La
porta di legno venne tartassata di colpi, che si intrecciavano ad
urla dal sapore urgente. Anders ci mise un istante a comprendere cosa
stesse dicendo la voce che penetrava nella malmessa casupola sul
fiume – ma tese l'orecchio mentre si puliva le mani con un
pezzo di
stoffa laida e strappata.
“Per favore! Mio fratello è in
pericolo, ha bisogno d'aiuto!”
E poi ci fu un singhiozzo ed
altri pugni alla porta.
Il mago strinse le labbra tra loro,
decidendo di aprire alla donna che stava implorando assistenza.
Anders discostò appena la porta, osservando guardingo dietro
il
legno la scena che gli si stava parando davanti: una giovane donna
dai folti capelli color di pece aveva le guance arrossate e la veste
sporca di sangue. Dietro di lei, un uomo alto, occhi azzurri, ne
sosteneva un terzo – più possente di questo ed
evidentemente
incosciente. Non furono le diverse corporature ad attrarre
l'attenzione di Anders, però, quanto piuttosto la maschera
cremisi
che pareva indossare lo svenuto.
“Per favore! So che siete un
guaritore, vi supplico-- è nostro fratello, si chiama
Philippe! È
stato attaccato da un bandito e Carver l'ha soccorso, ma--”
La
donna non poté finire, perché Anders l'aveva
già scostata
dall'uscio per far poi cenno all'uomo di entrare –
trascinandosi
dietro Philippe. L'uomo, una folta barba nera lorda di sangue, era
totalmente abbandonato contro il corpo del giovane ragazzo, che era
evidente stesse facendo molta fatica.
“Fatelo
stendere qui.”
Ordinò con voce ferma e decisa, scostando con
una manata alcune pergamene fittamente scritte dal tavolo.
Carver
adagiò il fratello dove gli fu ordinato, ma nella mente di
Anders
tutto sfumò non appena la sua attenzione si fu focalizzata
su
quell'improvviso paziente.
Lei, a quanto pareva, si chiamava
Bethany e continuava a dare spiegazioni che il mago non stava
ascoltando. Il ragazzo invece si terse il sudore dalla fronte, ma
solo il labbro inferiore stretto tra i denti tradiva il suo animo.
Il biondo analizzò con occhio esperto e distaccato
ciò che gli
era davanti, i rumori annullati e risucchiati altrove: Philippe era
giovane – doveva essere poco sotto la trentina. Il corpo
sembrava
in forze, i muscoli ben torniti e sodi – e tuttavia il volto
era
invisibile, sotto il mare di sangue, fango e sudicio che lo copriva.
Anders fece schioccare la lingua contro al palato: “Non posso
lavorare in queste condizioni. Dovete prendermi una bacinella d'acqua
pulita – laggiù, nell'angolo.
Dopodiché, uscite. Vi chiamerò io
quando sarò pronto.”
Se non muore prima, concluse con
tono amareggiato nella sua testa.
Carver, rimasto in silenzio fino
a quel momento, contrasse l'espressione in ciò che
– Anders intuì
– doveva essere il principio di un'animata protesta. Bethany,
però,
fece scattare la mascella e bloccò ogni parola del fratello
sul
nascere. Andò quindi a recuperare ciò che il mago
aveva chiesto e
poi, insieme al ragazzo, uscì dalla casupola senza proferire
parola.
Non
appena la porta venne chiusa, Anders si mise al lavoro: un pezzo di
stoffa immerso nell'acqua servì a detergere con delicatezza
il volto
sfigurato dell'uomo – la mascella volitiva, il naso dritto e
la
folta barba nera. Individuò una cicatrice vecchia di
chissà quanti
anni su di un sopracciglio e studiò con attenzione il grosso
e
profondo taglio che campeggiava nel bel mezzo del volto. Gli
attraversava il naso e gli arrivava fin poco sotto gli zigomi.
Causato certamente da una spada, decretò.
Poi si ritrovò per le
mani un'altra ferita, stavolta alla tempia. Nonostante il posto, era
decisamente meno grave e profonda della prima – e sarebbero
bastati
un paio di incantesimi per risolvere.
