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Autore: Red Owl    15/11/2016    1 recensioni
Una freccia; e Marai, principessa di Rocca del Vento, si trova a lottare tra la vita e la morte. Anche se lei ancora non lo sa, sarà quella stessa freccia a esaudire il suo sogno più segreto e a concretizzare il suo incubo più oscuro.
Una freccia; e Zeru, capitano della Guardia Reale, si vede costretto a fare un giuramento che non avrebbe mai voluto pronunciare e che lo lega alla principessa morente.
Insieme, i due dovranno affrontare i loro pregiudizi e le loro paure, perché solo uniti potranno vincere i fantasmi del passato e sconfiggere i nemici del presente.
***
NB. Più avanti il rating potrebbe cambiare, tenete d'occhio il colore del quadratino.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Zeru si appoggiò alla parete della carrozza, aspettando che lo shock per quello che era accaduto lo investisse con tutta la sua potenza, ma niente, non avvertì nemmeno un tremito. Il sole continuava a splendere, incurante del suo matrimonio e dei corpi sparsi per terra, gli insetti continuavano a ronzare nell’aria, le onde del mare continuavano a infrangersi contro la scogliera, laggiù, lontano, e lui continuava a essere quello di sempre.

Non si sentiva cambiato, non avvertiva alcun sconvolgimento nella profondità del suo animo, la vita non aveva improvvisamente assunto un significato nuovo: era come se la sua mente avesse preso atto di quello che era accaduto, ma si rifiutasse di considerarlo qualcosa di più di un evento di routine, uno dei tanti che si trovava ad affrontare nella vita di tutti i giorni.

L’uomo rimase immobile per qualche istante, poi, indispettito dal suo subconscio che pareva non avere alcuna intenzione di dare il giusto peso a un evento tanto eccezionale, si allontanò di scatto dalla parete di legno alle sue spalle, dirigendosi invece verso il gruppetto di uomini davanti a lui.

«Capitano!» lo accolse un soldato, lasciando il corpo del barbaro che stava esaminando e alzandosi in piedi. «Difan ci ha detto di quello che è accaduto alle principesse.»

«Sì» confermò Zeru, mentre gli uomini attorno a lui sospendevano le loro attività e si voltavano per osservarlo. «Quello che è accaduto è estremamente grave e va certamente vendicato, ma ora è tempo di fare ritorno ad Adaval. Raccogliete i feriti, lasciate i morti: le principesse hanno bisogno di cure urgenti, cure che possono ricevere solo a Rocca del Vento.»

«Lasciamo i morti?» ripeté un soldato, incredulo.

«Non c’è altra scelta, purtroppo» replicò Zeru, amaramente. «Torneremo a prenderli il prima possibile, ma ora non c’è tempo. Dobbiamo arrivare ad Araval e non possiamo permetterci di impoverire ulteriormente la scorta. Se venissimo attaccati nuovamente, ogni singolo uomo sarà fondamentale per respingere l’attacco. Andate e informate anche gli altri.»

Pur con qualche mormorio di dissenso, i soldati annuirono e poi si dispersero, dirigendosi verso i compagni che erano ancora sparpagliati qui e là sul luogo dove era avvenuta l’imboscata. Dopo avere atteso qualche istante per assicurarsi che i suoi ordini venissero eseguiti, Zeru avvicinò il suo secondo in comando: «Avete trovato qualcosa di utile?»

Difan chinò il capo: «Nulla che ci aiuti a capire il perché di questo attacco, ma qualcosa di strano c’è, in effetti.»

«Cioè?»

«Gli uomini che ci hanno teso l’imboscata non appartenevano tutti alla stessa tribù: le pitture di guerra sono diverse. Abbiamo trovato il rosso delle Aquile di Mare, il bianco delle Lance del Sale, il verde dell’Orda della Palude e persino il blu del Clan delle Ossa Bianche.»

«È strano che si siano spinti così a occidente» rifletté Zeru.

«Ed è strano anche che si trovassero tutti insieme: le diverse tribù dei Nati dalla Nebbia sono spesso in guerra le une con le altre.»

«Già…»

Difan aggrottò per un istante la fronte e poi gli sfiorò un braccio e gli fece cenno di seguirlo un po’ più in disparte, come per indicare che desiderava parlare di un argomento delicato, non adatto alle orecchie di tutti. Zeru acconsentì a quella richiesta silenziosa e lo seguì fino ai piedi di un albero ai margini della radura nella quale si trovavano, poi lo guardò con fare interrogativo.

