N.d.a
►Dopo
non so quanto tempo torno a fare visita a questo meraviglioso fandom
con una piccola OS nata dalla mia recente fissa per quell'altrettanto
meraviglioso telefilm che è ''Lucifer''. Se
l'avete visto, sapete. Se non l'avete ancora fatto, vedetelo
perché merita davvero ed Ellis è un diavolo di attore.
Finito momento pubblicità - manco mi pagassero, poi. Quindi
si tratta di una Lucifer!AU, in cui esistono gli stregoni e sono come
nel canon frutto di unione fra demoni ed esseri umani e tutto
ciò che ne comporta. Niente Shadowhunters, però,
i nostri Cacciatori sono esseri umani ed alcuni di loro poliziotti
(giusto per rimanere in tema) anche se qualcosa di angelico lo hanno
pure loro. Niente licantropi e vampiri, solo demoni (sebbene venga
accennato, quella che Magnus fa a Raphael è soltanto una
battuta). Ovviamente è una Malec, con un vaghissimo accenno
alla Sizzy e alla Clace ed un non tanto vago accenno alla
RagnorxRaphael (c'ha un nome 'sta ship? Mboh. Se qualcuno lo sa e me lo
svela mi rende una donnina felice). Spero di non essermi arruginita
troppo. Se volete farmi sapere che ne pensate sarò lieta di
leggere le vostre opinioni... se non volete, non piangerò
(?). Un grazie comunque a chi passerà da qui e
spenderà un po' del suo tempo a leggere.
Buona
lettura, quindi!
x
Sinnerman
Cosa
succede quando il figlio di uno dei Principi dell'Inferno decide di
trasferirsi a New York?
«Detective!
Hai finalmente deciso di cedere ai piaceri della vita?»
Alexander
rischiò seriamente di versarsi addosso il contenuto -
rigorosamente analcolico, era in servizio - del panciuto bicchiere di
vetro che stava rigirandosi fra le mani da più di un quarto
d'ora.
Nonostante fosse, suo
malgrado, lì proprio per incontrare il padrone di casa le
sue entrate ad effetto continuavano a prenderlo di sorpresa e fargli
fare tremende, ed il più delle volte imbarazzanti,
figuracce.
Si chiese, agrottando
scontento le sopracciglia scure mentre allontanava da sé il
bicchiere incriminato, se quel tizio non lo facesse di proposito. E gli
bastò giusto uno sguardo al suo luminoso sorriso da
stregatto
per decretare che fosse assolutamente così, oltre
ogni irragionevole dubbio.
«Sono qui per
il caso, Magnus... e poi io li conosco i piaceri della vita»
aggiunse borbottando.
«Lo
vedo..» lo splendente proprietario del Pandemonium Club
ammiccò, spingendo con due dita di lato il bicchiere di
aranciata che neanche era stato finito, accomodandosi proprio di fronte
a lui nel divanetto angolare di pelle bianca che il
poliziotto sembrava aver scelto come propria base.
Sbuffò
notando come fosse il più lontano dalla pista da ballo e dal
bancone bar ma, al contempo, nella perfetta posizione atta a
permettergli di avere una visuale più o meno completa
dell'intero locale. Tipico
da parte sua.
Ignorando con
assoluta nonchalance l'occhiataccia con cui il suo ospite intendeva
fulminarlo, preferì piuttosto accavallare elegantemente le
lunghe
gambe fasciate da aderentissimi pantaloni di pelle rossa e
sollevò
una mano ornata da numerosi anelli luccicanti sotto le luci cangianti
del night per richiamare una delle cameriere strizzate in vestitini
succinti ed ordinarsi da bere.
«Ed un
Cosmopolitan per il nostro caro detective.»
«Oh no, no.
Sono in servizio» si affrettò a rifiutare quello,
sgranando gli occhi incredibilmente azzurri e distogliendo
immediatamente lo sguardo dalla ragazza, a disagio. Era davvero troppo
poco vestita per i suoi gusti.
Magnus
soffiò - come un
gatto, ebbe quasi l'impressione Alec - e roteò
gli occhi verde-dorati agitando spazientito quella stessa mano per poi
indicarlo con un gesto d'accusa ed una buffa smorfia contratta
«Oh, andiamo! E' persino un drink da donne, meno di
così non posso fare!»
«Cos-»
il detective scosse il capo, decidendo che non sarebbe stato
propriamente il caso di dargli retta. Avrebbero finito per far notte -
beh, ok, mattina - e sarebbe tornato alla centrale senza un nulla di
fatto. Non poteva certo permettersi una perdita di tempo come quella,
per quanto in fin dei conti il suo stravagante partner fosse un tipo
affascinante e passare del tempo con lui nemmeno troppo spiacevole.
Almeno non quanto all'inizio di quella loro stramba amicizia.
«Senti,
Magnus, sono venuto qui perché ci sono novità sul
rapimento di Amatis Herondale. Quindi mi faresti il favore di
concentrarti ed essere serio per cinque minuti? Sempre che ti
interessi ancora.»
Era abituato al fatto
che quell'assurdo individuo sparisse durante un' indagine, dicendosi
annoiato dal caso perché a parer suo troppo semplice o
perché aveva di meglio da fare. Non riusciva proprio a
comprendere come il Commissario Penhallow avesse potuto accettare di
fare collaborare con il dipartimento un soggetto del genere. Ok, magari
si era rivelato parecchio utile negli ultimi casi ed era indubbio che
avesse delle capacità particolari... ma quel tipo diceva di
essere uno stregone.
Sul serio. Uno di quelli che fanno magie ed agitano bacchette
- anche se questa battuta gli era valsa un'occhiata
ammiccante ed un riferimento poco velato ad un altro tipo di bacchetta
che il signor Bane si vantava d'esser bravo ad agitare, e non l'avrebbe
mai più fatta.
Il detective Lightwood
ammetteva di non essere in grado di spiegare alcuni dei 'trucchi' che
quell'uomo metteva in scena in maniera così brillante da
sembrare quasi veri o come facesse ad ottenere dalla gente delle
confessioni in pochi secondi che ore di interminabile interrogatorio
non avrebbero saputo estrapolare. O, ancora, come fosse stato possibile
per lui uscire illeso da diversi conflitti a fuoco potenzialmente
mortali quando un suo singolo colpo a bruciapelo, sparato
più per esasperazione che per vera convinzione e costato
settimane di sensi di colpa ed un bacio rubato per ammenda, lo aveva
fatto zoppiccare per giorni e sanguinare considerevolmente per uno che
diceva di essere immortale («Immortale, non 'non
ammazzabile', detective!