Il
passaggio successivo all'analisi, più rapida possibile, fu
il
fermare l'emorragia che continuava a insozzare il volto di Philippe.
Anders non sapeva quanto sangue avesse perso, ma non si muoveva mai
se prima non capiva ciò con cui aveva effettivamente a che
fare –
e perciò aveva atteso. Sperò solo che non avesse
aspettato troppo.
Una luce azzurrognola gli sfrigolò dalle dita; il calore gli
si
irradiò giù per le falangi, a partire dal centro
del palmo. Impose
le mani sul grosso taglio e recitò in un soffio poche parole
arcane.
E così pura energia fluì, riversandosi sul bel
volto virile,
arricciolandosi ai capelli, alla barba, attorno alle ciglia. Il mago
smise solo quando la ferita non apparì come seccata
– la carne
viva ed esposta prosciugata. L'aspetto, ad un occhio qualunque o di
un normale guaritore, sarebbe sembrato alieno – ma lui sapeva
ciò
che faceva.
Si
disse soddisfatto e si concesse addirittura un mezzo sorriso quando
vide il petto ampio alzarsi ed abbassarsi, come sollevato. Forse era
la sua immaginazione ed il suo desiderio di rimetterlo in piedi, ma
si crogiolò comunque in quell'azione magari mai avvenuta.
Poi si
mosse: individuò e prese alcuni vasetti pieni di erbe che
lui stesso
raccoglieva. Ufficialmente, il suo ruolo cominciava e finiva con
quelle. Altrettanto ufficialmente, però, senza la magia i
morti
avrebbero decisamente attraversato in numero maggiore la porta di
Anders. Ed invece, con quello che per i profani non era altro che
vomito del diavolo fluito direttamente dall'Inferno, riusciva a
guarire. E tanto bastava.
Si infilò un paio di foglie ampie in
bocca e cominciò a masticare, impastando il boccone. Non
appena il
bolo fu sufficientemente umido, spalmò sulla gobba del naso
e sulle
guance l'impiastro verde, riempiendo il solco di quella pasta.
Anders rimaneva cauto nei pronostici, mentre all'azione
dell'impacco univa un ulteriore incantesimo, recitato a voce bassa e
con gli occhi chiusi. Le palpebre di Philippe tremavano, come se il
bulbo coperto si muovesse frenetico e quello – decise il mago
–
era un buon segno.
Con una carezza delicata discostò i ciuffi di
capelli incrostati dalla fronte, misurando la temperatura: era caldo,
quello sì, ma non in maniera tale da allarmarlo.
Prese degli
stracci e glieli infilò sotto la testa, dopodiché
gli versò un
decotto giù per la gola, atto a calmare il dolore ed evitare
l'insorgenza di possibili infiammazioni od infezioni alla ferita. Per
concludere, dopo aver curato con un paio di incantesimi blandi il
taglio alla tempia, fasciò la ferita sul volto e gli
posò una
coperta addosso, sperando sinceramente che si fosse ripreso
più
presto possibile.
“Ho
fatto tutto ciò che potevo”, annunciò,
passandosi le mani
macchiate di sangue sui capelli biondi. I due fratelli si voltarono
verso Anders, l'espressione di Carver evidentemente animata dalla
preoccupazione e quella di Bethany da una forte determinazione.
“Non
posso ancora dirlo fuori pericolo, ma... sono ottimista” e si
concesse addirittura un pallido sorriso. Il gemello distolse lo
sguardo, i pugni stretti, mentre la donna si portava le mani tremanti
alla bocca e si appoggiava a Carver, che le cinse la vita con un
braccio dopo un attimo di esitazione.
“Vi ringraziamo, signore.
Senza di voi sarebbe sicuramente morto. Possiamo vederlo?”
Queste
furono le prime parole che il maschio pronunciava, i piccoli occhi
azzurri che indagavano il viso di Anders.
“Andate, ma per pochi
minuti. Dovrà rimanere qui: stanotte avrà bisogno
di ulteriori
cure. Ed io aspetterei a ringraziare, se fossi in voi.”
Soffiò il
mago, facendo cenno ad entrambi di entrare in casa.
