Poi, accorgendosi che il dolore di vivere non avrebbe
dovuto acquietarsi, aveva cominciato a sentire puzza di bruciato.
Ecco, bestemmiare lo aveva un po’ aiutato a recuperare
presenza di spirito.
Il loto era completamente appassito del tutto.
Il che potrebbe sembrare ridondante, ma fu il primo pensiero coerente che la
sua mente era riuscita a mettere insieme.
Lavi era entrato nella stanza, e si era premurato di rincarare
la dose di panico.
Lavi non lo aveva neanche
guardato in faccia.
Si era fermato un attimo sulla
soglia, guardando il letto appena sopra la sua spalla. Con un’espressione quasi…
intenerita, quasi
(--- oh, Dio, cosa diavolo era quell’espressione mentre
guardava lui? l’avrebbe ucciso, oh, dio, se l’avrebbe ucci---)
Kanda aveva battuto giglio.
Poi, l’espressione di Lavi si
era appena accigliata.
Anche quella di Kanda, quindi si
era accigliata.
“Senti, La---“ aveva esordito, un sibilo fin troppo simile ad una lama
di ghiaccio.
Lavi aveva deglutito, e si era
affrettato a passargli attraverso.
Passargli.
Attraverso.
Il cuore-che-non-c’è di
Kanda aveva saltato un battito per pura inerzia, mentre il giapponese,
in quella realtà completamente irreale, s’era appena girato d’un lato.
… vide che Lavi era accanto a
lui.
Solo che non accanto al lui-che-stava-guardando-Lavi,
ma piuttosto, accanto al lui-che-non-respirava-sul-letto.
Il cervello-che-non-c’è
di Kanda aveva più o meno smesso di lavorare a quel punto, rifiutando di
razionalizzare oltre la situazione.
E per un attimo, era stato come scomparire del tutto dal mondo.
Aveva smesso di pensare,
e aveva smesso di esistere.
Una sensazione veramente orribile.
Era riaffiorato con la stessa
foga di una vittima di naufragio.
Quando lo aveva fatto, Lavi era
già corso via.
Il suo corpo già non c’era più.
Cosa? Quando?
E soprattutto.
Come?
Rabbia, astio, e rabbia ancora e
quella sensazione di vuoto dovrebbe avrebbe dovuto esserci il suo cuore.
Essere arrabbiati invece che
spaventati era così semplice, sul campo di battaglia.
Ed incredibilmente più
produttivo, poi.
La clessidra e il loto appassito
furono i primi, a cadere.
… l’ultimo, evidentemente, il
destino aveva deciso sarebbe stato quel cassetto che aveva attaccato la fronte
della donna piagnucolona che stava sempre appiccicata a Marie e che Marie
sembrava sopportare più del dovuto.
Kanda non riusciva a ricordarne
il nome, al momento. Forse si chiamava Marie anche lei. O Maria.
Non importava, davvero.
oOoOoOo
Il cassetto colpì Miranda, che
cadde a terra con la medesima grazia di un sacco di patate buttato alla deriva.
Lavi non prestò attenzione a lei
– che cosa orribile – perché c’era Marie ad occuparsene – tutte scuse
– e s’affrettò invece ad entrare nella stanza di Kanda per la seconda volta
dopo la morte del suo legittimo proprietario. Non sentì Marie deglutire alle
sue spalle, e non lo vide accigliarsi, e non vide la sue espressione di
sorpresa mentre, con l’accortezza di un cavaliere di tempi andati, si premurava
di sollevare la povera donna maltrattata dal pavimento.
I suoi occhi ciechi guardavano
il vuoto – e forse per questo la sua sorpresa sarebbe sembrata strana a non
pochi.
Lavi non l’avrebbe trovata
strana.
Ma Lavi non stava guardando Marie.
Lavi stava camminando verso il
comodino abusato.
La stanza era vuota. Non c’era
nessuno.
Lavi era leggermente deluso. Si
fermò al centro della camera, a poco più d’un metro dal letto sfatto e
disordinato e dalle lenzuola lacerate.
Proprio in quel punto, aveva piantato la sua sedia al capezzale di Yu-chan,
quando lui s’era definitivamente ammalato di troppa vita.
La sedia era riversa contro il
muro, ora, e sembrava non reggersi tanto bene su una gamba. Veniva da chiedersi
come diavolo avesse fatto Miranda a dormire, quelle notti.
Sembrava davvero più stanca del
solito, però.
Il pensiero vagò per poco più di
qualche nanosecondo, per riprendersi dall’amara delusione di non aver trovato
il colpevole.
Poi, però, fu interrotto dalla
voce di Marie.