«Capitano… io non ne so molto, degli Odeb à Fànur», mormorò il soldato, «ma so che, se non hanno mai costituito un pericolo serio per  Adaval e gli altri regni, è perché sono sempre stati troppo divisi per creare un esercito degno di tal nome. Credi che sia possibile che qualcuno sia riuscito a unirli in un’unica grande tribù?»

«Qualcuno come un re, intendi?» chiese Zeru, cercando di capire dove volesse andare a parare il giovane uomo.

Quando quest’ultimo annuì, il capitano scosse la testa, sospirando: «Non credo che sia un’ipotesi realistica: Adaval ha molte spie sparse per il continente e credo che ci sarebbero arrivate delle voci, se qualcuno stesse unificando le tribù. No, penso piuttosto che quelli che ci hanno attaccato fossero mercenari, forse dei reietti anche tra la loro stessa gente: se qualcuno li comanda, come credo, si tratta di qualcuno esterno al loro popolo.»

«Qualcuno che, per un qualche motivo, vuole morto re Yasu» concluse Difan.

«Qualcosa del genere» annuì il capitano, ripensando a come l’arciere si fosse limitato a colpire le principesse. «Naturalmente, nessuna ipotesi va scartata a priori: appena arrivati a Rocca del Vento chiederò un incontro con i consiglieri e con il conte Jarad, per sentire anche il loro parere.»

Quando il soldato si limitò a chinare il capo in un cenno d’assenso, Zeru gli posò una mano sulla spalla e, insieme, i due si diressero di nuovo verso gli altri uomini.

***

Zeru chiuse gli occhi ed espirò con forza, serrando le dita sul marmo della balaustra di fronte a lui. Un giorno e già le cose andavano male.

Quando, la sera prima, erano arrivati a Rocca del Vento, la prima preoccupazione di tutti era stata quella di fornire tutte le cure possibili ad Arina e Marai: contro ogni aspettativa, le due ragazze erano sopravvissute al viaggio e, anche se non avevano ripreso conoscenza, né avevano dato segni di ripresa, le loro condizioni parevano stabili.

Il giorno successivo, però, re Yasu non aveva perso tempo e aveva fatto inviare dei messaggi a tutte le casate, annunciando l’unione tra sua figlia e il capitano della Guardia Reale e spiegando le circostanze che avevano condotto a quell’accordo. Anche se era troppo presto per sapere come avrebbero reagito i destinatari di quelle lettere, le reazioni dei membri della corte ai quali il sovrano aveva comunicato personalmente la novità erano state invece molto chiare e, in linea generale, poco entusiastiche. E Zeru era stato lì, immobile come un idiota, senza riuscire a difendersi dalle frecciatine e dalle insinuazioni velenose che si erano levate da più parti.

Una figura ben misera, quella che aveva fatto, indegna di un uomo nella sua posizione e di un soldato con la sua esperienza.

E dire che io ho cercato di oppormi, a questa pazzia, pensò, sentendosi simile a un bambino che i genitori avevano ripreso ingiustamente.

La verità era che, anche se il suo ruolo lo aveva portato spesso in contatto con la vita di corte, l’uomo si era accorto solo in quel momento di quanta differenza ci fosse tra l’assistervi come uno spettatore esterno, un guardiano incaricato di sorvegliare che non ci fossero incidenti, e il viverla sulla propria pelle. Non faceva per lui, quella vita: l’aveva sempre sospettato e ora ne aveva la conferma.

Il re gli aveva consigliato di non lasciarsi turbare da ciò che era stato detto quella mattina, assicurandogli che, in quelle occasioni, era tutt’altro che raro che venissero pronunciato parole pesanti; e Zeru aveva cercato di seguire il suo suggerimento, concentrandosi invece su quello che era il suo ruolo di capitano. Neanche così, però, era riuscito a calmare la sua mente: malgrado avesse discusso per ore e ore con il potente conte Jarad e con gli altri responsabili della sicurezza, non aveva ancora elementi per capire il perché dell’attacco subito due giorni prima.

Sapeva bene che la Corona aveva numerosi nemici, ma, sebbene chiunque di essi avrebbe potuto rivolgersi a dei mercenari – ammesso che i Nati dalla Nebbia fossero davvero dei mercenari – non avevano alcun elemento per accusare l’uno anziché l’altro. Il capitano aveva sperato che il conte Jarad, Primo Consigliere del re ed esperto dei sottili giochi di potere che si consumavano a corte, avesse qualche sospetto che potesse metterli sulla strada giusta, ma, sfortunatamente, così non era stato: il conte pareva brancolare nel buio.

