassegnata,
scivolò
delicatamente dalla bocca del detective. Non era una vera e propria
ammissione, forse? Il biondo tremò, non per il freddo o la
ferita, ma per la terribile ironia di dover ammettere certe cose
soltanto in fin di vita.
Perché era stato così cieco? Perché
per anni aveva
creduto che il detective non provasse niente e poi, troppo tardi, lo
aveva capito ma ormai la sua vita aveva preso un altro binario?
« E’ colpa mia, John » fece in un flebile
sussurro il
detective, appena udibile, mentre l’altro lo stringeva sempre
più forte.
« Non è vero »
Sherlock alzò appena un dito, ancora coperto dal guanto, per
accarezzare la guancia di John « Sai, credo non
avrò altre
occasioni per dirtelo, quindi tanto vale farlo adesso » fece
una
pausa teatrale, nonostante la situazione fosse già
abbastanza
drammatica « Sherlock è un nome da femmina
»
John scoppiò a ridere « Ti amo anch’io,
idiota ».
Sherlock sorrise leggermente, prima di chiudere gli occhi. John
notò subito l’assenza di respiro e di battito, a
differenza del proprio cuore che aveva preso a battere sempre
più velocemente.
« Maledetto bastardo egoista, non puoi morire prima di me!
» gridò, mentre tentava la rianimazione. Era
talmente
preso da quello che stava facendo, dalla mancanza di calore nel corpo
che stava stringendo, che non sentì l’elicottero
della
polizia, seguito dalle sirene delle volanti e le grida di alcuni agenti.
I suoni si fecero sempre più ovattati e a quel punto il
dottore
perse conoscenza e venne caricato sulla barella, mentre le voci agitate
di Lestrade e Donovan si mescolavano a quelle dei paramedici.
John si svegliò alcune ore dopo, alzò le palpebre
pesanti
e venne invaso dalla luce bianca delle lampade dell’ospedale.
Era
su un letto, in una stanza doppia, ma nessun moro detective occupava il
letto accanto a lui. L’istinto fu di alzarsi e togliere
immediatamente tutto quello che era attaccato al suo corpo.
« Non fare idiozie » tuonò una voce
spazientita.
« Mycroft? » chiese il dottore confuso, prima di
mettere a fuoco la figura dell’uomo.
« Sei debole, i medici non vogliono che ti alzi »
« Dov’è Sherlock? » chiese
John e non
poté tremare alla vista dell’espressione
dispiaciuta di
Mycroft. L’elettrocardiogramma registrò
una
spaventosa accelerazione del battito cardiaco, cosa che
agitò
persino il glaciale Holmes « No, John. Sherlock sta bene, non
preoccuparti. Ha nove vite come i gatti »
John riprese a respirare regolarmente mentre l’uomo gli si
avvicinò « Sono qui perché Sherlock
sotto
l’effetto degli anestetici, mi ha detto cose molto
interessanti.
Chiacchiere che avete scambiato quando credevate di morire »
John
non sembrò affatto colpito, ma sostenne il suo
sguardo.
« Hai scoperchiato il vaso di Pandora, John. Vorrei sapere le
tue intenzioni »
« Cosa intendi? » chiese, tossendo poi con forza.
Quella conversazione gli stava costando molte energie.
« Deciderai finalmente di essere la salvezza e non la rovina
di
mio fratello e farai la scelta giusta, oppure tornerai da Mary ed io
manderò mio fratello all’estero, senza darti il
tempo di
vederlo? »
« Cosa? »
« Non voglio darti la possibilità di distruggerlo
di nuovo, con inutili strette di mano »
John incassò il colpo in silenzio, meditò a lungo
su cosa
dire, prima di rialzare lo sguardo verso Mycroft. « Ci siamo
già separati Mary ed io. Vivo sul divano di Mike Stamford da
una
settimana, mi sorprende che Sherlock non se ne sia accorto »
« A volte è distratto, a volte non vuole vedere
» commentò laconicamente il maggiore degli Holmes.