Che sembrava insicura, e suonava
decisamente strano sentire il tono di voce dell’austriaco, così profondo e
terso, suonare così terribilmente incerto.
Ma non fu tanto il tono, però, quanto
la parola mormorata da Marie a fargli correre un brivido proprio lì, su
per la schiena.
“… Kanda?”
Kanda.
La voce insicura di Marie aveva chiamato Kanda.
Per un attimo, non solo il
cuore, ma anche il cervello – arma primaria di bookman – gli si
bloccò sul posto.
Poi, Lavi scoppiò a ridere.
Quella risata falsa, e frivola, e sembrava essere tornati a cinque anni fa,
quando tutto – tuttotuttotutto - era falso e frivolo
(…Dio, col senno di poi…)
… e il nome di Kanda sembra per
un attimo pesare sulla stanza, sul silenzio della stanza, su di loro
come una spada di Damocle.
O come Mugen pronta a
portare a termine una minaccia di morte particolarmente violenta.
Poi, per una qualche regola-fantasma,
qualcosa che assomigliava a Kanda semplicemente sfumò nel piano dell’esistenza.
Un’ombra, poco più di un’ombra immobile fra Lavi e Marie.
Un’ombra priva di colore, di
consistenza. Fioca.
Un’ombra che sembrava fatta di nebbia, che assomigliava a Kanda, ma da
dietro poteva solo vedere i fili di nebbia sfatti che ne facevano i
capelli sfatti dalla febbre, e i fili di nebbia delle mani che si
contraevano lungo i fianchi, e i fili di nebbia che costituivano tutto e
lasciavano ancora vedere Marie dall’altra parte, e il pavimento attraverso i
piedi, e la porta attraverso il petto.
Lavi non ebbe neanche la
presenza di spirito di gridare, o mostrarsi sorpreso.
Fu come se l’intero
fottutissimo mondo gli fosse crollato addosso e, l’attimo appena
successivo, quel peso enorme gli fosse stato immediatamente tolto dalle
spalle.
Un’agonia così breve e così
intensa gli riverberò nel cuore che non avrebbe dovuto sentire un bel nulla,
seguita a ruota da un irrazionale barlume di gioia e speranza e… e roba
talmente sbagliata da sentire che venne repressa più o meno nell’istante in cui
si accorse di provarla.
Venne lasciato con un’incredibile
apatia che gli fece paura. Non è così che funziona il cuore, Bookman, semplicemente
non puoi…
La traccia-di-nebbia-che-assomigliava-a-Yu-chan
si voltò verso di lui. Lavi vide lo sguardo di nebbia fioca brillare braccato,
e il volto sciupato di Yu quando era morto, ed emozioni così vivide che il
volto vero dello Yu vero non si sarebbe neanche mai sognato di mostrare.
Kanda sembrò diradarsi per un
attimo.
Poi diventò appena più nitido.
Poi sembrò diradarsi ancora.
Poi venne messo a fuoco.
Poi il suo sguardo incrociò
quello maledettamente apatico di Lavi.
Si accesero, quegli occhi di nebbia.
E poi, si spensero del tutto.
Il fantasma di Yu Kanda – era quello che era, no? – scomparve con
loro.
Lavi rimase lì, teso come una
corda di violino.
Il controllo gli scivolò via dalle dita, e si ritrovò a tremare nuovamente di
quelle emozioni così stupide e contrastanti e terribilmente egoistiche
che avrebbero fatto terribilmente gola al conte, se questi fosse ancora
vivo e Allen non fosse morto.
Grazie a Dio,
Grazie a Dio…
Marie ebbe la fortuna di
trovarsi già inginocchiato per terra accanto a Miranda, quindi le sue gambe non
cedettero.
“Era lui? Lavi, era lui?” stava
chiedendo, con quel tono di voce così devoto e rispettoso e così turbato ed
insicuro che per un attimo Lavi trasalì.
Non rispose.
Il suo occhio guardava il punto
in cui Yu era apparso e scomparso.
Fantasma.
Un’impronta di Yu su
questo mondo.
Dove
sei, Yu-chan?
Ancora
qui.
Ancora
qui.
oOoOoOo
Erano rimasti lì, per un po’.
In piena notte, nella speranza che quella traccia di Kanda si facesse
nuovamente viva.
Non accadde.
Lavi, scosso, si sedette sul
letto sfatto e piantò le tende lì. Non rispose a Marie che gli chiedeva se ‘per
favore puoi andare a riportare tutto a Komui, mentre porto Miranda in
Infermeria? La sua testa…’
Marie sospirò. La sua voce
tremante mormorò un ‘me ne occupo io’ e la sua mano tremante chiuse la
porta.
Era davvero un’ottima persona.