Lui rimase
fuori, volendo concedere quel momento solo a loro tre; si
osservò le
mani, rosse e bianche, la veste sporca ed un fiato di vento che fece
agitare i fini capelli come tentacoli. Non doveva essere un bello
spettacolo – col naso pronunciato e dritto e il volto un po'
scavato. Mentre si carezzava l'accenno di barba sfatta, non
pregò –
perché Anders non credeva. Però sperò
come raramente aveva fatto
di riuscire a salvare quel giovane uomo. Poco tempo bastò
perché un
colpetto di tosse lo avvertisse del fatto che i due fratelli erano
dietro di lui – e così si voltò per tre
quarti, osservandoli da
sopra la spalla.
“Possiamo tornare domani?”
Anders annuì,
stiracchiando il volto in un sorriso timido: “Sarò
sempre qui.
Domani dubito che sarà già in piedi, se dovesse
riprendersi, e
comunque non sarebbe prudente farlo spostare. Se resterà
vivo, si
fermerà qui almeno per tre giorni.”
E il mago seppe di essere
stato quello che doveva: non brutale, non lapidario e disinteressato,
ma ugualmente chiaro. Le occhiate sgranate che gli vennero rivolte,
però, gli perforarono lo sterno: fin troppe volte se le era
viste
addosso.
Vide Bethany abbassare lo sguardo, la mandibola serrata,
e Carver salutarlo con un cenno millimetrico del volto. Solo quando
posò lo sguardo sulle loro schiene riuscì a
tirare un sospiro di
sollievo.
La
cena fu a base di un pesce pescato quello stesso pomeriggio, prima
dell'arrivo del suo paziente, e di un tozzo di pane nero un po' duro.
Stette in silenzio, solo il rumore dei ciottoli e lo scoppiettio di
un fuoco bluastro avvolsero la serata.
Anders si adoperò, con
Philippe: gli cambiò la fasciatura e l'impiastro, all'occhio
aranciato delle candele sparse per la stanza. Le forbici rugginose
tagliarono la camiciola ormai insalvabile, concedendogli lo
spettacolo di un ampio petto muscoloso e coperto da una fitta peluria
nera. Si ritrovò ad ammirarlo, nonostante le macchie di
sangue
vecchio e secco: l'uomo che gli stava davanti era bello anche
così
conciato. Somigliava molto alla sorella, notò.
Presa una
bacinella d'acqua pulita e cominciò a detergere la pelle fin
dove
riusciva a raggiungere – con una delicatezza che solo chi
guariva e
accarezzava possedeva. Nonostante la bruttezza delle sue mani
(macchiate, le dita grosse e perennemente tagliuzzate), erano lievi.
“Mi dispiacerebbe molto se tu morissi, Philippe. Ci sono
troppe
cose brutte al mondo e – tu potresti bilanciare. Sarebbe un
peccato
perderti” mormorò tra sé, lanciando
un'occhiata al volto tagliato
a metà dalla benda fresca. Chiaramente Anders sapeva che non
poteva
essere sentito, ma (forse scioccamente, visto il suo mestiere)
pensava che chi non riusciva a tornare al sole non avrebbe
disprezzato un incoraggiamento. Si soffermò un istante a
scostargli
le ciocche di capelli incrostate dalla fronte, approfittando anche
per monitorargli la temperatura. Una volta appurato che non c'era di
che preoccuparsi, decise di cucinare del brodo per l'indomani, nella
prospettiva che vedeva il suo assistito sveglio e moderatamente
affamato.
Seduto su una sedia, stava davanti al tavolo che
ospitava Philippe, e al lume di un mozzicone di candela scribacchiava
su una pergamena simboli arcani e fitti in quella sua grafia
sgraziata e piccola.
Fu dopo un lasso di tempo imprecisato che si
addormentò, la guancia premuta sul legno rozzo su cui
giaceva il suo
paziente.
Fu un tramestio non meglio precisato a ridestarlo.
La posizione gli aveva indolenzito il collo e le spalle e ci mise un
istante di più a comprendere di essere sveglio, dato lo
stordimento.
