Libri > Shadowhunters
Ricorda la storia  |      
Autore: R e d_V a m p i r e     31/10/2016    2 recensioni
"Cosa succede quando il figlio di uno dei Principi dell'Inferno decide di trasferirsi a New York?"
Magnus fugge da tutta la sua vita - che non è esattamente corta, se sei uno stregone immortale. Decidere di trasferirsi nella Grande Mela ed aprire un esclusivo night club per passare il tempo ed attirare anche un altro tipo di clienti interessati al lato sovrannaturale dei servizi offerti non sembra una cattiva idea, almeno finché non si ritrova a collaborare per caso con un affascinante detective del NYPD e ne diventa un consulente civile, finendo per fare stabilmente coppia con il timido e scettico Alec. Da questo è passato un anno, però, ed un nuovo terribile caso sembra affliggere la città e minacciare lo stesso detective... e, forse, è arrivato anche il tempo di fare i conti con i propri sentimenti. [Malec - Lucifer!AU]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
N.d.a ►Dopo non so quanto tempo torno a fare visita a questo meraviglioso fandom con una piccola OS nata dalla mia recente fissa per quell'altrettanto meraviglioso telefilm che è ''Lucifer''. Se l'avete visto, sapete. Se non l'avete ancora fatto, vedetelo perché merita davvero ed Ellis è un diavolo di attore. Finito momento pubblicità - manco mi pagassero, poi. Quindi si tratta di una Lucifer!AU, in cui esistono gli stregoni e sono come nel canon frutto di unione fra demoni ed esseri umani e tutto ciò che ne comporta. Niente Shadowhunters, però, i nostri Cacciatori sono esseri umani ed alcuni di loro poliziotti (giusto per rimanere in tema) anche se qualcosa di angelico lo hanno pure loro. Niente licantropi e vampiri, solo demoni (sebbene venga accennato, quella che Magnus fa a Raphael è soltanto una battuta). Ovviamente è una Malec, con un vaghissimo accenno alla Sizzy e alla Clace ed un non tanto vago accenno alla RagnorxRaphael (c'ha un nome 'sta ship? Mboh. Se qualcuno lo sa e me lo svela mi rende una donnina felice). Spero di non essermi arruginita troppo. Se volete farmi sapere che ne pensate sarò lieta di leggere le vostre opinioni... se non volete, non piangerò (?). Un grazie comunque a chi passerà da qui e spenderà un po' del suo tempo a leggere.
Buona lettura, quindi!





x Sinnerman
Cosa succede quando il figlio di uno dei Principi dell'Inferno decide di trasferirsi a New York?





«Detective! Hai finalmente deciso di cedere ai piaceri della vita?»
Alexander rischiò seriamente di versarsi addosso il contenuto - rigorosamente analcolico, era in servizio - del panciuto bicchiere di vetro che stava rigirandosi fra le mani da più di un quarto d'ora.
Nonostante fosse, suo malgrado, lì proprio per incontrare il padrone di casa le sue entrate ad effetto continuavano a prenderlo di sorpresa e fargli fare tremende, ed il più delle volte imbarazzanti, figuracce.
Si chiese, agrottando scontento le sopracciglia scure mentre allontanava da sé il bicchiere incriminato, se quel tizio non lo facesse di proposito. E gli bastò giusto uno sguardo al suo luminoso sorriso da stregatto per decretare che fosse assolutamente così, oltre ogni irragionevole dubbio.
«Sono qui per il caso, Magnus... e poi io li conosco i piaceri della vita» aggiunse borbottando.
«Lo vedo..» lo splendente proprietario del Pandemonium Club ammiccò, spingendo con due dita di lato il bicchiere di aranciata che neanche era stato finito, accomodandosi proprio di fronte a lui nel divanetto angolare di pelle bianca che il poliziotto sembrava aver scelto come propria base.
Sbuffò notando come fosse il più lontano dalla pista da ballo e dal bancone bar ma, al contempo, nella perfetta posizione atta a permettergli di avere una visuale più o meno completa dell'intero locale. Tipico da parte sua.
Ignorando con assoluta nonchalance l'occhiataccia con cui il suo ospite intendeva fulminarlo, preferì piuttosto accavallare elegantemente le lunghe gambe fasciate da aderentissimi pantaloni di pelle rossa e sollevò una mano ornata da numerosi anelli luccicanti sotto le luci cangianti del night per richiamare una delle cameriere strizzate in vestitini succinti ed ordinarsi da bere.
«Ed un Cosmopolitan per il nostro caro detective.»
«Oh no, no. Sono in servizio» si affrettò a rifiutare quello, sgranando gli occhi incredibilmente azzurri e distogliendo immediatamente lo sguardo dalla ragazza, a disagio. Era davvero troppo poco vestita per i suoi gusti.
Magnus soffiò - come un gatto, ebbe quasi l'impressione Alec - e roteò gli occhi verde-dorati agitando spazientito quella stessa mano per poi indicarlo con un gesto d'accusa ed una buffa smorfia contratta «Oh, andiamo! E' persino un drink da donne, meno di così non posso fare!»
«Cos-» il detective scosse il capo, decidendo che non sarebbe stato propriamente il caso di dargli retta. Avrebbero finito per far notte - beh, ok, mattina - e sarebbe tornato alla centrale senza un nulla di fatto. Non poteva certo permettersi una perdita di tempo come quella, per quanto in fin dei conti il suo stravagante partner fosse un tipo affascinante e passare del tempo con lui nemmeno troppo spiacevole. Almeno non quanto all'inizio di quella loro stramba amicizia.
«Senti, Magnus, sono venuto qui perché ci sono novità sul rapimento di Amatis Herondale. Quindi mi faresti il favore di concentrarti ed essere serio per cinque minuti? Sempre che ti interessi ancora.»
Era abituato al fatto che quell'assurdo individuo sparisse durante un' indagine, dicendosi annoiato dal caso perché a parer suo troppo semplice o perché aveva di meglio da fare. Non riusciva proprio a comprendere come il Commissario Penhallow avesse potuto accettare di fare collaborare con il dipartimento un soggetto del genere. Ok, magari si era rivelato parecchio utile negli ultimi casi ed era indubbio che avesse delle capacità particolari... ma quel tipo diceva di essere uno stregone. Sul serio. Uno di quelli che fanno magie ed agitano bacchette - anche se questa battuta gli era valsa un'occhiata ammiccante ed un riferimento poco velato ad un altro tipo di bacchetta che il signor Bane si vantava d'esser bravo ad agitare, e non l'avrebbe mai più fatta.