Doveva essere stato un ottimo compagno, per Yu.
Tuttavia, Lavi non rispose lo
stesso.
Il suo occhio, con quella mania
ossessiva che solo gli studiosi e gli scienziati e i pazzi possiedono,
stava ancora fissando il punto esatto in cui Yu si era affacciato nuovamente al
loro mondo.
Lavi aveva evidentemente
piantato le tende lì.
Ora, bisogna tener conto che
anche Kanda era stato più o meno costretto dalla sua nuova natura a
piantarcele.
Lo aveva scoperto con le cattive, perché all’inizio era entrato nel panico perché
passava attraverso le cose, e poi perché doveva concentrarsi veramente troppo
per toccarle, e poi perché la maniglia non riusciva a toccarla comunque
e tuttavia la porta non lo faceva passare dall’altra parte, e quando era
stata aperta da chi investigava sul “vandalo”, quella fottutissima
soglia non lo aveva lasciato uscire comunque. No, la dannatissima stanza
lo aveva preso per il cuore, fra le tante altre cose, e lo aveva rimesso
al suo posto. Lo aveva scaraventato, quella stanza, seduto sul letto.
Al diciassettesimo tentativo,
persino Yu Kanda aveva capito di essere bloccato lì.
Ed ora, pareva costretto a stare
lì con Lavi che per un attimo era parso pronto a scoppiare a piangere
nel vederlo.
Lavi.
E piangere.
Kanda si sentiva intrappolato in una stanza con un Lavi capace di
scoppiare a piangere.
Un incubo.
Oltre al danno, la beffa.
Pertanto, la cosa lo seccava da morire.
Lo seccava talmente tanto, che
si chinò, volle prendere una scheggia di vetro da terra, avendolo voluto
la prese, e la lanciò senza troppi complimenti contro l’altro occhio di Lavi,
quello buono.
Che rimanesse pure cieco, l’idiota.
Incredibilmente – o forse per
puro riflesso, o per la sua fottutissima vista a più di dieci decimi - Lavi
riuscì a rendersene conto in tempo e scansarsi. Piuttosto impacciatamente,
parandosi la testa con le mani. Kanda sentì vividamente la frustrazione – da
quando si era svegliato, sembrava sentire un po’ tutto troppo
vividamente – e finì per non tentare di colpirlo una seconda volta.
Lavi si azzardò a sollevare
appena il capo. Sembrava ancora combattuto. Il suo corpo era teso – lo si
vedeva chiaramente, dai muscoli del collo, e la mascella contratta e…
“Sei… arrabbiato con me, Yu?”
mormorò, con quella voce così priva di equilibrio.
Ma dai, Sherlock – voleva
rispondere Kanda. Ma non lo fece.
Ma come?
Arrabbiato?
Con lui?
Chissà perché, poi.
oOoOoOo
Purtroppo, Komui era in
Infermeria da Lenalee, quando Marie portò dentro anche Miranda.
Marie lo vide seduto con la sua
uniforme bianca, e con un’aria pensierosa, stanca, ed assonnata. Talmente
stanca ed assonnata, che l’esorcista dovette schiarirsi la voce per farsi
notare, mentre poggiava la tedesca sul lettino asettico accanto a quello di
Lenalee. Dietro di lui, la matrona li seguiva a ruota, borbottando.
Marie non aveva trovato
veramente la forza ed il cuore di dirle cos’era successo – e, Dio, cosa stava
ancora succedendo – considerando com’era andata a finire la
questione dell’ultimo fantasma residente nell’Ordine.
Tuttavia Komui era saltato sulla
sedia, quando Marie si era schiarito la voce.
Per poco, non era caduto sul letto dove la cinese era distesa, ben composta fra
le coperte come una qualche imitazione di Biancaneve nella bara di cristallo.
O come la bella addormentata nel
bosco adagiata casualmente fra i rovi.
Lo sguardo di Komui vagò su
Marie, interrogativo – vi persistette un attimo, prima di tornare su sua
sorella.
Facendosi appena preoccupato.
Marie sentì tuttavia le
variazioni di respiro nell’altro, ed attese.
Sentì anche dal respiro di Lenalee, che la ragazza era perfettamente sveglia.
Forse, fingeva di dormire.
Non avendo il cuore di dire “non
voglio parlarne”, fingeva di dormire.
Tipico di Lenalee.
Tipico di Kanda, anche.
“Sta bene?” indagò Marie, voce
abbassata a poco più d’un sussurro per non svegliarla.
Le labbra del Supervisore si
piegarono appena all’ingiù, involontariamente. “Ha avuto un crollo. Ieri notte.
