Bozza
Ex omnibus
rebus quas esse vobis necessarias volui nihil feci facilius quam mori.
Tra tutte le cose che ho
voluto fossero per voi inevitabili, non ho reso nulla più
facile che morire.
Il
proiettore si era spento, ma non aveva alcuna importanza. Vi era una
sola persona in quel cinema di quart'ordine, nella periferia della
città. Un ragazzo, di quell'età in cui, per
quanto il corpo si stia trasformando, sembra non crescerà
mai abbastanza per contenere l'universo che si agita al suo interno.
Lui era particolarmente minuto. Lo era la linea delle spalle. La testa,
che scompariva sotto la mole dei capelli, incredibilmente
voluminosi, ma sicuramente meno pesanti sul capo del
ragazzo delle idee all'interno. Ma facendo scivolare poco
più in basso l'inquadratura, si incontravano due occhi dal
taglio sottile, eppure sconfinati. Quel ragazzetto che si sarebbe
potuto stendere con un soffio, aveva uno sguardo che ti inchiodava al
muro.
In
quel momento, quest'ultimo indugiava sugli schienali delle poltroncine
vuote, posto dopo posto, fila dopo fila. Il ragazzo veniva spesso ad
annegare i pensieri nel velluto rosso consunto dal tempo di quella
sala, sicuro di non trovarvi nessuno.
Avrebbe
voluto poter riempire il mondo con le persone create dalla sua mente,
come faceva con i sedili del suo rifugio preferito. Lui non guardava i
film. Guardava le persone.
Le
persone che
non c'erano, troppo
spaventato per osservare le persone in carne e ossa, le cui vite
scorrevano frenetiche dietro il sottile schermo delle pareti
del cinema.
Immaginava
soprattutto coppie. Madri e figli adolescenti che sussurravano,
ridendo, mentre guardavano lo schermo. Erano sempre l'una molto diversa
dall'altra, non sapeva bene perchè. Forse perché
lui e sua madre erano fisicamente antitetici (non poteva vedersi, lui,
quando parlando il suo viso, i suoi occhi, le sue mani, persino la sua
voce quasi, diventavano la copia di quelli della donna; ne sarebbe
stato contento, forse,
di
trovare finalmente un filo che lo legasse un po' più stretto
a lei.) Innamorati che si tenevano la mano; senza bisogno di parole se
stavano insieme da un po'; con un sorriso un po' ebete in volto, gli
occhi che brillavano di una gioia sfacciata per aver rotto quel primo
confine, sguardi che si cercavano e si sfuggivano al tempo stesso, se
erano adolescenti alla prima uscita.
Nessuno
nella sua testa era più triste di lui. Erano tutti
felici, schifosamente felici.
Nessuno era solo in quel cinema della sua fantasia, erano
tutti venuti con qualcuno, e non per passare un paio d'ore senza la
necessità di sforzarsi di rivolgersi la parola.
Perché riteneva che nessuno meritasse la solitudine e
l'infelicità. Nessuno degli altri. Lui non meritava
nient'altro. Cosa può meritarsi uno che a neanche un giorno
di vita ha già gettato sua madre nella depressione
più nera? E lei non meritava certo di provare tutto questo,
né certo se lo aspettava mentre attendeva suo figlio, il suo
bambino, quella che è una delle gioie più grandi
della vita. Doveva essere sbagliato, per far soffrire così
chi lo aveva messo al mondo. Non all'altezza delle aspettative.
Altrimenti, come spiegarsi il fatto che alla nascita del secondogenito
la madre non era stata affatto male? Avrebbe voluto odiare il
fratellino, ma non ne era capace, non riusciva neppure a invidiarlo,
era solo felice che lui fosse il figlio giusto, quello che la mamma
voleva, perché significava che era giusto, come si deve, e
non avrebbe mai dovuto passare quello che viveva lui ogni giorno, senza
un attimo di tregua.
Una
voce lo riportò prepotentemente alla realtà, era
la maschera del cinema che inveiva contro di lui, perché non
poteva stare lì per il film successivo senza pagare un altro
biglietto, "mi hai capito, mocciosetto? Sai anche parlare, o te ne stai
sempre zitto con quella faccia da idiota?". Era fuggito, come sempre
quando qualcuno gli rivolgeva le parole, incapace all'improvviso di
esprimersi in qualunque lingua, compresa la sua natìa. Le
sue gambe erano inarrestabili, fuggivano da qualcosa di indefinito,
avesse potuto il ragazzo sarebbe scappato da se stesso, da quel mondo,
da quella vita sbagliata. Sentiva le guance bagnate, e non era sicuro
fosse la pioggia che minacciava di cadere a breve. Qualunque cosa
fosse, mentre le gambe non smettevano di correre, non smetteva di
scorrere, scorrere, scorrere...
Scorreva
impetuosa l'acqua del fiume sotto i suoi piedi, separati da quella
corrente dal lastricato un tempo elegante del ponte su cui si era
infine fermato. Avrebbe voluto che la sua vita fosse come quella di
quel corso d'acqua, chiara e senza possibilità d'errore.
Sorgente, attraversa la valle, raggiungi il mare. Nessuna
possibilità di errore, il letto era
già disegnato, e anche dove deviava, poi ritornava
sui suoi passi.
"Forse
posso diventare anche io parte del fiume". Quel pensiero lo trafisse
all'improvviso. Cosa si fa con un errore? Si cerca di dimenticarlo, di
cancellarlo, lo si annega nel bianchetto.
