Zeru
si appoggiò alla parete
della carrozza, aspettando che lo shock per quello che era accaduto lo
investisse con tutta la sua potenza, ma niente, non avvertì
nemmeno un tremito.
Il sole continuava a splendere, incurante del suo matrimonio e dei
corpi sparsi
per terra, gli insetti continuavano a ronzare nell’aria, le
onde del mare
continuavano a infrangersi contro la scogliera, laggiù,
lontano, e lui
continuava a essere quello di sempre.
Non
si sentiva cambiato, non
avvertiva alcun sconvolgimento nella profondità del suo
animo, la vita non
aveva improvvisamente assunto un significato nuovo: era come se la sua
mente
avesse preso atto di quello che era accaduto, ma si rifiutasse di
considerarlo
qualcosa di più di un evento di routine, uno dei tanti che
si trovava ad
affrontare nella vita di tutti i giorni.
L’uomo
rimase immobile per
qualche istante, poi, indispettito dal suo subconscio che pareva non
avere
alcuna intenzione di dare il giusto peso a un evento tanto eccezionale,
si
allontanò di scatto dalla parete di legno alle sue spalle,
dirigendosi invece
verso il gruppetto di uomini davanti a lui.
«Capitano!»
lo accolse un
soldato, lasciando il corpo del barbaro che stava esaminando e
alzandosi in
piedi. «Difan ci ha detto di quello che è accaduto
alle principesse.»
«Sì»
confermò Zeru, mentre gli
uomini attorno a lui sospendevano le loro attività e si
voltavano per
osservarlo. «Quello che è accaduto è
estremamente grave e va certamente
vendicato, ma ora è tempo di fare ritorno ad Adaval.
Raccogliete i feriti, lasciate
i morti: le principesse hanno bisogno di cure urgenti, cure che possono
ricevere solo a Rocca del Vento.»
«Lasciamo
i morti?» ripeté un
soldato, incredulo.
«Non
c’è altra scelta, purtroppo»
replicò Zeru, amaramente. «Torneremo a prenderli
il prima possibile, ma ora non
c’è tempo. Dobbiamo arrivare ad Araval e non
possiamo permetterci di impoverire
ulteriormente la scorta. Se venissimo attaccati nuovamente, ogni
singolo uomo
sarà fondamentale per respingere l’attacco. Andate
e informate anche gli altri.»
Pur
con qualche mormorio di
dissenso, i soldati annuirono e poi si dispersero, dirigendosi verso i
compagni
che erano ancora sparpagliati qui e là sul luogo dove era
avvenuta l’imboscata.
Dopo avere atteso qualche istante per assicurarsi che i suoi ordini
venissero
eseguiti, Zeru avvicinò il suo secondo in comando:
«Avete trovato qualcosa di
utile?»
Difan
chinò il capo: «Nulla che
ci aiuti a capire il perché di questo attacco, ma qualcosa
di strano c’è, in
effetti.»
«Cioè?»
«Gli
uomini che ci hanno teso l’imboscata
non appartenevano tutti alla stessa tribù: le pitture di
guerra sono diverse.
Abbiamo trovato il rosso delle Aquile di Mare, il bianco delle Lance
del Sale,
il verde dell’Orda della Palude e persino il blu del Clan
delle Ossa Bianche.»
«È strano che si siano
spinti
così a occidente» rifletté Zeru.
«Ed
è strano anche che si
trovassero tutti insieme: le diverse tribù dei Nati dalla
Nebbia sono spesso in
guerra le une con le altre.»
«Già…»
Difan
aggrottò per un istante la
fronte e poi gli sfiorò un braccio e gli fece cenno di
seguirlo un po’ più in
disparte, come per indicare che desiderava parlare di un argomento
delicato,
non adatto alle orecchie di tutti. Zeru acconsentì a quella
richiesta
silenziosa e lo seguì fino ai piedi di un albero ai margini
della radura nella
quale si trovavano, poi lo guardò con fare interrogativo.
«Capitano…
io non ne so molto,
degli Odeb à Fànur»,
mormorò il
soldato, «ma so che, se non hanno mai costituito un pericolo
serio per Adaval e
gli altri regni, è perché sono sempre
stati troppo divisi per creare un esercito degno di tal nome. Credi che
sia
possibile che qualcuno sia riuscito a unirli in un’unica
grande tribù?»
«Qualcuno
come un re, intendi?»
chiese Zeru, cercando di capire dove volesse andare a parare il giovane
uomo.