Stava…” qualunque cosa stesse facendo Lenalee, quando aveva avuto il crollo,
non era dato saperlo. Komui si interruppe lì, facendo spallucce. “L’hanno
dovuta mettere a dormire, per farla calmare.”
Sembrava così stanco.
Forse avrebbero dovuto mettere a dormire anche lui.
“Incubi?”
“Forse. Non me lo dirà mai,”
ammise Komui, stringendo appena le labbra quasi stesse ingoiando un rospo
particolarmente viscido.
“E’ cresciuta,” ragionò l’esorcista.
Ha visto la guerra. Logico che è cresciuta.
“Non posso più continuare a
trattarla come una bambina, eh?” mormorò l’altro, e per un attimo la voce
sembrò amareggiata. Tuttavia, le labbra si erano piegate in un piccolo sorriso,
solo nel guardarla.
Sembrò prendersi un attimo, quasi
a farsi forza. Poi, vedendo che Marie indugiava accanto al lettino di Miranda
senza andar via, Komui dedicò del tutto la sua attenzione all’austriaco.
“Cos’è successo a Miranda?”
domandò, quel piccolo sorriso abbarbicato sulle labbra.
“E’ stata colpita… dallo spigolo
di un cassetto,” mormorò l’altro, e l’intera assurdità della situazione sembrò
crollargli addosso più o meno in quel preciso momento.
A Tiedoll gli si sarebbe spezzato
il cuore, per la terza volta.
Pensò distrattamente che Daisya si sarebbe arrabbiato da morire, nel
sapere che Kanda lo aveva battuto spezzando il cuore del Generale ben due
volte con la sua sola morte.
Daisya era riuscito a spezzarglielo una volta sola – maestosamente, tuttavia.
Il fiume di lacrime era dilagato lo stesso.
Pensieri sciocchi. Non era una
gara.
(anche se per Daisya e Kanda
tutto lo era)
Marie portò la mano possente al
viso, e pizzicò l’attaccatura del naso.
“Lo spigolo di un cassetto?” stava
intanto ripetendo Komui, appena stralunato.
“Lo spigolo del cassetto che Kanda
ha lanciato,” spiegò l’uomo, e la sua voce si incrinò appena.
Un po’ sotto il peso dell’affermazione, un po’ per il beneficio del dubbio.
“Ah,” il Supervisore si lasciò
sfuggire un suono divertito. “Tipico di Kanda.”
Marie battè ciglio, nonostante
non ne avesse bisogno.
Passò qualche momento.
L’espressione di Komui si
incupì.
“… Kanda?” ripetè,
quindi, occhi appena sgranati verso Marie. Non che servisse a molto, dal
momento che Marie non poteva vederli. Tuttavia, colse benissimo il cambiamento
di ritmo nei battiti cardiaci.
E non solo quello di Komui.
Anche quello di Lenalee,
sembrava voler farsi strada nella cassa toracica della ragazza.
oOoOoOo
“Deve andare avanti,
Lenalee,” si ritrovò Komui a spiegare, più tardi, a sua sorella.
Sua sorella che aveva finalmente
smesso di fingere di dormire, ma non l’aveva ancora guardato in volto.
Neanche lui la guardava in
volto, posando piuttosto la sua attenzione sui pugni magri che stringevano,
quasi spasmodicamente, le lenzuola. Le aggrinzivano con vigore, come se le
avessero fatto un torto imperdonabile.
Povere, innocenti, lenzuola.
“Dobbiamo aiutarlo ad
andare avanti,” ripetè il Supervisore, con quel tono di voce vagamente sorpreso
di quel che lui stesso va dicendo. Il tono di voce di chi non ha ancora avuto
il tempo di digerire il tutto.
Lenalee, da qualche parte nel
suo puzzle di cuore, sapeva perfettamente che era quella la cosa giusta
da fare.
Ma questo non implicava che volesse---
Andare avanti.
Come quel povero fantasma di quella povera vittima – povere vittime? –
di esperimenti, alla vecchia torre.
Andare avanti.
“Pensi che a Kanda
piacerebbe stare così?”
No.
Mio fratello vuole bene a
Kanda.
(voleva bene? vuole?)
Anche io gli voglio bene.
Andare avanti.
Andare avanti.
Dovrebbe essere la cosa giusta.
Ma Kanda è ancora lì, è ancora lì e…
… andare avanti.
Non è…
… non è questo, ne?
… non è questo, che
anche Allen vorrebbe?
Lenalee finì per soffocare la
sua frustrazione nel cuscino.
Komui, dal canto suo, soffocò la sua in un sorriso preconfezionato.
Troppo
poco, ormai.
Non
basta più, per farla sorridere di rimando.
Fine
Capitolo Secondo