Zeru percorse con un dito il marmo lucido, percorso da sottili screziature grigiastre, riflettendo. La parte di lui che desiderava ottenere vendetta e punire i responsabili dell’imboscata gli chiedeva di mandare immediatamente l’esercito a est, attaccando indiscriminatamente gli Odeb à Fànur, ma la parte razionale della sua mente gli impediva di farlo. I loro assalitori non erano riconducibili a un’unica tribù e non c’era dunque un unico gruppo di guerrieri contro il quale scagliarsi: non solo una rappresaglia troppo rapida avrebbe colpito molti innocenti, ma, per ottenere giustizia e non solo un’illusoria vendetta, avrebbero dovuto combattere su un territorio immenso; e avrebbero dovuto farlo senza conoscere il loro nemico.

No, andavano trovati i responsabili, coloro che avevano ordinato l’attacco.

Ammesso che ci sia davvero qualcuno, dietro a quello che è successo.

Mentre era immerso in quei pensieri, la porta alle sue spalle si spalancò e Padre Tyban gli si avvicinò, accompagnato dal conte Jarad.

«Abbiamo bisogno del tuo parere, capitano» annunciò il sacerdote.

Il soldato fece un cenno d’assenso: «A che proposito?»

«Potrebbe esserci un modo per provare a identificare i mandanti dell’attacco», disse il conte, «ma Padre Tyban ritiene che ricorrervi sia ancora prematuro e che, per il momento, dovremmo concentrarci sul salvare la vita alle principesse.»

«Non è esattamente quello che ho detto» ribatté il religioso. «Non credo che il re o il regno siano in pericolo immediato: chiunque abbia ordito l’attacco ha avuto successo perché aveva a disposizione un esercito di selvaggi pronti ad attaccarci alle spalle. Qui nella capitale, però, questo non può accadere e un’eventuale minaccia può venire solo da un singolo uomo: basterà aumentare la sorveglianza e re Yasu e la sua famiglia non correranno alcun pericolo.»

«Lo capisco, ma quello che è successo non può restare impunito. Se esiste un modo per ottenere una traccia, credo che dovremmo sfruttarlo. Le principesse devono ricevere le migliori cure possibili, naturalmente, ma non vedo come le due cose siano in contrasto.»

«Esattamente» il conte Jarad annuì in sostegno di quello che Zeru aveva appena detto, ma Padre Tyban scosse il capo.

«Si tratta di un metodo un po’… particolare. Non dobbiamo preoccuparci solo di ciò che accade sulla terra, capitano, ma anche delle ripercussioni che le nostre azioni potrebbero avere nel mondo celeste.»

Zeru aggrottò la fronte: «Temo di non capire.»

Dopo un attimo di esitazione, il sacerdote gli fece cenno di seguirlo: «Vieni con me.»

Padre Tyban e il conte Jarad lo condussero fuori dal palazzo e poi sotto gli archi che portavano alle segrete, giù per le scale umide di muschio e nere di fuliggine. Quando, giunti a un pianerottolo illuminato da una torcia, i due uomini svoltarono a destra, anziché a sinistra, il cuore di Zeru accelerò i battiti, intuendo quale fosse la loro meta.

I tre scesero ancora due rampe di scale e si fermarono infine davanti a una porta che, se non fosse stato per la struttura rinforzata da pesanti bande di metallo, sarebbe stata uguale a tutte le altre.

«Come saprai, l’accesso è concesso soltanto ai membri del Culto, alla famiglia reale e al primo consigliere» disse Padre Tyban, guardandolo con cipiglio severo. «Tu adesso sei un membro della famiglia reale, sebbene le circostanze che ti hanno portato a esserlo siano molto particolari, quindi hai il diritto di sapere. Spero sia ovvio, però, che quello che ti mostreremo richiede il massimo riserbo.»

Leggermente irritato dal discorso del sacerdote, ma cionondimeno eccitato dalla prospettiva di varcare quella porta, Zeru annuì: «Naturalmente. Il mio incarico ha sempre richiesto riservatezza, non si tratta certo di una novità, per me.»

Con un cenno d’assenso, il sacerdote mise mano al mazzo di chiavi che portava appeso alla cintura e me impugnò una dall’aspetto del tutto anonimo, facendo scattare la serratura. Inspirando profondamente, Zeru si preparò a conoscere il Flagello di Hadi.

   
 
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