Stiamo più attenti all'uso dei termini,
ahiachedolore»).
Però. Però.
Non poteva credere alle fandonie di quell'incorregibile, sexy,
egocentrico, narcisista, pazzo uomo sbucato dal nulla, gestore di uno
dei locali notturni più famosi della città, con
un conto corrente praticamente inesauribile ed una sfilza di gente poco
raccomandabile a dovergli dei favori. C'era sicuramente qualcosa dietro
il nome fasullo di Magnus Bane e la sua carismatica figura, qualcosa di
oscuro e forse pericoloso. Qualcosa che l'avrebbe di certo fatto
soffrire, alla fine, e forse per questo continuava a rimandare la
scoperta della verità. Ma che non fosse umano? No, non
riusciva neanche a pensarlo.
«Sono qui,
guanciotte dolci, ti ascolto.» sorrise lo stregone,
schioccandogli le dita davanti al viso per riottenerne l'attenzione. Il
ragazzino si era imbambolato e, nel frattempo, erano persino arrivati i
drink che aveva ordinato ed era riuscito anche a dare una pacca sul
sedere sodo di quella nuova cameriera ed invitarla nel suo loft finito
il turno. Ma adesso iniziava ad annoiarsi.
«Eh?
Sì, scusa. Dicevo-»
«Sono
consapevole di essere tremendamente affascinante, ma stava iniziando ad
essere inquietante» mormorò fra sé e
sé il più grande, portandosi il bicchiere alle
labbra per nascondere un sogghigno divertito al rossore che era
inevitabilmente affiorato sulle guance candide del poliziotto. Era
così terribilmente divertente farlo imbarazzare, e quando
arrossiva diventava semplicemente delizioso. Cosa non gli avrebbe
fatto...
«Devi per
forza essere così?» sbuffò esasperato
Alec, passandosi una mano fra i capelli.
Magnus
inarcò un sopracciglio sottile «Così
come?»
«Così
Magnus!»
sbottò quello, prima di afflosciarsi sul tavolino e
nascondere il viso fra le mani «Lascia perdere. Torniamo al
caso.»
Bane scrollò
le spalle, sorbendo un sorso del WL
Weller arrivato giusto quella mattina. Il dolce gusto del
caramello, che gli ricordava il profumo della propria magia, unito allo
sciroppo d'acero appena distinguibile sotto il sapore più
forte dell'alcool era l'unico motivo che gli permetteva di rimanere
concentrato su qualcosa di così tediante come le discussioni
di lavoro. Peccato che il suo partner non parlasse praticamente
d'altro, anche le rare volte in cui il lavoro avrebbe dovuto essere
dimenticato.
«Quindi,
quale sarebbe la novità che ha spinto l'agnellino a venire
fin dentro la tana del lupo?» chiese, annoiato, facendo
scorrere lo sguardo sulle splendide ragazze che dimenavano i loro
favolosi corpi sui tavolini ed i cubi in giro per la sala. Eppure
nessuna di loro gli sembrava abbastanza. Era stato con due gemelle, due
gemelle identiche,
solo la sera prima ma non si sentiva soddisfatto. Oh era stato del gran
sesso, è vero, con lui lo era sempre. Ma ultimamente i suoi
pensieri convergevano spesso su certi occhi azzurri... probabilmente
perché il bel detective si era categoricamente rifiutato di
venire a letto con lui anche quando glielo aveva generosamente
proposto. Più di una volta.
Che umiliazione. Forse
Izzy aveva ragione e stava davvero iniziando a perdere colpi. O forse
no. Ovviamente no.
Insomma, lui era Magnus Bane!
«Hai sentito
almeno mezza parola di quello che ti ho detto?»
La malcelata ironia
dietro il tono stanco con cui aveva pronunciato quelle parole
sembrò avere l'effetto sperato e convincere l'indonesiano a
puntare lo sguardo sul pallido viso del suo interlocutore; Alec non
aveva neanche toccato il suo drink, ovviamente, ma giocherellava
distrattamente con l'anello d'argento che portava sempre al medio della
mancina. Il bagliore delle luci illuminò per un istante la
piccola elle incisa fra delle fiamme stilizzate e Magnus socchiuse
infastidito gli occhi.
«Una in
più e dieci in meno di quelle che mi interessavano, occhi
belli. E' chiaro che si tratti di un killer infernale.»
Il detective si
lasciò andare contro lo schienale del divanetto, non sapendo
se sentirsi più stanco od esasperato. Ecco che rincominciava
con le sue fandonie.
«Beh
sicuramente il nostro uomo non è uno stinco di
santo...» provò, sforzandosi di credere che il
commento del più grande avesse una connotazione metaforica.
Ma venne deluso immediatamente dall'espressione scocciata affiorata sul
suo volto e dal modo in cui scostò il suo bicchiere ancora
pieno in parte, facendo scontrare fra di loro i cubetti di ghiaccio
rimasti sul fondo.
«Non sai
quanto, detective. Ma intendo davvero un killer infernale, quando dico
'killer infernale'. Un sicario creato da sangue di demone ed addestrato
per compiere i peggiori delitti e portare caos, dolore, distruzione e
morte. Il solito pacchetto.»
Alec si
strofinò le mani sul viso, massaggiandosi con forza le
palpebre
che sentiva pesanti. Non dormiva da più di quarantotto ore
per quel dannatissimo caso e non tornava al suo appartamento da
altrettanto tempo. Voleva fare una doccia e poi crollare nel suo letto,
non
stare ad ascoltare uno psicopatico dall'inquietantemente fervida
immaginazione.
«Quindi...»
borbottò passandosi le mani fra i capelli per l'ennesima
volta, nell'arco della serata, e strizzando gli
occhi «...fingiamo che ti creda. Che si tratti di un mastino
infernale»
«Killer
infernale.»
Lightwood lo
fulminò con un'occhiataccia delle sue, resa più
efficace dalle occhiaie bluastre, e Bane ebbe la buona creanza di
zittirsi ed invitarlo a continuare con un gesto del bicchiere.
«Killer infernale»
ripeté guardandolo sorridere soddisfatto e sentendo montare
dentro la voglia di sparargli di nuovo. Così, per sport.
«Come facciamo a riconoscerlo? Perché si
è messo a rapire gente la cui unica cosa in comune
è il fatto di provenire dalla stessa università e
non aver frequentato neppure negli stessi anni?»