Il detective Lightwood ammetteva di non essere in grado di spiegare alcuni dei 'trucchi' che quell'uomo metteva in scena in maniera così brillante da sembrare quasi veri o come facesse ad ottenere dalla gente delle confessioni in pochi secondi che ore di interminabile interrogatorio non avrebbero saputo estrapolare. O, ancora, come fosse stato possibile per lui uscire illeso da diversi conflitti a fuoco potenzialmente mortali quando un suo singolo colpo a bruciapelo, sparato più per esasperazione che per vera convinzione e costato settimane di sensi di colpa ed un bacio rubato per ammenda, lo aveva fatto zoppiccare per giorni e sanguinare considerevolmente per uno che diceva di essere immortale («Immortale, non 'non ammazzabile', detective! Stiamo più attenti all'uso dei termini, ahiachedolore»).
Però. Però. Non poteva credere alle fandonie di quell'incorregibile, sexy, egocentrico, narcisista, pazzo uomo sbucato dal nulla, gestore di uno dei locali notturni più famosi della città, con un conto corrente praticamente inesauribile ed una sfilza di gente poco raccomandabile a dovergli dei favori. C'era sicuramente qualcosa dietro il nome fasullo di Magnus Bane e la sua carismatica figura, qualcosa di oscuro e forse pericoloso. Qualcosa che l'avrebbe di certo fatto soffrire, alla fine, e forse per questo continuava a rimandare la scoperta della verità. Ma che non fosse umano? No, non riusciva neanche a pensarlo.

«Sono qui, guanciotte dolci, ti ascolto.» sorrise lo stregone, schioccandogli le dita davanti al viso per riottenerne l'attenzione. Il ragazzino si era imbambolato e, nel frattempo, erano persino arrivati i drink che aveva ordinato ed era riuscito anche a dare una pacca sul sedere sodo di quella nuova cameriera ed invitarla nel suo loft finito il turno. Ma adesso iniziava ad annoiarsi.
«Eh? Sì, scusa. Dicevo-»
«Sono consapevole di essere tremendamente affascinante, ma stava iniziando ad essere inquietante» mormorò fra sé e sé il più grande, portandosi il bicchiere alle labbra per nascondere un sogghigno divertito al rossore che era inevitabilmente affiorato sulle guance candide del poliziotto. Era così terribilmente divertente farlo imbarazzare, e quando arrossiva diventava semplicemente delizioso. Cosa non gli avrebbe fatto...
«Devi per forza essere così?» sbuffò esasperato Alec, passandosi una mano fra i capelli.
Magnus inarcò un sopracciglio sottile «Così come?»
«Così Magnus!» sbottò quello, prima di afflosciarsi sul tavolino e nascondere il viso fra le mani «Lascia perdere. Torniamo al caso.»
Bane scrollò le spalle, sorbendo un sorso del WL Weller arrivato giusto quella mattina. Il dolce gusto del caramello, che gli ricordava il profumo della propria magia, unito allo sciroppo d'acero appena distinguibile sotto il sapore più forte dell'alcool era l'unico motivo che gli permetteva di rimanere concentrato su qualcosa di così tediante come le discussioni di lavoro. Peccato che il suo partner non parlasse praticamente d'altro, anche le rare volte in cui il lavoro avrebbe dovuto essere dimenticato.
«Quindi, quale sarebbe la novità che ha spinto l'agnellino a venire fin dentro la tana del lupo?» chiese, annoiato, facendo scorrere lo sguardo sulle splendide ragazze che dimenavano i loro favolosi corpi sui tavolini ed i cubi in giro per la sala. Eppure nessuna di loro gli sembrava abbastanza. Era stato con due gemelle, due gemelle identiche, solo la sera prima ma non si sentiva soddisfatto. Oh era stato del gran sesso, è vero, con lui lo era sempre. Ma ultimamente i suoi pensieri convergevano spesso su certi occhi azzurri... probabilmente perché il bel detective si era categoricamente rifiutato di venire a letto con lui anche quando glielo aveva generosamente proposto. Più di una volta.
Che umiliazione. Forse Izzy aveva ragione e stava davvero iniziando a perdere colpi. O forse no. Ovviamente no. Insomma, lui era Magnus Bane!

«Hai sentito almeno mezza parola di quello che ti ho detto?»
La malcelata ironia dietro il tono stanco con cui aveva pronunciato quelle parole sembrò avere l'effetto sperato e convincere l'indonesiano a puntare lo sguardo sul pallido viso del suo interlocutore; Alec non aveva neanche toccato il suo drink, ovviamente, ma giocherellava distrattamente con l'anello d'argento che portava sempre al medio della mancina. Il bagliore delle luci illuminò per un istante la piccola elle incisa fra delle fiamme stilizzate e Magnus socchiuse infastidito gli occhi.
«Una in più e dieci in meno di quelle che mi interessavano, occhi belli. E' chiaro che si tratti di un killer infernale.»
Il detective si lasciò andare contro lo schienale del divanetto, non sapendo se sentirsi più stanco od esasperato. Ecco che rincominciava con le sue fandonie.
«Beh sicuramente il nostro uomo non è uno stinco di santo...» provò, sforzandosi di credere che il commento del più grande avesse una connotazione metaforica. Ma venne deluso immediatamente dall'espressione scocciata affiorata sul suo volto e dal modo in cui scostò il suo bicchiere ancora pieno in parte, facendo scontrare fra di loro i cubetti di ghiaccio rimasti sul fondo.
«Non sai quanto, detective. Ma intendo davvero un killer infernale, quando dico 'killer infernale'. Un sicario creato da sangue di demone ed addestrato per compiere i peggiori delitti e portare caos, dolore, distruzione e morte. Il solito pacchetto.»
Alec si strofinò le mani sul viso, massaggiandosi con forza le palpebre che sentiva pesanti. Non dormiva da più di quarantotto ore per quel dannatissimo caso e non tornava al suo appartamento da altrettanto tempo. Voleva fare una doccia e poi crollare nel suo letto, non stare ad ascoltare uno psicopatico dall'inquietantemente fervida immaginazione.
«Quindi...» borbottò passandosi le mani fra i capelli per l'ennesima volta, nell'arco della serata, e strizzando gli occhi «...fingiamo che ti creda. Che si tratti di un mastino infernale»
«Killer infernale.»