Quando
quest’ultimo annuì, il
capitano scosse la testa, sospirando: «Non credo che sia
un’ipotesi realistica:
Adaval ha molte spie sparse per il continente e credo che ci sarebbero
arrivate
delle voci, se qualcuno stesse unificando le tribù. No,
penso piuttosto che
quelli che ci hanno attaccato fossero mercenari, forse dei reietti
anche tra la
loro stessa gente: se qualcuno li comanda, come credo, si tratta di
qualcuno
esterno al loro popolo.»
«Qualcuno
che, per un qualche
motivo, vuole morto re Yasu» concluse Difan.
«Qualcosa
del genere» annuì il
capitano, ripensando a come l’arciere si fosse limitato a
colpire le
principesse. «Naturalmente, nessuna ipotesi va scartata a
priori: appena
arrivati a Rocca del Vento chiederò un incontro con i
consiglieri e con il
conte Jarad, per sentire anche il loro parere.»
Quando
il soldato si limitò a
chinare il capo in un cenno d’assenso, Zeru gli
posò una mano sulla spalla e,
insieme, i due si diressero di nuovo verso gli altri uomini.
***
Zeru
chiuse gli occhi ed espirò
con forza, serrando le dita sul marmo della balaustra di fronte a lui.
Un
giorno e già le cose andavano male.
Quando,
la sera prima, erano
arrivati a Rocca del Vento, la prima preoccupazione di tutti era stata
quella
di fornire tutte le cure possibili ad Arina e Marai: contro ogni
aspettativa,
le due ragazze erano sopravvissute al viaggio e, anche se non avevano
ripreso
conoscenza, né avevano dato segni di ripresa, le loro
condizioni parevano
stabili.
Il
giorno successivo, però, re
Yasu non aveva perso tempo e aveva fatto inviare dei messaggi a tutte
le
casate, annunciando l’unione tra sua figlia e il capitano
della Guardia Reale e
spiegando le circostanze che avevano condotto a
quell’accordo. Anche se era
troppo presto per sapere come avrebbero reagito i destinatari di quelle
lettere,
le reazioni dei membri della corte ai quali il sovrano aveva comunicato
personalmente la novità erano state invece molto chiare e,
in linea generale,
poco entusiastiche. E Zeru era stato lì, immobile come un
idiota, senza
riuscire a difendersi dalle frecciatine e dalle insinuazioni velenose
che si
erano levate da più parti.
Una
figura ben misera, quella che
aveva fatto, indegna di un uomo nella sua posizione e di un soldato con
la sua
esperienza.
E dire che io ho cercato di oppormi, a questa
pazzia, pensò,
sentendosi simile a un bambino che i genitori avevano ripreso
ingiustamente.
La
verità era che, anche se il
suo ruolo lo aveva portato spesso in contatto con la vita di corte,
l’uomo si
era accorto solo in quel momento di quanta differenza ci fosse tra
l’assistervi
come uno spettatore esterno, un guardiano incaricato di sorvegliare che
non ci
fossero incidenti, e il viverla sulla propria pelle. Non faceva per
lui, quella
vita: l’aveva sempre sospettato e ora ne aveva la conferma.
Il
re gli aveva consigliato di
non lasciarsi turbare da ciò che era stato detto quella
mattina, assicurandogli
che, in quelle occasioni, era tutt’altro che raro che
venissero pronunciato
parole pesanti; e Zeru aveva cercato di seguire il suo suggerimento,
concentrandosi invece su quello che era il suo ruolo di capitano.
Neanche così,
però, era riuscito a calmare la sua mente: malgrado avesse
discusso per ore e
ore con il potente conte Jarad e con gli altri responsabili della
sicurezza,
non aveva ancora elementi per capire il perché
dell’attacco subito due giorni
prima.
Sapeva
bene che la Corona aveva
numerosi nemici, ma, sebbene chiunque di essi avrebbe potuto rivolgersi
a dei
mercenari – ammesso che i Nati dalla Nebbia fossero davvero
dei mercenari – non
avevano alcun elemento per accusare l’uno anziché
l’altro. Il capitano aveva
sperato che il conte Jarad, Primo Consigliere del re ed esperto dei
sottili
giochi di potere che si consumavano a corte, avesse qualche sospetto
che
potesse metterli sulla strada giusta, ma, sfortunatamente,
così non era stato:
il conte pareva brancolare nel buio.
Zeru
percorse con un dito il
marmo lucido, percorso da sottili screziature grigiastre, riflettendo.