Magnus
ammiccò «Magari la IA gli sta sulle palle. Neanche
a me piacciono granché i tizi che ci insegnano.»
Il poliziotto
contò fino a dieci prima di lasciar cadere la testa sul
bordo dello schienale e chiudere gli occhi. Perché,
perché
lo avevano affiancato a lui e non a Jace? Tolto il
piccolo particolare che probabilmente quei due si sarebbero uccisi a
vicenda nel
giro di qualche minuto a dover stare nella stessa stanza, ovviamente.
«Non credo
che abbia problemi con il corpo docenti della Idris Academy, Magnus.
Nessuno dei rapiti lavorava lì.»
Lo stregone fece
spallucce e poi si stiracchiò, mettendosi comodo ed
allargando le braccia sullo schienale come fosse il padrone di casa.
Cosa che in effetti era.
«Oh beh,
poteva essere un'opzione. In ogni caso riconoscerlo è
semplice, sai... basta cercare qualcuno che abbia l'aria
infernale.»
«Qualcuno che
abbia l'aria infernale» gli fece eco Lightwood, aprendo un
unico occhio chiaro per guardarlo. Ormai non riusciva neppure
più a prendersela.
Il più
grande annuì computamente, segno che era serio
«Pelle innaturalmente pallida, occhi spiritati e privi di
calore umano. Solitamente neri. Capelli, mh, bianchi anche se il
soggetto è giovane. Il sangue di demone ha il bizzarro
effetto di far sbiadire gli esseri umani... aria da maniaco
omicida. Un grande ego, fiducia illimitata in se stessi, deliri di
onnipotenza.»
«...rientri
quasi totalmente nella descrizione, Mag, sai? Perlomeno nell'identikit
psicologico.»
I due al tavolo si
voltarono verso la ragazza in pantaloni di pelle a vita
bassa neri, e top che lasciava scoperto l'ombelico, che si era
avvicinata. I lunghi capelli corvini erano legati in una coda alta ed
al solito il trucco scuro valorizzava gli intelligenti occhi scuri, le
labbra rosso fuoco atteggiate in un sorrisetto sardonico.
«Izzy!
Credevo che non ti avrei vista stasera»
Improvvisamente il
giovane detective sembrò sollevato. Succedeva sempre quando
c'era nei paraggi sua sorella minore. Per quanto non avesse accettato
l'idea che lavorasse per Magnus e sembrasse così
intima con lui era indubbio che avere a che fare con il proprietario
del Pandemonium fosse più facile se veniva sfottuto dalla
sua capo barman slash
guardia del corpo o qualsiasi cosa d'altro
facesse per lui.
La ragazza sorrise
lasciandosi cadere al fianco del piccolo umano di cui si fingeva
sorella. Beh, tecnicamente quel corpo apparteneva davvero ad Isabelle
Lightwood ma la sfortunata fanciulla era morta anni prima in un
incidente stradale e lei aveva ben pensato di possederlo e
sostituirvisi quando aveva deciso di essere stanca di torturare anime,
e di conseguenza fuggire, e varcato i cancelli dell'Inferno per
trovarsi a
camminare nel mondo dei mortali. A lungo andare aveva finito per
affezionarsi sinceramente ai fratelli della sua ospite e fingere di
essere la loro adorata sorellina minore non era stato più
così complicato. E poi i bronci di Bane per il fatto che
frequentasse più di lui il maggiore dei ragazzi Lightwood e
potesse vederlo nudo erano impagabili.
«Il mio
appuntamento è finito prima fratellone. Una vera
lagna...» brontolò, accucciandosi al suo fianco e
posandogli la testa sulla spalla, scoccando di sottecchi un'occhiata di
scherno al suo datore di lavoro «...ma tu non sei messo
meglio di me. La sfortuna sarà di famiglia.»
«E' un vero
piacere vederti Isabelle» sorrise falsamente lo stregone,
prima di alzarsi e spolverarsi gli abiti «Ma temo che debba
lasciarvi, miei cari. Ho una focosa cameriera latina che mi aspetta e
sono già in ritardo...»
«Ma il
caso...» provò Alec, distogliendo lo sguardo dalla
sorella.
Inutile dire che del
favoloso Magnus Bane non ci fosse già più traccia.
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Magnus fuggiva
dall'Inferno, letteralmente,
da tutta la vita.
Essere uno stregone non
era così eccitante come si poteva pensare, per iniziare.
Significava che tua madre era stata, se fortunata, ingannata e se non
lo era direttamente stuprata da un demone che aveva ben pensato potesse
essere un'ottima incubatrice per i suoi figli mezzosangue. Poi c'era il
fatto dei Marchi, e lì se eri fortunato tu
magari non erano neppure così evidenti ma se avevi ereditato
la sfiga materna ti ritrovavi con un palco di corna da alce e la pelle
viola. Cosa che portava al punto in cui tua madre (o il tuo
falso padre umano) cercavano di ucciderti perché palesemente
figlio del Demonio. Gran brutta cosa, davvero davvero poco simpatica.
Lui inoltre era anche
figlio di uno dei Principi Coronati dell'Inferno, che poteva suonare
anche figo se non avesse implicato il fatto che il caro paparino lo
volesse al suo fianco - leggasi:
servizio fino alla fine dei tempi senza paga minima sindacale - in quel
di Edom, suo regno demoniaco di dominio, che non era esattamente le
Hawaii infernali.
In realtà
era proprio da suo padre che fuggiva. Sin da quando Asmodeus si era
reso conto che quel figlio che aveva generato in un momento di noia, in
un periodo imprecisato del diciassettesimo secolo, aveva manifestato
una spiccata attitudine alla magia e dei poteri davvero considerevoli,
aveva deciso di perseguitarlo per convincerlo ad unirsi a lui. Cosa che
non era mai avvenuta nonostante tutte le minacce, i ricatti, le offerte
e la scia di morte che si era lasciato dietro nel tentativo.
Ultimamente poi aveva scelto di tormentarlo mandandogli alcuni dei suoi
scagnozzi per fare il suo lavoro.
E Raphael Santiago lo
trovava un compito estremamente edificante se significava poterlo
torturare. Per il resto del tempo, però, era soltanto una
vera e propria palla che lo costringeva a vedere quello stregone
più volte di quante ne potesse sopportare.
«Sai,
dovresti proprio accettare la proposta di tuo padre»
mormorò distrattamente il ragazzino ispanico dai ricci
capelli scuri, stravaccato sul divano in pelle nera del salotto ed
impegnato nella lettura di una vecchia Bibbia che aveva trovato nella
libreria del loft. Inappropriatamente ironico, ma adorava mostrare come
tutto ciò che riguardava la religione non avesse
più effetto su di lui - non come agli inizi della sua
maledizione, ovviamente.