Lightwood lo fulminò con un'occhiataccia delle sue, resa più efficace dalle occhiaie bluastre, e Bane ebbe la buona creanza di zittirsi ed invitarlo a continuare con un gesto del bicchiere.
«Killer infernale» ripeté guardandolo sorridere soddisfatto e sentendo montare dentro la voglia di sparargli di nuovo. Così, per sport. «Come facciamo a riconoscerlo? Perché si è messo a rapire gente la cui unica cosa in comune è il fatto di provenire dalla stessa università e non aver frequentato neppure negli stessi anni?»
Magnus ammiccò «Magari la IA gli sta sulle palle. Neanche a me piacciono granché i tizi che ci insegnano.»
Il poliziotto contò fino a dieci prima di lasciar cadere la testa sul bordo dello schienale e chiudere gli occhi. Perché, perché lo avevano affiancato a lui e non a Jace? Tolto il piccolo particolare che probabilmente quei due si sarebbero uccisi a vicenda nel giro di qualche minuto a dover stare nella stessa stanza, ovviamente.
«Non credo che abbia problemi con il corpo docenti della Idris Academy, Magnus. Nessuno dei rapiti lavorava lì.»
Lo stregone fece spallucce e poi si stiracchiò, mettendosi comodo ed allargando le braccia sullo schienale come fosse il padrone di casa. Cosa che in effetti era.
«Oh beh, poteva essere un'opzione. In ogni caso riconoscerlo è semplice, sai... basta cercare qualcuno che abbia l'aria infernale.»
«Qualcuno che abbia l'aria infernale» gli fece eco Lightwood, aprendo un unico occhio chiaro per guardarlo. Ormai non riusciva neppure più a prendersela.
Il più grande annuì computamente, segno che era serio «Pelle innaturalmente pallida, occhi spiritati e privi di calore umano. Solitamente neri. Capelli, mh, bianchi anche se il soggetto è giovane. Il sangue di demone ha il bizzarro effetto di far sbiadire gli esseri umani... aria da maniaco omicida. Un grande ego, fiducia illimitata in se stessi, deliri di onnipotenza.»
«...rientri quasi totalmente nella descrizione, Mag, sai? Perlomeno nell'identikit psicologico.»
I due al tavolo si voltarono verso la ragazza in pantaloni di pelle a vita bassa neri, e top che lasciava scoperto l'ombelico, che si era avvicinata. I lunghi capelli corvini erano legati in una coda alta ed al solito il trucco scuro valorizzava gli intelligenti occhi scuri, le labbra rosso fuoco atteggiate in un sorrisetto sardonico.
«Izzy! Credevo che non ti avrei vista stasera»
Improvvisamente il giovane detective sembrò sollevato. Succedeva sempre quando c'era nei paraggi sua sorella minore. Per quanto non avesse accettato l'idea che lavorasse per Magnus e sembrasse così intima con lui era indubbio che avere a che fare con il proprietario del Pandemonium fosse più facile se veniva sfottuto dalla sua capo barman slash guardia del corpo o qualsiasi cosa d'altro facesse per lui.
La ragazza sorrise lasciandosi cadere al fianco del piccolo umano di cui si fingeva sorella. Beh, tecnicamente quel corpo apparteneva davvero ad Isabelle Lightwood ma la sfortunata fanciulla era morta anni prima in un incidente stradale e lei aveva ben pensato di possederlo e sostituirvisi quando aveva deciso di essere stanca di torturare anime, e di conseguenza fuggire, e varcato i cancelli dell'Inferno per trovarsi a camminare nel mondo dei mortali. A lungo andare aveva finito per affezionarsi sinceramente ai fratelli della sua ospite e fingere di essere la loro adorata sorellina minore non era stato più così complicato. E poi i bronci di Bane per il fatto che frequentasse più di lui il maggiore dei ragazzi Lightwood e potesse vederlo nudo erano impagabili.
«Il mio appuntamento è finito prima fratellone. Una vera lagna...» brontolò, accucciandosi al suo fianco e posandogli la testa sulla spalla, scoccando di sottecchi un'occhiata di scherno al suo datore di lavoro «...ma tu non sei messo meglio di me. La sfortuna sarà di famiglia.»
«E' un vero piacere vederti Isabelle» sorrise falsamente lo stregone, prima di alzarsi e spolverarsi gli abiti «Ma temo che debba lasciarvi, miei cari. Ho una focosa cameriera latina che mi aspetta e sono già in ritardo...»
«Ma il caso...» provò Alec, distogliendo lo sguardo dalla sorella.
Inutile dire che del favoloso Magnus Bane non ci fosse già più traccia.





Magnus fuggiva dall'Inferno, letteralmente, da tutta la vita.
Essere uno stregone non era così eccitante come si poteva pensare, per iniziare. Significava che tua madre era stata, se fortunata, ingannata e se non lo era direttamente stuprata da un demone che aveva ben pensato potesse essere un'ottima incubatrice per i suoi figli mezzosangue. Poi c'era il fatto dei Marchi, e lì se eri fortunato tu magari non erano neppure così evidenti ma se avevi ereditato la sfiga materna ti ritrovavi con un palco di corna da alce e la pelle viola. Cosa che portava al punto in cui tua madre (o il tuo falso padre umano) cercavano di ucciderti perché palesemente figlio del Demonio. Gran brutta cosa, davvero davvero poco simpatica.
Lui inoltre era anche figlio di uno dei Principi Coronati dell'Inferno, che poteva suonare anche figo se non avesse implicato il fatto che il caro paparino lo volesse al suo fianco - leggasi: servizio fino alla fine dei tempi senza paga minima sindacale - in quel di Edom, suo regno demoniaco di dominio, che non era esattamente le Hawaii infernali.
In realtà era proprio da suo padre che fuggiva. Sin da quando Asmodeus si era reso conto che quel figlio che aveva generato in un momento di noia, in un periodo imprecisato del diciassettesimo secolo, aveva manifestato una spiccata attitudine alla magia e dei poteri davvero considerevoli, aveva deciso di perseguitarlo per convincerlo ad unirsi a lui. Cosa che non era mai avvenuta nonostante tutte le minacce, i ricatti, le offerte e la scia di morte che si era lasciato dietro nel tentativo. Ultimamente poi aveva scelto di tormentarlo mandandogli alcuni dei suoi scagnozzi per fare il suo lavoro.
