Lui è tornato. Ho visto quando è
sceso dalla macchina, com'è cambiato, cresciuto... è
bellissimo. Nascosto tra i pini l'ho guardato entrare in casa, poi
uscire e sedersi sul muretto. Avrei voluto urlargli 'non sederti sul
muretto a secco, crolla!' come facevano le nostre madri, zii, tutti.
Ma sono rimasto fermo, senza fiato, senza parole. Il cuore mi fa male
a vederlo, a saperlo così vicino e così lontano.
Stringo i pugni, lui è solo al
di là di un vetro. Sono sicuro che non si sia nemmeno reso
conto che da fuori si vede tutto. Sono nell'ombra, nascosto, nel
posto che mi spetta. Sono un disadattato, un reietto, un rifiuto. Lo
guardo sbadigliare e sdraiarsi, vestito, sul piccolo letto. Poggio
una mano sul vetro, è così vicino, ma non posso fare
nulla, la gola mi fa male, non esce più voce. Un rumore, una
delle donne entra in camera e mi vede. Fuggo via. Non voglio che lui
si accorga di me. Sarebbe meglio che ricordi il bambino che ero. Il
piccolo che correva con lui nella pineta. Il bambino che diceva di
amarlo e che aveva fatto tante promesse perse nel vento.
Le mani tremano mentre preparo la mia
dose, il mio veleno. Mi tolgo il maglione troppo pesante per questo
clima ancora caldo, ma che mi serve a non pensare a quello che c'è
sotto. Alle mie braccia orribili, al mio petto scarno, alle costole
visibili attraverso la pelle.
Se sono fortunato andrò in
overdose e morirò. Libererò mio padre dal peso della
mia sconfitta. Guardo la mia camera, ormai nessuno entra più
qui. È sporca, disordinata, squallida. È come me.
La luce che entra dalla finestra è
fastidiosa, mi stringo nelle lenzuola, cercando di nascondermi.
Inutile, come tutto quello che faccio. Sospiro. Vado in bagno, il mio
riflesso fa paura anche a me. Un morto che cammina. Mi tolgo
pantaloni e slip, entrando sotto la doccia. Ieri devo aver fatto un
casino con la siringa, quasi non sento più il braccio, e sono
macchiato di sangue. Mi lavo con acqua fredda, perchè mi
punisco in questo modo? Infilo qualcosa di pulito, devo andare al
funerale. Spero non mi caccino. Vorrei dire a tutti che lui mi ha
perdonato per avergli rovinato il campo, che aveva sospirato e mi
aveva offerto un mirto quando ero andato a chiedere scusa, quando mi
ero inginocchiato piangendo per aver dato fastidio al nonno del mio
amore infantile. Lui aveva capito, forse. Era l'unico che aveva
veramente capito tutto questo. O forse è solo una mia pia
illusione. Non gli ho mai chiesto, non mi ha mai detto nulla.
Mio padre mi guarda male quando entro
in cucina e preparo il caffè. Sono il suo più grande
fallimento, lo so anche se ha smesso di dirmelo ogni giorno. Ormai
sono anni che nemmeno mi parla più. Si limita a guardarmi. Mi
sforzo di mangiare qualcosa, non posso rischiare un altro collasso,
non oggi. Lui esce per andare nei campi, il suo mondo, non mi ci ha
mai voluto. Lo guardo dalla finestra mentre fa partire il trattore,
un altro giorno per lui, un altro inferno per me. La foto di mia
madre sul ripiano del telefono mi ricorda che almeno qualcuno mi ha
voluto, anche se è morta quando ero poco più di un
bambino ricordo sempre il suo calore, i suoi abbracci, le carezze.
Bevo il caffè, pulisco la cucina.
Guardo i dieci euro nelle mie mani, non
sono abbastanza per una dose, non importa. Cammino per il paese, la
gente mi evita. Cosa mai gli ho fatto? Sono un drogato, e allora?
Faccio del male solo a me stesso, non a loro. Eppure tutti mi
scansano, come se avessi una malattia contagiosa. Guardo la moto,
dovrei venderla e comprarne un altra. Questa mi ricorda sempre lui e
il mio declino. Nel portachiavi c'è ancora il suo pendaglio
con il nome. Fabio. Quello che credevo un amico, che ha spezzato la
mia anima e il mio corpo in maniera definitiva. Sono passati due anni
ormai, e ancora non riesco a dimenticare. Il dolore fisico, il dolore
al cuore. Mi fidavo di lui, gli avrei lasciato fare tutto quello che
voleva, se solo avesse chiesto. A volte lo sogno ancora, mi sembra di
sentire la corda legata ai miei polsi, la sua risata isterica, la sua
voce. È morto quella stessa notte, di overdose. Troppo egoista
per dividere in parti uguali ha finito per prendere quasi tutto per
se. Forse era voluto, forse no. Nessuno mi avrebbe creduto, anche
denunciandolo non gli avrebbero fatto nulla. Invece trovarono me che
deliravo in preda alla febbre dopo due giorni nudo in quella casa
fredda e il suo cadavere poco distante. Ho visto le mie foto postate
sui social, sono stato insultato, offeso, cacciato dai negozi peggio
di un cane. Mi hanno detto che lo volevo. Come può una persona
voler essere legata, picchiata e violentata?
Guardo il portachiavi nella mia mano,
vicino al segno della corda e sospiro. Anche questo è un modo
per punirmi.
I quaderni, sono tutta la mia vita,
tutto quello che sono. Voglio davvero darli a lui? Una piccola
lacrima mi scivola sulla guancia. Stringo le mani a pugno. Sì,
voglio.