«Sai,
dovresti proprio scollare le chiappe dal mio divano ed andartene da
casa mia smettendo di approfittarti della mia roba. Vampiro»
lo sbuffo dello stregone venne soffocato nel bicchiere che teneva sul
ripiano del lucido pianoforte a coda a cui era accomodato. Ultimamente
gli era presa la fissa del piano, anche se lo suonava con l'ausilio
della magia - l'esperienza con il charango in Perù gli era
stata stranamente da lezione «Tra l'altro, chi ti ha fatto
entrare?»
«Isabelle»
«Isabelle.
Ovvio.» chi altri se non quel piccolo demonio? E dire che il
vecchio compare non le stava neanche particolarmente simpatico. Aveva
come il presentimento che preferisse lo stramboide nerd con cui suo
malgrado si era soliti vederlo, quel Simons... o qualcosa del genere.
Magnus rimase a
guardare il ragazzino, sovrappensiero, finché non si accese
una lampadina. O semplicemente si appoggiò con il gomito
sulla tastiera, facendo partire un suono acuto che lo riscosse.
«Hai sentito voci su un killer infernale in vacanza a New
York, per caso?»
Raphael
abbassò il libro, guardandolo da sopra la costa
con un'inequivocabile espressione da 'ma sei serio?'
Lo stregone
agitò infastidito una mano davanti al viso «A
parte te e i tuoi, intendo.»
Il ragazzino sembrava
però aver ripreso il suo precedente impegno, il visetto da
cherubino demoniaco di nuovo seppellito nella Bibbia.
Magnus si chiese quanto
crudele sarebbe stato chiuderlo nel terrazzino, considerato che era
ormai mezzogiorno. Magari avrebbe guadagnato gli apprezzamenti di zio
Lucifer e sarebbe finito a lavorare per lui, piuttosto che suo padre.
Il portatore di luce sembrava una personalità più
piacevole
del suo luogotenente. Perlomeno sapeva come divertirsi, quel vecchio
diavolo.
«Mi
è parso di capire che uno dei pargoli di Lilith abbia deciso
di mettersi in proprio e voglia distruggere il mondo sfruttando i
discendenti delle schiere angeliche... sai perfettamente che anche i
culi piumati di tanto in tanto si fanno irretire dagli esseri umani.
Sarebbe divertente mostrare al Cielo il dito medio distruggendo la
creazione più cara al Paparino con il frutto dei loro divini
peccati, non trovi?»
L'immortale, in
realtà, lo trovava divertente eccome. Non era mai andato
d'accordo con chi stava lassù
ed aveva permesso che si compisse lo scempio della nascita degli
stregoni; sia chiaro, non era così masochista da desiderare
di non essere mai nato ed alcuni di quelli come lui erano anche okay.
Ma il fatto che nessuno avesse protetto quelle povere donne, che a
nessuno fosse interessato un destino tanto crudele per dei bambini
innocenti... no, non ci stava. Certe volte pensava che il male minore
fosse, ironia della sorte, proprio il Male. Perlomeno da quello sapevi
cosa aspettarti, ecco.
«Ma sono
soltanto esseri umani. Avranno pure una minima quantità di
sangue angelico, ma questo non li rende diversi da qualsiasi altro
mortale. Niente super poteri, niente ''boom, sei santo!''. Sono
soltanto-» Magnus spalancò gli occhi, voltandosi a
guardare Raphael che sorrideva, compiaciuto, mostrando il biancore dei
canini acuminati. C'era un motivo se erano nate le sciocche leggende
circa i succhiasangue immortali, in fondo.
«Più
propensi al bene di qualsiasi altra persona sulla terra. Corrompere i
loro cuori e fargli compiere atti immondi contro la loro
volontà manderebbe di filato le loro anime dal Boss... non
potrebbero essere neppure considerati martiri. Niente SPA celestiale
per loro» cantilenò il demone con voce morbida,
marcando sull'accento spagnolo, mentre gettava le lunghe gambe oltre il
bordo del divano per mettersi in piedi e spolverarsi gli abiti.
Quando
rialzò lo sguardo sul padrone di casa, i suoi occhi
riflettevano le fiamme dell'Inferno che gli era casa ed ardevano del
rosso del sangue versato dalle sue vittime «Fossi in te
starei attento al tuo amato poliziotto, brujo.»
Magnus fece una smorfia
«Non è il mio amato-»
Ma Raphael era
già svanito nel nulla, inghiottito dalle ombre.
Sospirando lo stregone
tornò ad allungare la mano verso il bicchiere dimenticato,
schioccando le dita di quella libera che mandò piccole
scintille bluette mentre i tasti del piano riprendevano ad essere
pigiati da mani invisibili suonando Womanizer. Per
buona misura buttò giù ciò che
rimaneva del suo drink in un unico sorso.
«Io non amo
quel ragazzino umano.»
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«Ripetimi
ancora perché dovrei farlo.»
«Perché
è tuo fratello e gli vuoi bene.»
«Beeep.
Risposta sbagliata. E tecnicamente è il fratello della mia
ospite, non mio» un attimo di pausa «E non ho mai
detto di volergli bene.»
«Sei una
pessima bugiarda. Va bene, allora perché
tu lavori per me e fai quello che dico io, Izzy.
Perciò ti conviene seguire Alexander e stare molto attenta a
tutto ciò che gli succede e chi lo avvicina se non vuoi un
biglietto di ritorno permanente per l'Inferno.»
«Ridotta a
fare da babysitter e pedinare un umano di cui ti sei invaghito...
cos'altro mi capiterà? Mi manderai a prenderti la roba in
lavanderia?»
«Non lo
definirei pedinamento e- io
non sono innamorato di Alec»
«Non mi pare
di averlo mai detto, questo.»
Prima che potesse
davvero rispedirla nella dimensione demoniaca da cui proveniva,
Isabelle pensò che fosse meglio approfittare del momento di
confusione che aveva bloccato il suo capo nell'atto di minacciarla con
un indice dall'unghia smaltata di blu elettrico puntato contro e
svignarsela.
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C'era poco che
Magnus odiava, oltre suo padre e qualsiasi cosa fosse collegata in
qualche modo a lui.