E Raphael Santiago lo trovava un compito estremamente edificante se significava poterlo torturare. Per il resto del tempo, però, era soltanto una vera e propria palla che lo costringeva a vedere quello stregone più volte di quante ne potesse sopportare.
«Sai, dovresti proprio accettare la proposta di tuo padre» mormorò distrattamente il ragazzino ispanico dai ricci capelli scuri, stravaccato sul divano in pelle nera del salotto ed impegnato nella lettura di una vecchia Bibbia che aveva trovato nella libreria del loft. Inappropriatamente ironico, ma adorava mostrare come tutto ciò che riguardava la religione non avesse più effetto su di lui - non come agli inizi della sua maledizione, ovviamente.
«Sai, dovresti proprio scollare le chiappe dal mio divano ed andartene da casa mia smettendo di approfittarti della mia roba. Vampiro» lo sbuffo dello stregone venne soffocato nel bicchiere che teneva sul ripiano del lucido pianoforte a coda a cui era accomodato. Ultimamente gli era presa la fissa del piano, anche se lo suonava con l'ausilio della magia - l'esperienza con il charango in Perù gli era stata stranamente da lezione «Tra l'altro, chi ti ha fatto entrare?»
«Isabelle»
«Isabelle. Ovvio.» chi altri se non quel piccolo demonio? E dire che il vecchio compare non le stava neanche particolarmente simpatico. Aveva come il presentimento che preferisse lo stramboide nerd con cui suo malgrado si era soliti vederlo, quel Simons... o qualcosa del genere.
Magnus rimase a guardare il ragazzino, sovrappensiero, finché non si accese una lampadina. O semplicemente si appoggiò con il gomito sulla tastiera, facendo partire un suono acuto che lo riscosse. «Hai sentito voci su un killer infernale in vacanza a New York, per caso?»
Raphael abbassò il libro, guardandolo da sopra la costa con un'inequivocabile espressione da 'ma sei serio?'
Lo stregone agitò infastidito una mano davanti al viso «A parte te e i tuoi, intendo.»
Il ragazzino sembrava però aver ripreso il suo precedente impegno, il visetto da cherubino demoniaco di nuovo seppellito nella Bibbia.
Magnus si chiese quanto crudele sarebbe stato chiuderlo nel terrazzino, considerato che era ormai mezzogiorno. Magari avrebbe guadagnato gli apprezzamenti di zio Lucifer e sarebbe finito a lavorare per lui, piuttosto che suo padre. Il portatore di luce sembrava una personalità più piacevole del suo luogotenente. Perlomeno sapeva come divertirsi, quel vecchio diavolo.
«Mi è parso di capire che uno dei pargoli di Lilith abbia deciso di mettersi in proprio e voglia distruggere il mondo sfruttando i discendenti delle schiere angeliche... sai perfettamente che anche i culi piumati di tanto in tanto si fanno irretire dagli esseri umani. Sarebbe divertente mostrare al Cielo il dito medio distruggendo la creazione più cara al Paparino con il frutto dei loro divini peccati, non trovi?»
L'immortale, in realtà, lo trovava divertente eccome. Non era mai andato d'accordo con chi stava lassù ed aveva permesso che si compisse lo scempio della nascita degli stregoni; sia chiaro, non era così masochista da desiderare di non essere mai nato ed alcuni di quelli come lui erano anche okay. Ma il fatto che nessuno avesse protetto quelle povere donne, che a nessuno fosse interessato un destino tanto crudele per dei bambini innocenti... no, non ci stava. Certe volte pensava che il male minore fosse, ironia della sorte, proprio il Male. Perlomeno da quello sapevi cosa aspettarti, ecco.
«Ma sono soltanto esseri umani. Avranno pure una minima quantità di sangue angelico, ma questo non li rende diversi da qualsiasi altro mortale. Niente super poteri, niente ''boom, sei santo!''. Sono soltanto-» Magnus spalancò gli occhi, voltandosi a guardare Raphael che sorrideva, compiaciuto, mostrando il biancore dei canini acuminati. C'era un motivo se erano nate le sciocche leggende circa i succhiasangue immortali, in fondo.
«Più propensi al bene di qualsiasi altra persona sulla terra. Corrompere i loro cuori e fargli compiere atti immondi contro la loro volontà manderebbe di filato le loro anime dal Boss... non potrebbero essere neppure considerati martiri. Niente SPA celestiale per loro» cantilenò il demone con voce morbida, marcando sull'accento spagnolo, mentre gettava le lunghe gambe oltre il bordo del divano per mettersi in piedi e spolverarsi gli abiti.
Quando rialzò lo sguardo sul padrone di casa, i suoi occhi riflettevano le fiamme dell'Inferno che gli era casa ed ardevano del rosso del sangue versato dalle sue vittime «Fossi in te starei attento al tuo amato poliziotto, brujo
Magnus fece una smorfia «Non è il mio amato-»
Ma Raphael era già svanito nel nulla, inghiottito dalle ombre.
Sospirando lo stregone tornò ad allungare la mano verso il bicchiere dimenticato, schioccando le dita di quella libera che mandò piccole scintille bluette mentre i tasti del piano riprendevano ad essere pigiati da mani invisibili suonando Womanizer. Per buona misura buttò giù ciò che rimaneva del suo drink in un unico sorso.
«Io non amo quel ragazzino umano.»





«Ripetimi ancora perché dovrei farlo.»
«Perché è tuo fratello e gli vuoi bene.»
«Beeep. Risposta sbagliata. E tecnicamente è il fratello della mia ospite, non mio» un attimo di pausa «E non ho mai detto di volergli bene.»
«Sei una pessima bugiarda. Va bene, allora perché tu lavori per me e fai quello che dico io, Izzy. Perciò ti conviene seguire Alexander e stare molto attenta a tutto ciò che gli succede e chi lo avvicina se non vuoi un biglietto di ritorno permanente per l'Inferno.»
«Ridotta a fare da babysitter e pedinare un umano di cui ti sei invaghito... cos'altro mi capiterà? Mi manderai a prenderti la roba in lavanderia?»
«Non lo definirei pedinamento e- io non sono innamorato di Alec»
«Non mi pare di averlo mai detto, questo.»