« Credevo di dover lottare per rimettere insieme il mio
matrimonio ma ho capito, è per Sherlock che devo lottare
»
« Sono contento di sentirtelo dire. Farò portare
Sherlock
in questa stanza, appena uscirà dalla rianimazione
» fece
Mycroft, leggero, avvinandosi verso la porta d’uscita della
stanza.
« Cosa? Allora non era vero che aveva parlato sotto
anestetico!
» sbottò John, sentendosi nuovamente manipolato da
un
Holmes.
« Buona giornata dott. Watson » esclamò
soltanto Mycroft, richiudendo la porta dietro di sé.
Nelle ore in cui attese l’arrivo di Sherlock si
addormentò
diverse volte, svegliato soltanto dall’arrivo di Mary e la
figlia
prima e Lestrade poi. Quando finalmente il letto accanto a lui fu
occupato dal detective, John poté tirare un sospiro di
sollievo
nel vedere la riccia chioma del moro adagiata elegantemente sul
cuscino. Solo Sherlock Holmes poteva apparire dannatamente sexy anche
su un letto di ospedale, con la cannula della flebo infilata nel
braccio.
« Hey » mormorò Sherlock.
« Hey anche a te »
« E’ la prima volta che finiamo in ospedale
entrambi »
« La miglior compagnia che io potessi avere »
rispose John, sorridendo.
Sherlock allungò una mano, incerto, non del tutto sicuro se
John
l’avrebbe stretta, relegando con un solo gesto nel passato,
tutto
quello che era accaduto da quando il detective era tornato dalla
caduta, o se all’ultimo si sarebbe tirato indietro,
ricordando le
proprie priorità.
Ma John non lo deluse e la strinse forte.
« Sei completamente pazzo, John Watson »
mormorò Sherlock, ancora molto debilitato.
« Affatto, ho solo scelto il nostro happy ending, per questa
e
per altre mille vite » rispose, guadagnandosi
un’alzata di
occhi verso il soffitto da parte del detective, che fingeva di non
amare simili smancerie. Le avrebbe odiate da tutti, tranne che da John,
ma non lo avrebbe mai ammesso.
« A proposito, credo di aver sognato che ero un alieno e tu
un
buffo terrestre » fece il detective, massaggiandosi la testa.
« E poi il pazzo sarei io? »
« In effetti, un mio lontano parente era stato messo in
manicomio
negli anni ’20. Spero di non aver preso da lui »
continuò leggero il detective, non smettendo un attimo di
sorridere verso il dottore.
« Magari non era un sogno, ma una visione del futuro?
»
azzardò John, sentendo che pian piano si stava
riaddormentando
sotto l’effetto degli anestetici, mentre stringeva ancora
forte
la mano di Sherlock.
Sherlock sorrise, voltandosi a guardare quella meraviglia che aveva
accanto « Anch’io ti sceglierei per altre mille
vite John
Watson » sussurrò, mentre il dottore chiudeva gli
occhi
stanco ma felice « Altre mille vite »
ripeté, certo
che finalmente era giunto il suo happy ending.
THE END
***** *****
Angolo autrice
E siamo giunti alla fine di questa strana storia ;) E’ stato
divertente scrivere contemporaneamente di tanti universi temporali.
Alla fine, quale vi è piaciuto di più? Io sono un
po’ combattuta, ma forse alla fine opto per Sh3rl e John,
perché finisco sempre per amare di più commedia
(che
finalmente ho potuto unire alla fantascienza, mio personale sogno da
quando scrivo in questo sito).
Tra cinque giorni saranno due anni che scrivo su efp ed è
davvero strano guardare indietro, quando muovevo i primi passi incerti.
Non credevo avrei scritto così tanto quando ho iniziato,
invece
eccomi qui.
Grazie mille a tutti quelli che hanno letto e seguito questa storia ed
in particolare a Blablia87, Emerenziano, CreepyDoll, Mikimac e Chappy_
per le vostre recensioni. Un grande abbraccio!!
Ps visto che scrivere non mi bastava, mi sono messa anche a disegnare e
quello qui sotto ne è un esempio e mi sembra anche a tema
con il capitolo. Sono i miei primi disegnetti ma di
questo ne sono molto orgogliosa e ringrazio Blablia87 per farmi da
tutor :)
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