Come sono arrivato qui? Non lo saprei
dire. So solo che sono poggiato al cancello e lo guardo, si sarà
accorto di me? O sono trasparente per lui come per tutti? Mi guarda ,
un brivido mi corre lungo la schiena. La borsa pesa sulla mia spalla
più di quanto dovrebbe, è solo una mia illusione il suo
sorriso? Tremo. Non riesco a smettere, sono quasi in crisi di
astinenza ormai. Lui mi parla, ma io ho paura di rispondere. Può
vedere quanto sono sbagliato? Quanto sono marcio?
“Ti ricordi di me?” Se mi
avesse dimenticato?
“Certo, sono ricordi preziosi.”
Sono prezioso solo nei ricordi, non adesso. Chi potrebbe ritenermi
prezioso ora?
“Mi impedivano di rispondere alle
tue lettere.” Cerco di non piangere, mi tolgo in fretta la
borsa, il movimento mi manda una fitta al braccio, è tutto il
giorno che sanguina.
“Leggile.” Quasi lo
supplico. Alzo gli occhi e mi perdo nei suoi, sono ancora dorati come
erano da bambino.
Corro via. Quasi non vedo dove vado, ma
non importa. Inciampo e cado, gli aghi di pino mi graffiano le mani.
Singhiozzo. L'ho fatto. Gli ho davvero dato tutto me stesso. È
un sogno e un incubo insieme. Se mi odiasse? Se mi usasse come...
stringo le braccia al petto. No! Lui non mi farebbe mai una cosa
simile. Prendo il cellulare.
“Hai tutti i soldi, stavolta? Non
accetto pagherò.”
“Ti prego, ho bisogno...”
Parlo tra i singhiozzi.
“Se vuoi la dose devi pagare, per
una volta potrei anche accettare in natura, che dici?”
Il cellulare mi cade dalle mani, lo
sento ridere mentre singhiozzo. Non posso farlo, non voglio che
qualcuno mi tocchi.
Entro a casa barcollando, ho la testa
pesante, i tremori, passerà, in fondo non ho scelta. Papà
è seduto sul divano, mi guarda e un ennesimo singhiozzo mi
sfugge dalle labbra. Si volta, ritornando a seguire il programma tv.
Anni fa mi sedevo con lui nonostante gli insulti. Ora ho paura che
possa tentare di toccarmi. Mi sento le gambe molli, devo reggermi al
mobile per non cadere. Il mio sguardo si posa sul suo portafoglio,
sul ripiano. Sarebbe facile prendergli i soldi per una dose. Stringo
i denti, qualche altro passo e potrò sdraiarmi sul mio letto.
Arrivo in camera e chiudo piano la
porta, sento mio padre che si alza, starà controllando se gli
ho rubato i soldi? Vorrei poter dire che non ho mai rubato, ma
mentirei. L'ho fatto. Non sempre, ma non è una scusante. Mi
butto sul letto ancora vestito.
Tino starà leggendo le mie
parole? Starà giudicando la mia vita come il fallimento che
vedono tutti? Mi sento stanco, sfinito. Piangere è l'unica
cosa che riesco a fare. Scuola, amici, tutto quello che ho cercato di
fare è finito in dolore. Ed è stata colpa mia. Non sono
stato abbastanza, in nulla. Solo nei miei ricordi di bambino trovo il
suono della mia risata, sempre insieme alla sua. Tremo appena dal
freddo, è reale o è la mia mente? Non importa.
Non riesco a dormire, non riesco a
chiudere questa giornata di agonia. Mando un messaggio al mio
spacciatore, 'trovo i soldi se mi porti una dose', non risponde, sono
le quattro del mattino e io sono ancora qui a rigirarmi nel letto e a
piangere, come l'idiota che sono, per una stupida promessa fatta
quando ero un bambino di soli otto anni. Ma per me quella promessa
era tutto. Lo è ancora. Era un sogno, era una speranza, era la
perfezione. Lui è cresciuto, probabilmente ha qualcuna da
qualche parte, si sarà dimenticato di quella promessa. O
l'avrà presa per quello che era, il piccolo sogno di un
bambino. Riprendo a singhiozzare, ho perso tutto.
Il suono del cellulare mi fa alzare il
viso dal cuscino ormai bagnato.
“Pronto?” Sarà lo
spacciatore? Vorrei solo farmi e dimenticare.
“Vieni qui.” La voce di
Tino mi fa mancare il fiato.
“Davvero?” Chiedo incerto,
è solo un sogno?
“Verrei io da te, se non fossi
certo di perdermi.”
Sorrido tra le lacrime immaginandolo
vagare per la pineta a due metri dal sentiero.
“Arrivo.” Sussurro. Mi
alzo, ma le gambe non mi reggono, cado. Ansimo appena. Devo andare da
lui. Mi vuole parlare. Non so di cosa, non so perchè. Farà
male, ma almeno finirà la mia inutile speranza. Scendo di
sotto, papà si è addormentato ancora alla tv, lo copro
con una coperta e mi azzardo a sfiorargli piano il viso.
Ho deciso, in cuor mio so che oggi è
la fine. Quando Tino mi allontanerà andrò dallo
spacciatore, gli lascerò fare quello che vuole per due dosi.
Poi potrò smettere di soffrire.
**
Ok, forse sono scivolata un
po' nell'angst... giusto un pochino... E' che questo personaggino era
così carino e coccoloso che dovevo fargli male. Ero partita
con un'idea più leggera, ma. Marco ha preso il sopravvento e
siamo scivolati, inesorabilmente, in un mare di lacrime.
Spero che, dopo il primo
capitolo, qualcuna sia passata anche nel secondo... e ci sarà
anche un terzo, credo.
A presto <3
Veleno
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