Prima che potesse davvero rispedirla nella dimensione demoniaca da cui proveniva, Isabelle pensò che fosse meglio approfittare del momento di confusione che aveva bloccato il suo capo nell'atto di minacciarla con un indice dall'unghia smaltata di blu elettrico puntato contro e svignarsela.





C'era poco che Magnus odiava, oltre suo padre e qualsiasi cosa fosse collegata in qualche modo a lui.
La sciatteria, ad esempio. Lo stile hipster che andava tanto di moda in quel periodo storico - e che sperava sinceramente sarebbe finita presto, perché davvero gli faceva rimpiangere gli anni novanta e tutto il trash che li aveva dominati. Dover uscire la domenica pomeriggio quando l'unica cosa che avrebbe voluto fare era rimanersene nella sua jacuzzi con un buon bicchiere di Chateau Lafite Rothschild («Solo per vino e per amore non si bada a spese») e magari una bella ragazza ed un bel ragazzo a fargli compagnia. Avere perennemente Raphael Santiago a casa propria a fare i suoi comodi e dover pure sorbirsi le sue lamentele, come se lo avesse invitato lui.
E, da circa un anno a quella parte, il detective della NYPD Jace Herondale.
«Detective Bellicapelli cosa ci fai tu qui, di grazia?»
Il poliziotto biondo arricciò il naso in una smorfia, come sempre quando quel tizio lo chiamava così - cosa a cui ormai era abituato, visto che sembrava non essere in grado di pronunciare il suo nome. Soltanto il pensiero che, effettivamente, lì non avrebbe dovuto proprio trovarsi considerato che era stato estromesso dal caso proprio dal Commissario Penhallow per via del suo presunto legame con una delle persone scomparse gli impedì di rifilargli una risposta piccata. Che poi lui la prima moglie di suo padre non l'aveva neanche mai conosciuta davvero, considerati gli scarsissimi rapporti con la sua famiglia d'origine; ma a quanto pare questo non era bastato perché Jia gli permettesse di partecipare attivamente alle indagini. E così aveva fatto di testa sua, disobbedendo agli ordini, come faceva del resto praticamente sempre.
Ma quel Bane avrebbe potuto metterlo seriamente nei guai se avesse spifferato di averlo visto all'Idris Academy. Non erano mai andati granché d'accordo e neanche gli piaceva particolarmente - cosa che in parte ricambiava. Non aveva mai capito perché, comunque. Lui era così bello e simpatico!
«Potrei chiedere la stessa cosa a te. Come mai non c'è Alec a farti da balia?» replicò, con un sorriso strafottente, sporgendosi per assicurarsi che dietro l'alta e magrissima figura glitterata del proprietario del Pandemonium non ci fosse quella massiccia e perennemente in nero del suo migliore amico. Lo avrebbe visto, in ogni caso, Alexander non era uno che passava esattamente inosservato con il suo fisico nonostante la tendenza a cercare in tutti i modi di non farsi notare.
Lo stregone fece spallucce, rigirando i pollici nei passanti degli skinny jeans neri (che gli facevano un culo da favola, tra parentesi) «Sono venuto a trovare un vecchio amico.»
All'occhiata perplessa del detective alzò gli occhi al cielo, sfiatando. Quanta pazienza.
«Il Rettore Fell. Volevo fargli qualche domanda sulle sparizioni» bofonchiò con aria annoiata, come se dovesse spiegare qualcosa di ovvio per l'ennesima volta ad un bambino non particolarmente sveglio.
«Buffo» commentò serenamente Jace dando un'occhiata al corridoio vuoto che portava proprio all'Ufficio del Rettore «Sono venuto per lo stesso motivo.»
«Non sapevo che Ragnor avesse allargato la sua cerchia. Ultimamente i suoi gusti sono peggiorati.»
Il sorriso sornione sul bel viso del sedicente stregone fece venire al poliziotto prurito alle mani. Prima o poi lo avrebbe picchiato, partner di Lightwood o meno. Poco importava se fosse finito in cella per una sera, almeno si sarebbe tolto la soddisfazione.
«Ora capisco perché Alec ti ha sparato» sbuffò soltanto, superandolo a passi di marcia per dirigersi verso la porta laccata di nero con la targhetta dorata che recitava 'Magnifico Rettore'.
Magnus non aveva mai capito perché si dicesse così; insomma Ragnor era tutto meno che magnifico con quella pelle verde pisello e l'aria di uno che seguisse una ferrea dieta a base di limoni. Ma rientrava in quel range di stregoni che non erano stati fortunati con la partita a dadi per i geni. Grazie al Diavolo esisteva la magia.
«Sono stato io a chiedergli di spararmi» fece notare, per puro puntiglio, prima di seguirlo «E per inciso non avrebbe dovuto essere in grado di riuscirci.»
«Perché tu sei un illusionista ultramillenario e bla bla bla, conosciamo la solfa... perché la porta è chiusa a chiave?» lo liquidò in fretta il biondo premendo una seconda volta sulla maniglia. Ma niente da fare.
Magnus, al suo fianco, si accigliò «Forse è andato a rompere l'anima a Catarina? Ma è strano, la segretaria ha detto che era nel suo ufficio» tolse una mano da una tasca, dando un paio di pugni contro il legno «Ragnor? Baccello Amoroso? Sono io, il tuo adorato Magnus!»
Jace lo fissava indeciso se ridere o vomitare con un'inequivocabile espressione da ''Baccello Amoroso?''. Era però ovvio che, se anche il rettore fosse stato lì dentro, non aveva alcuna intenzione di aprire loro.
«Forse non rientri più nella sua ''cerchia''. Hai controllato se ti ha tolto l'amicizia su Facebook?»
Lo stregone borbottò qualcosa in una lingua al detective incomprensibile, spingendolo di lato con malagrazia e trafficando con la maniglia della porta. Dopo qualche secondo si sentì il 'click' della serratura che scattava e la portà si aprì sotto la pressione della sua mano, lasciandolo con un sorriso soddisfatto a guardare il suo compare.
Jace inarcò un sopracciglio «Non credo che sia molto legale e come... no, non voglio saperlo.»
«Ah, taci» lo zittì quello, spalancando teatralmente la porta «Lungi da me il voler interrompere qualche sordido affare privato ma- Ragnor»
Il detective rimase a guardare l'indonesiano fiondarsi dentro l'ufficio. Non lo aveva mai sentito usare quel tono. Sembrava allarmato e la cosa preoccupò anche lui, spingendolo a seguirlo ed estrarre la pistola dalla fondina. Doveva sicuramente essere successo qualcosa.