Nel sollevare il viso, la pergamena gli rimase appiccicata alla
guancia e Anders fu veloce a togliersela dal viso per guardarsi
intorno: davanti a lui c'era Philippe che gli dava la schiena. Una
larga cicatrice sulla scapola catalizzava l'attenzione, la testa
abbassata e un'imprecazione arrochita che fece sussultare il mago.
“Ma cosa diavolo state facendo, Philippe!? Rimettetevi
immediatamente giù! Non voglio che il mio lavoro si
rovini!”
Abbaiò Anders, seppur in modo poco convincente, dato il tono
biascicato e insonnolito. Si diede dello sciocco per essersi fatto
sfuggire il risveglio dell'uomo, dato che senza dubbio doveva essere
stato intontito; tirò ugualmente un sospiro di sollievo,
però,
quando lo vide obbedire, e valutò rapidamente che doveva
stare
decisamente meglio di quanto lui stesso si fosse aspettato. Gli pose
con delicatezza la mano sulla fronte, ancora una volta per
controllare la temperatura; era piacevolmente fresco, nonostante il
pallido grigiore diffuso sul suo viso. Gli occhi (ed Anders
notò
immediatamente il loro colore indefinito) si volsero verso di lui,
vigili anche se stanchi. Esitò un attimo prima di prendere
la
parola, distratto dal rossore che sentì montargli lungo il
collo:
“Perdonatemi: non volevo essere brusco. Siete stato portato
qui dai
vostri fratelli, nel tardo pomeriggio di ieri. Avete avuto un
incontro con un bandito, da che mi è stato riferito, e
questi vi ha
causato una bella ferita proprio sulla metà del viso
– e gli passò
l'indice su tutta la lunghezza del taglio coperto dalla benda -; io
mi chiamo Anders, e sono colui che vi ha guarito.”
Spiegò
brevemente, il tono basso e calmo e la sensazione di miele nello
stomaco che non pareva volersene andare. Era senza dubbio un
bellissimo uomo, chi gli stava difronte, nonostante le condizioni non
fossero delle migliori.
“Hawke.”
Era stata una singola
parola stentata e rotolata a forza fuori dai denti. Philippe chiuse
gli occhi con un grugnito di sofferenza – e Anders si
chinò di più
verso di lui, per farlo sforzare meno: “Come?”
“Non
Philippe: Hawke. Ed hai la guancia macchiata di inchiostro.”
Il
mago rimase un solo momento interdetto, a guardare con la coda
dell'occhio il viso contratto di Philip-- di Hawke. Fu inspiegabile,
poi, come la mano di Anders fosse corsa agli sbafi neri sulla gota ed
un sorriso fosse sbocciato, caldo e meravigliato, sulle sue labbra.
*
L'odore
prendeva alla gola. Ogni scintilla e crepitio erano una conferma:
Hawke – il
suo Hawke
– era morto.
Anders era troppo vicino alla pira, sulla sponda
del fiume, e sentiva le ondate di calore raggiungergli le gote e
mordicchiargli il viso. A questo si univa la pesante cappa
d'umidità
e i sottili aghi che le nubi lasciavano cadere, compartecipi del
denso dolore che sapeva di perdita e abbandono.
La notte era
passata in modo impercettibile. Era passata in modo sciocco –
come
se la morte non facesse differenza, per lei. Come se il mondo non
avesse smesso di girare.
Anders non era sicuro neanche di aver
battuto le palpebre – per ore e ore. Era rimasto
lì, il volto
cereo, la sete a soffiargli direttamente in bocca e il corpo bloccato
in una sorta di rigido stallo – come se qualcuno l'avesse
murato in
quella posizione. Era lì che l'aveva rivisto, con la benda
sul viso
e i capelli sporchi di sangue. L'aveva sentito dirgli di non
chiamarlo Philippe, ma Hawke – e Anders si diede dello
stupido nel
realizzare che non aveva mai saputo il motivo di quella preferenza.
Sembrava così importante, ora. E non l'avrebbe mai
più scoperto.
Rifletté di come la sua vita si fosse capovolta –
rapida e
caotica come una moneta lanciata per aria. Il problema era che quella
moneta ora si era schiantata a terra: nessuno l'aveva salvata dalla
sua caduta. E così, a quella realizzazione, un ennesimo
singhiozzo
strozzato e secco gli uscì dalle labbra. Anders si
tappò la bocca,
premendo forte la mano, imponendosi il silenzio mentre lacrime calde
– lacrime che aveva creduto fossero terminate – gli
rotolavano
giù per le guance scavate e ispide di barba.