La sciatteria, ad
esempio. Lo stile hipster che andava tanto di moda in quel periodo
storico - e che sperava sinceramente sarebbe finita presto,
perché davvero gli faceva rimpiangere gli anni novanta e
tutto il trash che li aveva dominati. Dover uscire la domenica
pomeriggio quando l'unica cosa che avrebbe voluto fare era rimanersene
nella sua jacuzzi con un buon bicchiere di Chateau Lafite Rothschild
(«Solo per vino e per amore non si bada a spese»)
e magari una bella ragazza ed un bel ragazzo a fargli compagnia. Avere
perennemente Raphael Santiago a casa propria a fare i suoi comodi e
dover pure sorbirsi le sue lamentele, come se lo avesse invitato lui.
E, da circa un anno a
quella parte, il detective della NYPD Jace Herondale.
«Detective Bellicapelli cosa
ci fai tu qui, di grazia?»
Il poliziotto biondo
arricciò il naso in una smorfia, come sempre quando quel
tizio lo chiamava così - cosa a cui ormai era abituato,
visto che sembrava non essere in grado di pronunciare il suo nome.
Soltanto il pensiero che, effettivamente, lì non avrebbe
dovuto proprio trovarsi considerato che era stato estromesso dal caso
proprio dal Commissario Penhallow per via del suo presunto legame con
una delle persone scomparse gli impedì di rifilargli una
risposta piccata. Che poi lui la prima moglie di suo padre non l'aveva
neanche mai conosciuta davvero, considerati gli scarsissimi rapporti
con la sua famiglia d'origine; ma a quanto pare questo non era bastato
perché Jia gli permettesse di partecipare attivamente alle
indagini. E così aveva fatto di testa sua, disobbedendo agli
ordini, come faceva del resto praticamente sempre.
Ma quel Bane avrebbe
potuto metterlo seriamente nei guai se avesse spifferato di averlo
visto all'Idris Academy. Non erano mai andati granché
d'accordo e neanche gli piaceva particolarmente - cosa che in parte
ricambiava. Non aveva mai capito perché, comunque. Lui era così bello e
simpatico!
«Potrei
chiedere la stessa cosa a te. Come mai non c'è Alec a farti
da balia?» replicò, con un sorriso strafottente,
sporgendosi per assicurarsi che dietro l'alta e magrissima figura
glitterata del proprietario del Pandemonium non ci fosse quella
massiccia e perennemente in nero del suo migliore amico. Lo avrebbe
visto, in ogni caso, Alexander non era uno che passava esattamente
inosservato con il suo fisico nonostante la tendenza a cercare in tutti
i modi di non farsi notare.
Lo stregone fece
spallucce, rigirando i pollici nei passanti degli skinny jeans neri
(che gli facevano un culo da favola, tra parentesi) «Sono
venuto a trovare un vecchio amico.»
All'occhiata perplessa
del detective alzò gli occhi al cielo, sfiatando. Quanta
pazienza.
«Il Rettore
Fell. Volevo fargli qualche domanda sulle sparizioni»
bofonchiò con aria annoiata, come se dovesse spiegare
qualcosa
di ovvio per l'ennesima volta ad un bambino non particolarmente sveglio.
«Buffo»
commentò serenamente Jace dando un'occhiata al corridoio
vuoto che portava proprio all'Ufficio del Rettore «Sono
venuto per lo stesso motivo.»
«Non sapevo
che Ragnor avesse allargato la sua cerchia. Ultimamente i suoi gusti
sono peggiorati.»
Il sorriso sornione sul
bel viso del sedicente stregone fece venire al poliziotto prurito alle
mani. Prima o poi lo avrebbe picchiato, partner di Lightwood o meno.
Poco importava se fosse finito in cella per una sera, almeno si sarebbe
tolto la soddisfazione.
«Ora capisco
perché Alec ti ha sparato» sbuffò
soltanto, superandolo a passi di marcia per dirigersi verso la porta
laccata di nero con la targhetta dorata che recitava 'Magnifico
Rettore'.
Magnus non aveva mai
capito perché si dicesse così; insomma Ragnor era
tutto meno che magnifico con quella pelle verde pisello e l'aria di uno
che seguisse una ferrea dieta a base di limoni. Ma rientrava in quel
range di stregoni che non erano stati fortunati con la partita a dadi
per i geni. Grazie al
Diavolo esisteva la magia.
«Sono stato
io a chiedergli di spararmi» fece notare, per puro puntiglio,
prima di seguirlo «E per inciso non avrebbe dovuto essere in
grado di riuscirci.»
«Perché
tu sei un illusionista ultramillenario e bla bla bla, conosciamo la
solfa... perché la porta è chiusa a
chiave?» lo liquidò in fretta il biondo premendo
una seconda volta sulla maniglia. Ma niente da fare.
Magnus, al suo fianco,
si accigliò «Forse è andato a rompere
l'anima a Catarina? Ma è strano, la segretaria ha detto che
era nel suo ufficio» tolse una mano da una tasca, dando un
paio
di pugni contro il legno «Ragnor? Baccello Amoroso? Sono io,
il tuo adorato Magnus!»
Jace lo fissava
indeciso se ridere o vomitare con un'inequivocabile espressione da ''Baccello Amoroso?''.
Era però ovvio che, se anche il rettore fosse stato
lì dentro, non aveva alcuna intenzione di aprire loro.
«Forse non
rientri più nella sua ''cerchia''. Hai controllato se ti ha
tolto l'amicizia su Facebook?»
Lo stregone
borbottò qualcosa in una lingua al detective
incomprensibile, spingendolo di lato con malagrazia e trafficando con
la maniglia della porta. Dopo qualche secondo si sentì il
'click' della serratura che scattava e la portà si
aprì sotto la pressione della sua mano, lasciandolo con un
sorriso soddisfatto a guardare il suo compare.
Jace inarcò
un sopracciglio «Non credo che sia molto legale e come... no,
non voglio saperlo.»
«Ah,
taci» lo zittì quello, spalancando teatralmente la
porta «Lungi da me il voler interrompere qualche sordido
affare privato ma- Ragnor»
Il detective rimase a
guardare l'indonesiano fiondarsi dentro l'ufficio. Non lo aveva mai
sentito usare quel tono. Sembrava allarmato e la cosa
preoccupò anche lui, spingendolo a seguirlo ed estrarre la
pistola dalla fondina. Doveva sicuramente essere successo qualcosa.