Quello che vide una volta messo piede dentro la stanza gli provocò una strana fitta al petto; Magnus era inginocchiato per terra e teneva fra le braccia un uomo sulla trentina, ben piazzato, dai capelli inusualmente bianchi e macchiati di sangue così come lo era il completo blu che indossava. All'altezza del petto, sulla camicia candida, si andava ad allargare una macchia rosso scuro che il più giovane tentava invano di comprimere con la propria giacca mentre ripeteva il nome dell'amico in una litania di preghiere.
«Magnus...» sussurrò, abbassando la pistola e chinandosi sulle ginocchia per tastare il polso della vittima «...Magnus, mi dispiace. Non c'è più niente da fare, è morto.»
Bane si zittì all'improvviso, sgranando gli occhi. La presa sulla propria giacca venne meno e la mano scivolò in basso, avvolgendo il fianco del cadavere e stringendoselo contro il petto incurante di imbrattarsi a propria volta di sangue. Teneva lo sguardo fisso sul muro, vuoto ed assente. In qualche modo a Jace fece paura.
Il detective esitò, non sapendo se stringergli una spalla e fargli le sue condoglianze o rimanersene zitto. Alla fine decise di rialzarsi per chiamare il dipartimento e farsi mandare degli uomini ed un'ambulanza, scoccando di tanto in tanto qualche occhiata al triste duo per terra. Ad un certo punto gli sembrò persino che la pelle di Ragnor Fell fosse diventata di un verde brillante e che due piccole corna ricurve gli spuntassero dalla fronte. Ma, quando provò a mettere meglio a fuoco, il cadavere era tornato normale e si diede dell'idiota.

Magnus non riusciva a credere che Ragnor fosse morto.
Anche se teneva il suo cadavere, che stava ormai diventando paurosamente freddo e rigido, fra le braccia non era in grado di processare quel pensiero ed accettare che fosse vero. Fell era stato per lui un amico ed un fratello, un compagno di assurde avventure ed in qualche modo persino la voce della sua coscienza insieme alla Loss. Viveva da più tempo di lui ed era indubbiamente uno stregone molto più forte di quanto avrebbe mai sperato di poter diventare. Non poteva semplicemente non esserci più.
«E adesso chi lo dice a Catarina, eh, vecchio bastardo?» sussurrò, abbassando finalmente lo sguardo sul viso esangue del più grande. Vide le sue vere sembianze riaffiorare a causa dell'incantesimo interrotto dalla morte ed agitò sopra il suo corpo le dita della mancina per ripristinarlo, avendo scorto l'occhiata stupefatta del detective. Non avrebbe usato l'omicidio del suo migliore amico come prova che aveva sempre detto la verità circa la sua natura; checché ne dicessero di lui non era così meschino.
«E Santiago... cielo, quel tipo mi svuoterà l'armadietto dei liquori e dovrò sopportarlo in casa a far la vedova per settimane. Hai idea di cosa vuol dire? Mi renderà la vita un Inferno» mormorò ancora, cullando senza rendersene conto il corpo che continuava a stringere «Forse scatenerà l'Apocalisse in questa stupida città... e forse non lo fermerò. Magari riuscirà ad ammazzare quel fottuto figlio di un demone che ti ha fatto questo.»
Si bloccò, lo sguardo fisso su Herondale che fuori in corridoio faceva avanti e indietro con il cellulare premuto contro l'orecchio.
Le parole che Raphael aveva pronunciato qualche giorno prima in una delle sue (s)gradite visite al loft tornarono a ripetersi con la voce del demone, chiare, nella mente.
''Mi è parso di capire che uno dei pargoli di Lilith abbia deciso di mettersi in proprio e voglia distruggere il mondo sfruttando i discendenti delle schiere angeliche... sai perfettamente che anche i culi piumati di tanto in tanto si fanno irretire dagli esseri umani. Sarebbe divertente mostrare al Cielo il dito medio distruggendo la creazione più cara al Paparino con il frutto dei loro divini peccati, non trovi?''
«Andiamo, amico mio. Andiamo andiamo andiamo. Dimmi che non ti sei smentito neanche questa volta»
Si alzò fulmineo, incominciando a frugare in giro animato da una folle frenesia. Finché non si avvide dei fascicoli sulla scrivania. Evidentemente l'assassino non si era preso la briga di far sparire le prove, perché uno di quelli era aperto sopra gli altri e macchiato di sangue.
Magnus lo afferrò, sorridendo vittorioso «Bingo.»
Poi raggiunse la porta, affacciandosi e richiamando l'attenzione del poliziotto nel sollevare il dossier «Detective Bellicapelli, abbiamo il nostro killer infernale»





«Killer infernale
Il detective Lightwood sospirò, alzando gli occhi al cielo «Sì, lunga storia. Lascia perdere.»
Sarebbe stato troppo complicato e soprattutto inutile da spiegare, Jace lo perdonasse. Soprattutto perché adesso avevano davvero una pista da seguire e quel fascicolo era decisamente più interessante, ed importante, dei deliri di chi lo aveva trovato e le perplessità del suo vecchio partner.
Puntò invece il dito sulla fotografia che ritraeva un ragazzo sulla ventina, pallido in maniera malsana, con una massa di lisci capelli color sale e occhi di un nero profondo animati da una scintilla di follia. Era bello, a suo modo, con lineamenti affilati ed eleganti. Ma aveva un sorriso crudele ed, indefinitiva, l'aria di chi avrebbe potuto ammazzare a sangue freddo il proprio preside e rapire i vecchi studenti della sua scuola.
«Jonathan Christopher Morgenstern, ma si fa chiamare Sebastian. Venticinque anni, all'ultimo anno della facoltà di Scienze Politiche. Ottimi voti, studente brillante. Ha manifestato un comportamento aggressivo nei confronti di alcune matricole e pare avesse un'influenza negativa sui suoi compagni di corso. Si sospetta che abbia indotto al suicidio il giovane Jordan Kyle, membro anziano del Praetor Lupus - una delle confraternite dell'università che si occupa di aiutare e seguire i nuovi arrivati - motivo per cui è stato espulso il mese scorso.»
Alec increspò le sopracciglia dopo aver finito di leggere, incrociando le braccia al petto e lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona «Morgenstern? E' imparentato con Clarissa?»