La parte
di lui che desiderava ottenere vendetta e punire i responsabili
dell’imboscata
gli chiedeva di mandare immediatamente l’esercito a est,
attaccando
indiscriminatamente gli Odeb à
Fànur,
ma la parte razionale della sua mente gli impediva di farlo. I loro
assalitori
non erano riconducibili a un’unica tribù e non
c’era dunque un unico gruppo di guerrieri
contro il quale scagliarsi: non solo una rappresaglia troppo rapida
avrebbe
colpito molti innocenti, ma, per ottenere giustizia e non solo
un’illusoria
vendetta, avrebbero dovuto combattere su un territorio immenso; e
avrebbero
dovuto farlo senza conoscere il loro nemico.
No,
andavano trovati i responsabili,
coloro che avevano ordinato l’attacco.
Ammesso che ci sia davvero qualcuno, dietro a
quello che è successo.
Mentre
era immerso in quei
pensieri, la porta alle sue spalle si spalancò e Padre Tyban
gli si avvicinò,
accompagnato dal conte Jarad.
«Abbiamo
bisogno del tuo parere,
capitano» annunciò il sacerdote.
Il
soldato fece un cenno d’assenso:
«A che proposito?»
«Potrebbe
esserci un modo per
provare a identificare i mandanti dell’attacco»,
disse il conte, «ma Padre
Tyban ritiene che ricorrervi sia ancora prematuro e che, per il
momento,
dovremmo concentrarci sul salvare la vita alle principesse.»
«Non
è esattamente quello che ho
detto» ribatté il religioso. «Non credo
che il re o il regno siano in pericolo
immediato: chiunque abbia ordito l’attacco ha avuto successo
perché aveva a
disposizione un esercito di selvaggi pronti ad attaccarci alle spalle.
Qui nella
capitale, però, questo non può accadere e
un’eventuale minaccia può venire solo
da un singolo uomo: basterà aumentare la sorveglianza e re
Yasu e la sua
famiglia non correranno alcun pericolo.»
«Lo
capisco, ma quello che è
successo non può restare impunito. Se esiste un modo per
ottenere una traccia,
credo che dovremmo sfruttarlo. Le principesse devono ricevere le
migliori cure
possibili, naturalmente, ma non vedo come le due cose siano in
contrasto.»
«Esattamente»
il conte Jarad
annuì in sostegno di quello che Zeru aveva appena detto, ma
Padre Tyban scosse
il capo.
«Si
tratta di un metodo un po’… particolare.
Non dobbiamo preoccuparci
solo di ciò che accade sulla terra, capitano, ma anche delle
ripercussioni che
le nostre azioni potrebbero avere nel mondo celeste.»
Zeru
aggrottò la fronte: «Temo di
non capire.»
Dopo
un attimo di esitazione, il
sacerdote gli fece cenno di seguirlo: «Vieni con
me.»
Padre
Tyban e il conte Jarad lo
condussero fuori dal palazzo e poi sotto gli archi che portavano alle
segrete,
giù per le scale umide di muschio e nere di fuliggine.
Quando, giunti a un
pianerottolo illuminato da una torcia, i due uomini svoltarono a
destra,
anziché a sinistra, il cuore di Zeru accelerò i
battiti, intuendo quale fosse
la loro meta.
I
tre scesero ancora due rampe di
scale e si fermarono infine davanti a una porta che, se non fosse stato
per la
struttura rinforzata da pesanti bande di metallo, sarebbe stata uguale
a tutte
le altre.
«Come
saprai, l’accesso è
concesso soltanto ai membri del Culto, alla famiglia reale e al primo
consigliere» disse Padre Tyban, guardandolo con cipiglio
severo. «Tu adesso sei
un membro della famiglia reale, sebbene le circostanze che ti hanno
portato a
esserlo siano molto particolari, quindi hai il diritto di sapere. Spero
sia
ovvio, però, che quello che ti mostreremo richiede il
massimo riserbo.»
Leggermente
irritato dal discorso
del sacerdote, ma cionondimeno eccitato dalla prospettiva di varcare
quella
porta, Zeru annuì: «Naturalmente. Il mio incarico
ha sempre richiesto riservatezza,
non si tratta certo di una novità,
per me.»
Con
un cenno d’assenso, il
sacerdote mise mano al mazzo di chiavi che portava appeso alla cintura
e me
impugnò una dall’aspetto del tutto anonimo,
facendo scattare la serratura. Inspirando
profondamente, Zeru si preparò a conoscere il Flagello di
Hadi.
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