Quello che vide una
volta messo piede dentro la stanza gli provocò una strana
fitta al petto; Magnus era inginocchiato per terra e teneva fra le
braccia un uomo sulla trentina, ben piazzato, dai capelli inusualmente
bianchi e macchiati di sangue così come lo era il completo
blu che indossava. All'altezza del petto, sulla camicia candida, si
andava ad allargare una macchia rosso scuro che il più
giovane tentava invano di comprimere con la propria giacca mentre
ripeteva il nome dell'amico in una litania di preghiere.
«Magnus...»
sussurrò, abbassando la pistola e chinandosi sulle ginocchia
per tastare il polso della vittima «...Magnus, mi dispiace.
Non c'è più niente da fare, è
morto.»
Bane si
zittì all'improvviso, sgranando gli occhi. La presa sulla
propria giacca venne meno e la mano scivolò in basso,
avvolgendo il fianco del cadavere e stringendoselo contro il petto
incurante di imbrattarsi a propria volta di sangue. Teneva lo sguardo
fisso sul muro, vuoto ed assente. In qualche modo a Jace fece paura.
Il detective
esitò, non sapendo se stringergli una spalla e fargli le sue
condoglianze o rimanersene zitto. Alla fine decise di rialzarsi per
chiamare il dipartimento e farsi mandare degli uomini ed un'ambulanza,
scoccando di tanto in tanto qualche occhiata al triste duo per terra.
Ad un certo punto gli sembrò persino che la pelle di Ragnor
Fell fosse diventata di un verde brillante e che due piccole corna
ricurve gli spuntassero dalla fronte. Ma, quando provò a
mettere meglio a fuoco, il cadavere era tornato normale e si diede
dell'idiota.
Magnus non riusciva a
credere che Ragnor fosse morto.
Anche se teneva il suo
cadavere, che stava ormai diventando paurosamente freddo e rigido, fra
le braccia non era in grado di processare quel pensiero ed accettare
che fosse vero. Fell era stato per lui un amico ed un fratello, un
compagno di assurde avventure ed in qualche modo persino la voce della
sua coscienza insieme alla Loss. Viveva da più tempo di lui
ed era indubbiamente uno stregone molto più forte di quanto
avrebbe mai sperato di poter diventare. Non poteva semplicemente non
esserci più.
«E adesso chi
lo dice a Catarina, eh, vecchio bastardo?»
sussurrò, abbassando finalmente lo sguardo sul viso esangue
del più grande. Vide le sue vere sembianze riaffiorare a
causa dell'incantesimo interrotto dalla morte ed agitò sopra
il suo corpo le dita della mancina per ripristinarlo, avendo scorto
l'occhiata stupefatta del detective. Non avrebbe usato l'omicidio del
suo migliore amico come prova che aveva sempre detto la
verità circa la sua natura; checché ne dicessero
di lui non era così meschino.
«E
Santiago... cielo, quel tipo mi svuoterà l'armadietto dei
liquori e dovrò sopportarlo in casa a far la vedova per
settimane. Hai idea di cosa vuol dire? Mi renderà la vita un
Inferno» mormorò ancora, cullando
senza rendersene conto il corpo che continuava a stringere
«Forse
scatenerà l'Apocalisse in questa stupida città...
e forse non lo fermerò. Magari riuscirà ad
ammazzare quel fottuto figlio di un demone che ti ha fatto
questo.»
Si bloccò,
lo sguardo fisso su Herondale che fuori in corridoio faceva avanti e
indietro con il cellulare premuto contro l'orecchio.
Le parole che Raphael
aveva pronunciato qualche giorno prima in una delle sue (s)gradite
visite al loft tornarono a ripetersi con la voce del demone, chiare,
nella mente.
''Mi
è parso di capire che uno dei pargoli di Lilith abbia deciso
di mettersi in proprio e voglia distruggere il mondo sfruttando i
discendenti delle schiere angeliche... sai perfettamente che anche i
culi piumati di tanto in tanto si fanno irretire dagli esseri umani.
Sarebbe divertente mostrare al Cielo il dito medio distruggendo la
creazione più cara al Paparino con il frutto dei loro divini
peccati, non trovi?''
«Andiamo,
amico mio. Andiamo andiamo andiamo. Dimmi che non ti sei smentito
neanche questa volta»
Si alzò
fulmineo, incominciando a frugare in giro animato da una folle
frenesia. Finché non si avvide dei fascicoli sulla
scrivania. Evidentemente l'assassino non si era preso la briga di far
sparire le prove, perché uno di quelli era aperto sopra gli
altri e macchiato di sangue.
Magnus lo
afferrò, sorridendo vittorioso «Bingo.»
Poi raggiunse la porta,
affacciandosi e richiamando l'attenzione del poliziotto nel sollevare
il dossier «Detective Bellicapelli, abbiamo il nostro killer
infernale»
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«Killer infernale?»
Il detective Lightwood
sospirò, alzando gli occhi al cielo
«Sì, lunga storia. Lascia perdere.»
Sarebbe stato troppo
complicato e soprattutto inutile da spiegare, Jace lo perdonasse.
Soprattutto perché adesso avevano davvero una pista da
seguire e quel fascicolo era decisamente più interessante,
ed importante, dei deliri di chi lo aveva trovato e le
perplessità del suo vecchio partner.
Puntò invece
il dito sulla fotografia che ritraeva un ragazzo sulla ventina, pallido
in maniera malsana, con una massa di lisci capelli color sale e occhi
di un nero profondo animati da una scintilla di follia. Era bello, a
suo modo, con lineamenti affilati ed eleganti. Ma aveva un sorriso
crudele ed, indefinitiva, l'aria di chi avrebbe potuto ammazzare a
sangue freddo il proprio preside e rapire i vecchi studenti della sua
scuola.
«Jonathan
Christopher Morgenstern, ma si fa chiamare Sebastian. Venticinque anni,
all'ultimo anno della facoltà di Scienze Politiche. Ottimi
voti, studente brillante. Ha manifestato un comportamento aggressivo
nei confronti di alcune matricole e pare avesse un'influenza negativa
sui suoi compagni di corso. Si sospetta che abbia indotto al suicidio
il giovane Jordan Kyle, membro anziano del Praetor Lupus - una delle
confraternite dell'università che si occupa di aiutare e
seguire i nuovi arrivati - motivo per cui è stato espulso il
mese scorso.»
Alec
increspò le sopracciglia dopo aver finito di leggere,
incrociando le braccia al petto e lasciandosi andare contro lo
schienale della poltrona «Morgenstern? E' imparentato con
Clarissa?»
Jace, che era seduto
sulla scrivania e stava fissando con aria assorta il dossier,
alzò lo sguardo sull'amico e scosse il capo «Non
mi ha mai detto di avere fratelli psicopatici. E non l'ho mai visto a
casa sua.»