Jace, che era seduto sulla scrivania e stava fissando con aria assorta il dossier, alzò lo sguardo sull'amico e scosse il capo «Non mi ha mai detto di avere fratelli psicopatici. E non l'ho mai visto a casa sua.»
«Perché vive con il padre, che ha divorziato dalla madre prima che la secondogenita venisse al mondo. Jocelyn Fairchild non ha mai più voluto sapere nulla di nessuno dei due»
I due si voltarono verso Magnus, che si era avvicinato con passo felino e li guardava con un sorrisetto saputo. Si era cambiato, non indossava più gli abiti macchiati di sangue, e sembrava quasi aver dimenticato di aver trovato il cadavere del suo migliore amico soltanto quella mattina. O così cercava di dare a vedere.
In realtà Alec lo conosceva ormai abbastanza da leggere dietro la sicurezza in sé un dolore profondo, proprio lì, appena oltre la fragile barriera dei suoi stupefacenti occhi. Rendersi conto della cosa sembrò in qualche modo turbarlo ed indurlo a distogliere lo sguardo e dare in un colpetto di tosse per apparire disinvolto.
«E tu come faresti a saperlo?»
«Semplice. Jocelyn ha chiesto i miei... servigi, tempo fa. E conosco, sfortunatamente, Valentine Morgenstern da parecchio tempo» si produsse in una smorfia di disgusto «Fidatevi, quell'uomo proteggerà il suo erede omicida con tutti i mezzi a sua disposizione.»
Jace increspò le sopracciglia, scendendo giù dal tavolo ed affiancandosi ad Alec, stringendo con forza una spalla di questo. Magnus lo fulminò con lo sguardo, ma parvero entrambi non farci caso. «E noi allora cercheremo di impedirglielo con tutti i mezzi a nostra disposizione»
Il detective moro annuì, riflettendo fra sé e sé, lo sguardo fisso sulla foto. Quel tipo gli dava i brividi.
«Magnus sei con noi?»
Herondale sbarrò gli occhi dorati, sorpreso, allontanandosi da lui. Non si aspettava avrebbero coinvolto ulteriormente quel tipo.
Bane, per tutta risposta, si esibì nel più smagliante dei suoi sorrisi «Pensavo non me l'avresti chiesto più, farfallina.»





«Mi dispiace per il tuo amico»
Quella notte New York sembrava particolarmente tranquilla. Non c'era il rumore assordante delle sirene di qualche ambulanza a squarciare l'aria e, fuori dal commissariato, neppure quello delle volanti della polizia pronte a partire per andare ad arrestare qualche criminale.
Magnus abbozzò un sorriso, ondeggiando infantilmente i piedi che non toccavano terra e concentrandosi sulle sue converse nere piene di lustrini. Il muretto su cui si era seduto non era troppo alto, in realtà, ma riusciva comunque a tenerlo distante dal suolo; sentiva di averne bisogno per non vomitare.
«Già. Beh, suppongo che in questi casi si debba ringraziare» accennò, accettando il bicchierone di caffé che il detective moro gli stava timidamente porgendo.
Il ragazzo più giovane sembrava parecchio a disagio e teneva il viso seppellito nella sciarpa azzurra che lo stregone gli aveva regalato il Natale passato («Così almeno avrai qualcosa di decente nel tuo guardaroba e poi è dello stesso colore dei tuoi occhi, pasticcino»). L'aria pungente di inizio inverno era un'ottima scusa per poterla indossare senza passare per strani e poi una volta Izzy si era lasciata sfuggire che quello fosse il colore preferito del suo capo - o giù di lì, aveva parlato di accoppiata capelli-occhi in una persona. Ma supponeva potesse andare ugualmente. E poi ci teneva a dimostrare che apprezzasse il suo dono.
«Non credo» riuscì comunque a dire appoggiandosi al suo fianco con la schiena contro il muro.
«No?» chiese di rimando quello, fra il divertito ed il perplesso.
«No» confermò il poliziotto «Credo che in questi casi si debba urlare contro chi ti dice una sciocchezza del genere ed insultarlo pesantemente.»
Le labbra di Magnus fremettero e si affrettò a prendere un sorso di caffé caldo per nasconderlo «Mi stai chiedendo di insultarti?»
Alexander Gideon Lightwood era il soggetto più interessante ed imprevedibile con cui avesse avuto a che fare nell'ultimo secolo. Forse, a ben pensare, nella sua intera esistenza. Nonostante fosse passato più di un anno dal loro primo incontro non era ancora in grado di capirlo appieno perché tendeva sempre a stupirlo comportandosi in maniera del tutto diversa da quello che ci si sarebbe aspettati da lui. Nascondeva più di quanto si potesse immaginare sotto quell'aria da timido e perennemente accigliato poliziotto americano ligio al dovere e fin troppo rispettoso delle leggi.
E gli piaceva. Gli piaceva da matti. Perché Alec lo avrebbe di sicuro fatto uscire pazzo, su questo non c'erano dubbi.
«N-no. Ecco... io... non credo. Cioè, quello che volevo dire-» balbettò il più giovane, arrossendo pietosamente, in confusione. Ecco, aveva fatto l'ennesima figuraccia.
Bane rimase a guardarlo per qualche istante poi non ce la fece più e scoppiò a ridere. Rise con tutto il cuore e tutto il fiato che aveva nei polmoni, rise fino a sentirsi quasi male e rischiare di ruzzolare giù dal muretto.
Alec lo fissava, incerto, ma intimamente sollevato con un lieve sorriso oltre la morbida stoffa. Almeno fino a quando le risate non si trasformarono in singhiozzi e quelle che vide sul bellissimo volto del giovane straniero furono delle lacrime che non erano affatto di divertimento.
C'era tutto il dolore del mondo negli occhi di Magnus ed Alec sentiva che fosse giusto così ma, al contempo, di non poterlo sopportare.
Per questo si mosse, senza pensare, fronteggiando lo stregone ed allungando le braccia per stringerselo contro e fargli nascondere il viso contro il suo petto, carezzandogli delicato la nuca con dita leggere «Va tutto bene, Magnus. Sfogati pure, è giusto così. E' questo che fanno le persone quando soffrono.»