Annega.
Forse
quell'acqua sarebbe bastata a lavarlo via, macchia sull'esistenza di
chiunque lo avesse conosciuto. Salì in piedi sulla balaustra
di marmo, di un bianco accecante nel grigio del cielo e sopra il colore
torbido dell'acqua del fiume. "Un passo e sei libero, un passo e
volerai via da tutto questo, un passo e il mondo avrà un
errore in meno".
Chiuse
gli occhi, e rivedeva tutte le persone che aveva collocato lui stesso
all'interno del cinema. Lo fissavano tutte, attendendo di vedere se
avrebbe avuto il fegato di buttarsi.
"Non
lo farai, non lo farai, hai sbagliato a nascere e non sei neanche
capace di morire" dicevano i loro sguardi vitrei.
"Si
che lo faccio!" urlò con quanto fiato aveva in corpo,
rivolto al cielo, a nessuno in particolare, a se stesso, al mondo
intero. Alzò un piede.
"L'errore
più grande della tua vita?". La voce che aveva pronunciato
queste parole era bassa, ma il tono fermo. Il ragazzo
trasalì e si girò, trovando due occhi cerulei e
indecifrabili. Appartenevano a un ragazzo molto magro, dall'aspetto
malinconico, ma dai tratti delicati, sembrava che nel disegnarli
qualcuno avesse tenuto la mano morbida. Tutto in lui evocava
tranquillità e gentilezza. Il ragazzo in piedi sulla
balaustra si chiese se avesse mai visto qualcuno di una bellezza
così pura prima d'allora.
Non
si sa in quale meandro del suo animo, trovò il coraggio di
rispondere.
"L'errore
più grande della mia vita è stato nascere, anzi
io sono
un
errore."
"E
quale sarebbe la cosa giusta? Ucciderti?"
"Sì,
visto che non ho la possibilità di evitare di nascere, non
mi resta che morire."
"Morire,
appunto. Non è la stessa cosa che ucciderti."
"Che
differenza fa?"
"Ne
fa molta. Ti risulta che si possa non morire? L'unica certezza che
abbiamo su qualunque cosa esistente, è che un giorno
cesserà di farlo. Una manciata di atomi da rimescolare. Non
puoi affermare di non sapere nulla per certo, la morte è il
punto fermo della vita nell'universo. Qualcuno lassù ha
voluto così"
"Ma
allora perché ha voluto anche che a morire ci si impieghi
così tanto?"
"Sbagli
nuovamente. Morire è la cosa più rapida del
mondo. Un momento sei, quello dopo non sei più, senza vie di
mezzo. Tutt'altra faccenda è nascere. Intanto, richiede
tempi lunghissimi, in più non sono fissi, variano da animale
a animale, e non solo come razza, anche come singoli, e in un singolo
variano da gestazione a gestazione. Per non parlare del fatto che non
nasciamo certo tutti allo stesso modo. Sia reso onore alla morte, unica
certezza nel caos della vita!"
"Allora
perché ci tieni tanto che io viva?"
"Perché
vivere è incerto, eppure
noi ci riusciamo. C'è
chi ruba all'universo ottant'anni, chi trenta, ma ogni singolo istante
in cui siamo ancora vivi possiamo dire di essere un eccezione a una
regola, una minoranza privilegiata. Hai mai pensato che al mondo
più si va avanti, più il numero di morti
è infinitamente grande rispetto a chi è ancora in
vita? Questo non ti fa sentire incredibilmente fortunato? Non pensi che
questa occasione meriti di essere usata per qualcosa che valga?"
"Sarò
anche fortunato, ma l'universo si è sbagliato di grosso a
dare una possibilità a uno come me"
"Meglio
ancora! Ridigli in faccia! Ripetiti ogni attimo che non dovresti
vivere, eppure lo fai e continui a
farlo. Sei
più grande dell'universo, perché lo hai fottuto
riuscendo a portare a termine tutto il processo della nascita, e anche
se alla fine vincerà lui, perderà tante battaglie
quanti sono gli istanti in cui il tuo cuore batterà ancora."
"Sta
già vincendo invece, è davvero una vita la mia?
Non conosco il mio scopo, non ho un letto dentro il quale scorrere
sicuro di fare la cosa giusta."
"Neanche
questo fiume lo ha sempre avuto.Se l'è scavato lui, forse
senza neanche essere sicuro che alla fine sarebbe arrivato al mare,
però non ha smesso di erodere la roccia, certo che da
qualche parte sarebbe giunto, senza fretta. Noi invece abbiamo tutti la
stessa meta sicura; perché oltre a questo vuoi accorciare il
viaggio?"
Non
sapeva più cosa controbattere. Quel ragazzo aveva una sorta
di magnetismo, non sembrava completamente umano. "Ma tu , chi sei?"
"Adam"
disse semplicemente, tendendogli la mano..
"Matty"
disse l'altro, mentre la afferrava e saltava giù dal
parapetto.
Ora
che aveva trovato un compagno di viaggio, voleva allontanare il
più possibile la meta. Perché per morire basta un
attimo, per imparare a vivere non basta un'esistenza.
F's
spot
Ehilà!
La frase a inizio pagina mi ha fatto venire troppa voglia di scrivere
qualcosa a riguardo, ed ecco il risultato che non è
esattamente come mi aspettavo ma amen ahahah Fatemi sapere cosa ne
pensate voi, se avete un minuto per lasciarmi una piccola recensione.
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