«Perché
vive con il padre, che ha divorziato dalla madre prima che la
secondogenita venisse al mondo. Jocelyn Fairchild non ha mai
più voluto sapere nulla di nessuno dei due»
I due si voltarono
verso Magnus, che si era avvicinato con passo felino e li guardava con
un sorrisetto saputo. Si era cambiato, non indossava più gli
abiti macchiati di sangue, e sembrava quasi aver dimenticato di aver
trovato il cadavere del suo migliore amico soltanto quella mattina. O
così cercava di dare a vedere.
In realtà
Alec lo conosceva ormai abbastanza da leggere dietro la sicurezza in
sé un dolore profondo, proprio lì, appena oltre
la fragile barriera dei suoi stupefacenti occhi. Rendersi conto della
cosa sembrò in qualche modo turbarlo ed indurlo a
distogliere lo sguardo e dare in un colpetto di tosse per apparire
disinvolto.
«E tu come
faresti a saperlo?»
«Semplice.
Jocelyn ha chiesto i miei... servigi, tempo fa. E conosco,
sfortunatamente, Valentine Morgenstern da parecchio tempo» si
produsse in una smorfia di disgusto «Fidatevi, quell'uomo
proteggerà il suo erede omicida con tutti i mezzi a sua
disposizione.»
Jace
increspò le sopracciglia, scendendo giù dal
tavolo ed affiancandosi ad Alec, stringendo con forza una spalla di
questo. Magnus lo fulminò con lo sguardo, ma parvero
entrambi non farci caso. «E noi allora cercheremo di
impedirglielo con tutti i mezzi a nostra
disposizione»
Il detective moro
annuì, riflettendo fra sé e sé, lo
sguardo fisso sulla foto. Quel tipo gli dava i brividi.
«Magnus sei
con noi?»
Herondale
sbarrò gli occhi dorati, sorpreso, allontanandosi da lui.
Non si aspettava avrebbero coinvolto ulteriormente quel tipo.
Bane, per tutta
risposta, si esibì nel più smagliante dei suoi
sorrisi «Pensavo non me l'avresti chiesto più,
farfallina.»
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«Mi dispiace
per il tuo amico»
Quella notte New York
sembrava particolarmente tranquilla. Non c'era il rumore assordante
delle sirene di qualche ambulanza a squarciare l'aria e, fuori dal
commissariato, neppure quello delle volanti della polizia pronte a
partire per andare ad arrestare qualche criminale.
Magnus
abbozzò un sorriso, ondeggiando infantilmente i piedi che
non toccavano terra e concentrandosi sulle sue converse nere piene di
lustrini. Il muretto su cui si era seduto non era troppo alto, in
realtà, ma riusciva comunque a tenerlo distante dal suolo;
sentiva di averne bisogno per non vomitare.
«Già.
Beh, suppongo che in questi casi si debba ringraziare»
accennò, accettando il bicchierone di caffé che
il detective moro gli stava timidamente porgendo.
Il ragazzo
più giovane sembrava parecchio a disagio e teneva il viso
seppellito nella sciarpa azzurra che lo stregone gli aveva regalato il
Natale passato («Così
almeno avrai qualcosa di decente nel tuo guardaroba e poi è
dello stesso colore dei tuoi occhi, pasticcino»).
L'aria pungente di inizio inverno era un'ottima scusa per poterla
indossare senza passare per strani e poi una volta Izzy si era lasciata
sfuggire che quello fosse il colore preferito del suo capo - o
giù di lì, aveva parlato di accoppiata
capelli-occhi in una persona. Ma supponeva potesse andare ugualmente. E
poi ci teneva a dimostrare che apprezzasse il suo dono.
«Non
credo» riuscì comunque a dire appoggiandosi al
suo fianco con la schiena contro il muro.
«No?»
chiese di rimando quello, fra il divertito ed il perplesso.
«No»
confermò il poliziotto «Credo che in questi casi
si debba urlare contro chi ti dice una sciocchezza del genere ed
insultarlo pesantemente.»
Le labbra di Magnus
fremettero e si affrettò a prendere un sorso di
caffé caldo per nasconderlo «Mi stai chiedendo di
insultarti?»
Alexander Gideon
Lightwood era il soggetto più interessante ed imprevedibile
con cui avesse avuto a che fare nell'ultimo secolo. Forse, a ben
pensare, nella sua intera esistenza. Nonostante fosse passato
più di un anno dal loro primo incontro non era ancora in
grado di capirlo appieno perché tendeva sempre a stupirlo
comportandosi in maniera del tutto diversa da quello che ci si sarebbe
aspettati da lui. Nascondeva più di quanto si potesse
immaginare sotto quell'aria da timido e perennemente accigliato
poliziotto americano ligio al dovere e fin troppo rispettoso delle
leggi.
E gli piaceva. Gli
piaceva da matti. Perché Alec lo avrebbe di sicuro fatto
uscire pazzo, su questo non c'erano dubbi.
«N-no.
Ecco... io... non credo. Cioè, quello che volevo
dire-» balbettò il più giovane,
arrossendo pietosamente, in confusione. Ecco, aveva fatto l'ennesima
figuraccia.
Bane rimase a guardarlo
per qualche istante poi non ce la fece più e
scoppiò a ridere. Rise con tutto il cuore e tutto il fiato
che aveva nei polmoni, rise fino a sentirsi quasi male e rischiare di
ruzzolare giù dal muretto.
Alec lo fissava,
incerto, ma intimamente sollevato con un lieve sorriso oltre la morbida
stoffa. Almeno fino a quando le risate non si trasformarono in
singhiozzi e quelle che vide sul bellissimo volto del giovane straniero
furono delle lacrime che non erano affatto di divertimento.
C'era tutto il dolore
del mondo negli occhi di Magnus ed Alec sentiva che fosse giusto
così ma, al contempo, di non poterlo sopportare.
Per questo si mosse,
senza pensare, fronteggiando lo stregone ed allungando le braccia per
stringerselo contro e fargli nascondere il viso contro il suo petto,
carezzandogli delicato la nuca con dita leggere «Va tutto
bene, Magnus. Sfogati pure, è giusto così. E'
questo che fanno le persone quando soffrono.»
Sebbene inizialmente si
fosse irrigidito, Bane non ci mise molto a lasciarsi andare e
ricambiare l'abbraccio aggrappandosi al suo cappotto ed inspirando il
suo profumo - sandalo, caffé scadente delle macchinette
della centrale, polvere da sparo e una nota più leggera di
dopobarba. Gli piaceva, decise distrattamente.