Sebbene inizialmente si fosse irrigidito, Bane non ci mise molto a lasciarsi andare e ricambiare l'abbraccio aggrappandosi al suo cappotto ed inspirando il suo profumo - sandalo, caffé scadente delle macchinette della centrale, polvere da sparo e una nota più leggera di dopobarba. Gli piaceva, decise distrattamente.
Ma soprattutto pianse. Pianse come non era riuscito a fare tenendo fra le braccia il suo migliore amico, come non era stato in grado mentre dava la notizia a Catarina ed assisteva alla sua straziante disperazione.
Pianse per la prima volta dopo secoli infrangendo il giuramento che aveva fatto a se stesso da bambino, dopo essere fuggito dalla sua vecchia casa e dalle fiamme in cui ardeva il suo patrigno - che aveva tentato di affogarlo - ed essersi reso conto di essere ancora vivo, di non farlo mai più.

Quando i suoi occhi tornarono asciutti e sentì di aver terminato tutte le sue lacrime, il sole di una nuova giornata stava timidamente sorgendo oltre i grattacieli attorno a loro e Alexander lo teneva ancora stretto a sé, accarezzandogli la nuca. Non aveva smesso di farlo per tutta la notte, rimanendo in silenzio e ricordandogli di esserci con il suo calore e l'unico ausilio del battito confortante del suo cuore.
«Lo prenderemo» mormorò il detective, permettendogli di scostarsi dall'abbraccio per guardarlo negli occhi, quando fu sicuro che ormai il peggio fosse passato.
Magnus annuì, appoggiando la fronte contro la sua e sospirando. Si sentiva terribilmente stanco e svuotato ma, in qualche modo, più leggero. Chiuse gli occhi, perdendosi il modo in cui il viso dell'altro andava teneramente a fuoco per la vicinanza.
«Sai...»
«Mh?»
Lo stregone sorrise, arrendendosi. Aveva abbassato tutte le sue difese, con lui. Tanto valeva farlo anche con l'ultima e smettere di ostinarsi a fingere anche con se stesso.
«Penso che, alla fine, io mi stia davvero innamorando di te Alexander»
Il preso in causa sbarrò gli occhi, colto in contropiede. Sentiva improvvisamente il cuore battere frenetico nel petto, tanto da temere che se ne scappasse via.
Ma tutto quello che riuscì a rispondere fu soltanto un fioco «Alec. Non Alexander.»
Ed era talmente tipico di lui, talmente familiare, che Magnus non poté proprio fare a meno di baciarlo come se fosse l'ultima cosa che avrebbe mai fatto su quella terra - ed, in seguito, assicurò a chiunque fosse disposto ad ascoltare la sua versione di quella storia che il detective lo avesse ricambiato con un entusiasmo tale da farlo ribaltare dal muretto.





«Qualcosa mi dice che non accetterai troppo presto la proposta di tuo padre.»
«Cos- TU! Per tutte le feste di compleanno del Presidente Miao... non hai proprio idea di cosa sia il concetto di privacy? E abbassa la voce.»
Magnus diede un'occhiata eloquente al suo fianco. Le lenzuola coprivano fin alla vita il giovane che occupava la parte sinistra del letto e si aveva una meravigliosa panoramica della sua candida schiena solcata da sottili graffi rossastri, il viso sereno nel riposo nascosto dalla massa di disordinati capelli corvini ed in parte seppellito nel cuscino. Dormiva con la bocca leggermente aperta, russando piano, ed era semplicemente perfetto.
Ma, ovviamente, in quell'idilliaco quadretto non era prevista la presenza inquietante, e per dirla tutta anche un filino inopportuna, del demone ispanico appollaiato sul suo pianoforte con un sorrisetto sardonico su quel viso da eterno ragazzino.
Gli occhi di Raphael però erano spenti dal giorno del funerale di Ragnor. E nonostante fossero ormai passati mesi, e lui stesso si fosse occupato di scortare il suo assassino nella prigione più profonda dell'Inferno a scontare la sua pena eterna oltre ad aver avuto il permesso di esserne il carceriere e poter così infliggergli le peggiori torture ideate dallo stesso Diavolo, lo stregone era consapevole del fatto che nessun sentimento li avrebbe mai più fatti brillare. Neppure il divertimento dato dal prenderlo in giro ed invadere a suo piacimento il suo spazio vitale.
«Ha finalmente accettato la verità?» si informò, invece, accennando proprio al poliziotto addormentato con un gesto distratto del capo.
Bane si appoggiò contro la testiera, guardando con affetto il suo ragazzo «Diciamo che ci stiamo lavorando..»
«Mh» non che si ci potesse aspettare un commento migliore da Mister Simpatia, ovviamente. Il demone, però, distolse lo sguardo e chiuse gli occhi «Fai in modo di vivere la migliore delle vite possibili con lui, Bane. Perché quando arriverà la sua ora io tornerò a farti quella proposta. E non potrai più rifiutare.»
Magnus non si stupì quando, alzando lo sguardo, si accorse che sul pianoforte non c'era più nessuno se non il minuscolo gattino di casa acciambellato sul coperchio chiuso della tastiera.
Sorrise, però, guardando con sfida il punto dove fino a poco prima c'era il ragazzino. Sicuro che lo sentisse ancora «Staremo a vedere, moccioso»
«Magnus? Con chi, yawn, diamine stai parlando?»
Lo stregone si chinò a baciare una spalla nuda del suo compagno, ricambiando il suo sguardo ancora annebbiato dal sonno «Nessuno. Dormi ancora un po', non abbiamo nessun caso»
«Per ora» borbottò il detective, rigirandosi fra le lenzuola per poter fronteggiare il fidanzato e stringersi a lui, tornando a chiudere gli occhi.
«Per ora. Ma non chiamarcela...» convenne quello, rilassandosi nel suo abbraccio e permettendogli di far scivolare una gamba fra le sue senza alcuna malizia. Per ora anche quello.
«Magnus?»
«Mh?»
«Anche se sei totalmente fuori di testa e non... fai proprio parte di questo mondo, o quel che è, ti amo»
Magnus rise, nascondendo il viso fra i suoi capelli. Allora prima era sveglio.
«Ti amo anch'io. Ma adesso dormiamo un altro po', Alec. Ci aspetta una luuunga giornata di sesso, cibo, ancora sesso, altro cibo, relax e ho detto sesso?»
Ma l'unica risposta che ebbe fu soltanto un poi non tanto leggero ronfare.
Beh, almeno questa volta era stato ascoltato.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: R e d_V a m p i r e