Sentì le gambe
tremare, le spalle scosse, il mondo risucchiarlo. E non cadde a terra
solo a causa del tanfo del cadavere bruciato sulla pira. A quanto
pare, la morte si rifiutò di vederlo cedere. Come se ci
fosse
qualcosa di ancora integro, dentro Anders. Qualcosa che ancora valeva
la pena essere sbriciolato.
“Mi hai lasciato con dei cocci,
amore mio. Ma io non so neanche da dove cominciare per rimetterli
insieme...” Si ritrovò a sillabare, muto. Per la
prima volta,
dalla notte precedente, si concentrò: non guardava
più solamente la
pira, ma ora l'osservava. Osservava quelle mani ondeggianti e
crepitanti purificare ed estinguere ciò che era stato
Philippe Hawke
– ciò che era stato Amore. In mezzo a quella trama
arancione,
rossa e gialla, le sagome nere della legna e di Hawke erano un
profilo indistinguibile che davano vita ed alimentavano le fiamme.
La faccia di Anders era di cera: un quadro dipinto sui toni di un
grigio malsano. I capelli fradici erano ormai appiccicati alla fronte
e la pioggia creava rivoli giù per il volto e per il collo
del
guaritore. Se ne stava là, immobile. E tuttavia, niente
venne in suo
soccorso: non il sole, non un fiato di vento, non un uccello a
razzolargli tra i piedi. Perché – ormai era
chiaro: Dio, per
l'ennesima volta, si era coperto gli occhi.
Le dita, ad un certo
punto, si strinsero attorno ad un ciondolo (una semplice moneta
forata) che Hawke gli aveva donato: “Forse è vero,
che abbiamo
sbagliato. Forse è vero che siamo abomini –
creature impure
meritevoli solamente di un castigo. Lo dicono loro, inneggiando al
loro Dio. Però una cosa è certa: non
smetterò di chiamarti “amore
mio” e di amarti – perché, in fondo,
è ciò che so fare meglio.
Non rinnegherò un solo istante, non rimangerò
nessun fiato e
nessuna parola e non cancellerò mai dalla mia memoria le
notti che
solo io e te abbiamo vissuto. E se questo significa essere un mostro,
sarò lieto di chiamarmi tale.”
Quella di Anders era stata una
preghiera mormorata tra le pieghe di un sorriso amaro.
Poi rimise
in tasca la sua moneta, da cui non si sarebbe mai separato. Estrasse
il suo coltello e si prese i capelli, sudici e bagnati, raccolti nel
solito codino. Fu netto il taglio, mentre le ciocche gli ricadevano
sul viso e si chiudevano all'altezza delle tempie come un sipario. Si
avvicinò quel tanto che bastava per gettare nel fuoco quei
fili
biondi e spenti e lo fece ingoiando un'altra ondata di dolore e
pianto e nausea. Lo fece ricordandosi il volto del suo uomo quando si
studiò per la prima volta con la sua cicatrice, rossa e
gonfia.
Ricordò se stesso che diceva: “sei
sempre molto bello”,
guadagnandosi
per la prima volta
il bene più prezioso: il suo sorriso.
“E' così, amore mio.
Non avresti voluto morire da solo e così è stato.
Dio si è coperto
gli occhi, non ti ha guardato; sono i miei occhi, Hawke, quelli a
rimanere aperti.”
E non disse, mentre voltava le spalle alla
pira e se ne andava, che sempre i suoi occhi sarebbero stati aperti.
E non disse neanche, mentre le fiamme si estinguevano quiete, che lo
amava.
Perché, in fondo, questo, anche Dio lo sapeva.
Walking_Disaster's
corner:
E' stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. Sono molto contenta di questa mia
storia e per me spuntare "completa" è una piccola vittoria
ogni volta. Spero piaccia a voi com'è piaciuta a me.
Lasciatemi un commento, se vi va :)
Alla prossima,
WD
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