Ma soprattutto pianse.
Pianse come
non era riuscito a fare tenendo fra le braccia il suo migliore amico,
come non era stato in grado mentre dava la notizia a Catarina ed
assisteva alla sua straziante disperazione.
Pianse per la prima
volta dopo secoli infrangendo il giuramento che aveva fatto a se stesso
da bambino, dopo essere fuggito dalla
sua vecchia casa e dalle fiamme in cui ardeva il suo patrigno - che
aveva tentato di affogarlo - ed essersi reso conto di essere ancora
vivo, di non farlo mai più.
Quando i suoi occhi
tornarono asciutti e sentì di aver terminato tutte le sue
lacrime, il sole di una nuova giornata stava timidamente sorgendo oltre
i grattacieli attorno a loro e Alexander lo teneva ancora stretto a
sé, accarezzandogli la nuca. Non aveva smesso di farlo per
tutta la notte, rimanendo in silenzio e ricordandogli di esserci con il
suo calore e l'unico ausilio del battito confortante del suo cuore.
«Lo
prenderemo» mormorò il detective, permettendogli
di scostarsi dall'abbraccio per guardarlo negli occhi, quando fu sicuro
che ormai il peggio fosse passato.
Magnus
annuì, appoggiando la fronte contro la sua e sospirando. Si
sentiva terribilmente stanco e svuotato ma, in qualche modo,
più leggero. Chiuse gli occhi, perdendosi il modo in cui il
viso dell'altro andava teneramente a fuoco per la vicinanza.
«Sai...»
«Mh?»
Lo stregone sorrise,
arrendendosi. Aveva abbassato tutte le sue difese, con lui. Tanto
valeva farlo anche con l'ultima e smettere di ostinarsi a fingere anche
con se stesso.
«Penso che,
alla fine, io mi stia davvero innamorando di te Alexander»
Il preso in causa
sbarrò gli occhi, colto in contropiede. Sentiva
improvvisamente il cuore battere frenetico nel petto, tanto da temere
che se ne scappasse via.
Ma tutto quello che
riuscì a rispondere fu soltanto un fioco «Alec.
Non
Alexander.»
Ed era talmente tipico
di lui, talmente familiare, che Magnus non poté proprio fare
a meno di baciarlo come se fosse l'ultima cosa che avrebbe mai fatto su
quella terra - ed, in seguito, assicurò a chiunque fosse
disposto ad ascoltare la sua versione di quella storia che il detective
lo avesse ricambiato con un entusiasmo tale da farlo ribaltare
dal muretto.
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«Qualcosa mi
dice che non accetterai troppo presto la proposta di tuo
padre.»
«Cos- TU! Per
tutte le feste di compleanno del Presidente Miao... non hai proprio
idea di cosa sia il concetto di privacy? E abbassa la voce.»
Magnus diede
un'occhiata eloquente al suo fianco. Le lenzuola coprivano fin alla
vita il giovane che occupava la parte sinistra del letto e si aveva una
meravigliosa panoramica della sua candida schiena solcata da sottili
graffi rossastri, il viso sereno nel riposo nascosto dalla massa di
disordinati capelli corvini ed in parte seppellito nel cuscino. Dormiva
con la bocca leggermente aperta, russando piano, ed era semplicemente perfetto.
Ma, ovviamente, in
quell'idilliaco quadretto non era prevista la presenza inquietante, e
per dirla tutta anche un filino inopportuna, del demone ispanico
appollaiato sul suo pianoforte con un sorrisetto sardonico su quel viso
da eterno ragazzino.
Gli occhi di Raphael
però erano spenti dal giorno del funerale di Ragnor. E
nonostante fossero ormai passati mesi, e lui stesso si fosse occupato
di scortare il suo assassino nella prigione più profonda
dell'Inferno a scontare la sua pena eterna oltre ad aver avuto il
permesso di esserne il carceriere e poter così infliggergli
le peggiori torture ideate dallo stesso Diavolo, lo stregone era
consapevole del fatto che nessun sentimento li avrebbe mai
più fatti brillare. Neppure il divertimento dato dal
prenderlo in giro ed invadere a suo piacimento il suo spazio vitale.
«Ha
finalmente accettato la verità?» si
informò, invece, accennando proprio al poliziotto
addormentato con un gesto distratto del capo.
Bane si
appoggiò contro la testiera, guardando con affetto il suo
ragazzo «Diciamo che ci stiamo lavorando..»
«Mh»
non che si ci potesse aspettare un commento migliore da Mister
Simpatia, ovviamente. Il demone, però, distolse lo sguardo e
chiuse gli occhi «Fai in modo di vivere la migliore delle
vite possibili con lui, Bane. Perché quando
arriverà la sua ora io tornerò a farti quella proposta. E
non
potrai più rifiutare.»
Magnus non si
stupì quando, alzando lo sguardo, si accorse che sul
pianoforte non c'era più nessuno se non il minuscolo gattino
di casa acciambellato sul coperchio chiuso della tastiera.
Sorrise,
però, guardando con sfida il punto dove fino a poco prima
c'era il ragazzino. Sicuro che lo sentisse ancora «Staremo a
vedere, moccioso»
«Magnus? Con
chi, yawn,
diamine stai parlando?»
Lo stregone si
chinò a baciare una spalla nuda del suo compagno,
ricambiando il suo sguardo ancora annebbiato dal sonno
«Nessuno. Dormi ancora un po', non abbiamo nessun
caso»
«Per
ora» borbottò il detective, rigirandosi fra le
lenzuola per poter fronteggiare il fidanzato e stringersi a lui,
tornando a chiudere gli occhi.
«Per ora. Ma
non chiamarcela...» convenne quello, rilassandosi nel suo
abbraccio e permettendogli di far scivolare una gamba fra le sue senza
alcuna malizia. Per ora
anche quello.
«Magnus?»
«Mh?»
«Anche se sei
totalmente fuori di testa e non... fai proprio parte di questo mondo, o
quel che è, ti amo»
Magnus rise,
nascondendo il viso fra i suoi capelli. Allora prima era sveglio.
«Ti amo
anch'io. Ma adesso dormiamo un altro po', Alec. Ci aspetta una luuunga
giornata di sesso, cibo, ancora sesso, altro cibo, relax e ho detto
sesso?»
Ma l'unica risposta che
ebbe fu soltanto un poi non tanto leggero ronfare.
Beh, almeno questa
volta era stato ascoltato.
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